Rivista Anarchica Online
Dal carcere di Fossombrone
di Silvio Malagoli
È da un decennio ormai che la qualità del detenuto è mutata. La presa di coscienza, specie di elementi
giovani, è stata l'effetto di una nuova concezione della propria condizione portandoli alla ricerca delle
cause che detta condizione hanno determinato. Il risultato naturalmente non poteva essere che uno
soltanto, e cioè una crescita politica che nemmeno la "riforma-aborto" è riuscita a frenare. Di qui la
nascita del super-carcere, la divisione dei detenuti con la diversificazione del trattamento; la creazione
di quello strumento capace, con l'annientamento psicofisico, di arginare la crescita politica. Non si venga
a tirare in ballo la sicurezza, per questa, strumenti ne hanno a iosa senza costringere l'individuo
all'isolamento totale, rinchiuso per 22 ore al giorno, solo, in un cesso con branda, nell'ozio più completo
e con tante altre ingiustificate restrizioni che con la sicurezza non hanno niente da spartire. Le visite dei
parenti attraverso una paratia di vetro e con l'uso del citofono, dopo la più meticolosa perquisizione
d'ambo le parti è soltanto avvilente, allucinante e nulla ha a che vedere con la decantata sicurezza.
Ma tutti questi mezzi di raffinata tortura hanno uno scopo e cioè di impedire la maturazione che ha
portato il condannato a fare l'esame della propria condizione ed a ribaltare l'accusa contro una società
sporca, marcia e corrotta. Il detenuto ha sempre rappresentato la "materia prima" per quelle corporazioni
di operatori della giustizia che vanno dai giudici agli avvocati, dai custodi alle varie imprese appaltatrici
che gravitano nell'orbita dei miliardi che detta "materia prima" costituisce. Rieducare, prevenire, e tante
altre belle parole sono tutte balle agli occhi dei succitati "operatori", che hanno sempre disattese perché
rischierebbero di inaridire la loro fonte di facili guadagni. Non per niente oltre l'80 per cento della
popolazione carceraria è recidiva.
Quando i detenuti hanno cercato di capire e ragionare sulle loro condizioni e necessità si è tentato di
imbrigliarli con lo specchietto della riforma-fasulla. Il fallimento di detta illusoria riforma ha generato
il supercarcere. Quindi, dato che non sono caduti nel loro tranello, ce li hanno buttati. E di brutto.
Sul piano personale avrei da scrivere fogli su fogli. Dirò solo che da circa 7 anni mi trovo in galera, 7
anni subiti con una dignità di gran lunga superiore a quella di chi mi ha condannato. Non ho mai subito
l'avvilimento di un rimprovero da gente che ho sempre ignorato e a cui mai ho prestato il fianco, anche
quando le provocazioni sono state basse e alla quale non ho mai chiesto nulla anche quando determinate
necessità potevano essere esigenze.
E nonostante ciò eccomi qua nel supercarcere. Ho 56 anni e ho ragione di credere che la mia pericolosità
sia semplicemente ridicola. È la pericolosità di quello in cui credo e che a loro fa paura. È la stessa paura
che hanno sempre avuto i buoni pastori della Chiesa all'avanzare della cultura e della scienza fra coloro
che hanno definito i loro greggi.
Ecco il perché dei superlager.
Fraterni saluti libertari.
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