rivista anarchica
anno 31 n. 274
estate 2001


editoria

Ma il salone a che serve?
di Guido Lagomarsino

Qualche nota di un visitatore interessato al recente Salone del Libro di Torino.

 

Che cos'è il Salone?

Gli addetti ai lavori fanno una distinzione un po' speciosa: le fiere del libro sono eventi destinati agli editori e agli operatori: come nelle antiche fiere medioevali, ci si incontra da tutto il mondo per vendere e comprare i propri prodotti più preziosi che, nel settore librario, non sono gli oggetti fisici, i libri, ma qualcosa che oggi, nel gran caos del dibattito sulla "proprietà intellettuale", risulta piuttosto evanescente e difficilmente definibile, e che possiamo chiamare copyright, progetti editoriali, coedizioni, book packaging. I saloni sono, in pratica, enormi librerie che mettono in vendita al vasto pubblico testi, opuscoli e volumi stampati in genere in una sola lingua, che a Torino è l'italiano. Per questo lo scopo dei saloni è di attirare più gente possibile disposta a comprare.
Già qui si scopre una prima contraddizione. Che senso ha far pagare un biglietto d'ingresso (e nemmeno tanto economico) per dare la possibilità a qualcuno di spendere dei soldi? Si dirà: ma gli editori, liberi nell'occasione dai vincoli della distribuzione, che oramai grava per il 60 per cento sul prezzo di copertina, possono vendere con forti sconti. Già, ma i librai, specie quelli di Torino, hanno protestato già da anni con veemenza e hanno fatto imporre un divieto o quanto meno un limite agli sconti pari a quello che possono permettersi loro.
Anche l'attrattiva dei dibattiti, delle presentazioni, degli "incontri con gli autori" si è oramai ridotta: queste iniziative sono una sorta di cerimonia ritualizzata e sempre più evidente è lo scopo di tipo promozionale di questo o di quel nuovo titolo.
Ecco, quindi, la prima sorprendente scoperta. Il salone non serve a niente!
È scontento il pubblico dei visitatori, che si perde nell'immensa babele dei titoli vecchi e nuovi, non ha strumenti e mezzi per fare scelte autentiche, paga per entrare e alla fine esce con un pacco di cataloghi e qualche libro che avrebbe potuto trovare nella libreria sotto casa. Non sono contenti gli editori, che versano fior di quattrini all'organizzazione per affittare gli stand e, a conti fatti, si ritrovano quasi sempre ad avere speso più di quello che hanno incassato. Per questo, dopo i primi anni di entusiasmo per la novità, si parla sempre più spesso del senso di ripetere questa iniziativa, se non sia il caso di trovare altre formule, di spostare il salone a Milano, di trasformarlo in una fiera internazionale…


Il Lingotto

Dopo una modesta partenza al parco del Valentino, il salone si svolge da anni al Lingotto, l'ex stabilimento della FIAT dove c'erano le catene di montaggio della Cinquecento. Il salone si tiene alla fine di maggio, e spesso il sole batte sulle vetrate e, grazie a un bell'effetto-serra, trasforma gli spazi interni in una vera e propria sauna. Viene da pensare a come doveva essere duro il lavoro per chi stava alla catena, fra il calore, il frastuono dei macchinari e le urla dei capi.


Sinite pargulos...

Il calo continuo di presenze di visitatori ha spinto gli organizzatori ad attuare una politica di promozione nelle scuole. Giusto, giustissimo! Solo che: le classi, dalla prima elementare all'ultima delle medie superiori, rappresentano oramai una parte prevalente del pubblico. Gli/le adolescenti, per niente preparati/e alla visita, la prendono come una delle solite gite scolastiche, un'occasione per fare casino in orario di lezione, un'evasione dalle noiosità dello studio. I più piccini sono senza dubbio più affascinati dalla strana atmosfera che si respira al Lingotto, ma lo spazio non è certo stato studiato per le loro esigenze. Così, le classi in visita affollano soprattutto i pochi bar e posti di ristori interni, provocando file interminabili per conquistarsi un panino o una bibita, e file ancora più imbarazzanti, con intere classi guidate da solerti maestre, si creano anche davanti ai pochissimi gabinetti che la grande architetta internazionale ha previsto nel suo progetto di ristrutturazione.


Fuori l'autore

Ogni editore, soprattutto se è piccolo e poco conosciuto, accoglie speranzoso nel proprio stand chiunque mostri un interesse per i suoi libri. Da un lato c'è l'orgoglio di mostrare le proprie scelte "culturali", dall'altro l'urgenza di recuperare con qualche vendita almeno una parte dei soldi investiti per partecipare alla fiera. Ma ecco che il giovanotto dall'aria intelligente, la signora elegante, il vecchio proletario, dopo avere intessuto le lodi per il "bellissimo catalogo", rivelano la loro vera natura: non di potenziali lettori si tratta, ma di pericolosi aspiranti autori. E così compare il temutissimo manoscritto: un fascicolo di fogli A4 con la legatura ad anelli che contiene una storia di vita vissuta, la raccolta di poesie liriche, il grande romanzo del Ventunesimo secolo. Dopo essere stato sommerso da tonnellate di questi fascicoli, il piccolo editore è folgorato dal dubbio. Se l'offerta è così pletorica e la domanda è praticamente inesistente, perché affannarsi tanto a fare libri che si vendano? Basta far pagare all'autore la sua bella tiratura di seicento o mille copie, e con due o tre operazioni del genere si risana il bilancio e si pagano le rese alla distribuzione.


Consorzi, trust e cartelli

Che la tendenza alla concentrazione nell'editoria sia addirittura più forte che in altri settori, oramai lo si sa: ne abbiamo già parlato anche in queste pagine. Questo si vede fisicamente anche negli stand del Salone. I grandi gruppi (tranne Mondadori che snobba un po' l'iniziativa e, si sa, vorrebbe trasferirla a Milano sotto la sua egida) si presentano in forze, con costosi stand prefabbricati. Molti editori di piccole dimensioni si consorziano in associazioni regionali. L'ultima nata è l'Edica, la Editori Campani Associati, ma altre già operanti ci sono per l'Umbria, il Veneto, la Sardegna e ne esiste addirittura una solo di editori triestini.
Oltre a questi sodalizi a livello territoriale se ne creano anche altri di natura, per dire così, ideologica. Sappiate allora che al Salone del 2001 lo stand più grande, più lussuoso, più organizzato era quello collettivo degli editori cattolici.
Anche questo è un indizio di una delle principali tendenze dell'editoria del nuovo millennio (e forse di un clima culturale e politico di un certo tipo): la metafisica e la religione, in tutte le loro varianti, guadagnano spazio rispetto ai testi che fanno appello alla ragione e a un sano materialismo.
Ma avremo occasione di riparlarne.

Guido Lagomarsino