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                 Anarchici a Pisa  
                Una città proletaria. Con questo bel titolo 
                  esce nel 1989 un romanzo dello scrittore Athos Bigongiali (A. 
                  Bigongiali, Una città proletaria, Palermo, Sellerio, 
                  1989) completamente incentrato sulle caratteristiche anarchiche 
                  e libertarie profondamente connaturate alla città di 
                  Pisa. Ambientato nei primi decenni del secolo, quando fioriscono 
                  le lotte e le iniziative popolari intese a migliorare le condizioni 
                  di vita e di lavoro del proletariato pisano, forte e combattivo 
                  come non mai, il romanzo, mantenendosi abilmente sullo spartiacque 
                  fra narrazione e ricerca storica, ricostruisce con tratti suggestivi 
                  le vicende dei numerosi personaggi, donne, uomini, intere famiglie 
                  di compagni, che segnarono quel periodo con il loro impegno 
                  sociale. Nel raccontare le lotte alla Saint Gobain e nelle numerose 
                  fabbriche pisane, le battaglie contro l’influenza clericale 
                  e per la libertà di pensiero, le polemiche fra interventisti 
                  e antimilitaristi allo scoppio della Grande Guerra, l’autore 
                  descrive un mondo affascinante ed eterogeneo, costellato di 
                  protagonisti dai nomi improbabili. Pompeo, Pirro, Acratica, 
                  Nilo, Sguardo, Jessa, Selica, Catullo, Gusmano, Priscilla, Ricciotti, 
                  Germinal … nomi che esprimono lo spirito anticonformista, ribelle 
                  e schiettamente anticlericale del popolo pisano, che con proletaria 
                  fantasia manifesta la propria estraneità all’ordine costituito 
                  anche nel rifiuto di chiamare i figli con i nomi canonici di 
                  santi e beati.  
                  Fra i tanti protagonisti di quel periodo così significativo 
                  della vita sociale della città toscana, intendo qui ricordare 
                  due personaggi ampiamente citati nel romanzo e le cui biografie, 
                  tanto simili quanto diverse, procedono per lunghi tratti sul 
                  percorso parallelo della lotta di classe e dell’affermazione 
                  dell’ideale anarchico. Una è l’operaia Jessa Fontana 
                  (1883-1961), che nella sua lunga e interessante esistenza non 
                  si è mai mossa dalla città natale, l’altro è 
                  Augusto Castrucci (1872-1952), che da semplice ferroviere è 
                  diventato uno dei più stimati esponenti sindacali del 
                  secolo trascorso. Della prima ben pochi hanno sentito parlare, 
                  del secondo ci si è interessati con l’attenzione che 
                  meritava solo negli ultimi anni. Entrambi hanno dato un contributo 
                  determinante a favore di quella classe lavoratrice alla quale 
                  tanto orgogliosamente, e consapevolmente, appartennero.  
                  Nata a Pisa nel 1883, Jessa appartiene a una delle tante famiglie 
                  anarchiche della città in riva all’Arno. Il padre Ettore 
                  e la madre Priscilla Poggi sono due attivi militanti del movimento 
                  libertario come del resto gli altri figli, Severo, Vasco e Selica. 
                  A soli 14 anni Jessa è già in grado di dare il 
                  proprio contributo all’anarchismo, tanto che viene segnalata 
                  dalla questura per la partecipazione alle manifestazioni anticlericali 
                  e per la costante presenza nella Camera del lavoro. Il suo primo 
                  arresto, e conseguente condanna a due mesi di carcere per “istigazione 
                  a delinquere”, risale al 1901. Frequenta assiduamente gli ambienti 
                  sovversivi portandovi con determinazione il suo entusiasmo e 
                  il suo desiderio di lottare. In fabbrica è sempre fra 
                  gli elementi più battaglieri ed esempio costante per 
                  le sue compagne di lotta. Dopo alcuni anni di convivenza, di 
                  “libero amore” come orgogliosamente lo si chiamava, nel 1910 
                  si unisce in matrimonio con l’anarchico Giuseppe Pieroni, e 
                  dalla loro unione nasceranno Elso e Unico, anch’essi poi attivi 
                  nel movimento anarchico. Frequenta gli ambienti de “L’Avvenire 
                  anarchico”, il combattivo settimanale pisano che per anni sarà 
                  un importante foglio di lotta, propaganda e riflessione teorica 
                  a livello nazionale. Si spegne a Pisa nel giugno del 1961.  
                  Augusto Castrucci nasce a Pisa nel 1872. Segnalato come anarchico 
                  nel 1891, entra ben presto in ferrovia e aderisce alla Lega 
                  Ferrovieri nel 1897, il primo organismo sindacale di categoria. 
                  Stimato rappresentante fra i compagni di lavoro, nel corso dello 
                  sciopero generale dei ferrovieri è uno degli elementi 
                  più in vista della combattiva categoria, e come tale 
                  viene fatto oggetto di particolari attenzioni poliziesche. Dopo 
                  la fondazione del Sindacato Ferrovieri Italiani, dà vita 
                  nel 1908 al glorioso giornale “In marcia!” di cui diventa direttore 
                  e uno dei più assidui collaboratori. Negli anni convulsi 
                  segnati da frequenti lotte e agitazioni e dai diversi orientamenti 
                  all’interno del sindacato sull’adesione o meno alla CGdL, Castrucci 
                  dapprima propende per l’autonomia sindacale per poi avvicinarsi, 
                  dopo la “settimana rossa” all’Unione Sindacale Italiana, con 
                  la quale condivide il maggiore slancio rivoluzionario che la 
                  contraddistingue. La partecipazione al movimento sindacale non 
                  lo allontana dall’attività nel movimento specifico, e 
                  infatti lo troviamo presente al I congresso anarchico italiano 
                  tenutosi a Roma nel 1907 e al convegno nazionale di Pisa nel 
                  1915 dove si “riafferma l’avversione irriducibile degli anarchici 
                  nei confronti di ogni conflitto”. Anche nel dopoguerra, durante 
                  il “biennio rosso”, Castrucci è fra gli elementi di punta 
                  fra i compagni di lavoro, non solo per le capacità organizzative 
                  ma anche per la stima e la fiducia che lo circondano. Continua 
                  a sostenere la necessità di mantenere il SFI autonomo 
                  dalla CGdL e questo naturalmente non gli attira le simpatie 
                  né dei socialisti riformisti né dei comunisti 
                  “rivoluzionari”. Dopo aver subito una violentissima aggressione 
                  fascista a Pisa nel 1922, si trasferisce a Milano e l’anno successivo 
                  viene esonerato dal servizio per rappresaglia. Mantiene comunque 
                  la direzione di “In marcia!” fino alla cessazionedelle pubblicazioni 
                  nel 1926. Durante il fascismo subisce denunce, fermi, arresti 
                  e confino, persecuzioni che continuano fino al 1944. Caduto 
                  il fascismo riprende il proprio posto nel Sindacato di categoria, 
                  diventandone poi Segretario generale onorario. Muore a Milano 
                  nel 1952, all’età di 80 anni, lasciando nei compagni 
                  il ricordo di una figura integerrima.  
                 
                   
                  Massimo Ortalli 
                  
                Bibliografia  
                  Su Castrucci si vedano  
                  A. Castrucci, Battaglie e vittorie dei Ferrovieri italiani. 
                  Cenni storici dal 1877 al 1944, Milano, La Prora, 1945, 
                  ristampato nel 1988 da Edizioni Zero in Condotta di Milano; 
                  E. Ordigoni, (a cura di), 80 anni di storia dei macchinisti 
                  attraverso la rivista “in Marcia”, Firenze, Ancora In Marcia!, 
                  1988; Aa.Vv., Il Sindacato ferrovieri italiani dalle origini 
                  al fascismo 1907-1925, a cura di M. Antonioli e G. Checcozzo, 
                  Milano, Unicopli, 1994; G. Sacchetti, Il Sindacato ferrovieri 
                  italiani dalla “settimana rossa” alla grande guerra, in 
                  Aa.Vv., Il Sindacato ferrovieri italiani dalle origini al 
                  fascismo, cit.; M. Antonioli, Il sindacalismo italiano. 
                  Dalle origini al fascismo, Pisa, BFS Edizioni, 1997; C. 
                  Ferrari, La vita del macchinista Augusto Castrucci, in 
                  G. Sacchetti, C. Ferrari, M.C. Cabassi, Ricordo di uomini 
                  e lotte del 900, Firenze, ancora in marcia!, 2000.  
                   
                  Su Pisa proletaria e anarchica  
                  F. Bertolucci, Anarchismo e lotte sociali a Pisa 1871-1901, 
                  Pisa BFS Edizioni, 1988; A. Marianelli, Movimento operaio, 
                  forme di propaganda e cultura sovversiva a Pisa tra 800 
                  e ’90, Pisa, BFS Edizioni, 1990; F. Bertolucci (a cura di), 
                  La Camera del lavoro di Pisa 1896-1922. Atti e documenti, 
                  Pisa, Camera del Lavoro, 1990; Id., Gli anarchici pisani 
                  e la costituzione dell’Unione Comunista Anarchica Italiana, 
                  relazione inedita presentata al Convegno di Studi L’esperienza 
                  dell’Unione Anarchica Italiana dal Biennio rosso alle leggi 
                  eccezionali (1919-1926), Imola, 10 ottobre 1999 (da cui 
                  traggo le notizie biografiche su Jessa Fontana); Aa.Vv. Galilei 
                  e Bruno nell’immaginario dei movimenti popolari tra otto e novecento, 
                  a cura di F. Bertolucci, Pisa, BFS Edizioni, 2001. 
                  
                 
                I cavalieri erranti 
                   di Athos Bigongiali 
                 
                6. Il delegato di polizia che nel maggio del 1905 compilò 
                  i cenni particolari della schedatura del ferroviere Augusto 
                  Castrucci non immaginò certo di aver affidato ai riposti 
                  archivi dello Stato l’ elogio dellanarchismo pisano.  
                  Il Castrucci aveva all’epoca ventisette anni, moglie e cinque 
                  figli: Spartaco, Bruno e Germinal i maschi; né poteva 
                  mancare, tra le bambine, una Tosca.  
                  Già nella descrizione fisionomica il delegato si diffondeva 
                  sugli accattivanti tratti dei baffi arricciati e la barba alla 
                  Nazareno, le spalle quadrate, l’andatura dinoccolata, lo sguardo 
                  ardito. Addentrandosi nella di lui personalità egli segnalava 
                  poi la ‘pronta e sveglia intelligenza’ e la felice frequentazione 
                  della scuola d’arte e mestieri, malgrado il mai abbastanza contestato 
                  ‘contegno sprezzante verso l’Autorità’.  
                  L’‘influenza’ del Castrucci tra i compagni di partito e gli 
                  impiegati delle Ferrovie si ‘estendeva anche ad altre città 
                  del Regno’ fino a diventare ‘influentissima anima direttiva’ 
                  quando si trattava di sottolinearne il ruolo nei vari Comitati 
                  di agitazione e di resistenza: del resto era grazie all’arte 
                  oratoria e al ‘fascino che esercita sul personale’ che egli 
                  riusciva sempre ad ottenenerne la ‘completa astensione dal lavoro’. 
                   
                  Cosa ha voluto dirci, il delegato, con queste lusinghiere parole? 
                  È azzardato supporre che abbia voluto compiere un bel 
                  gesto, un cavalleresco present’arm alle qualità del nemico? 
                   
                  È probabile che egli non avesse di tali pretese, e dunque 
                  fosse del tutto inconsapevole della gaffe che stava consegnando 
                  agli archivi della storia. Dopotutto appena pochi anni prima 
                  un anarchico di altrettanto fiero e bell’aspetto aveva ucciso 
                  il Re d’Italia.  
                  Eppure lo specchio dell’ignoto poliziotto riflette un ‘immagine 
                  non inconsueta. Non era forse Ruffo Sarti, che estrasse per 
                  primo il revolver nel non voluto duello con il brigadiere G. 
                  M., un giovane ‘ardito, colto e intelligente’? E Pompeo Scipione 
                  Barbieri un ‘conferenziere autodidatta’ ma tanto trascinante 
                  coi suoi ‘molti argomenti’ da richiedere ogni volta al Commissario 
                  di turno la spiccia interruzione del suo dire? E Gino Del Guasta 
                  non possedeva, con l’innata bontà prodiga di ‘vasta e 
                  buona fama nell’opinione pubblica’ il dono dell’alata parola? 
                  « Il movimento anarchico è politica » scriverà 
                  pochi anni più tardi Antonio Gramsci «solo perché 
                  nella società attuale tutto diventa politica. Il movimento 
                  anarchico è una tendenza dello spirito umano come tale 
                  (dei borghesi e dei proletari)...».  
                  È il destino contro il quale, più o meno coscientemente 
                  lottavano i libertari pisani.  
                  Nella incerta Pisa del primo Novecento la lotta dell’anarchismo 
                  per farsi politica e storia scandisce, nelle scomposte e irripetibili 
                  forme che le furono proprie, i primi veri passi della città 
                  verso un sentire collettivo.  
                  Il complicato gioco degli specchi e del tempo  da cui 
                  hanno origine i miti e le leggende  offre alla nostra 
                  memoria storica la facoltà di ordinare logicamente la 
                  vicenda altrimenti davvero casuale di Augusto Castrucci e del 
                  suo ignoto elogiatore. Costui intingeva la penna inconsapevole 
                  in un inchiostro che gli dettava le parole; ed esse sono oggi 
                  la visibile traccia di un potente immaginario locale, di un 
                  sogno che umanamente la città sognò.  
                  C’è del vero nella leggenda, ormai dimenticata, dei «cavalieri 
                  erranti».  
                  
                 
                 Capitolo sesto  
                  1. A.C.S./C.P.C. 2108 - Fontana Jessa. Di Ettore e Poggi 
                  Priscilla, nata a Pisa il 18 giugno 1883, abitante in via Livornese 
                  183, operaia, nubile, anarchica.  
                  Nell’opinione pubblica riscuote cattiva fama per le idee sovversive 
                  che professa. È di carattere docile. Ha una discreta 
                  educazione e pronta intelligenza... frequenta le persone del 
                  partito anarchico e specie l’anarchico Mazzoni Virgilio di questa 
                  città. È stata portabandiera della Camera del 
                  Lavoro di Pisa. Ha influenza nel partito ma è circoscritta 
                  dove risiede… È accanita propagandista tra le persone 
                  del partito e ottiene qualche profitto. Non è capace 
                  di tenere conferenze ma ha parlato diverse volte in pubblico... 
                  leggendo scritti di compagni di partito. Ha preso parte alla 
                  manifestazione del 25 agosto 1901 in occasione dell’ anniversario 
                  di Giordano Bruno e di tutti i comizi pubblici e privati tenutisi 
                  a Pisa dal marzo 1901 ad oggi... Risulta pericolosa.  
                   
                  «Compiango coloro che sono preposti a compilare le schedature 
                  di noi anarchici. Il mestiere che fanno opprime il loro umano 
                  istinto, e talvolta i loro stessi sensi. Così talvolta 
                  può succedere che costoro sappiano tutto di noi, senza 
                  sapere nulla. Può succedere che essi guardino senza vedere. 
                   
                  «Nel 1903, quando è stata scritta la mia scheda, 
                  io avevo vent’anni, e le stesse speranze e volontà che 
                  ho adesso  1908. Dicono che frequentavo la casa di Virgilio 
                  Mazzoni: lo dicono come fosse una colpa, per malignare sulla 
                  nostra concezione del libero amore. E invece in quella casa 
                  io incontravo Pasquale Binazzi e sua moglie Zelmira, Pietro 
                  Gori e la Bice: lì ho imparato a comporre le frasi secondo 
                  un ordine logico, in modo che divenisse più chiaro lo 
                  scopo dello scritto e quindi più convincente. Ora sono 
                  io che posso preparare conferenze per altri. Ma il delegato 
                  che registrava le entrate e le uscite a casa Mazzoni “doveva” 
                  pensare che ce ne stessimo con le mani in mano, ad amoreggiare, 
                  o a fantasticare e inventare attentati, magari contro il nuovo 
                  Re o contro il direttore della Saint Gobain. Egli non si preoccupava 
                  del fatto che i miseri operai della Vetraria, dopo tre mesi 
                  di sciopero, avevano deciso con 272 sì e solo 3 no il 
                  proseguimento ad oltranza dello sciopero. Egli non pensava che 
                  “quello” era a quei tempi il nostro attentato preferito.  
                  «Quel 1903 è stato tremendo. Da chi, come me, aveva 
                  passato il Natale e il Capodanno in carcere niente poteva essere 
                  paragonato, malgrado il freddo che di febbraio e marzo a Pisa 
                  gela i piedi, alle ritrovate camminate sui lungarni e nel tardo 
                  pomeriggio sul fosso a parlare coi navicellai. Quando ero più 
                  piccola quella prua dove le famiglie dormivano mi pareva un 
                  nido tanto era calda, poi crescendo ho preferito rinunciare 
                  agli inviti, anche di compagni: purtroppo non mancano nemmeno 
                  in un rione proletario i cattivi interpreti del libero amore. 
                   
                  «Quell’anno abbiamo fatto i conti con la politica: ho 
                  visto con i miei occhi quanto è degradante per il nostro 
                  fermo ideale accettarne le regole. Se avessimo avuto la convinzione, 
                  e la forza, di dichiarare lo sciopero generale, forse la Saint 
                  Gobain avrebbe ritirato le sue pretese galeotte. Noi abbiamo 
                  avuto paura per le paghe di altri poveri proletari; insomma 
                  non eravamo pronti.  
                  «Noi ragazze  Selica ed io  passammo molte 
                  sere di quella estate sul fosso a parlare. Tutti i giorni qualcuno 
                  che conoscevamo finiva in prigione: come ci sembrava lontana 
                  l’anarchia e lontani la fratellanza e l’amore universali!  
                  «Amina, la nostra cuginetta, ci faceva piangere con le 
                  sue canzoni: guardandola, lei così piccola e così 
                  innocente, mi sentivo oppressa da tutta l’ingiustizia del mondo 
                  e non riuscivo, come avrei dovuto, a “dare l’esempio” che ci 
                  raccomandava nostra madre. Quando pioveva, parlavamo in casa 
                  al buio, per risparmiare la candela ».  
                 
                 da Una città proletaria di Athos 
                  Bigongiali, Sellerio editori, Palermo 1989, pagg. 83-88.  
                  
                Alleanza del lavoro e 
                   
                  sciopero “legalitario” 
                  di Augusto Castrucci 
                 
                Fu verso il 1921-1922 che ad uno ad uno cadevano i fortilizi 
                  operai, dopo che Cooperative, Camere del Lavoro, Sezioni del 
                  Sindacato Ferrovieri o comunque organismi proletari, venivano 
                  distrutti, incendiati dalle camicie nere, che per arginare tanta 
                  cieca e brutale furia omicida e devastatrice, sorse l’«Alleanza 
                  del Lavoro».  
                  L«Alleanza» era costituita dalla «Confederazione 
                  Generale del Lavoro» dalla «Unione Sindacale Italiana», 
                  e dal «Sindacato Ferrovieri», dalle «Federazioni 
                  dei Lavoratori del Mare e dei Porti» e dai partiti politici 
                  di avanguardia.  
                  Un organismo, dunque, numericamente potente di qualche milione 
                  di organizzati...  
                  Pensiamo oggi, come pensavamo allora, che sarebbe stato sufficiente 
                  che l’«Alleanza» esortasse, invitasse gli organizzati 
                  a munirsi ciascheduno di un forte e nodoso «randello» 
                  da contrapporsi all’omicida «manganello» perché 
                  tanti lutti e tanta rovina venissero risparmiati all’Italia 
                  proletaria e perché venisse fugato l’ambizioso sogno 
                  dell’avvento del regime fascista.  
                  Ma questo non si volle e non si fece; si volle invece perseverare 
                  nel metodo e nell’azione «legalitaria». Non è 
                  compito di quest’opuscolo mettere in rilievo l’assurdo e l’inanità 
                  di questo metodo, ed attardarci a polemizzare su questo pietoso 
                  quanto tragico argomento!  
                  Passiamo dunque ad altro, passiamo allo sciopero generale ordinato 
                  dall’«Alleanza del Lavoro», sciopero che passò 
                  poi alla storia col nome di Legalitario! e che ebbe luogo  
                  come ebbe luogo...  il l° e 2 agosto del 1922.  
                  Intanto, possiamo affermare che i dirigenti dell’«Alleanza» 
                  avevano diramato l’ordine di sciopero, in tutta Italia, basandosi 
                  su di un fatto che avrebbe dovuto avvenire, ma che in realtà 
                  non avvenne!  
                  E questo fu il grave errore e la grande responsabilità 
                  che grava sui massimi organizzatori di detto organismo e che 
                  decise Mussolini di «serrare i tempi» per gettare 
                  il proletariato italiano nella più imbelle ed ignobile 
                  schiavitù morale, materiale, politica e sindacale!  
                  Sicuro, sta di fatto che, secondo i dirigenti dell’«Alleanza» 
                  avrebbe dovuto accadere questo:  
                  «Che i fascisti della Toscana, a mezzo di treni straordinari, 
                  si sarebbero riversati su Sarzana, per commemorare i loro morti 
                  caduti nei conflitti coi sovversivi il 1° agosto del 1921, 
                  e per compiere le loro spietate rappresaglie, si procedeva dunque 
                  ad una strage di sovversivi, in grande stile, un mare di sangue... 
                  Si diceva che capo ed esponente di queste milizie, in camicia 
                  nera, fosse il ben noto Amerigo Dumini».  
                  Cosa avvenne, invece? Che i treni speciali non furono effettuati, 
                  che l’adunata a Sarzana non ebbe più luogo, che il mare 
                  di sangue non vi fu, che il sentimento d’orrore, di esecrazione, 
                  di appassionata protesta che avrebbe dovuto pervadere non solo 
                  i proletari sovversivi ma tutta la Nazione, in quel fatale, 
                  storico e sanguinoso 1° agosto... non ebbe più ragione 
                  di essere! 
                  Perché questo avvenne? Perché fu sospesa, soppressa 
                  la sagra di Sarzana? Perché? Perché?!…  
                  Oh! purtroppo, purtroppo; noi possiamo rispondere a tutti questi 
                  suggestivi «perché»!  
                  Perché qualcuno dell’«Alleanza» scientemente 
                  tradì, o con condannabile leggerezza riferì a 
                  qualche gerarca fascista, l’ordine di sciopero  che per 
                  ovvie ragioni avrebbe dovuto restare segretissimo  diramato 
                  dall’ Alleanza, sciopero che avrebbe dovuto effettuarsi il 1° 
                  agosto, quale atto spontaneo e possente di condanna e di protesta 
                  del Popolo italiano, per la eccezionale «spedizione punitiva» 
                  compiuta su Sarzana, per il mare di sangue versato da proletari 
                  italiani!  
                  I gerarchi fascisti, spontaneamente ed anche facilmente, compresero 
                  subito la grande importanza della... rivelazione diretta o casuale 
                  ricevuta e diedero subito l’ordine della soppressione dei treni 
                  speciali anzidetti; la sagra di Sarzana era rimandata...  
                  Questo avvenne nel pomeriggio del 31 luglio e se anche l’Alleanza 
                  fosse venuta a conoscenza che la spedizione punitiva su Sarzana 
                  non avrebbe avuto più luogo, non avrebbe potuto, non 
                  poteva affatto diramare un ordine perché lo sciopero 
                  non venisse proclamato.  
                  Così, pel tradimento, o per la inqualificabile leggerezza 
                  di qualcuno, avemmo l’inevitabile catastrofe, che si ripercosse 
                  poi sui fatali avvenimenti successivi.  
                  Venuto lormai famoso 1° agosto, i ferrovieri, i lavoratori 
                  italiani, senza entusiasmo, senza fede né convinzione, 
                  né volontà, senza rendersi conto del «perché» 
                  abbandonavano il lavoro, pur tuttavia l’abbandonarono, ma per 
                  indurre specie il lavoratore italiano, a resistere, a sfidare 
                  tutto e tutti, nell’atto di ribellione che compie, occorre, 
                  è indispensabile che sia convinto, che sia conscio, che 
                  apprezzi ed intimamente approvi quanto gli si ordina di fare... 
                   
                  Tutto ciò mancava affatto in quel tristissimo giorno 
                  e quindi, specialmente nelle piccole città, dove non 
                  c’è il grande agglomerato operaio per la mancanza di 
                  grandi officine e stabilimenti e quindi difetta l’esempio e 
                  l’aiuto solidale delle grandi masse organizzate, fu facile esercitare 
                  un po’ di violenza... concentrata; fra poliziotti e fascisti 
                  per indurre, in special modo i ferrovieri, a riprendere il lavoro! 
                   
                    
                  da Battaglie e vittorie dei Ferrovieri italiani. Cenni 
                  storici dal 1877 al 1944 di Augusto Castrucci, Zero in condotta, 
                  Milano 1988, pagg. 59 - 61.  
                  
                   
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