Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 64
marzo 1978


Rivista Anarchica Online

Il mito della lotta armata
di Andrea Papi

Pubblichiamo l'articolo del compagno Andrea Papi di Forlì, precedentemente rifiutato dalla redazione della rivista "Anarchismo". I problemi che questo articolo solleva sono di estrema attualità e riteniamo che vadano ripresi, per cui sollecitiamo l'apertura di un dibattito.

L'articolo di Alfredo M. Bonanno "Verso la generalizzazione dello scontro armato" pubblicato sul numero 18 della rivista Anarchismo, mi ha fatto meditare e mi ha spinto a proporre sulla stessa rivista alcune riflessioni in merito all'argomento trattato, non tanto per dare una risposta a considerazioni e affermazioni che non condivido, quanto per polemizzare in senso critico e costruttivo con alcune posizioni espresse, di cui non condivido la apparente cristallina validità.

Le questioni affrontate non sono soltanto di attualità, ma a mio avviso rivestono una importanza vitale per gli anarchici in particolare, per il movimento rivoluzionario in generale. La scelta strategica proposta da Alfredo, quella della lotta armata, coinvolge in modo diretto e globale tutti i compagni, per cui sarebbe un grave errore prenderla sotto gamba senza sviscerarne a fondo tutta la problematica. In questo senso ritengo che il movimento anarchico abbia grosse lacune, dal momento che non ha ancora cominciato a dibattere seriamente un problema che diviene ogni giorno più impellente e che, nella fase attuale, occupa più o meno intensamente la mente di tutti noi. Soltanto la rivista Anarchismo mi sembra che fino ad oggi abbia dedicato molto spazio al problema dello scontro armato, anche se l'ha fatto in modo unilaterale, al fine di portare avanti la linea di tendenza in cui si riconosce, almeno da quello che ci è dato di capire, e la propria proposta strategica, le quali, con l'articolo di Alfredo in questione, hanno cominciato ad assumere chiari caratteri d'identificazione. È appunto finito il tempo di indulgere e di scegliere di non dire perché non si hanno le idee chiare e si aspetta di avere la soluzione pronta da spiattellare al momento opportuno: bisogna cominciare a parlare fuori dai denti e rompere con la logica delle posizioni non dette che possono apparire ambigue. Compagni, personalmente non ho assolutamente le idee chiare né tanto meno una soluzione da proporre, ma ciò non mi spinge a chiudermi nel ghetto delle mie elucubrazioni mentali. Anzi ritengo importante, ai fini del dibattito e della chiarezza rivoluzionaria che ci distingue, proporre i dubbi e le riflessioni, anche se non sono seguite dalla scoperta della verità o da una formulazione logica onnicomprensiva e autosufficiente. Penso di averne tutto il diritto.

Su un punto mi trovo totalmente d'accordo col compagno Bonanno, cioè quando scrive: "Il mito svolge il suo ruolo (pensiamo al mito del partito, al mito della grande madre, al mito della violenza, al mito dello sciopero generale), ma quando cade non significa che non svolga più nessun ruolo, significa, al contrario, che comincia a svolgere un ruolo diverso, appunto il ruolo della caduta del mito". Mi sembra che in queste parole sia espresso uno dei concetti base di ogni struttura, più precisamente dei rapporti individuali e collettivi che sono alla base di ogni struttura: l'aderenza o no al mito, la suggestione che il mito esercita sui singoli e sul gruppo, la possibilità che ha il mito di determinare scelte, analisi, visioni prospettiche. Mi sembra implicito tra anarchici che si tenda al superamento del mito per riuscire a comprendere la realtà in modo spregiudicato e avere così la possibilità di determinare le nostre scelte senza condizionamenti mentali, senza adesioni mitiche o costruzioni cerebrali predeterminate.

Benissimo, liberiamo le nostre menti da ogni forma di preconcetto. Ma allora, perché "in quanto anarchici l'insurrezione resta il nostro elemento privilegiato"? Perché questo presupposto deve essere alla base del nostro intervento nel sociale e quindi determinare le nostre scelte? Buttare questa affermazione come data per scontata, senza prima dimostrarne la validità nel concreto, non rappresenta l'adesione a un mito? Sorge spontaneo il dubbio che bisogna liberarsi di tutti i miti che non si collocano in questa affermazione per aderire ed essere condizionati da un unico mito, l'insurrezione. Personalmente non escludo che il momento insurrezionale possa essere il momento risolutivo e che dobbiamo, in quanto rivoluzionari e anarchici, prepararci a una simile evenienza, ma non mi sembra né utile né veritiero che la nostra azione debba essere esclusivamente impostata nella direzione insurrezionale, perché si afferma miticamente che è "il nostro elemento privilegiato".

In verità Alfredo si sforza di non fare solo e semplicemente un'affermazione di fondo, tanto è vero che è inserita alla fine dell'articolo, per cui può anche apparire come una logica conclusione di tutto il discorso precedente. Però il problema rimane, in quanto, a ben vedere, tutto lo scritto dipende di fatto da quella affermazione, anche perché è proposta più che altro come affermazione di principio, come qualificazione indispensabile per essere anarchici, non come induzione conseguente di una analisi che la precede. Allora, come sempre avviene in simili casi, nell'analisi anche involontariamente si cercano gli elementi che possono confermare la tesi che abbiamo in testa prima di cominciare ad analizzare.

Leggendo l'articolo in questione, si ha l'impressione che l'insurrezione sia a portata di mano, per cui il lettore viene coinvolto emotivamente e, giunto alla fine, non può che essere d'accordo sull'affermazione che abbiamo criticato. Una serie di affermazioni, non di dimostrazioni, concorrono a determinare quest'impressione: "Lo scontro armato generalizzato è lo sbocco naturale di una situazione che diventa ogni giorno più grave. Gli sfruttati cominciano ad avvertire questa necessità, a farla propria, in una serie di comportamenti anti-istituzionali che finiscono per dilagare. (...) Non c'è dubbio che oggi il movimento degli sfruttati, nelle sue varie forme, pur con tutte le contraddizioni che presenta, è in grado di attaccare il capitale e le strutture statali che lo difendono. Non c'è dubbio che quest'attacco è in corso di realizzazione.", "Le disillusioni, recenti o meno recenti, stanno spingendo un gran numero di gente verso un comportamento illegale generalizzato. Questo comportamento si realizza sia sui posti di lavoro, sia sul fronte della disoccupazione e della criminalizzazione.". Conseguenza logica di questa situazione di presunto intensissimo attacco contro lo stato e il capitale, portato avanti spontaneamente dagli sfruttati, è che noi dobbiamo soffiare sul fuoco il più possibile per far scoppiare l'insurrezione generalizzata di massa che, a quanto sembra, è alle porte. Ovviamente però con alcuni distinguo nei confronti di chi da tempo persegue la lotta armata, cioè B.R., N.A.P., Prima Linea, ecc. La nostra azione non può essere concepita all'interno del partito armato che ha tutto l'interesse a gestire gerarchicamente lo scontro di classe, ma tende ad aprirsi, è libertaria, è fondata in definitiva "sulla strategia anarchica".

Ebbene, secondo il mio modo di vedere, le cose non stanno esattamente in questi termini. Se da una parte è possibile notare una generalizzazione di comportamenti anti-istituzionali, dall'altra non sembra che questi manifestino nelle masse una volontà di cambiamento rivoluzionario. Più che altro danno l'idea di manifestazioni di insofferenza e di sfiducia nei confronti delle istituzioni che spesso rischiano di cadere nel qualunquismo più becero. Se è vero che le scelte fatte dai partiti e dai sindacati hanno disilluso molta gente, è anche vero che ciò non ha determinato una tensione innovatrice di tipo emancipatorio, ma più che altro uno scoglionamento generale, un senso di rilassamento scettico, e in molti casi una chiusura in se stessi, un disinteressamento delle questioni sociali. In definitiva, se è un errore non indifferente sottovalutare una serie di comportamenti di rifiuto delle istituzioni che sono effettivamente in atto, una loro sopravvalutazione è altrettanto e ancor più errata, perché può portare facilmente a scelte strategiche pericolose e irreversibili.

Ma più di ogni altra cosa vorrei sottolineare che mi sembra oltremodo difficile che la situazione che sta maturando sbocchi necessariamente nello scontro armato generalizzato. Il compagno Bonanno afferma categoricamente che non c'è dubbio che è in atto un attacco generalizzato contro lo stato e il capitale; io mi permetto invece di porre molti dubbi su questa visione troppo ottimistica, troppo facile nelle sue enunciazioni di fondo, la quale, come ho sopra sostenuto, ha tutta l'aria di voler sostenere a tutti i costi una tesi preconcetta. Un dissenso voluto e radicale c'è, ed è portato avanti da coloro che effettivamente attuano sistematicamente l'attacco armato contro uomini e cose legate alle istituzioni e dichiarano nei loro proclami di perseguire una strategia di lotta armata; li conosciamo, sono alcuni gruppi minoritari ed elitari. Ma, per dirla con le parole dello stesso Bonanno "Le B.R., i N.A.P., Prima Linea, e tante altre organizzazioni, non hanno più nulla da dire, salvo la propria autocritica".

Ecco allora che il castello teorico messo in piedi nell'articolo in questione comincia a mostrare parecchie falle, le sue certezze possono essere smantellate e mi sembra importante invitare a una revisione critica. Oppure la tensione verso l'insurrezione, presupposto ideologico-strategico imprescindibile, deve sussistere a tutti i costi? O, peggio ancora, deve essere per forza reale? Ma tutto ciò, oltre che ad essere un mito, pericoloso come tutti i miti, rischia di essere un atteggiamento mistico, un presupposto religioso. Allora, giustamente, la lotta armata oggi, subito, è l'esplicazione coerente delle proprie tensioni religiose, la realizzazione esistenziale di tensioni interiori di tipo ascetico le quali, se non hanno la possibilità di estrinsecarsi, procurano sofferenze psicosomatiche poco sopportabili. Ma non credo sia il caso né l'intenzione del compagno Alfredo, il quale si pone il problema di una strategia e di un confronto sulle proposte.

Vorrei proporre alcune riflessioni sull'insurrezione, intesa come strategia, come momento privilegiato di un discorso e di un intervento rivoluzionario nel sociale. Quando non è azione militare, preordinata e organizzata da gerarchie che sovvertono l'ordine esistente per instaurarvi il proprio nuovo potere, in genere assume l'aspetto di rivolta generale delle masse che, senza un piano preordinato né intenti di potere, armi alla mano scardinano lo stato di cose presente, travolgendo con una rivolta totale e generale e con la violenza e la volontà della propria disperazione tutto ciò che appartiene al passato che le ha sfruttate, vilipese e oppresse. È un momento collettivo idilliaco, liberatorio e liberante che rende felici tutti quelli che fino a ieri erano stati infelici, in cui si scopre la solidarietà umana e la fratellanza.

Le insurrezioni del passato sono a testimonianza di ciò che ho detto sopra, non a caso quando c'erano, gli anarchici hanno sempre partecipato generosamente con abnegazione allo scontro in atto, pagando poi sempre per primi questa loro generosità. Solo che in questa bella situazione esaltante esiste un neo non indifferente e che, a mio avviso è necessario cominciare a considerare: la reinstaurazione del potere (che sia quello di prima o che sia nuovo non ha importanza) e la brutale, sistematica, costante repressione del popolo che aveva fatto l'insurrezione. Dalla rivoluzione francese, alla comune di Parigi, alla rivoluzione russa, alla fallita rivoluzione spagnola, alla settimana rossa, all'occupazione delle fabbriche del '20, sempre il potere più sadico e più brutale ha preso il sopravvento e ha massacrato, trucidato, torturato, distrutto i compagni e le realizzazioni che erano state approntate durante la fase insurrezionale e rivoluzionaria. Questa reazione susseguente alle rivolte popolari, anche le più riuscite, le più compatte, è una costante della storia della lotta per l'emancipazione e bisogna cominciare a tenerne conto.

Le ragioni per cui succede questo sono molteplici: il fatto che esistono sempre organizzazioni ben strutturate pronte e decise a sfruttare la situazione di rivolta popolare per mettere in atto i propri scopi di privilegio e di potere; il fatto che chi vuole effettivamente portare avanti il discorso rivoluzionario fino alla sua realizzazione globale, in particolare gli anarchici, nella sua eterna ingenuità, non vigili abbastanza per impedire ai pescecani vecchi e nuovi di riuscire a reinstaurare la reazione; il fatto soprattutto che la gente, il popolo, le masse agiscano con un'unica coscienza reale, quella della disperazione, del rifiuto dello stato di cose che abbattono, senza nessuna idea, non dico concreta, ma neppure teorica, di dove deve portare il momento insurrezionale e rivoluzionario che hanno determinato. Allora chi ha le idee chiare e pochi scrupoli è in grado di approfittare a suo piacimento.

Compagni, è ora di finirla di piangere sui nemici e dar la colpa a chi agisce per castrare la rivoluzione, perché questo lo farà sempre, che noi lo vogliamo o no. Finora le insurrezioni e le rivolte sono tutte fallite esattamente perché si basavano esclusivamente su una prova di forza, sulla logica del fucile e tutto il resto veniva successivamente, tanto è vero che non è mai venuto e, a mio avviso, se si continuerà a ragionare in termini di pura e semplice insurrezionalità, momento privilegiato delle nostre azioni e della nostra propaganda, spingendo quindi quasi esclusivamente sui sentimenti di vendetta e sulla voglia di scatenare la violenza insita in noi da questa vita aberrante che siamo costretti a vivere, non potrà che essere così anche nel presente e nel futuro. Se non si agisce sulla coscienza degli esseri umani, perché la rivolta sia effettivamente un mezzo non solo per distruggere lo stato di cose presente, ma anche e soprattutto per costruire una società effettivamente diversa, le rivolte che susciteremo e organizzeremo saranno sempre destinate ad essere pasto di famelici pescecani nemici nostri e di tutto il popolo.