rivista anarchica
anno 29 n.252
marzo 1999


Volevamo la luna
di Massimo Annibale Rossi

Vi ricordate l’intervista pubblicata la scorsa estate con un operatore dei servizi sociali di Buccinasco (Milano)? Ebbene quell’operatore ed i suoi collaboratori sono stati licenziati. Qui spiega come e perché.

E’ trascorso qualche mese da quando ("A" 247: Buccinasco, per esempio) da queste pagine raccontavamo le sorti di un esperimento eretico: il Progetto "Volere la luna". "Eretico" perché in tempi di accentramento selvaggio dei servizi proponeva un approccio a misura della comunità, una relazione diretta con il territorio. I risultati ottenuti in questi sei anni di lavoro d’altronde non sono stati messi in discussione. Ma i tempi vedono prevalere una logica altra, una ragion di stato parallela alla considerazione dei bisogni: il Centro ha chiuso lo scorso 19 dicembre.
La versione ufficiale fornita per il congedo dei nove consulenti che costituivano l’ossatura del progetto si avvale di un’interpretazione rigorosa di una recente normativa per la riorganizzazione del settore pubblico: la legge Bassanini. A prescindere dai bizantinismi che innervano il linguaggio burocratico nazionale, ciò che ci è stato dato di capire è: "Dato che l’operare troppo a lungo per la stessa Amministrazione potrebbe configurarsi come rapporto continuativo, quindi di dipendenza, per tutela dello stesso, tutti a casa". In realtà, passione tradizionale di certo ceto politico sembra essere coltivare in serra il cavillo a fini propri, definiti "bene comune".
Ristrutturazione, della ristrutturazione, della riforma, delle USSL, divenute Asl. Tengo a precisare che le seguenti sono considerazioni profane; per quanti sforzi si siano effettuati, le politiche sociosanitarie ci sono rimaste estranee. Ciò che risulta evidente è la frequenza delle rivoluzioni burocratico-organizzative, sia dei cosiddetti "accorpamenti". Da tempo le aziende - ma può un azienda, per sua natura finalizzata al profitto, occuparsi di integrazione, diritto alla salute, disagio? - sono divenute realtà ipertrofiche, articolazioni di una holding del sociale di portata nazionale. In buona sostanza, i servizi tendono ad allontanarsi dalle comunità e dai bisogni cui dovrebbero rispondere. E non si tratta, a mio avviso, di una reale "politica del risparmio". Soldi e finanziamenti sono disponibili, ma giungono a chiazze e con la logica degli eventi atmosferici in Bangladesh: siccità per mesi, a seguire, nubifragio.
Se il servizio si allontana, anche fisicamente, dal suo referente; se "l’assistito" si trova a compiere un viaggio di 50 chilometri per un certificato o farsi visitare, la responsabilità non è mai dell’ente, pardon, dell’Azienda. Le patetiche code dei "Pellegrini del metadone" alla mattina fanno parte del paesaggio urbano e struggono il cuore a giornalisti e funzionari, ma tant’è, questo è il migliore degli interventi possibili. E se la sede del Servizio Tossicodipendenze si sposta di dieci chilometri e il tossico-lavoratore - pare impossibile esista perché la categoria sfugge alle statistiche ufficiali - che quasi mai possiede patente e auto, deve accollarsi un’ora il più di pubblico trasporto, il fatto "non compete a noi". Ci rimane il telefono, e in questo senso i settori da qualche tempo ci hanno beneficiati di graziose vocine, accompagnate da altrettanto ameni sottofondi musicali: "Gli operatori sono momentaneamente impegnati...".

 

Il radicale nulla

L’eresia contro cui si scaglia l’anatema è proporre una "umanizzazione del servizio", che si spogli dei panni dello slogan aziendale per divenire relazione. Da questo punto di vista, chiamare una bambina abusata "cliente" risulta aberrante, conferma di una logica simil-efficientista che dell’umanesimo è antitesi. Ricordare fuori dalle campagne elettorali e dalle conferenze dotte che il referente e mandatario del servizio sono un’unica persona, il cittadino, diviene "sgradevole". Gli interessi economici e d’immagine sono enormi; le carriere possibili e i relativi compensi spesso esorbitanti.
Ma la gente, portatori d’acqua alle casse pubbliche, è, e si dice, giustamente incazzata. Tuttavia la generale indignazione viene puntualmente cavalcata da un Masaniello televisivo, poi deputato, poi promotore di una nuova riforma. Gli umori politici oscillano tra la radicale sinistra, il radicale centro, la destra estrema lotta-al-sistema, quanto il radicale nulla. Non si riesce a individuare un senso, un’origine, e la sindrome dello sfascio finisce per alimentare la logica imperante del "Tanto mi faccio i cazzi miei". "I politici partono bene, dicono tante belle parole, ma poi pensano solo a questi" e ti fanno il segno dei soldi: pollice e indice della mano destra strofinati tra loro con moto regolare e evocativo.
I politici. Il nostro progetto nella sua breve storia ha assistito a un discreto ricambio negli amministratori. Più frequente in tempi di "Prima repubblica", scandito dalle elezioni comunali poi. Significativo il fatto che il suo reale avvio sia avvenuto grazie all’intervento di un’autorità extrapolitica. Nel 1994 infatti, a seguito dello sviluppo delle inchieste sul malcostume locale, veniva esautorata la precedente Giunta e incaricato un Commissario straordinario. Questi, dopo attento esame della situazione, si rendeva conto che l’intervento sociale risultava pesantemente sbilanciato a svantaggio della fascia più critica: i giovani. Buccinasco era ed è la conferma di quanto da più decenni la mafia non sia una realtà meridionale. La convergenza di interessi politici, economici e clientelari rendeva fertile il terreno locale per la crescita delle organizzazioni criminali. Da qui, l’urgenza di attivare interventi capaci di contrastare la forza di attrazione dei clan e le campagne di arruolamento delle rispettive formazioni.
La domanda da porre agli arroganti populisti, fautori di nuove barriere nazionali e infinite invettive contro il "terrone oppressore" è, a mio avviso: "È così diversa la responsabilità dell’imprenditore, del finanziere che al grido. I soldi sono soldi’, cambia di segno al denaro mafioso?". Il pedagogista deve considerare che in un caso l’addestramento al male si subisce dalla prima infanzia, mentre l’imprenditore sceglie. In un senso si uccide, si estorce, si promuove il consumo di droga come fenomeno di massa. Nell’altro si stringono alleanze, si corrompe, si alimenta un sistema economico parallelo senza il quale Cosa nostra sarebbe ancora una stortura del mondo contadino siciliano.

 

Ragion di stato e ragione economica

In quello stesso ’94 s’installava la nuova Amministrazione. A differenza delle precedenti, questa si collocava a destra, dato che, nell’imminenza della vittoria spingeva alcuni politici locali a repentina abiura ideologica. Il mutamento portò una reale ventata di novità; si percepì una volontà di chiarezza, sicuramente venata di autoritarismo, ma autentica. Premesse che permettevano al progetto di approfondire la propria "ereticità" in termini metodologici e di svilupparsi ulteriormente. Ma premesse che dovevano ben presto ridimensionarsi nel confronto con la Ragion di stato e la Ragione economica. Da un lato il progredire dei processi di accentramento a livello sovrazonale dei servizi faceva apparire la nostra anomalia sempre più acuta. Dall’altro un nascente business immobiliare - la previsione sono 10.000 nuovi insediamenti nei prossimi 5 -10 anni - rendeva inattuale la nostra attività di prevenzione sui versanti caldi. Primo tra questi, e nonostante i covi dei sequestri Casella e Sgarella e gli arresti eccellenti fossero avvenuti a Buccinasco, il tema della ’ndrangheta.
La cura dell’Amministrazione agli aspetti urbanistici divenne a quel punto massima: oasi e parchi ecologici, laghi cittadini, imponenti ristrutturazioni e materiali di prima qualità. I prezzi delle case continuarono a lievitare. Ma come vendere a 4.000.000 al m2, quando il comune viene additato come zona "ad alto rischio"?
A complicare la situazione venne la notizia dell’avvenuta approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, Dipartimento affari sociali, di un progetto di prevenzione presentato nel 1995. Il ’98 fu per noi l’anno della "Cultura dell’Autonomia".
L’intervento cercava di sviluppare la metodologia e i risultati conseguiti dall’équipe "Volere la luna", cui ora si affiancava. Elemento caratterizzante, rivolgersi alla comunità nel suo complesso nella convinzione che un organismo sociale responsabilizzato, rappresenti la risorsa fondamentale. Uscire dalla sindrome della delega poteva significare avviare processi di presa di coscienza e favorire la produzione di adeguati anticorpi sociali. Dal "Ci deve pensare lo stato - fintanto non tocca direttamente la mia famiglia" al "Vediamo qui, ora e in funzione delle nostre possibilità cosa fare". Negli anni precedenti erano state sviluppate tre reti, finalizzate ad approfondire l’approccio di territorio: imprese, agenzie socio-educative, associazioni e oratori. In particolare quest’ultima intendeva promuovere il relativo modello in contrapposizione con l’aggregazione omertosa centrata sul capo carismatico.
Un altro problema fondamentale riguardava il livello d’intervento. Si individuava la dipendenza quale sintomo, la cui origine era da ricercare in termini sociali, culturali e affettivi. "La cultura dell’Autonomia" intendeva scuotere la comunità, ma anche declinare il tema fondamentale sulle tre articolazioni osservate sul piano locale: cocaina - regina della tradizione stupefacente, "nuove droghe", ’ndrine. Nostra convinzione, che ogni organismo sociale possegga caratteri propri e in continua evoluzione. Osservazione che in un’ottica libertaria parrà scontata, ma che nel mondo del pubblico servizio condensa una forma mentis aliena. Con frequenza esasperante i progetti risultano fotocopie di interventi concepiti in altro tempo, in altro luogo e su di un’altra tipologia di utenza.
Il nostro spaccato sociale evidenziava due filoni principali: la comunità di origine calabrese giunta a partire dagli anni ’50 - edilizia popolare - e le isole residenziali frutto dell’esodo dalla metropoli della medio-alta borghesia negli anni ’70 e ’80. Sia l’una che l’altra, ma particolarmente la prima, mostravano caratteri evolutivi rispetto alle comunità di origine, e rendevano visibili processi di contaminazione. Ci si rese conto che se sulle aggregazioni, ad esempio le ’ndrine pastorizie, esistevano studi e ricerche, il campo attuale appariva pressoché vergine. Da ciò l’esigenza di incaricare un sociologo per sviluppare una indagine specifica.
"L’Autonomia" assunse connotazione di ricerca-intervento, dove i risultati dell’attività sul campo e dell’indagine andavano reciprocamente integrandosi. I moduli potevano avvalersi di un ventaglio di strumenti sufficientemente ampio per fugare i sospetti di accademicità. Si riteneva importante limitare l’impatto frontale della conferenza al minimo indispensabile, privilegiando veicoli più ludico-artistici. L’intervento degli esperti veniva assimilato nella forma seminariale e bilanciato dalle attività creative: musica, teatro, laboratori manuali, cineforum e, soprattutto, feste di piazza. Riguardo a quest’ultime, si sottolineava il valore dell’evento partecipato, attività e stand con il coinvolgimento del pubblico, rispetto alla manifestazione centrata sulla figura della star.

 

Un fiorire di attività, poi...

Una modificazione, anche lieve, a livello di atteggiamento poteva avvenire solo mediante un coinvolgimento diretto delle persone. Processo anche più evidente nei confronti dei ragazzi che costituivano il soggetto del nostro intervento. Le scuole medie e superiori divenivano luogo di iniziative volte a suscitare interesse e a essere sviluppate nei laboratori pomeridiani e nelle manifestazioni pubbliche. Il fuoco veniva parallelamente a porsi sugli ambiti di aggregazione strutturata, quanto su quelli spontanei. Nostri operatori andavano a operare a livello di oratorio, di associazione, quanto nei bar più o meno malfamati di quartiere, nei parchi e nelle strade. La più grande soddisfazione, nel condurre ragazzi dediti a compiere viaggi chimici, a stupirsi della loro capacità di "sballare" utilizzando la danza, la musica, l’espressione corporea.
Gli ultimi mesi videro un fiorire di attività: la realizzazione di due cortometraggi - di cui uno realizzato da registi professionisti -, concerti, mostre, spettacoli teatrali. Parallelamente si concludevano i momenti rivolti agli adulti e che avevano insegnanti e genitori quali interlocutori privilegiati. Momenti più orientati alla sensibilizzazione a alla informazione avevano già coinvolto operatori di comunità, oratori e associazioni, forze dell’ordine e imprese. La ricerca del sociologo doveva a sua volta esitare in una pubblicazione, che avrebbe anche raccolto le sintesi dei singoli moduli.
Il percorso prevedeva infine quattro serate pubbliche con il coinvolgimento di esperti e studiosi a livello nazionale. Si distinguevano in particolare le prime due, volte ad affrontare in forma di tavola rotonda le problematiche legate al sistema del narcotraffico su scala regionale e su scala locale. Una terza iniziativa sviluppava il tema del rapporto tra comunità di recupero e territorio; l’ultima doveva ospitare la presentazione del saggio.
Risultato: a quindici giorni dalle serate la Giunta ne decideva unilateralmente la sospensione di tre su quattro. La pubblicazione veniva soppressa e i nove consulenti "Volere la luna" licenziati.

Massimo Annibale Rossi

 

leggere la mafia

Sul ruolo assunto da Milano nel sistema del narcotraffico, e più specificamente nel riciclaggio di denaro sporco, cfr. PORTANOVA M. ROSSI G. STEFANONI F., Mafia a Milano, Ed. Riuniti, Roma, 1996. Sulla realtà di Buccinasco: COLAPRICO P. FAZZO L., Manager calibro 9, Garzanti, Milano, 1995