Rivista Anarchica Online
Problemi tecnici della comunicazione
Mi si perdoni se affronto l'argomento non tanto da "teorico" della comunicazione, quanto come
"tecnico" della stessa. Altri compagni ("A" 62) hanno saputo affrontare brillantemente il problema nel
suo aspetto teorico; l'esigenza che io ho sentito, da tipografo anarchico, è stata quella di tradurre quei
discorsi in fatti. Prevalente, ad esempio, è stata la conclusione dell'autogestione della comunicazione
come unica risposta alternativa possibile alla manipolazione della comunicazione da parte dei mass-media.
È mia impressione che anche in questo caso si tenda a costruire la casa partendo dal tetto: dico questo
perché la difficoltà dell'autogestione della comunicazione mi sembra, oggi, praticamente insuperabile.
È un po' come parlare della rivoluzione e solo di essa, tralasciando quell'infinità di passi e passettini
senza il compimento dei quali la rivoluzione non riesce ad avvicinarsi. Scendendo al concreto esempio
di una radio libera, si dice subito che essa deve essere autogestita. Non si è ancora risolto però
(intendo praticamente) il dilemma fra "radio di partito" e cioè a voce unica, e "radio di intergruppi"
cioè radio ufficialmente pluralista, in realtà spesso prodotto di compromessi che non hanno nulla da
invidiare a quelli di Montecitorio.
Ma smentirei la mia stessa auto-definizione di tecnico se continuassi a parlare su un piano accademico
invece che pratico; racconterò perciò alcune esperienze personali.
Alcuni anni fa tre compagni (un tecnico televisivo, due lavoratori dell'Alitalia) con un comune grande
interesse per la Spagna del '36-'39, constatano che l'Italia, a causa del fascismo prima, dei mass-media
poi, ben poco sa sull'argomento. È appena scoppiato il boom del videotape (registratore televisivo),
del quale si conoscono molto bene i grandissimi pregi, non altrettanto bene i difetti. Decidiamo, in
perfetta buona fede e convinti di poter portare a termine l'impresa, di fare un documentario sulle
collettività spagnole, basato su interviste con i numerosissimi testimoni ancora viventi, e su eventuale
materiale filmato d'epoca, da riversare sul videotape. Innanzitutto: perché il videotape? Perché è
immediato: niente sviluppi, niente negativi e positivi, niente attrezzature cinematografiche complesse
e costose, ti basta un televisore e puoi andare. Non sarà un lavoro perfetto, le traduzioni non saranno
inserite in sincronia perfetta, ma l'eccezionale valore del documentario dovrebbe far superare ogni
inconveniente tecnico.
Il lavoro di ricerca è entusiasmante: quella trentina di ore di registrazione sono, credo per tutti
(comunque sicuramente per me) la migliore scuola di anarchico, un profondo motivo di soddisfazione
personale. Va bene, ma il documentario? Non si farà mai.
Prima si presentano problemi tecnici del videotape che si rivelano insormontabili, mandando in fumo
quasi tutta la parte video; poi, il riversamento dalla pellicola cinematografica al nastro televisivo
presenta anch'esso grosse difficoltà di natura tecnica; non è finita: scopriamo che trenta ore di
registrazione sono un libro, e grosso anche, che va prima tradotto e poi opportunamente riscritto,
montato, tagliato, ricucito, in modo da farlo diventare un documentario di un'ora, un'ora e mezza. Un
lavoro enorme, che richiede la collaborazione congiunta di tecnici TV e cinematografici, di traduttori,
di storici, di redattori, di tecnici del suono, insomma, videotape o no, è un film!
Primo insegnamento: non ce l'abbiamo fatta (forse si riuscirà a fare un semplice libro con la sola
traduzione delle interviste) perché credevamo fosse più facile di quello che in realtà era.
Si potrà ora capire la mia insistenza nel presentarmi (scusandomi per l'immodestia) più come tecnico
che come teorico. Credo infatti fermamente che i principali problemi, in tema di comunicazione
libertaria, siano al momento più di mezzi tecnici ed economici, che politici. E cerco di spiegarmi
meglio.
Cos'è che ha fermato la realizzazione del documentario sulla Spagna? Niente di teorico: mancavano
mezzi, compagni, in definitiva una struttura di movimento (utile cioè a tutti) che sapesse prendere in
mano il nostro lavoro nel momento in cui era diventato troppo grosso per noi, e lo portasse avanti con
competenza e disponibilità (di uomini e di mezzi). Mancava un Rizzoli anarchico? Può essere brutto,
detto così, ma non troverei niente di meglio da dire: è un fatto però che, malgrado la nostra
autogestione, il documentario non è potuto uscire.
Una prima considerazione mi sembra allora che possa essere questa: se è ben vero che tutto, film,
nastro, teatro, giornale, radio, controinformazione, è comunicazione, è altrettanto vero che non esiste
un metodo unico di soluzione alternativa a questi problemi. Il videotape, ad esempio, richiede notevole
disponibilità finanziaria e ancora maggiore disponibilità di materiale, umano e tecnico. In definitiva,
strutture piccole ed autogestite, nel campo della comunicazione visiva (TV, film, videotape) non
possono ancora esistere. (Per dichiarata incompetenza, non so cosa dire su teatro, musica, ecc.).
Un discorso a parte andrebbe fatto per la radio libera. È questo infatti un mezzo che può essere
economico, ma secondo me ciò non ne facilita la realizzazione. La radio richiede infatti una
disponibilità di tempo enorme per un certo numero di persone (tre? quattro? credo sia il minimo).
Basta pensare alla difficoltà di realizzare almeno una volta al giorno almeno un notiziario: piccolo e
striminzito che sia, rimane comunque un quotidiano, da fare con pochissimi mezzi.
Mi sembra invece che molto si possa fare con la stampa: è ancora il mezzo di comunicazione più
economico (un ciclostilato costa pochissimo), di maggiore diffusione (sì, anche questo: le radio libere
sono ormai centinaia, e gli ascoltatori non sono divisibili...), molto spesso il più veloce, ed infine
duraturo: il foglio di carta ti rimane, lo puoi rileggere, conservare....
La stampa consente di creare immediatamente delle strutture di comunicazione libertaria adatte alle
possibilità tecnico-economiche del gruppo che le mette in piedi. Questa semplicità di installazione non
andrebbe però confusa con "facilità"; in realtà, "fare informazione" a me sembra grandemente
difficile. Si può scrivere un articolo di propaganda, fare la cronaca di una manifestazione, ma se
dobbiamo parlare, ad esempio, della ristrutturazione in una fabbrica, ci servono dati, testimonianze,
informazioni precise ed attendibili. Ancora peggio se dobbiamo parlare di politica interna o
internazionale: dovrebbe essere fondamentale per noi fornire al lettore degli elementi che possano
coinvolgerlo nella nostra direzione. Che il governo sia ladro, non è un problema, ma dobbiamo dire
anche perché è ladro. È così che, a mio avviso, faremmo della comunicazione libertaria.
Come fare, è già un altro problema; mi limito a dire che la prima cosa da fare sarebbe di prendere
questo lavoro con grande, grandissima serietà e modestia: documentarsi il più possibile direttamente,
e se si deve ricorrere ai mass-media, aver presente sempre che il motivo che ci spinge a fare un nostro
giornale è proprio la loro soffocante, deviante ed opprimente presenza. Cose ovvie, direte; non tanto,
io credo, fino a quando si considererà l'autogestione come rimedio a tutti i mali. L'autogestione ci fa
lavorare bene, senza capi né padroni, ma non è mica detto che questo sia sufficiente per fare bene il
nostro lavoro....
Dino Mosca (Trieste)
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