rivista anarchica
anno 34 n. 297
marzo 2004


 

Radio Bandita,
una radio libertaria in internet

Parte tecnica e un po’ di storia
In un’epoca in cui sembra che la televisione abbia ammazzato qualsiasi altro mezzo di comunicazione, le radio in Italia hanno ancora un bacino d’ascolto vastissimo e questo per la caratteristica propria della radio come mezzo non invasivo e non totalizzante nella sua fruizione.
Negli anni settanta la storia pionieristica delle prime radio «libere» apportò un grande contributo allo sviluppo della controinformazione nel «movimento» studentesco e operaio, oggi una storia per alcuni versi simile (ma per molti altri diversa) sta avvenendo nel Web.
La prima esperienza di radio «libera» in Internet arriva nel 1997 da Catania, si chiama Radio Cybernet curata da Asbesto, un ackaro (così amano chiamarsi gli hackers nostrani) siciliano che in una regione insospettabile dal punto di vista dello sviluppo informatico, trasmette con mezzi tecnici a basso costo ed utilizzando la genialità propria degli hackers (famosi i suoi microfoni costruiti con i tappi di sughero).
Dopo tutto ad una radio che vada in Internet non serve una grande tecnologia e nemmeno grosse risorse finanziarie, bisogna solo essere dei buoni smanettoni ed avere voglia di raccontare qualcosa.
Quindi da questa prima esperienza prendono i passi un po’ tutte le successive radio in Internet, come ad esempio Radio Mozzarella che tra marzo e aprile 2002 rimanda in rete le voci degli internazionali presenti in quel momento in Palestina, portando informazioni e notizie che nessun altro media rimanda.
Oppure Esseottoradio, una radio che trasmette in rete da alcuni anni dall’hinterland milanese rimandando concerti dei gruppi del territorio e facendo informazione sulle problematiche locali.
All’inizio è un gioco e l’importante è prendere confidenza con il mezzo, sviluppare e sistemare i software che possono permettere l’esistenza di queste esperienze; perché una cosa fondamentale per queste nuove radio che nascono è l’utilizzo di solo software «libero», per intenderci non si utilizza Windows (quello di Bill Gates) ma Linux (quello del pinguino) così anche per tutti i programmi: per «streammare», per riprodurre la musica in file mp3, per editare le puntate trasmesse ed archiviarle ecc.
Si chiama «libero» perché la forma di copyright studiata dalla Free Foundation Software lascia la possibilità a chi ne usufruisce di modificarlo, scaricarlo, regalarlo e tutto quello che uno può immaginare di fare con questi software, alla condizione che nessuno possa diventarne il proprietario, per cui è garantita la libera fruizione del sapere.
Una delle prime cose che si intuiscono è che vista la scarsa diffusione della banda larga in Italia, bisogna rinunciare alla qualità per tentare di rendere più fruibile questa tecnologia ed allora lo «streamm» di queste radio è di una qualità tale che anche con un modem 56k è possibile ascoltarle.

Ecco radio Bandita...
La storia di Radio Bandita parte nel maggio 2002.
Giucas comincia a trasmettere su Internet facendo una trasmissione settimanale; con il nome di Radio Giucas ha inizio la prima parte sperimentale di uno strumento nuovo.
La trasmissione da puro intrattenimento comincia a prendere una forma sempre più di approfondimento, comincia ad avere una struttura fissa con ospiti, rubriche, sigle e conduttori.
Nel marzo del 2003 visto che il progetto ha lasciato quella dimensione personale per assumere sempre più caratteristiche collettive: si decide di abbandonare il nome di Radio Giucas per assumere quello attuale. La prima puntata della radio «ristrutturata» vede l’inizio dei bombardamenti sull’Iraq da parte dell’esercito statunitense ed è subito la prova che frastornati dai media mainstream e privi dei mezzi non è possibile inseguire l’informazione ufficiale, ma approfondire la notizia per rendere la complessità della realtà.
Questo ci è sembrato l’elemento che, man mano la redazione andava formandosi fino a constare di 4 persone più alcuni collaboratori, ci ha spinto a fare questa radio: non una radio di militanza e propaganda ma di riflessione ed approfondimento; perché come si legge sul sito della radio «se mai una certezza vi daremo, avremo miseramente fallito nel nostro intento».
I temi trattati nel corso di questo anno di Radio sono stati i più disparati, dalla situazione in Argentina, all’incidenza dei brevetti delle multinazionali su medicina e informatica nella nostra vita, dalla storia riscritta dai servizi segreti, alla censura nella canzone italiana, dallo zapatismo nel lontano Chiapas, alle problematiche delle nostre metropoli, sempre comunque con un approccio libertario e pronti a mettersi in discussione. Non manca la musica e neanche l’ironia, che per esempio troviamo nella rubrica «Testate al muro» rassegna stampa dei giornali di destra.
Radio Bandita trasmette solo il lunedì dalle 21,30 fino alle 24,00, che può sembrare poco, ma vi assicuriamo che per preparare una buona trasmissione (almeno così speriamo) serve molto tempo.
Tutte le trasmissioni sono archiviate ed alcune sono disponibili da scaricare sul sito di Radio Bandita.
Perché il mezzo è anche il messaggio come diceva lo stracitato McLuhan, ed inoltre condiziona il nostro linguaggio e il suo uso, la differenza tra una radio via Internet ed una radio via etere è la possibilità di essere ascoltata non solo in diretta ma anche con l’archiviazione dei contenuti che vengono in questo modo resi pubblicamente disponibili.
Il progetto Eterete
Vista la relativa facilità di costruire una radio via Internet si è avuto, come dicevamo anche più sopra, un proliferare di questi strumenti nell’ultimo anno, molte radio sono nate anche in occasione di situazioni temporanee, come durante iniziative o manifestazioni (un esempio la lunga diretta della giornata del primo maggio in occasione della May-Day Parade a Milano). È in queste occasioni che ci si è accorti che trasmettere da soli non bastava più e d’altro canto non si voleva commettere l’errore di costruire un’unica struttura centrale per mantenere quella peculiarità che lo strumento proprio di Internet permette: la possibilità di avere un reale lavoro dal basso dove ognuno può accedere e mettere del suo; il passo successivo sarà quello di allargare la possibilità di essere ascoltati.
Da qui nasce a Milano il progetto Eterete, per ora solo un progetto. In buona sostanza l’idea è di riuscire a facilitare e costruire insieme una rete di radio trasmettitori ad alta frequenza che coprano un’area relativamente ristretta e che si basi su una cooperazione trasversale tra associazioni, movimenti, collettivi, singoli individui in quel territorio per la produzione di contenuti, pensando anche a forme di coordinamento tra i vari nodi della rete. Tante antenne con trasmettitori poco potenti e sotto tante teste diverse che trasmettono quel che gli pare. Come unire questi puntini sulla mappa milanese? Con il Web!
Questo metodo di creare informazione dal basso è già usato in alcune comunità indiane e negli Stati Uniti da alcune microemittenti radicali newyorchesi.

Come ascoltare una radio dal Web
Per ascoltare una radio da Internet, serve ovviamente un PC, una connessione alla rete telefonica, un modem.
Una volta che avete tutto ciò vi basta installare sul vostro computer un programma che vi permette di ascoltare file audio come gli mp3, se avete Windows per esempio potete installare winamp, con Linux c’è xmms; aperto il programma inserite quindi l’url cioè l’indirizzo della radio (che non è l’indirizzo del sito come quelli che riportiamo sopra, ma è un indirizzo proprio dello streamm audio) premete play e dopo pochi secondi sentirete la radio trasmettere.
Importante, assicuratevi che la radio che volete ascoltare stia trasmettendo in quel momento.

Ecco un elenco non esaustivo di indirizzi utili:
per trovare tutte le radio «libere » in trasmissione: http://radio.autistici.org
per saperne di più sul progetto Eterete: http://reload.realityhacking.org
Radio Bandita: www.radiobandita.org
Radio Cybernet: www.papuasia.org
Radio Lina: www.officina99.org
Indymedia: http://italy.indymedia.org
Per contattarci scriveteci a:
redazione@radiobandita.org.

Marcolfo
(si ringrazia Dino Taddei)

Radio Bandita alla May-Day Parade

 

Le scarpe dei suicidi

Libro importante e necessario quello di Tobia (Tobia Imperato, Le scarpe dei suicidi. Sole, Silvano, Baleno e gli altri, Torino 2003, Autoproduzione Fenix, 312 pp., 12 euro) e non lo dico né per compiacere l’autore, né per fare pubblicità spicciola. Non ce n’è bisogno, l’importanza e la doverosità del libro sono un dato di fatto inconfutabile. Le vicende che hanno portato alla morte di Edoardo Massari e di Maria Soledad Rosas (due «suicidi di stato» sottotitola la copertina del libro) e alla lunga detenzione di Silvano Pelissero sono ancora vive, come emozioni, nella nostra memoria, ma la complessità del contesto in cui si sono consumate deve essere ancora ben compresa e, soprattutto, dato il tempo trascorso (ormai cinque anni) e l’incalzare di altri avvenimenti, ridefinita.
La ricostruzione è rigorosa e puntigliosa e si avvale di un gran numero di documenti. Il libro è diviso in quattro parti: nella prima sono riassunti i fatti; nella seconda vengono delineati gli antefatti: il progetto del treno ad alta velocità e la complessa situazione della Val Susa con l’intreccio, quasi inestricabile, dell’opposizione popolare alla devastazione ambientale provocata dal TAV e l’azione di poteri e servizi più o meno occulti; nella terza un ritratto dei «colpevoli preconfezionati» (“Baleno”, Sole e Silvano) e un quadro dell’inchiesta Laudi e delle sue montature; nella quarta, infine, il processo, l’emergere delle contraddizioni dell’inchiesta e l’inconsistenza delle prove a carico. Chiude il libro un ultimo capitolo dedicato agli sviluppi successivi che arrivano fino al marzo del 2002, quando, in seguito ad una sentenza della Cassazione, l’unico superstite, Silvano Pelissero viene liberato dal carcere dopo aver scontato, innocente, quattro anni di detenzione. Non mi pare il caso di aggiungere altro, se non che chi, come me, era alla grande manifestazione torinese del 4 aprile 1998, indetta dopo la morte di Edoardo Massari (parecchie migliaia di persone e centinaia di bandiere anarchiche), oltre alla rabbia, la commozione, l’emozione di ritrovarsi (penso dopo tantissimi anni) in tanti a gridare no allo stato, alle sue manovre repressive, ai suoi apparati criminali, covava la speranza di un rilancio del nostro movimento nelle pratiche di antagonismo radicale e non sottomesso, è rimasto deluso dagli sviluppi successivi. Il libro di Tobia ha, dunque, un ulteriore pregio: ci impone una riflessione profonda sulle potenzialità di un movimento, il nostro, troppo spesso lacerato da polemiche mal poste.

Guido Barroero

 

Vendere la guerra

Dovendo recensire un ampio e documentato lavoro sull’informazione in tempo di guerra, ad opera di due esperti della comunicazione statunitense come Rampton e Stauber (Sheldon Rampton, John Stauber, Vendere la guerra. La propaganda come arma d’inganno di massa, Nuovi Mondi Media, Ozzano dell’Emilia (BO), 2004, pp. 176, 16,00 euro), ancora una volta ci piace ricordare il grande maestro Sun Tzu, che, nel suo monumentale libro L’arte della guerra, avanzò la nota teoria dell’“inganno e della mancanza di forma”.
Tale teoria afferma che il modo migliore per mostrarsi insondabili (cioè essere senza forma) è mostrare false apparenze. Orbene, nel leggere “Vendere la guerra” emerge in modo lapalissiano quanto gli Usa nel programmare, organizzare e gestire il conflitto afgano ed iracheno non siano stati in alcun modo attenti ad osservare tale strategia militare. Anzi, risulterebbe proprio l’esatto contrario, poiché hanno incrementato una “diplomazia pubblica” (un termine utilizzato negli ambienti della Casa Bianca per indicare le “relazioni pubbliche”) al fine di costruire un’immagine, una forma, degli Stati Uniti da vendere nel mondo che non ha mai funzionato, perché non avrebbe mai potuto funzionare. Non tanto nei paesi islamici – dove davvero ogni tentativo di presentarsi come paladini della democrazia e della libertà oltre che risultare vano è stato controproducente – quanto nei paesi occidentali, dove l’opposizione alla guerra in Iraq ha assunto dimensioni oceaniche.
Rampton e Strauber nel loro libro, documentano infatti una sterminata serie di eventi mediatici e pubblicitari che, nella loro pur perfetta, precisa e professionale esecuzione, hanno ottenuto un effetto boomerang. È sufficiente ricordare le introvabili armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein, divenute il casus belli al fine di legittimare l’intervento americano e dei suoi fedeli alleati, che a quasi un anno dall’inizio della guerra non si sono effettivamente trovate. Ora, ci sembra del tutto inverosimile che un paese come gli Stati Uniti, da sempre in grado di “far bere” all’intero mondo mediatico qualsiasi cosa (cfr.: l’allunaggio dell’Apollo nel 1969, grazie alla sapiente regia di Stanley Kubrick), non siano stati capaci di “trovare” le micidiali armi chimiche pur di non far brutta figura. Perché?
E perché una campagna mediatica orchestrata dal Dipartimento di Stato, che ha coinvolto le migliori agenzie pubblicitarie americane al fine di “vendere la guerra”– suggerendo ai network internazionali come parlare e offrendo precise istruzioni su cosa dire – non ha raggiunto l’obiettivo prefissato?
Che dire poi delle inesistenti “prove” del legame terroristico fra Bin Laden e Saddam Hussein tese a dimostrare i comuni interessi del regime iracheno con Al Qaeda? Per tacere della messinscena sulla portaerei con tanto di discesa dal jet modello top-gun del Presidente George W. Bush per dichiarare la conclusione di una guerra non ancora conclusa?
A questi e a tanti altri interrogativi non crediamo – come invece gli autori di Vendere la guerra si accontentano di fare – che basti constatare quanto osservò una volta il commediografo francese Jean Anouilh: “la propaganda è un’arma leggera; se la tieni in mano troppo a lungo, si agiterà come un serpente, colpendo dalla parte opposta.” Ciò non è più vero dai tempi del dottor Goebbels, ed è sufficiente un minimo di cultura filosofica per comprendere con Adorno, Anders, Arendt (volendo limitarci alle sole “A”) che in una società consumistica di massa la pubblicità/propaganda reclamizza ciò che non vende e vende ciò che non reclamizza.
Se dunque è pur importante e prezioso il lavoro compiuto dai due scrittori americani nel descrivere al minimo dettaglio come l’amministrazione Bush abbia preparato la campagna mediatica della “grande menzogna” per far digerire meglio la guerra infinita al terrorismo, tuttavia Rampton e Stauber non hanno saputo offrire nessuna analisi in merito al perché è apparsa volutamente fallimentare. A meno di non credere che l’opinione pubblica – in particolar modo quella statunitense – è composta da “idioti”, insulto che nell’antica Grecia era affibbiato a chi non si interessava di politica, in quanto etimologicamente idiota significa “dedito soltanto ai propri interessi personali”.
O, forse, è davvero così?

Benjamin Atman

Prossima fermata

Prossima fermata non c’è
nessuna lotta s’arresta
alcuna possibile stretta
impedirla saprà perché
senti, senti a’mmè

Chiaro forte messaggio
cammina sulle rotaie
nuota sicuro in mare
vola a largo raggio
“sciopero, sciopero, selvaggio!”

Cittadini la vera fregatura

son misere vesti di utenti
addosso a voi clienti

simboli di iattura
strappatale senza più paura.

Calda lotta di gennaio
non frenare l’andatura
corri verso l’avventura
scivolando allegro binario
ben oltre “un giusto salario”.

Prossima fermata è già
svegliarci abbracciati bambina
tutti insieme domani mattina
…A due passi… più in là.
Non è difficile… ça ira!

8 gennaio 2004
Jules Èlysard