rivista anarchica
anno 34 n. 297
marzo 2004


movimento anarchico

Ma l’anarchia è una cosa seria
di Massimo Ortalli

 

Bombe, bombette e cassonetti: sembrerebbe che il movimento anarchico non sia che un insieme di pratiche più o meno criminali e clandestine. Invece...

È fuori di discussione che il clamore sia stato particolarmente forte. Vuoi perché gli «obiettivi» erano Prodi e le massime istituzioni della Comunità Europea, vuoi perché, in periodo natalizio, lo scoppio di castagnole e mortaretti è quanto mai di attualità. E poi, si sa, Bologna fa sempre notizia e non ci si può non occupare di queste ennesime bombe «ammaestrate».
È una costante storica che il movimento libertario sia oggetto di provocatorie attenzioni da parte del potere. Ogni volta infatti che si fa più pressante la spinta delle sue istanze e i suoi contenuti trovano condivisione nel corpo sociale, lo Stato, non potendone recuperare la carica sovversiva con le blandizie o la concertazione, risponde con gli strumenti a lui più congeniali, vale a dire con i soliti arnesi della criminalizzazione e della mistificazione.
La sostanza delle cose, e dunque anche degli ultimi avvenimenti bolognesi, infatti si esprime nella volontà di fare apparire l’anarchismo e le attività del movimento che all’anarchismo si richiamano, come un insieme di pratiche più o meno criminali e clandestine di cui trattare nelle pagine di cronaca nera, appiattendo nella logica dello scontro violento con le strutture repressive del potere tutto il patrimonio di lotte sociali e di massa che l’anarchismo si porta appresso. E, per raggiungere questo obiettivo, la strategia provocatoria partita da Bologna si è mostrata più sofisticata del solito. Da una parte, infatti, l’invenzione della Federazione Anarchica Informale (la cui sigla richiama, e si sovrappone, a quella della Federazione Anarchica Italiana), si spiega, oltre che nell’evidente senso derisorio (e fin qui nulla da eccepire, contenti loro!) nella creazione di una equivoca confusione, che potrà rendersi particolarmente utile quando l’opera di intossicazione del potere dovrà fare ulteriori passi in avanti. Dall’altra la dichiarazione di nascita di una organizzazione in grado di raccogliere e dare maggiore incisività alle varie sigle dell’illegalismo presenti sul territorio, e la collaterale volontà di mantenere questa fantasmatica organizzazione nell’empireo dell’informalità. Entrambi i fatti, se dimostrano una conoscenza approfondita dei meccanismi organizzativi del movimento, garantiscono anche del carattere autoritario e verticistico di una struttura tanto più impermeabile al controllo dei suoi aderenti in buona fede quanto più soggetta a subire l’opera di eterodirezione e infiltrazione che lo Stato reputerà necessaria.

Disegno chiaro

Non c’è che dire, ci troviamo di fronte a un vero e proprio salto di qualità! E se le cose stanno così, il disegno è ancora più chiaro. Di fronte alla imprevista ripresa delle lotte di questi anni e alla combattività che gli anarchici, anche nel vuoto di altre risposte, hanno portato nell’ambito dello scontro sociale, solo l’arma della repressione può rivelarsi efficace. E poiché siamo in regime democratico, la risposta dello Stato, per essere credibile, dovrà dotarsi di solidi strumenti «democratici», ampiamente condivisi e auspicati dalla stragrande maggioranza dei cittadini, perché percepiti come gli unici in grado di contrastare azioni puramente «criminali» studiate e messe in pratica da incomprensibili individui antisociali. Sembra incredibile, ma ecco una riedizione della strategia della tensione, probabilmente ancora in gestazione, ma che potrebbe diventare, con simili presupposti, non meno distruttiva di quella di trent’anni orsono. Anche perché, per restare nel campo delle comparazioni, a dare oggettivamente man forte alle tresche del potere si presta il solito ambito più o meno libertario e più o meno consapevole (ma non è questo il problema) di agenti del re di Prussia, tanto disposto a giocare il ruolo assegnatogli dagli strateghi dello Stato, quanto determinato, con dedizione degna di miglior causa, a indebolire, fiaccare e snaturare la quotidiana attività del movimento anarchico di impostazione sociale. E talmente intento a rispecchiarsi nella presunta radicalità dei suoi comportamenti da non comprendere cosa, in definitiva, può davvero mettere in crisi il potere. Se una lotta come quella di Scanzano, tanto per capirci, dove la pacifica ma fermissima volontà popolare ha impedito l’ennesimo scempio ai danni delle popolazioni meridionali, oppure l’invio di più o meno pericolosi pacchi bomba (e la differenza non sta certo nella quantità di esplosivo impiegata) a qualche boiardo italiano od europeo.
Indubbiamente la FAI, e con essa la grande maggioranza del movimento anarchico, libertario e anarcosindacalista, ha compreso, anche sulla base di passate e tragiche esperienze, la portata dell’attacco ricevuto e soprattutto le probabili implicazioni future. E se è l’uso poliziesco della sigla FAI che ha fatto da detonatore per gli anarchici federati, non è stata comunque solo questa provocazione diretta a far partire la loro risposta, quanto la coscienza che solo una presa di posizione immediata, chiara e puntuale poteva bloccare sul nascere le manovre messe in atto per neutralizzare la combattività che tutto il movimento anarchico sta dimostrando. E nella consapevolezza che questa strategia repressiva andava a cercare una sponda nelle pratiche illegalitarie ossessivamente rivendicate da certi ambienti libertari informali, si è deciso per un ampio confronto pubblico e articolato, indirizzato non solo all’opinione pubblica e ai soggetti sociali interessati alle lotte che vedono la presenza della FAI, ma a tutto il movimento anarchico, anche a quello testardamente convinto della grandiosa valenza rivoluzionaria dello scoppio di un petardo o dell’incendio di un cassonetto.

Anarchismo sociale

Così, sabato 24 gennaio, al cinema Rialto di Bologna tutto l’anarchismo che si muove nel solco dell’organizzazione formale e orizzontale e che pone al centro della propria tattica e della propria strategia il contatto costante con le istanze e le lotte dei lavoratori e delle classi popolari, si è riunito per far conoscere la realtà organizzativa e le pratiche di lotta dell’anarchismo sociale, offrendo così anche alle frange «violentiste» di cui parlavamo in precedenza, un modello di intervento tanto rivoluzionario quanto irrecuperabile dalle logiche del dominio, in grado di scalfire, ben più del solito e rumoroso petardone, il sistema di idee e di valori sui quali il potere poggia la propria presunta legittimità. Senza la ricerca di inutili scorciatoie e senza la tentazione di affidarsi a un comodo giacobinismo, ma nella consapevolezza che la lotta è difficile, che non sempre si raggiungono gli obiettivi proposti e che spesso, dopo una fase di lotte dure e faticose, l’immancabile provocazione può venire a vanificare il lavoro svolto e i risultati ottenuti. Rispondendo alla convocazione dell’assemblea del Cassero di Bologna e dei partecipanti all’ultimo convegno della FAI, compagne e compagni di mezza Italia si sono ritrovati in gran numero per confrontare le loro esperienze e ribadire il loro radicale antagonismo rispetto ad ogni logica autoritaria e prevaricatrice, sia questa emanazione diretta degli organi repressivi dello Stato o l’espressione di una volontà ribelle che ha frainteso alcuni passaggi cruciali del pensiero libertario.
E l’immagine che ne è uscita è quella di un movimento quale esso è, non quale vorrebbero descriverlo i nostri avversari. Un movimento di liberi e di uguali, di compagni solidali che quotidianamente lottano per affermare i principi dell’autogestione, del rifiuto della delega, dell’organizzazione orizzontale, dell’antiautoritarismo, della lotta allo sfruttamento, della socializzazione dei mezzi di produzione. Da perseguire senza balzi in avanti e senza salti della quaglia. E la bella atmosfera che ha caratterizzato la serata conviviale che ha chiuso questa importante giornata ha prefigurato, e vorrei che non apparisse retorico, la solidarietà attiva che dovrà contraddistinguere i nostri rapporti anche nella società che vogliamo andare a costruire.

Massimo Ortalli