rivista anarchica
anno 31 n. 275
ottobre 2001


 

San Benedetto del Tronto - Dal settimo festival Ferré

Ai lettori della stampa libertaria non sarà sfuggito come da qualche anno verso giugno/luglio appaiano resoconti e articoli che parlano di un festival particolare con un suo santo protettore (S. Benedetto del Tronto), ma che ha ben poco altro di comune con le kermesses di musica gastronomica cui tutti abbiamo – con il benemerito ausilio di mamma RAI, e zia MEDIASET – la possibilità di accedere (San Remo, S.Vincent...). Per questo festival invece non ci sono dirette, né differite, forse perché ciò che vi viene cantato è in genere molto diretto e assolutamente differente.
...E non potrebbe essere altrimenti, visto che il festival è nato e persiste per perpetuare l'incendiaria memoria del Cantore dell'immaginario (come titolava un libro bellissimo a lui dedicato dall'editrice Elèuthera) Léo Ferré. Bene, siccome se non ci ammazzano torniamo, anche quest'anno l'1 e 2 giugno si è svolto a S.Benedetto il VII festival Ferré.
L'anno scorso un articolo su queste stesse pagine ricostruiva la storia dei primi sei festival, quindi non starò a tediarvi ripetendola, basti sapere che alcune leggende viventi della canzone d'oltralpe (Juliette Greco, George Moustaki...), o internazionale (un nome per tutti: Paco Ibanez) non hanno avuto nessun timore di venire a portare il loro omaggio all'immenso poeta monegasco, benchè da sempre esplicitamente assunto come cantante simbolo dell'anarchia (tengo a precisare che Léo era troppo anarchico per fare il portabandiera di chicchessia, ma la sua – mai deposta – intransigenza verso qualsiasi potere lo pone, aldilà di ogni dichiarazione di fede, da un certo preciso lato della barricata), non so quanti colleghi italiani di quella notorietà e levatura farebbero lo stesso.
Quest'anno l'ospite d'onore è stato Jean Ferrat, vero grande vecchio della canzone impegnata e poetica francese, autore di uno splendido canto sulla deportazione ("Nuit e Brouillard": erano venti e cento/ erano migliaia/ nudi, magri e tremanti/ nei vagoni blindati/ che straziavano la notte/ con le unghie battenti...) maturata dalla personale esperienza di un padre morto ad Auschwitz, ma anche di grandi canzoni d'amore, e appassionate versioni cantate delle poesie di Aragon. A dire il vero, Ferrat, che nella prima parte della sua carriera era piuttosto inquadrato in una fastidiosa ortodossia marxista/P.C.F., non si era salvato dalle bordate del nostro Léo, che intervistato al suo proposito aveva detto "Si sente che è un buon musicista...ma, che noia questi cantanti impegnati!"; in seguito redentosi con una bella canzone che prendeva le distanze dallo stalinismo senza per questo consegnarsi al mercato ("Le Bilan": E' tutt'altro avvenire che bisogna reinventare/ senza idoli o modelli, passo a passo, umilmente/ senza verità tracciate, senza domani prestabiliti/ .../ un avvenire che nasca da un po' meno di sofferenza/ .../ un avvenire radicato nella nostra vigilanza/ verso tutti i poteri della terra e del cielo./ In nome dell'ideale che ci faceva combattere /e che ci spinge ancora a batterci oggi.) è rimasto un punto di riferimento per una canzone che sappia anche essere rovello personale e politico oltre che evasione (parola nobile quando la prigione è la società). Ferrat non canta più dal vivo da un pezzo, ma la sua presenza e le sue parole hanno saputo suscitare più di qualche brivido, inoltre era degnamente rappresentato da Isabelle Aubret, che da quarant'anni è ottima interprete delle sue opere, e che ha concluso il festival con un gran concerto infarcito di bei e importanti versi d'amore e di rivolta.
Facendo un passo indietro: le danze sono state aperte da Lucio Matricardi, sommo pianista e sensibile interprete, con un omaggio al decano dei cantautori francesi Charles Trenet, scomparso proprio questo febbraio; Lucio, che abbiamo potuto già ammirare negli spazi sociali milanesi (Torricelli, SGA...), diventa sempre più bravo e maturo e dimostra di muoversi benissimo anche al di fuori del repertorio di solo Ferré in cui finora l'avevamo sentito.
Sorvolando sulle non esaltanti prestazioni di un minimale Benjamin Legrand, e del sopranino Rossella Marcantonio (che però ha riscosso un ottimo successo) carica di prosopopea lirica, ma sostanzialmente monotona, e per cui il francese sembra un mistero impenetrabile, segnalando gli interessanti adattamenti italiani di Francesco Tranquilli, anche se penalizzati da un'interpretazione un po' funebre, e le sobrie ma efficacissime versioni di Enzo Nardi, ottime sia come atmosfera musicale sia per la perfetta dizione del bel timbro profondo, ritengo che la rivelazione della prima serata sia stata Gilles Droulez, egregiamente accompagnato dal pianista Boumendil, attore che porta in scena con eccezionale carica drammatica la difficilissima Stagione all'inferno di Rimbaud musicata da Léo, con intonazione e perfetta coscienza dei tempi teatrali, un vero carisma magnetico che ha offerto una sana, tellurica scossa di poesia antisociale.
La ciliegina sulla torta è come sempre il gran visionario Mauro Macario, il dog soldiers dei presentatori, che ha inanellato le due serate con letture da manuale di alcuni testi di Léo, restituendo appieno la varietà di registri di quest'ultimo, dall'apocalittica Requiem alla friabile Paname: come dire che solo un poeta può leggere un poeta, e restituirne la musica anche solo parlando.
Ultima menzione per i Tetes de Bois e soprattutto per il loro cantante Andrea Satta: gruppo dalle profonde radici jazz, con all'attivo già dieci anni di lavoro duro, spesso giustamente premiato dalla critica, ha saputo mescolare l'acqua e l'olio del rispetto delle melodie originali, con una sfrenata inventiva armonica e ritmica, distillando versioni completamente nuove, ma sostanzialmente già classiche del repertorio di Ferré; i Tetes de Bois sono musicisti abbastanza grandi da sapere che né da una piatta aderenza all'originale né da un retorico gusto della stravaganza si può tirar fuori qualcosa di buono, e così applicano la loro sapienza, il loro gusto e la loro cultura musicale e politica a canzoni che, piene di fuoco come sono, non aspettano di meglio che esecutori di grande personalità: il risultato è meraviglioso. Aspettiamo a questo punto il cd "tutto Ferré" che ci hanno promesso a breve.
"Non son l'uno per cento ma credetemi esistono..." diceva Léo degli anarchici: per fortuna che quando si incontrano riescono a riconoscersi!

Alessio Lega

Ricordando Alfredo Errandonea

Ieri correggendo le ultime bozze della biografia di Luce, ricordavamo incontri e abbandoni, il nascere delle speranze e l'inevitabile dolore per la perdita delle conquiste e dei compagni.
E abbiamo constatato che la morte arriva quasi sempre con l'esaurirsi della speranza e della creatività, indebolite dalla pressione crescente delle forze negative, quelle che negano la vita.
Oggi Alfredo Errandonea si è spento in silenzio, arrivando alla fine del suo cammino di lotta e di conquiste. Non potevamo non ricordarlo come sempre lucido e combattivo, difendendo al meglio di sé idee e proposte, sfidando la morte in ogni ambito.
"Anche se mi hanno dato da uno a cinque anni di vita, io voglio vivere altri vent'anni"- affermava in uno dei messaggi che ci ha mandato, forse come l'ultima delle rivendicazioni.
Il suo corpo, che aveva resistito a infinite situazioni di violenza repressiva, davanti a questa ultima richiesta è rimasto sordo.
Ma siamo rimasti noi, come un unico grande corpo di solidarietà, di sentimenti ed idee, per mantenere il desiderio di una vita libertaria, resa possibile grazie allo sforzo, all'allegria e alla passione di tutti.
Ci rimane anche questo sapore amaro per le sconfitte e i fallimenti, che comunque sono motivo per rinnovare quel desiderio di libertà, di solidarietà e di autonomia, valori vivi ben aldilà dei limiti in cui è possibile realizzarli.

Alfredo Errandonea era nato nel 1935. A vent'anni prende parte alle importanti lotte studentesche dell'epoca, ricoprendo più tardi la carica di segretario generale della Federazione Studentesca Universitaria dell'Uruguay. Allo stesso tempo è militante particolarmente convinto ed impegnato nel movimento anarchico e fa parte della Federazione Anarchica Uruguayana dalla sua fondazione nel 1955 fino al suo autoscioglimento nel 1963.
Apprezzato sociologo, si è distinto come docente e come ricercatore ricoprendo la carica di Direttore del Dipartimento di Sociologia della Facoltà di Scienze Sociali dell'Università della Repubblica (dell'Uruguay). E' stato docente e ricercatore anche presso l'Istituto Gino Germani dell'Università di Buenos Aires. E' autore di numerosi libri, tra i quali
La sociología de la dominación. Ultimamente partecipava alla Rete di Cultura Libertaria, creata recentemente da diversi compagni anarchici e simpatizzanti.

Comunidad del Sur
(Montevideo)