rivista anarchica
anno 34 n. 297
marzo 2004


emigrazione

Da emigranti a ribelli
di Oscar Greco

 

Breve storia degli anarchici calabresi in Argentina.

Sul finire dell’800, l’atteggiamento della cultura e della politica argentina nei confronti dell’immigrazione italiana era notevolmente mutato rispetto alla linea delle «frontiere aperte» che la classe dirigente liberale, guidata da Juan Batista Alberdi e Domingo Faustino Sarmiento, aveva posto a fondamento dell’opera di costruzione dell’identità nazionale, sulla base dell’equazione: progresso = espansione della frontiera = immigrazione europea.
Le cause che determinarono nella borghesia argentina un clima di avversione nei riguardi dell’immigrazione italiana e meridionale in particolare erano diverse. Certamente i problemi legati alla mole del flusso migratorio, superiore alle attese, che pesavano in un momento di crisi economica protrattasi per alcuni decenni e gestita dal governo con un uso antioperaio dell’immigrazione. Probabilmente anche l’arrivo in massa dei meridionali italiani, ben diversi dagli attesi cittadini dei più progrediti paesi del Nord Europa. Ma soprattutto la convinzione che i meridionali italiani « erano una presenza laboriosa e necessaria ma anche pericolosa, perché sovversiva» (R. Paris). Alla base di questa opinione stava lo stereotipo dell’emigrato calabrese come «primitive rebel», in quanto legato a schemi mentali precapitalistici e privo di esperienze sindacali o di partecipazione politica e quindi predisposto al sovversivismo istintivo, il più temuto dai benpensanti e dagli uomini di governo.
È quasi superfluo osservare che questi stereotipi non sempre corrispondevano alla realtà.
Molti calabresi, che nelle terre di origine non avevano avuto alcuna esperienza di aggregazioni collettive e sindacali, trovandosi per la prima volta in un contesto di aspre lotte sociali e di fronte a una realtà che consideravano ostile e incomprensibile, si rifugiarono nel grembo delle tante società mutualistiche a base etnica e nazionalista. Qui non solo trovavano usi, tradizioni e sicurezze delle comunità lasciate nel paese di provenienza, ma scoprivano anche la consapevolezza dell’identità italiana che spesso non era stata ancora raggiunta nell’area di origine (Silvio Lanaro, Da contadini a italiani ).
Altri, forse la maggioranza, uscirono dall’isolamento integrandosi acriticamente e in posizione subordinata nella società ospitante (E. Sori ).

Spirito di ribellione

Alcuni, invece, in effetti si calarono nelle lotte sociali argentine con orgoglio e spirito di ribellione e furono inevitabilmente attratti dalle idee anarchiche che tanti proseliti avevano all’epoca nel paese sudamericano.
Soprattutto dopo l’arrivo a Buenos Aires di Errico Malatesta nel 1885 e di Pietro Gori nel 1898, il movimento anarchico ha vissuto in Argentina una stagione di espansione che non ha avuto eguali, grazie alla sua capacità di saldarsi con le organizzazioni operaie e di superare l’originaria fase dell’individualismo romantico. La FORA, la federazione sindacale guidata dagli anarchici, è stata la protagonista, soprattutto nei grandi centri urbani, delle lotte sindacali, delle battaglie politiche, degli scontri anche violenti con la polizia nei momenti di repressione, per circa tre decenni e quanto meno fino al momento in cui i conflitti all’interno dello stesso movimento ne accentuarono il declino. Penso al periodo degli «anarchici espropriatori» guidati da Severino Di Giovanni i quali, rifiutando ogni ipotesi organizzativa del movimento, si ispiravano all’individualismo anarchico di azione con gesti clamorosi quali rapine, attentati, che determinarono una netta spaccatura nel movimento libertario.
Nello stesso tempo le idee anarchiche si diffondevano grazie all’opera di proselitismo dei lingeras, personaggi tipici, spesso vagabondi politicizzati, che con il loro fardello carico di materiale di propaganda, senza un domicilio fisso, senza una stabile professione e pronti a esercitare qualsiasi mestiere raggiungevano anche le zone più sperdute della pampa sconfinata per portare qua un giornale, là degli opuscoli, per ripartire subito dopo per un altro posto ancora più lontano. Personaggi tolstoiani, come li definì forse con enfasi ma non impropriamente Osvaldo Bayer, che viaggiavano sui treni merci, lavoravano nei campi e diffondevano le idee di ribellione sociale.
Molti contadini, calzolai, braccianti, barbieri, ecc., partiti dalla Calabria con nessuna o poche idee politiche in testa, entrarono in contatto con questo vasto movimento. Cominciarono così a frequentare circoli politici, parteciparono alle iniziative e alle lotte sindacali, si cimentarono nella produzione di opuscoli e giornali di informazione e propaganda, in un lavoro oscuro, faticoso, portato avanti senza alcuna soddisfazione personale se non quella ideale.
Di questi uomini semplici, spesso autodidatti, combattuti tra le nostalgie e i ricordi della terra e degli affetti lontani e gli ideali di lotta sociale, non si occuperà mai la storia. Di loro si interesseranno solo le forze di polizia che si preoccuperanno di annotarne minuziosamente le iniziative di lotta sindacale, le frequentazioni politiche, gli articoli su opuscoli o giornali, le attività intraprese all’interno del movimento operaio e che immancabilmente li segnaleranno come pericolosi sovversivi. E dal loro punto di vista forse non avevano tutti i torti giacché la coscienza di classe e le idee anarchiche avevano trasformato quei contadini, calzolai e vagabondi da emigranti in ribelli.
Dai documenti del Casellario Politico Centrale, fonte di facile consultazione ma da utilizzare con circospezione, è possibile comunque trarre dati di fatto significativi in base ai quali si possono ricostruire le attività degli emigranti calabresi in odore di anarchia.

Prevalenza cosentina

Nell’arco di tempo che va dagli anni ottanta allo scoppio della seconda guerra mondiale i calabresi qualificati come anarchici che si trasferirono in Argentina furono 288. Di questi ben 248 si stabilirono a Buenos Aires, mentre gruppi minori si fermarono a Rosario, Mendoza o San Juan. La loro provenienza indica la netta prevalenza della provincia di Cosenza con nuclei abbastanza numerosi dai comuni di Rossano (19 unità), San Benedetto Ullano (13) e Cetraro (11). I dati biografici dei sovversivi segnalati dal Casellario denotano una condizione sociale generalmente modesta. Le categorie professionali più rappresentate sono quelle dei calzolai, dei contadini, dei braccianti e giornalieri, dei sarti, dei falegnami. Pochi sono gli addetti al commercio e pochissimi gli impiegati.
Il Casellario segnala 41 calabresi appartenenti alla FORA. Per gran parte di costoro la documentazione della polizia non indica attività sindacali specifiche per cui l’identità politica è desunta dalla mera appartenenza alla confederazione anarchica. Ciò chiaramente non è sufficiente a trarre convincimenti sicuri circa le idee politiche di questi lavoratori. Per altri calabresi iscritti alla fora invece sono specificate iniziative di lotta, organizzazione di conflitti sindacali, pubblicazione di opuscoli e articoli, dai quali la militanza anarchica e le idee libertarie risultano evidenti. Numerosi sono gli anarchici calabresi protagonisti in momenti di particolare tensione sociale. È il caso dello sciopero generale indetto dopo la promulgazione della Ley de residencia del 1902, delle agitazioni anarchiche del 1903 dopo la proclamazione dello stato di assedio, del grande sciopero generale del gennaio del 1907, delle imponenti manifestazioni di protesta dopo il primo maggio 1909, allorché furono uccisi dalla polizia 8 manifestanti, nonché delle altre manifestazioni indette dalla FORA nel 1910, nel febbraio del 1912 e nel gennaio del 1919 in occasione dei fatti della semana tragica. La presenza attiva di calabresi è segnalata anche nelle manifestazioni che si tennero in diverse città dell’Argentina per Sacco e Vanzetti. La descrizione di queste vicende e i dati biografici forniti dal Casellario dimostrano che questi calabresi erano stati più volte fermati e arrestati ed erano continuamente tenuti sotto controllo dalle forze di polizia.
Un gruppo di 10 calabresi, residenti a Buenos Aires, è ritenuto vicino a Severino Di Giovanni e agli anarchici espropriatori. In verità la contiguità con Di Giovanni è desunta solo dal fatto che i loro nominativi erano inseriti in un elenco trovato nelle carte sequestrate a quest’ultimo. Per alcuni di loro la militanza anarchica e la partecipazione anche ad attentati dinamitardi è comunque indiscutibile. Il più noto di costoro è senza dubbio Francesco Barbieri, strettamente legato a Di Giovanni e ai fratelli Scarfò e autore di azioni dimostrative e anche del sanguinoso attentato del 3 maggio 1928 al Consolato d’Italia. Esperto artificiere aveva preparato per Di Giovanni l’ordigno esploso nell’atrio del Consolato; sfuggito alla cattura riparando in Uruguay, viene in seguito espulso e rimandato in Italia. Ma continua la sua lotta politica e con la passione di sempre si reca in Spagna per combattere durante la guerra civile. A seguito del conflitto tra anarchici e marxisti a Barcellona nel maggio del 1937, viene arrestato dai comunisti e ucciso insieme a Camillo Berneri e ad altri tre anarchici.

Isola di Favignana, 15 dicembre 1926. Un gruppo di antifascisti al confino. Il primo da destra è l’anarchico calabrese Nino Malara (foto Archivio della Biblioteca "Franco Serantini", Pisa - grazie a Furio Lippi)

Proselitismo, opuscoli e volantini

La militanza di molti immigrati calabresi si desume in modo incontrovertibile dalla loro appartenenza a una delle tante associazioni di ispirazione libertaria che si erano costituite soprattutto a Buenos Aires. Alcune di queste erano di particolare consistenza come Umanità Nova, costituita prevalentemente da italiani tra i quali ben 17 calabresi. Altre erano di più ridotte dimensioni ma non meno attive sul piano politico. L’attività di proselitismo avveniva tramite la distribuzione di opuscoli, volantini, numeri unici di giornali pubblicati dai militanti. A volte il gruppo si identificava con un giornale pubblicato con regolarità, come è il caso del quotidiano «Antorcha» e dei periodici «Sorgiamo» e «L’Allarme». In tutti questi organismi e in altre di chiara impostazione antifascista la presenza di piccoli gruppi di calabresi era costante.
A volte alcune associazioni, fondate su basi etniche e mutualistiche, assunsero in seguito un chiaro connotato politico. Tale è il caso dell’associazione costituita da un gruppo di cetraresi che assunse nel corso del tempo le denominazioni di «Gruppo anarchico cetrarese» e poi «Senza patria» e infine «Senza patria e senza Dio». Oppure quello dell’associazione costituita da immigrati coriglianesi, originariamente denominata «I coriglianesi uniti» e poi divisa in due entità distinte una delle quali, la «Cor bonum», assunse una netta impronta anarchica sotto la guida di Luigi Tassitani.
Da questi dati si può trarre una considerazione: la quasi totalità degli emigrati segnalati dal Casellario come anarchici non risulta avere svolto in patria attività politica di qualsiasi genere, fatta eccezione per i pochi noti e politicamente attivi.
Ma ciò non deve trarre in inganno. I contadini e i piccoli artigiani calabresi non erano estranei e totalmente insensibili alle idee di rivolta che il movimento anarchico e socialista diffondeva a cavallo tra i due secoli. Molti di loro non poterono partecipare in patria alle battaglie politiche più radicali perché costretti a scegliere, per svariati motivi, un’altra forma di ribellione: la via dell’emigrazione, ‘la rivoluzione silenziosa dei calabresi’, secondo la bella immagine di Giustino Fortunato.
La storia dell’emigrazione calabrese in Argentina dimostra che quegli stessi uomini, apparentemente rassegnati nelle terre d’origine, erano pronti a dare battaglia politica, anche con non trascurabili rischi personali, in presenza di condizioni ambientali che favorivano lo scontro sociale. È per questo motivo che la storia del movimento operaio calabrese non può non tener conto anche del contributo di quanti nelle nazioni di adozione hanno partecipato alle lotte di emancipazione e di libertà insieme alle organizzazioni operaie di quei paesi.

Oscar Greco