rivista anarchica
anno 33 n. 289
aprile 2003


guerra in Iraq

Contro questa guerra contro tutte le guerre
di Andrea Papi

 

Saddam è a tutti gli effetti un nemico della pace mondiale, anzi un nemico del genere umano. Ma che dire di Bush, Blair & Co.?

Non ho nessuna difficoltà ad essere convinto che Saddam Hussein menta, che sistematicamente inganni i commissari dell’ONU, che nasconda furbescamente ed accuratamente le più micidiali armi di distruzione di massa, che sia desideroso di attuare una politica di espansione coloniale e in cuor suo nutra continuamente piani di aggressione. Il mostro Saddam è a tutti gli effetti un nemico potenziale della pace mondiale, addirittura un nemico della specie umana. In fondo lo ha già dimostrato più di una volta. E allora?
Allora i governi angloamericani hanno ragione e la loro volontà di aggredirlo militarmente per annientarlo è pienamente giustificata? In verità le loro motivazioni poggiano su una situazione reale, mentre è la loro volontà che non ha bisogno di quelle stesse giustificazioni, in quanto ora vogliono annientarlo indipendentemente da esse, perché da tempo il potere del Rais di Baghdad non collima più con i loro interessi economici, politici e strategici. Quelle ragioni giustificatrici, infatti, sono soltanto la giustificazione messa in campo da Bush e Blair nel tentativo di essere legittimati a fare la guerra contro l’Iraq davanti agli occhi del mondo, mentre le loro motivazioni reali sovrastano quelle addotte.

Giurisprudenza internazionale

Non a caso il tutto continua a ruotare attorno alla legittimità weberiana dell’uso della forza. Sul piano formale delle relazioni politiche istituzionali il problema di fondo viene presentato con grande forza come una questione fondante di giurisprudenza internazionale. Ciò che si tenta di far passare è che si deve “legittimamente” usare la forza per il rispetto del diritto internazionale, non, come mi sembra sia nei fatti, che la si vuole usare sostanzialmente per chiarire chi ha sia la forza, sia la volontà, sia il potere di determinare la gestione delle cose del mondo. In questo caso particolare di portata planetaria appare evidente ciò che in realtà è una situazione costante di ogni stato politico dominante, che cioè la nozione di diritto e la sua pratica vengono usati come scudo per l’esercizio del potere dominante.
Ma usciamo da questa formale diatriba fintogiurisprudenziale avviluppante ed ingabbiante. Dal mio punto di vista il vero problema è che siamo immersi nella guerra non fino al collo, addirittura fin sopra i capelli. E lo sostengo indipendentemente dal fatto che questa guerra contro l’Iraq si faccia oppure no. Se non si farà questa più avanti se ne farà un’altra, anche se sono convinto che difficilmente questa si possa evitare. La guerra è una condizione politica endemica dell’attuale sistema, una garanzia della determinazione degli assetti di dominio, delle gestioni economiche, degli equilibri internazionali fra gli stati. Dietro la scelta bellica non ci sta tanto la legittimazione dell’uso della forza, quanto la determinazione di imporre un tipo di status quo od un altro.
È per questo che in una visione di libertà, in particolare anarchica, la logica della guerra non può che essere rifiutata, dal momento che non rappresenta altro che lo strumento principe per la determinazione politica, economica e militare degli assetti dominanti, fondati sul predominio, sulla prevaricazione, sull’assoggettamento dei più deboli, sulla conservazione dello status quo dei potenti di turno. Un conflitto armato non è mai funzionale a chi sta peggio e a chi è costretto alla subordinazione, mentre lo è sempre per chi comanda e gestisce ingenti capitali. È il loro strumento privilegiato, il mezzo attraverso il quale possono e riescono ad imporsi. Certamente, se vengo aggredito sono nel pieno diritto di difendermi, ma il problema guerra non riesce ad essere compreso nei termini di un’autodifesa, mentre va analizzato soprattutto dalla parte di chi aggredisce, perché solo lì risiedono le ragioni del suo sussistere.

Aggressori e aggrediti

Per ciò che riguarda lo scontro del momento contro l’Iraq, la situazione determinante è estremamente complicata. Vi si mescola un tale intreccio di interessi, di paure, di menzogne, di volontà di predominio che è praticamente impossibile distinguere la nettezza che si vorrebbe tra aggressori ed aggrediti. È cioè una guerra le cui ragioni sono all’interno della complessa ragnatela di gestione dell’assetto dominante del sistema capitalista globale e degli stati. Di fatto non è possibile districarvisi fino ad estrapolare chi tra i contendenti possa aver ragione o torto, chi con chiarezza voglia aggredire e con altrettanta chiarezza sia l’aggredito. Direi che, forse, è possibile definirla come una specie di resa dei conti tra due inveterati aggressori che non riescono più a trovare un compromesso di convivenza, che hanno rotto la spartizione consensuale dei reciproci interessi, per cui si trovano di conseguenza su fronti contrapposti.
C’è un mostro che aleggia, e non solo in modo simbolico ma carnale, su questa contingenza globale e globalizzata che ci sta spingendo tutti verso una guerra devastante: è la minaccia concreta e imprendibile del terrorismo, della possibilità continua che anonimi eroi votati al martirio possano colpire in ogni momento ovunque, arrivando anche a colpire molto alto, come del resto è successo l’11 settembre. L’unica vera potenza mondiale rimasta, gli USA, sono stati colpiti molto vicino al cuore con l’abbattimento annichilente delle Twin Towers. A tutti gli effetti è stata una netta e determinata dichiarazione di guerra. Com’era ampiamente previsto nei piani di chi ha sferrato quell’attacco, gli USA hanno subito reagito contrattaccando, alla loro maniera. Hanno iniziato a fare seriamente la guerra, chiamiamola tradizionale, caratterizzata da un volume di fuoco impressionante, devastante, in egual modo terrorista, all’Afganistan, uno stato identificato come culla e protettore del nemico. Finito il primo lavoro, ora vogliono passare al secondo, l’Iraq di Saddam Hussein, dopodiché passeranno al terzo, e così via… fino all’illusoria eliminazione di tutti i governi e tutti gli stati che, secondo le informazioni d’intelligence, proteggono gli alveari dei terroristi, dei kamikaze che amano immolarsi per la Jihad.
Pur se le motivazioni e le ragioni sono del tutto diverse, anche se non opposte, tra i due contendenti c’è una specularità impressionante. Al di là delle intenzioni dichiarate, si combattono massacrando e devastando persone e cose, mirando a far tabula rasa della terra del nemico. È una vera e propria dimostrazione di potenza e di capacità distruttiva, ognuno dei due con le proprie armi e animato dal proprio codice morale autoreferenziale. Gli uni in nome della volontà di Dio, unica entità legittimante ch’essi riconoscono, anche se, a quel che ci è dato sapere, non interpellabile e non dimostrabile, gli altri in nome di un’inglobante e illibertaria idea di libertà e di salvaguardia della democrazia. Ma gli effetti sono gli stessi: massacro degli inermi, imposizioni, repressioni e sottomissione militare.
All’origine di tutta questa vicenda c’è qualcosa di sporco, di molto sporco. Gli attuali nemici degli USA, Bin Laden e Saddam Hussein, furono addestrati, armati e coccolati dagli USA stessi, perché a suo tempo erano utili agli interessi strategici americani, l’uno in funzione antisovietica, l’altro antiiraniana. Da giovane, quando era in Egitto prima di diventare il dittatore dell’Iraq, Saddam è stato perfino assoldato quale agente della CIA. Si può perciò tranquillamente affermare che le amministrazioni statunitensi hanno il vizio di coltivarsi le serpi in seno le quali, a seconda del vento che tira, possono essere indifferentemente amici e nemici. Cosa c’è di ideale e di attraente in ciò? Non solo non c’è nulla, ma direi che c’è qualcosa di aberrante e nauseabondo. Soprattutto pensando che poi, per rendere inoperanti ciò che lor signori addestrano, i nostri beneamati alleati si trovano costretti ad andare in giro per il mondo a devastarlo con le loro pillole di morte, più o meno intelligenti a seconda dei punti di vista.

Guerra permanente

Rispetto poi al versante della produzione, tutto il cosiddetto occidente industrializzato e ricco è responsabile, compreso il nostro una volta bel paese, della produzione e dell’approntamento di tutte le armi tecnologicamente sofisticate che continuano a far felici i mercanti d’armi. Se oggi gli stati canaglia e le organizzazioni terroristiche internazionali riescono ad armarsi ed a terrorizzarci con le loro terrificanti azioni, possono tranquillamente farlo perché gliene forniamo continuamente la materia prima. Il primo problema da affrontare è perciò la fine incondizionata della produzione di armi e della ricerca tecnologica militare, perché sono la causa prima della situazione di guerra permanente nel mondo. Ma come può farlo chi è completamente all’interno di questa logica e ne sostiene teoricamente la validità, in nome della deterrenza e dell’autodifesa, quando invece se ne serve continuamente per aggredire al fine di conservare lo status quo di dominio per preservare i propri interessi strategici ed economici?
La situazione che abbiamo di fronte è dunque caratterizzata da uno stato di guerra permanente, fagocitato e coltivato dai guerrafondai, sostenitori delle ragioni belliche e della giustezza di questa logica. Da una parte e dall’altra, anche se le motivazioni addotte possono apparire diverse. Ognuno, per quel che gli compete, sostiene che deve usare la devastazione delle armi per imporre le proprie ragioni. Ognuno pensa ed agisce per riconoscere l’altro quale nemico inconciliabile e per imporre la propria logica ed i propri interessi. Ognuno vuole la vittoria e l’annientamento dell’altro, perché è sicuro in modo assoluto di essere dalla parte del bene contro il male. Così Bin Laden e Saddam Hussein, da questo punto di vista, si trovano sullo stesso identico piano di Bush e di chi in occidente vuole conservare lo status quo, ovviamente in nome della libertà, della democrazia, del rispetto degli esseri umani e della difesa dei diritti civili.
No alla guerra dunque, soprattutto perché conserva ed alimenta la logica di guerra. Ma allo stesso tempo la semplice richiesta di pace è del tutto insufficiente. Avendo come risultato solo l’assenza del conflitto bellico, comporta semplicemente anch’essa la conservazione dello status quo. Volendo usare un eufemismo morale, si può affermare che il male non lo si estirpa col male. E se la guerra è senza dubbio un male, lo è anche la non rimozione di esso. Allora la semplice assenza del conflitto non fa altro che lasciare le cose come stanno. E non mi sembra che le cose come stanno possano andare bene agli amanti della libertà e della pace, intendendo per pace non la mera assenza di ogni scontro bellico, ma uno stato di convivenza e cooperazione reciproca fra le genti, tale che vi sia esclusa a tutti gli effetti qualsiasi logica tendente allo scontro armato, in una situazione in cui non vi siano despoti, tiranni, oligarchie e gerarchie d’imposizione economica e politica.

Visione antibellicista e libertaria

Così se si vuole veramente essere efficaci ed agire in funzione di un’altra visione delle cose, antibellicista e libertaria, oltre a lottare ed agire per impedire che si continuino a perpetrare guerre, sia da parte di chi ha le leve del comando sia da parte di chi vuole sovvertire l’ordine esistente per sostituirvisi, bisognerebbe veramente pensare ed agire per il superamento degli attuali assetti politici, economici e militari. Un altro tipo di società, direi opposta a quella esistente, dev’essere pensata e messa in piedi. Una vera e propria sovversione incruenta, di idee e di fatto, capace di superare le ingiustizie, la penuria e la miseria che affamano ogni giorno milioni di persone, la distruzione dell’ambiente, lo scandalo di chi può permettersi di avere introiti personali che superano quelli di diversi stati, possibili perché i più o non hanno lo stretto necessario o, come si diceva una volta, fanno fatica a sbarcare il lunario. In altre parole, non basta opporsi alla volontà di guerra, mentre bisogna costruire veramente un altro mondo, dove, finalmente, la guerra non abbia più senso perché non è più funzionale alla conservazione degli equilibri esistenti.

Andrea Papi