Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 64
marzo 1978


Rivista Anarchica Online

I garofani sono appassiti sui fucili
di Julio Figueiras

Al giorno d'oggi si può ben dire che il Portogallo è una democrazia a tutti gli effetti. Proprio recentemente si è conclusa una crisi governativa che per tanti aspetti richiama alla mente le vicende politiche italiane dell'immediato secondo dopoguerra: lo svolgimento è stato quello classico, una crisi di governo, un voto di sfiducia che facadere l'esecutivo (grazie ai voti dei comunisti e dei conservatori, insieme), lunghe trattative per ricercare una nuova formula di governo, che alla fine viene trovata e presentata con le consuete bellissime promesse per il popolo.

Nel frattempo sono passati due anni e mezzo quasi da quel 25 novembre '75 che ha segnato l'interruzione di quel processo politico cosiddetto rivoluzionario che, seppur caratterizzato da giacobinismo e da spirito avanguardista, rappresentava pur sempre un pericolo mortale per gli uomini d'ordine del vecchio mondo capitalistico-autoritario. In quel novembre le forze conservatrici avevano neutralizzato e sconfitto con evidente facilità - più con manovre politiche che con la forza delle armi - i soldati delle "caserme rosse", l'estrema sinistra ed il Movimento delle Forze Armate (M.F.A.) guidato da Otelo de Carvalho, dimostrando che queste ultime forze di sinistra si basavano più su di un bluff che su di una reale "presa" sociale. La forza del popolo, da loro continuamente evocata ("Il popolo sta con l'M.F.A." era lo slogan classico di quei settori), si era rivelata per quel che era, essendo il popolo diviso in partiti politici, strumentalizzati come al solito da politicanti o dai militari fanatizzati dell'una e dell'altra setta.

Molti si sono chiesti se allora non era vero quello che si era detto, cioè che dietro a Soares, quando nel '75 aveva denunciato il "putschismo" dei comunisti, c'erano ampi settori popolari. Certo, era vero allora: ma i contadini del Centro-Nord, i lavoratori immigrati, i piccoli coloni rientrati in Portogallo a quell'epoca erano come storditi e non riuscivano ad afferrare il senso degli avvenimenti, che peraltro si accavallavano ad una velocità prodigiosa. In effetti si era passati da un regime autocratico, paternalista e tutto sommato "tranquillo" all'estremismo verbale più appassionato, senza che questo processo vedesse le masse veramente protagoniste: la cosiddetta rivoluzione era stata fatta dai militari, non dal popolo. Gli agricoltori poveri, per esempio, subivano "la rivoluzione" così come in passato avevano subito la guerra coloniale ed altri avvenimenti politici. Si può anche ipotizzare che se accanto ai "rivoluzionari", ai "rossi", non ci fossero state - ben visibili - le forze militari (con le loro uniformi, simbolo tutto sommato di ordine), ben presto ci sarebbe stata una rivolta di molti ambienti contro quei "rivoluzionari di Lisbona", dei ministeri e delle fabbriche. Questo stato d'animo non certo rivoluzionario animava ampi settori del mondo contadino.

In questo contesto, il 25 novembre ha rappresentato un duro richiamo alla realtà. È infatti incontestabile che la cosiddetta "rivoluzione portoghese" avesse suscitato un diffuso entusiasmo popolare, esteso ben al di là del ritorno degli oppositori emigrati nel passato e dell'impegno degli studenti e della piccola borghesia urbana antifascista. Bisogna ricordare il contributo portato dagli operai e dagli altri salariati delle grandi città (e di Lisbona in particolare) e dei salariati agricoli delle grandi proprietà della regione dell'Alentejo. Queste categorie sociali, in effetti, già sotto il fascismo avevano raggiunto un livello di vita che si potrebbe definire "europeo", con conseguenti aspirazioni "europee", che li rendeva particolarmente sensibili al discorso della sinistra riformista, tutto teso a promettere la realizzazione del grande "sogno" di trasformare ogni proletario in un consumatore "borghese". Il sostegno offerto al processo "rivoluzionario" dalla classe operaia di Lisbona e di Setubal, nonché dei braccianti del Sud, aveva dei limiti ben precisi, essendo condizionato dal soddisfacimento di queste aspirazioni borghesi (o piccolo-borghesi): "se ci garantirete il frigo, la macchina, la televisione, le vacanze pagate, noi vi seguiremo, altrimenti no". Oltre a ciò, si richiedeva anche il soddisfacimento di bisogni essenziali quali la salute, l'istruzione, la casa: il tutto a detrimento non solo della borghesia, ma anche dei contadini del Centro-Nord o della numerosa piccola-borghesia che sopravvive grazie alla rendita di un vecchio immobile, di un miserabile negozietto e di una pensione statale da morir di fame o quasi.

Le tattiche e le strategie di lotta dei politici di vario colore hanno tenuto conto essenzialmente di queste "necessità", trascurandone altre: ed è a causa di questo equivoco, tra l'altro, che la "rivoluzione" in Portogallo ha fatto la fine che ha fatto.

Tornano i padroni!

Quel 25 novembre di tre anni fa la borghesia sentì chiaramente che il vento stava cambiando direzione. Uno dopo l'altro i padroni rientrarono in Portogallo e ripresero il possesso delle loro aziende. Il governo Soares si dimostrò un vero campione del "ritorno alla normalità", alla legalità ed al dominio della proprietà. In breve tempo tutto il movimento d'occupazione delle terre, delle case e delle fabbriche rientrò: i comunisti ed i gruppi marxisti alla loro sinistra si sono subito attestati sul fronte della "difesa delle conquiste consacrate dalla Costituzione del '75" (redatta in gran parte durante il "periodo caldo" di quell'anno). La loro linea era quella della "resistenza" fabbrica per fabbrica, quartiere per quartiere, finché i padroni non sono tornati riprendendo in mano le redini e dettando legge. Solo nella regione dell'Alentejo le autorità hanno incontrato un'opposizione ferma e risoluta contro il ritorno dei vecchi proprietari terrieri.

All'università, invece, il governo socialista è riuscito a far passare con grande facilità una legge che riduce considerevolmente le possibilità di controllo degli studenti e l'autonomia dell'istituzione, assicurandosi un certo controllo sulla protesta studentesca. Che il vento avesse cambiato direzione lo si comprese subito anche dal mutato atteggiamento del governo verso le occupazioni: cessò subito ogni forma di sostegno alle fabbriche occupate. In alcuni casi si costituirono delle cooperative operaie di produzione, quando la situazione economica dell'azienda lo permetteva ed i lavoratori ne avevano la volontà e la possibilità; le imprese deficitarie persero qualsiasi aiuto, furono lasciate andare alla deriva o riconsegnate ai vecchi padroni, pronti a risollevarle dalla situazione deficitaria in cui a volte l'autogestione le aveva portate.

Nelle città si giunse ad una rapida regolamentazione delle situazioni di fatto venutesi a creare in seguito al vasto movimento delle occupazioni di case: a volte la polizia intervenne per far sloggiare con la forza gli occupanti. Nel frattempo i prezzi degli affitti sono saliti paurosamente.

La "normalizzazione" si è espressa anche con il ritorno alla ferrea disciplina tradizionale nelle caserme, l'allontanamento degli ufficiali populisti dell'M.F.A. e dei piccoli quadri militari (sottufficiali, bassa truppa) che si erano dimostrati troppo ligi nel seguire le direttive "rivoluzionarie". In poco tempo ripresero il loro vecchio posto i militari professionisti, quelli che vantavano la loro presenza nelle lotte antiguerriglia nelle colonie (ora ex-colonie) portoghesi. Anche i politici del dopo-rivoluzione, moderatamente filo-socialisti, sono stati messi da parte, oggetto di violente bordate critiche da parte della destra. A ciò si aggiungano la piena rimessa in opera dei tradizionali meccanismi di mercato, l'esistenza di un alto tasso di disoccupazione (valutato al 15% della popolazione attiva), l'inflazione galoppante, la debolezza di un'economia colpita dalla perdita delle colonie e di quella pace sociale che prima era stata una ottima garanzia per le multinazionali. È in questo contesto che si è inserito il prestito ottenuto lo scorso anno dal Fondo Monetario Internazionale, che di fatto ha ulteriormente indebolito la cosiddetta "indipendenza nazionale" del Portogallo.

L'uomo della provvidenza

Con le misure di austerità imposte al Paese il governo socialista ha perso quasi tutto il sostegno operaio che lo caratterizzava prima: non è certo un caso, per esempio, che il controllo sui sindacati del partito comunista, nonostante la sua metodologia indiscutibilmente stalinista, si sia rafforzato considerevolmente. Il partito comunista porta avanti abilmente il gioco delle alleanze tacite e, rompendo con il governo dell'austerità, ha saputo praticare una politica di "unità della sinistra" tramite la quale ha raccolto i consensi anche di molti "cani sciolti" ed indecisi. Per costoro non ha certo potuto presentarsi come un punto di riferimento l'estrema sinistra marxista, frazionata e indubbiamente in fase calante.

In questo contesto le forze reazionarie, conservatrici ed anche esplicitamente fasciste hanno risollevato la testa: lo testimoniano le manifestazioni in favore di una statua di Salazar, le numerose manifestazioni nazionaliste tenutesi a Lisbona e ad Oporto nel novembre scorso, i ripetuti appelli all'"uomo della Provvidenza", impersonato all'occasione dal generale Pires Veloso, ex-governatore della zona militare settentrionale, nonché la confluenza di molti militari dal conservatore C.D.S. ad un raggruppamento marcatamente filo-fascista come il M.I.R.N., guidato da un gerarca fascista in auge ai tempi di Salazar (il generale Kaulza Arriaga).

Anche nelle scuole, soprattutto in quelle secondarie, il fascismo sta riprendendo piede, con bombe, attentati, provocazioni di ogni tipo (saluti fascisti, aggressioni, ecc.).

I padroni, con le loro organizzazioni confindustriali, hanno da tempo rialzato la cresta, chiedendo l'abrogazione di tutte le leggi migliorative della condizione operaia ottenute negli ultimi anni (diritto di sciopero, commissioni operaie, ecc).

La lotta riprende?

Un regime di austerità e di sacrifici non è mai molto piacevole. Non è dunque un caso che le lotte si siano intensificate negli ultimi tempi, anche se con una connotazione diversa da quelle del '75: allora predominava l'aspetto politico, quello di lotta e pressione contro il potere, oggi è la volta delle rivendicazioni economiche spicce. Potrebbe anche darsi che la gente si sia rassegnata ad aspettare le elezioni del 1980 per esprimere il suo parere. Un'altra ipotesi, non contraddittoria con la precedente, si rifà alla perdita di credibilità subita in questi anni dalle ideologie, dai grandi "progetti" rivoluzionari, dalle parole in genere: più concreti appaiono alla gente i miglioramenti economici immediati, palpabili.

La prima forma assunta dall'attuale ripresa della combattività operaia è quella degli scioperi locali di fabbrica, o contro il ritorno dei vecchi padroni, o contro le misure repressive da questi adottate (come i licenziamenti più o meno di massa), o contro altre misure più generali di repressione contro i settori più combattivi della classe operaia. Queste lotte contro la "rivincita padronale" sono lotte isolate, particolarmente legate alla combattività espressa localmente dai lavoratori.

Un secondo tipo di lotte è caratterizzato da forme molto diverse, che sono poi quelle classiche dei movimenti corporativi e di limitata durata per sostenere il sindacato durante i negoziati per il rinnovo dei contratti collettivi. Lotte di questo tipo si sono avute recentemente tra i metallurgici, i funzionari e gli impiegati municipali, gli insegnanti, ecc. ecc.. Grazie a questa ripresa della combattività della base i sindacati hanno migliorato la loro "immagine", celando quella reale di gigantesche macchine farraginose e burocratiche al servizio del partito comunista. Quest'ultimo infatti, se non ha saputo ritagliarsi un suo spazio politico importante in campo politico, si è però rifatto in campo sindacale: si è così preso la rivincita anche sui militanti di estrema sinistra - quelli che avevano sostenuto Otelo de Carvalho - costringendoli a subordinarsi a lui in campo sindacale. Ultimo esempio di questa forza sindacale del partito comunista è stata la recente costituzione di un sindacato contadino alternativo a quello esistente (il C.A.P., di tendenza ultra-conservatrice). L'operazione è riuscita, ma grazie soltanto alla capacità organizzativa e di mobilitazione della macchina burocratica comunista.

Il ruolo degli anarchici, oggi

Gli anarchici - bisogna avere il coraggio di riconoscerlo - hanno quasi completamente perso rilevanza in seno al movimento operaio organizzato e i sindacati attuali, data la loro struttura ed il loro funzionamento, rendono quasi impossibile qualsiasi forma di militanza al loro interno. Certo ci sono degli anarchici che sono dirigenti sindacali o membri delle commissioni aziendali dei lavoratori (le C.I.'s.), ma non costituiscono assolutamente una corrente specifica in seno al sindacalismo portoghese. Tuttalpiù si possono mettere in risalto, come dappertutto, dei comportamenti spontanei dei lavoratori sul terreno dell'azione diretta anarco-sindacalista e si può cercare il modo ed i mezzi per sviluppare questi comportamenti e renderli sempre più coscienti: il che presuppone un lavoro di lunga durata.

L'origine dei nuovi militanti, inoltre, è molto differente rispetto a quella della vecchia generazione anarco-sindacalista. I giovani compagni, oggi, provengono dalle file della gioventù studentesca, sono figli della piccola-borghesia o della classe operaia imborghesita, provengono per oltre il 90% dalle città; nessuno o quasi è di origine contadina. Date queste premesse, non sembrerà certo strana la tensione esistente tra i vecchi ed i giovani compagni.

Caratteristica di questi giovani è la "marginalizzazione" rispetto alla società, la diffusissima disoccupazione e la costante presenza di conflitti familiari. Sensibili all'alienazione rispetto ad una vita quotidiana povera di passioni, imbevuti di una cultura e di influenze "continentali", si dibattono tra la tentazione di una rottura radicale per mezzo della violenza e la rottura totale attraverso l'esasperazione dell'emarginazione, le esperienze comunitarie, il ritorno alla terra, la ricerca di un altro modo di vita quotidiana. Avviene così che il super-attivismo o il suo opposto, cioè il nichilismo pessimista, prendono quasi sempre il posto di uno sforzo prolungato per la propaganda e/o l'organizzazione. Gli sforzi organizzativi, espressi nel Movimento Libertario Portoghese (M.L.P.), nella Federazione Anarchica Rivoluzionaria Portoghese (F.A.R.P.) e nell'Alleanza Libertaria Anarco-Sindacalista (A.L.A.S.) sono stati quasi sempre mal compresi ed alla fin fine hanno raccolto solo l'adesione dei vecchi compagni.

La repressione poliziesca non si è ancora scatenata contro il nostro movimento, eppure persistono grandi difficoltà nell'affermare una presenza anarchica in Portogallo, oggi; mancano militanti con una certa esperienza; mancano gruppi stabili; mancano drasticamente i mezzi materiali e tutto ciò favorisce la mancanza di dinamismo.

In questo contesto la nostra propaganda prosegue per mezzo di alcuni giornali, come A Batalha, Voz Anarquista,, e riviste come A Ideia e Accion Directa. Compagni sono pure presenti nelle lotte ecologiche, studentesche, femministe, ecc..

Attualmente, per concludere, stiamo lavorando all'organizzazione di una grande SETTIMANA DI PRESENZA LIBERTARIA da tenersi nel luglio prossimo.