Rivista Anarchica Online
L'inflazione creatrice
di Albert Meister
Un'originale interpretazione al di là dei luoghi comuni Quali le cause, come si sviluppa, quali processi innesca l'inflazione? - L'insufficienza dei modelli
interpretativi unicamente economici - Secondo Albert Meister l'inflazione funge da elemento
regolatore dell'equilibrio sociale attenuando lo scontro tra le classi.
In queste pagine pubblichiamo un saggio di Albert Meister sull'inflazione tratto dalla prefazione al
suo libro "L'inflation créatrice".
I nostri lettori conoscono già il Meister per averne noi pubblicato sul numero 41 un articolo
sull'autogestione in Jugoslavia. Meister, saggista libertario e ricercatore di sociologia, affronta il
"fenomeno inflazione" da una angolazione decisamente originale: non un'escrescenza abnorme e
pressoché inspiegabile che si sviluppa sulle strutture economiche, ma un elemento intimamente
connesso allo sviluppo e che cresce parallelamente alla trasformazione socio-economica delle società
post-industriali.
L'inflazione è quindi - secondo il Meister - sia il "prezzo" da pagare per la regolazione di un sistema
complesso ed articolato, sia l'agente di trasformazione che facilità la transizione verso un assetto
tecnoburocratico della società. L'analisi del Meister non si ferma a questi due aspetti, ma ne
abbraccia altri decisamente importanti quali, ad esempio, la presenza delle multinazionali sui mercati
e la loro capacità di stravolgere le strutture economiche tradizionali per instaurarne altre legate ad
un tipo di economia trans-nazionale.
Invitiamo quindi ad una lettura attenta di questo breve saggio, perché riteniamo che in esso vengano
espresse idee e analisi sulle quali è opportuno meditare.
Non diversamente dalla guerra, dalle epidemie, dall'analfabetismo, l'inflazione è considerata alla stregua
di uno di quei flagelli contro i quali si tratta di mobilitare ogni energia e di ricorrere al migliore DDT del
momento. Il fenomeno, visto in questa prospettiva, suggerisce alcune osservazioni:
- l'atteggiamento strumentale di lotta contro il flagello lascia presupporre una conoscenza del fenomeno,
una diagnosi sicura, una teoria valida e accettata. Ora, nel caso dell'inflazione, sappiamo che non è così,
e lo dimostrano le polemiche e le analisi contraddittorie che dividono gli economisti. Quanto alle misure
prese, e malgrado il successo di alcune di esse, non si può non constatare che derivano da un procedere
a tentoni, un colpo di acceleratore seguito da un colpo di freno - il tipico stop and go - che risponde
unicamente allo scopo di mantenere il veicolo in moto e nella direzione che pareva seguire all'inizio. Si
tratta di un punto importante, sul quale sarà bene ritornare: le misure adottate sono essenzialmente di
tipo conservatore, di salvaguardia degli equilibri esistenti. Anche questa reazione difensiva accomuna,
tra l'altro, l'inflazione agli altri flagelli che l'umanità non ha mai smesso di combattere, senza per altro
capirli fino in fondo. Non meno sorprendente è la constatazione del ricorso a spiegazioni di tipo
meccanicistico nei loro riguardi: ben noto è il favore che, in materia di inflazione, continuano a
riscuotere le teorie quantitative della moneta, e il senso di rispetto che circonda i meccanismi economici.
In breve, indipendentemente dalle interpretazioni del fenomeno, i migliori rimedi usati contro l'inflazione
si dimostrano inadeguati o insufficienti, e sboccano in situazioni che, partendo da premesse teoriche
abituali, possono a buon diritto essere qualificate come irrazionali: così, ad esempio, è il caso della
stagflation, ovvero del rialzo dei prezzi in situazione di stagnazione e perfino di recessione e di
disoccupazione.
- Se i meccanismi economici non funzionano più, ciò significa con tutta evidenza che esistono dei dati
non economici che vanno presi in considerazione, dati che gli economisti tendono a collocare - talvolta
con un certo disprezzo - nella categoria dei "fattori sociologici", inglobando in un ammasso eterogeneo
i cambiamenti nei consumi, l'importanza in aumento dei gruppi di pressione, la trasformazione degli
atteggiamenti nei riguardi del lavoro, l'edonismo dei nostri contemporanei, ecc. È di questi "fattori
sociologici" che, ben inteso, si tratterà in questa sede, poiché l'inflazione sarà considerata semplicemente
come una manifestazione entro l'ordine economico di cambiamenti contro le strutture delle nostre
società, e nello stesso tempo come lo strumento atto a facilitare questi cambiamenti; alla stessa stregua
con cui guerre ed epidemie possono essere viste come regolatori d'ordine demografico ed ecologico,
nello stesso tempo segnali di pressione di crescenza in tali campi e mezzi per raggiungere nuovi equilibri.
Da questo punto di vista, sarà anche legittimo chiedersi se l'inflazione non sia uno degli effetti delle
nuove forme di competizione economica e politica che si sono sostituiti a una guerra, posta fuori
questione dai mezzi nucleari, i cui danni ricadono egualmente sulle due parti in lotta. L'inflazione
potrebbe allora configurarsi come il prezzo da pagare per partecipare a tale competizione - della quale
le società multinazionali sono protagoniste ben di più che gli stati stessi, ma in relazione con essi - e
nello stesso tempo il prezzo da pagare per adattare le istituzione e gli individui e i loro gruppi alle nuove
forme di competizione, nonché ai loro effetti.
- Il prezzo da pagare non è, naturalmente, eguale per tutti, come accade per le guerre, le carestie o
qualsiasi altro "flagello". Se l'inflazione è diventata oggi un fatti preoccupante, però, ciò accade perché
le trasformazioni di struttura alle quali esse è legata, o delle quali è l'effetto, toccano la classe dominante
stessa: si può anzi dire che l'inflazione è diventata problema, allo stesso modo in cui l'inquinamento è
diventato "problema sociale" - del quale si parla e si scrive - dal momento in cui, in parole povere, i
ricchi non hanno più potuto evitare il contatto dei poveri, e come loro hanno cominciato ad essere afflitti
dai rifiuti, dai cattivi odori, dalle acque infette. In altri termini, un problema diventa fenomeno sociale
soltanto quando tocca la classe dominante: da molto tempo la classe operaia conosce l'inquinamento
e le pressioni ambientali, sotto forma di silicosi, di promiscuità, ecc., ma non se ne parlava, perché
l'ordine sociale e la configurazione del potere non ne erano minacciati: allo stesso modo i paesi ricchi
non amano parlare della siccità in Africa o della fame in India, fattori che non modificano il loro ordine
del mondo. Ai nostri fini, si tratta di una constatazione importante, nel senso che ci segnala come le
cause dell'inflazione siano da ricercare nel cuore stesso dell'equilibrio sociale, cioè nella configurazione
del potere e delle sue modificazioni.
- Per ciò stesso si può capire perché l'inflazione sia considerata come un male, dal momento che essa
esprime uno squilibrio sociale. Questo non è però il punto di vista che noi possiamo adottare qui: per
illustrare subito la prospettiva nella quale collocheremo il fenomeno, sceglieremo un esempio relativo
a ciò che generalmente viene considerato oggi come una nuova maledizione della stirpe umana: gli
incidenti automobilistici. Dal punto di vista dell'equilibrio sociale, i circa 16.000 morti annui sulle strade
di Francia forse non rappresentano altro che il prezzo da pagare per le soddisfazioni che i cittadini
traggono dalla velocità e per la via di scarico ad una aggressività che, altrimenti incanalata, rischierebbe
di essere dannosa all'equilibrio stesso. Gli aspetti insieme lucidi e guerrieri (il gioco di sangue) sono stati
senza dubbio sottovalutati (1), ed è lecito chiedersi, sul piano della stabilità sociale, se sarebbe
desiderabile proporsi di ridurre maggiormente il numero degli incidenti, cioè di rendere più rigide le
condizioni di accesso al campo di gioco e le regole del gioco stesso. Il "flagello-automobile" presenta
numerosi punti in comune con il "flagello-inflazione"; tutti e due sembrano incontrollabili, in tutti e due
ci sono vincitori (gli speculatori, l'industria automobilistica) e vinti; le misure prese per arginarli si
rivelano troppo spesso dei palliativi (nuove autostrade e parcheggi, rialzo dei salari, ecc.) e addirittura
ottengono effetti contrari (più autostrade, più circolazione; redditi più alti, maggior pressione della
domanda, ecc.). Le radici e le motivazioni profonde dei due fenomeni rimangono opache, ma
ciononostante ci pare che possiamo ora considerarli come dei regolatori volti a ristabilire degli equilibri
a certi livelli dell'ordine sociale, così come gli altri flagelli indicati all'inizio sono anch'essi dei regolatori
ma entro l'ordine della natura, nell'equilibrio tra uomo e ambiente.
Nello stesso modo, quindi, in cui l'auto rappresenta un regolatore dell'aggressività (2), l'inflazione
sarebbe un regolatore dell'equilibrio del sistema sociale, ovvero d'un equilibrio istituzionalizzato di forze
antagoniste (classi, organizzazioni, movimenti). Il sistema, costantemente minacciato da lotte che lo
sbranano, alterazioni che lo insidiano dall'interno e pressioni cui è sottoposto dall'esterno, detiene
mediante l'inflazione un mezzo per conservare il suo equilibrio. In concreto, sotto la pressione
rivendicativa, i gruppi e classi dirigenti mollano qualche tratto di corda, innaffiano, sovvenzionano,
aumentano il potere di acquisto, in breve rendono più agile e leggero il loro dominio, mantenendo così
un equilibrio dal quale traggono profitto. Cercheremo d'altra parte di dimostrare che il ricorso
all'inflazione come politica di governo interviene nel momento in cui non sono più possibili regolatori
di altro tipo, come la guerra, o la crisi, o la repressione violenta. Ben inteso, si parla qui di inflazione
misurata, sotto certi aspetti persino controllata (almeno all'inizio), strisciante, caratteristica dei nostri
paesi occidentali sviluppati. Per contro a questa "inflazione di governo" non considereremo in questa
sede l'"inflazione galoppante", quale ha conosciuto la Germania del 1922-23 e, più recentemente, il Cile.
Questa inflazione preventiva dello squilibrio sociale sembra costituire soltanto un primo tipo, del quale,
grosso modo, si occupa la teoria classica, e che si potrebbe denonimare inflazione sistematica, nel senso
che essa rappresenta un regolatore di adattamento al sistema socio-economico. Ma, a fianco di questo
primo tipo, negli anni recenti è emersa una nuova sorgente d'inflazione, della quale dovrebbe render
conto una teoria della stagflation che ancora non è stata elaborata: si tratta dell'inflazione provocata
dai costi di costruzione di un nuovo sistema socio-economico, che sotto i nostri occhi e per la tangente
delle società multinazionali, sta sviluppando le sue ramificazioni e gettando le basi, al di sopra di
frontiere e ideologia, di quello che potremmo chiamare Blocco occidentale, conglomerato di imprese
e di stati, di maestranze e di nazioni, di dirigenti e di ministri, ma soprattutto doppio sistema,
dall'immagine istituzionale assai debole, di integrazione e di denominazione. L'inflazione in questione
è così quella che consegue alla necessità di auto-finanziamento, di massimizzazione del cash-flow (utile
netto + ammortamenti). Al contrario del primo tipo, che è di adattamento, questo secondo tipo di
inflazione è essenzialmente di crescenza, di edificazione di un mondo diverso, del quale il nostro mondo
rappresenta la materia grezza. Le potenze delle nostre nazioni industriali si erano diffusamente costruite,
non vi è dubbio, grazie all'autofinanziamento, ma si trattava soprattutto di costruzioni nazionali, le quali
hanno acquistato dimensioni internazionali solo al termine di una lunga stabilizzazione nei loro paesi di
origine. Di più, si trattava principalmente di giganti industriali, mentre i "mostri" di oggi sono
innanzitutto finanziari. Vedremo d'altra parte delle differenti forze più rilevanti ai fini del nostro
discorso, in particolare le interpretazioni ideologiche relative al prelievo del plus-valore.
In pratica, però, le due inflazioni sono difficilmente dissociabili, e reagiscono l'una sull'altra. Le nostre
società sono infatti caratterizzate dalla mescolanza di elementi del passato con quelli del futuro, dalla
penetrazione del sistema trans-nazionale in costruzione entro i nostri sistemi socio-economici nazionali.
L'azione dei nuovi sistemi di organizzazione, a margine delle istituzioni nazionali oppure utilizzandole
o fagocitandole, è ormai leggibile: i parlamenti, gli organi di stato, le istituzioni internazionali sono a
poco a poco spogliati di alcune competenze, o adoperati a nuovi fini, manovrati, pervertiti. I governi
hanno ormai perduto il controllo sulla loro moneta e sulle correnti di investimento, e stanno per perderlo
nel campo della politica dei trasporti, delle migrazioni, delle comunicazioni. Le decisioni in questi
settori, un tempo privilegio degli stati sovrani, sono sempre più influenzate dalle grandi imprese, nel
corso dei negoziati congiunti. Ma in questo campo come in altri, il discorso politico rimane in forte
ritardo, e tanto la vita politica che i programmi dei partiti rimangono centrati sull'idea dello stato-
nazione, definito da frontiere e sovrano entro i suoi confini. La stessa pratica politica, quale risulta nelle
elezioni o nei parlamenti, si trova ad essere superata dalla pratica economica, che viceversa s'innerva
sempre di più alla trama invisibile del sistema trans-nazionale. In questa compenetrazione, i sistemi
nazionali trovano nell'inflazione un mezzo per controllare le transizioni, per frenare il cambiamento, per
ritardare certe decisioni o farne accettare altre, per prolungare un equilibrio di forze sociali, di classi,
di notabili, per far sopravvivere determinate abitudini, talvolta persino una certa semplicità e bonomia.
Ma l'inflazione serve anche a combattere l'inerzia, della quale si sottovaluta sempre l'importanza e che,
di fronte alla razionalità fredda e sgarbata della tecnocrazia avanzante, tende a trosformarsi in rifiuto.
L'inflazione, in breve, si presenta allo stesso tempo come un anti-ruggine capace di sciogliere delle
sclerosi e come un fattore fluidificante del cambiamento (il linguaggio colorato di certi uomini di affari
parlerebbero qui di vaselina).
Questa inflazione di adattamento si sovrappone all'inflazione di crescenza; si può aggiungere che essa
è tanto più forte quanto più sono importanti i cambiamenti strutturali imposti dalla costruzione
dell'economia trans-nazionale. Più il mondo che sat per nascere cresce con vigore e più il sistema che
sta per sparire deve adattarsi per prolungare la sua esistenza. Fin da adesso, tuttavia, l'iniziativa
appartiene al mondo nuovo: le mode, il tono, gli stili nelle relazioni, non sono più quelli delle nostre
società nazionali. Senza dubbio le imprese, le grandi banche, le grandi compagnie di servizi, continuano
ad avere dei nomi nazionali, ma la loro gestione e il loro finanziamento hanno carattere multi-nazionale,
e i loro prodotti sono non soltanto diffusi, ma concepiti su scala planetaria. Questi prodotti, non
diversamente dalle tecniche dalle quali derivano, sono gli elementi di unificazione del mondo occidentale
sviluppato, comprese le sue idee politiche e la sua cultura. In parole povere, la società che i sociologi
hanno chiamato post-industriale ha come infrastruttura e centro nervoso il sistema trans-nazionale.
I due sistemi si incontrano prima di tutto a livello dei centri decisionali, e sotto questo aspetto le
differenze sono note. I nostri sistemi socio-politici nazionali sono leggibili attraverso statuti, dibattiti,
leggi; l'istituzionalizzazione vi compare ovunque, in tutta la sua pesantezza. Il sistema trans-nazionale,
al contrario, è invisibile, segreto; le decisioni vengono prese in comitati ristretti dei quali non restano
tracce; non è neppure necessaria la presenza fisica dei partecipanti; il sistema è un centro ed un influsso
nervoso, e mentre i nostri sistemi nazionali (e le loro costruzioni internazionali, tipo Nazioni Unite) sono
simbolizzati dalla pietra, dall'edificio, il sistema trans-nazionale è simbolizzato dall'elettronica.
L'invisibilità e la segretezza trans-nazionali hanno definito la forma dell'incontro dei due sistemi: poiché
la caratteristica generale dei negoziati, accordi e compromessi del passato è la discrezione, il pubblico
ed anche i responsabili situati sotto al livello dei grandi decisori, sono informati delle decisioni prese al
momento in cui già le loro conseguenze hanno preso forma.
La complessità raggiunta dai nostri sistemi nazionali, che si accentua di pari passo con la loro
interpretazione con il sistema trans-nazionale, milita in favore della discrezione, e nello stesso tempo la
favorisce. La fragilità dei sistemi complessi, la scarsa affidabilità di determinati elementi e la loro
possibilità di bloccare un intero settore di attività (addetti ai trasporti ed al traffico aereo, ecc.), la
rapidità di reazione dei gruppi di pressione e delle organizzazioni di tutela professionale, costringono
i decisori nel segreto dei loro uffici. D'altra parte, la complessità e la molteplicità dei centri decisionali
e delle istanze e parti coinvolte, contribuiscono a favorire la segretezza, a tal punto e così bene che
molte volte non si sa più chi decide e che cosa (l'universo dell'urbanistica e dell'edilizia è un valido
esempio). Vedremo a questo proposito come la complessità del sistema lo porti naturalmente, e per la
propria conservazione, a decentralizzare le decisioni ed a conferire maggior autonomia ad alcuni dei suoi
elementi: la decentralizzazione e la regionalizzazione, come l'autonomia delle équipes di lavoro
nell'industria e persino l'autogestione, corrispondono in realtà ad una domanda del sistema al fine di
rafforzarsi. Di più - ed è un'altra caratteristica pure accentuata dalla interpretazione dei due sistemi -
diviene via via più difficile per i decisori stessi l'introduzione di cambiamenti rilevanti, poiché ogni
campo d'attività è già contrassegnato da innumerevoli decisioni precedenti diventate regolamenti, vero
groviglio di legami tra le parti in causa: il caso più tipico, che rasenta la caricatura, è ovviamente quello
dell'agricoltura della comunità europea, il cui sviluppo dovrebbe essere guidato da una vera montagna
di disposizioni, di testi, di regole. In questo campo diventa praticamente impossibile prendere decisioni
di ampia portata, e non per caso si bloccano certe questioni spinose ricorrendo a misure distributive, la
cui spinta inflazionistica è tuttavia evidente.
Nello stesso tempo in cui sembra difficile introdurre nel sistema dei grandi cambiamenti - in Francia,
ogni volta che le vendite all'estero calano dell'un per cento, circa 20.000 posti di lavoro sono in
pericolo; questa fragilità dell'economia spiega le reticenze da parte del governo a stabilire una nuova
parità per il franco (3) - esso dimostra una sensibilità acutissima nell'individuare le perturbazioni, e una
grande agilità e rapidità di autoregolazione. È giusto, da questo punto di vista, porsi degli interrogativi
sui nuovi ruoli sostenuti dalle opposizioni e dalle contestazioni, le cui manifestazioni e rivendicazioni
servono da regolatore al sistema, un po' come lo sternuto ci avverte che una parte del nostro corpo sta
per raffreddarsi e che quindi bisogna coprirla. Il meccanismo regolatore è dunque anticipatore, in quanto
interviene prima che la crisi o la perturbazione in vista si scateni. Un valido e recente esempio di questa
sensibilità di individuazione e di rapidità di risposta lo si può vedere nella rivendicazione dello SMIG
(salario minimo indicizzato garantito) sulla base di 1.000 franchi, la cui rapida soddisfazione ha oltre
tutto privato i sindacati di un argomento di mobilitazione. Non vi è dubbio che l'aumento, nelle
condizioni in cui è stato concesso, abbia avuto portata inflazionistica: più di questo elemento, però, va
sottolineato il ruolo sostenuto dall'inflazione in quanto mezzo di governo e strumento regolatore.
A fianco di queste rivendicazioni facilmente negoziate e soddisfatte, ci sono ben altri tipi di
contestazione regolati dalla repressione. Ma si tratta in questi casi di sopravvivenze del passato, che
traducono l'insufficienza dello sviluppo del sistema in campi nei quali le nuove forme di integrazione
sociale sono ancora in embrione - stile di vita, tempo libero, cultura - e nei confronti dei quali tutta una
frazione della popolazione (e quindi dell'elettorato), minacciata dal cambiamento e sentendo il bisogno
di attaccarsi a vecchi valori e certezze del passato, si aspetta precisamente questo tipo di risposta
brutale.
L'inflazione si presenta dunque come il prezzo da pagare per la regolazione di un sistema socio-economico che abbia raggiunto l'alto grado di complessità caratteristico della società post-industriale,
così come la crisi economica di un tempo era il prezzo da pagare per i disturbi di crescenza delle società
industriali, e come la guerra era il prezzo da pagare per la crescenza e l'affermazione degli stati-nazioni.
Non ne consegue, naturalmente, che ogni crisi sarà d'ora in poi evitata: il maggio 1968 fu una crisi, ed
esattamente in quei settori socio-culturali sopra citati, e per i quali i meccanismi regolatori facevano a
quel tempo difetto: non ci si deve d'altra parte stupire per il fatto che gli ultimi anni siano stati
caratterizzati dal consolidamento o l'istituzione di mezzi e organismi di individuazione del sistema
sociale (il rafforzamento delle forze di polizia, benché più vistoso, è derisorio al confronto dello sviluppo
assunto da questo tipo di prevenzione, del quale naturalmente fanno parte sia le varie forme di
animazione socio-culturale che le istituzioni di partecipazione scolastica e universitaria). In complesso,
la crisi del 1968 fu estremamente positiva per lo sviluppo della sensibilità del sistema socio-politico e
della sua capacità di auto-regolazione rapida.
Ciò non di meno lo spettro della crisi economica sopravvive nella sensibilità e nel ricordo popolare,
sentimenti probabilmente acuiti dall'inquitante novità di una prosperità senza precedenti e, benché solo
a tratti (bisogna sempre guardarsi dal sopravvalutare i turbamenti di coscienza), ravvivati
dall'informazione sulla brutalità dei regolatori naturali, quali guerre, epidemie, carestie, ecc., che
incrudeliscono alla periferia del mondo occidentale. L'elemento che appare ben più importante dal punto
di vista della sensibilità è però il diffondersi dell'ansietà, forse legata contemporaneamente alla
complessità che alla razionalità del sistema. Trattare di questo problema non significa perdere di vista
l'inflazione: in seno al settore terziario (i cui sviluppi, come si sa, hanno un'incidenza inflazionistica) la
lotta contro l'ansietà impegna un numero crescente di specialisti, animatori di ogni tipo, psicologi
dell'adattamento, sociologi dell'integrazione, tutti occupati ad adattare la gente a quel che il sistema si
aspetta da essa, e ad evitare che cada nell'apatia e nell'umor nero. Dal momento che non ricorre più alla
trascendenza per esplicarsi e legittimarsi, il sistema è costretto ad integrare la popolazione su nuove basi;
tra le quali, ben inteso, i consumi rappresentano la festa che esso cerca di tenere in piedi in permanenza.
Ne deriva l'esercito di specialisti dell'integrazione, le cui tecniche sono per altro aggiornate ed il cui
costo è ampiamente giustificato: forse che le recenti inchieste sulla felicità non indicano che una grande
maggioranza dei Francesi si dichiarano contenti?
Anche se queste inchieste sulla "felicità" possono essere dubbie sul piano tecnico, occorre egualmente
prestarvi una certa attenzione. Prima di tutto perché ci ricordano utilmente la posizione di marginalità
degli intellettuali che scrivono e dissertano dei cambiamenti sociali, e che, in parte perché sentono che
il loro ruolo sociale diminuisce e che sono sempre più tagliati fuori dai mezzi di comunicazione di massa
e dalla elaborazione delle politiche culturali, tendono ad oscurare la scena e a proiettare la loro
insoddisfazione sulla totalità della popolazione; il loro "pessimismo cosmico", come lo definisce L.
Pauwells, rischia di falsare le loro analisi, e di tale rischio bisogna tener conto. Chiedere alle persone se
sono felici significa d'altra parte sollecitarle ad un giudizio sintetico sempre più difficile da formulare,
tanto i ruoli sociali di ognuno si sono diversificati e segmentarizzati: ciascuno di noi ha delle zone di
felicità, dei "piccoli giardini" per fiorire e/o dimenticare, e anche se un senso di inutilità, di vacuità tende
ad avere il sopravvento, ci rendiamo conto che è più facile vivere nell'assurdo che poter essere liberi da
ogni senso di angoscia. Sintesi o media di questi sentimenti o di realtà contraddittorie, la felicità - come
del resto l'infelicità - non può più essere totale, ed oscilla di continuo tra la mediocrità del quotidiano,
le sue costrizioni, orari, discipline, e i "momenti buoni" arraffati qua e là, durante le vacanze o le gite,
negli incontri di famiglia o con i colleghi di lavoro (4). La felicità è in qualche modo il saldo positivo di
questa mescolanza, e si può facilmente capire come la nostra società d'integrazione si adoperi a
valorizzare le piccole cose che servono a rialzare la media. Questo senso della media è infatti anche una
delle caratteristiche delle nostre società progredite, e in particolare il fatto che gli individui dichiarano
di appartenere alla classe media con frequenza molto maggiore di quanto non lasci supporre la
distribuzione reale dei redditi: non è tanto una questione di reddito, infatti, quanto di spirito
d'appartenenza alla classe media.
Anche se i piccoli artigiani, i piccoli commercianti e i liberi professionisti sono in diminuzione in
proporzione alla popolazione attiva, gli strati salariali medi aumentano. Di più, i moderni mezzi di
integrazione sociale contribuiscono a tale aumento ed è da porre in evidenza che anche l'inflazione ha
il suo ruolo in questa evoluzione; per le famiglie di classe media, che posseggono beni di consumo di
lunga durata, un appartamento, una seconda casa, l'inflazione rappresenta una vera e propria imposta
negativa: col passare del tempo i mutui mensili da rimborsare per i beni e le comodità acquisiti pesano
sempre meno sui bilanci, i patrimoni acquistano valore, le spese affrontate oggi per gli studi dei figli
faranno di questi ultimi un ottimo investimento per un domani. Questi arricchimenti, risultato della
congiuntura inflazionistica, sono elementi che pesano fortemente nei confronti di questa media che è la
felicità, e nello stesso tempo uniformano tutta la parte di popolazione interessata, rendendola, a loro
volta, alleata fedele del sistema politico, senza interruzione gratificata da parte del potere.
Chi dice classe media dice però nello stesso tempo classe superiore e classe inferiore, così come il
concetto di proletariato implica il concetto di borghesia; il fatto che quest'ultima coppia di termini venga
a poco a poco abbandonata da chi analizza la pratica politica, è del resto un segno rivelatore del
"trionfo" delle classi medie e di quello che si potrebbe chiamare "lo spirito di classe media". Il
generalizzarsi di questo spirito entro l'intera popolazione impedisce oggi di assimilare la classe dirigente
alla sola borghesia. Il trasferimento di potere ai dirigenti stipendiati nelle imprese, e più ancora, forse,
il ruolo di parti responsabili attribuito ai gruppi professionali di ogni tipo, in seno alla concertazione
economica e sociale, rappresentano una promozione straordinaria, e in fondo recente, di elementi
provenienti dalla classe media. Ben inteso, l'essenza del potere si concentra al sommo della piramide -
il "Tout-Etat" di Jean Ferniot, o la nuova classe politica di Giles Martinet -, ma la nostra complessa
società è caratterizzata anche dal fatto che essa produce in misura crescente centri decisionali intermedi
e decentralizzati. Tutti questi livelli medi di potere politico, economico e sociale, sono anche i punti di
incontro della classe dirigente con la classe media, e i centri di irradiazione dello spirito di classe media:
l'avida sete di guadagno di origine contadina e piccolo borghese si incontra e si combina con slogans
quali "potete diventare più ricchi", elegantemente usati al vertice, la tendenza alla rispettabilità con il
rispetto dei "veri valori", con il conservatorismo, con la cultura, il desiderio di avanzamento con il gusto
del potere. In pratica, ogni moto di deconcentrazione, ogni dialogo o ogni concentrazione,
contribuiscono ad allargare il regno dello spirito di classe media, e ciò al di là delle ideologie, delle
interpretazioni, delle affiliazioni politiche tradizionali.
Nel cuore di questa somma di valori di classe media troviamo l'efficienza e la razionalità. Ovvero il
rifiuto di ogni mediazione ideologica, religioso o morale tra i fini e i mezzi. Il sistema trova in se stesso
la propria legittimità, rifiutando ogni trascendenza; è legittimo tutto quello che funziona, che riesce. Il
successo crea la norma. I valori e le interpretazioni di un tempo sono ovviamente ancora utilizzati, per
giustificare le decisioni ed aumentare la credibilità o produrre l'adesione. Il meccanismo di integrazione,
come si è detto, è impiegato precisamente a questo fine. Se però si gratta questo strato di
razionalizzazioni (in senso psicoanalitico), ecco apparire subito la razionalità e la fredda strumentalità.
Ma essendo quest'ultime delle fonti di ansietà, il sistema è costretto ad un altro sforzo di integrazione,
alla ricerca di nuove giustificazioni e nuove parole d'ordine: altrettanti palloni destinati a sgonfiarsi ben
presto, come le forme di pubblicità e di animazione, che per aver presa devono rinnovarsi senza sosta.
È del resto appassionante osservare questo inseguimento alla ricerca di temi nuovi, che si tratti del
campo commerciale, sociale, religioso o politico (quanto a quest'ultimo, dopo il motivo della
partecipazione, della regionalizzazione, della Nuova società, l'ultima "attrazione" è rappresentata dal
"programme de Provins"). Bisogna però stare attenti a non considerare questi motivi di mobilitazione
con l'occhio severo, o triste, del moralista. Che vi debbano ricorrere il commercio, la politica, il sociale
e la religione non è d'altra parte un fatto nuovo. È nuovo invece il fatto che questi temo non abbiano
più modo oggi di ancorarsi a sistemi di valori solidali e duraturi. Le parole d'ordine della politica, i nuovi
motivi sociali o religiosi si impongono con maggior difficoltà persino negli ambienti nei quali la presa
dei valori tradizionali, del rispetto per l'autorità, della solidarietà, del lavoro a regola d'arte, della
reverenza nei confronti della cultura, ecc., è rimasta ben viva, come nel mondo contadino, nella classe
operaia, nella provincia rurale. Ovunque si fa strada l'idea che il discorso è mistificatorio, che ha la
funzione di nascondere più che di chiarire, che è "pura confezione", e come tale serve più a imbrogliare
l'acquirente che a proteggere il prodotto.
Uno degli aspetti più interessanti della razionalità e del discorso che la maschera riguarda
l'immagazzinamento, l'utilizzazione e la distribuzione dei rifiuti del sistema. In termini razionali, si tratta
delle carcasse ingombranti delle automobili sia dei vecchi, cioè delle macchine e delle tecniche
obsolescenti, così come degli uomini, che sono i portatori, utilizzatori e servitori di tali tecniche. I due
decenni successivi alla seconda guerra mondiale sono contrassegnati da una razionalità totale: i rifiuti
materiali vengono abbandonati in mezzo alla natura, i vecchi vengono alloggiati più allo stretto che sia
possibile, in modo da non pesare sullo sforzo di costruire alloggi per i giovani, e vengono aiutati il meno
possibile, in modo che scompaiano al più presto. Quanto ai disoccupati, che a causa della loro
formazione superata dal progresso tecnico, non riescono a reimmettersi nel sistema produttivo, se la
sbrigano come possono. Le cose in questi ultimi anni sono cambiate, perché ormai salta agli occhi il
fatto che le montagne di rifiuti e l'inquinamento rischiano di minacciare la felicità, la salute e per
conseguenza l'integrazione della popolazione; perché ci si accorge che l'invecchiamento della
popolazione fa dei vecchi una massa elettorale che sarebbe imprudente trascurare; perché le
conseguenze degli intensi sforzi di ammodernamento, di razionalizzazione e di automazione del lavoro
sono evidenti, sotto forma di disoccupati, non recuperabili a causa della loro sotto-qualificazione o
qualificazione superata, ma che per il loro numero, diventato d'un tratto assai elevato, potrebbero
rappresentare una minaccia di agitazione sociale. I motivi della protezione della natura, della solidarietà
coi "nostri vecchi" e della promozione e formazione permanente dei lavoratori, servono a nascondere
sotto una veste umanistica e umanitaria la limitatissima portata delle misure adottate, le quali, essendo
tutte a carattere nettamente inflazionista, non possono essere spinte molto lontano. Questi tre settori,
di fatto, offrono un buon esempio dell'interpretazione delle nostre società del passato con la moderna
società in divenire. L'inflazione facilità la transizione da un sistema all'altro, e come tale non è quindi
destinata a finire domani, anche se già oggi, partendo dall'analisi di quel che sta germinando, si può
prevedere in che modo il nuovo sistema risolverà razionalmente la questione dei propri rifiuti.
(1) Ci sarebbe molto da dire non soltanto sul gioco in se stesso, ma sul modo in cui l'automobilista si
dispone a mettersi sul sentiero di guerra, sul ruolo della donna nella preparazione del viaggio, sulla
manutenzione e la preparazione delle armi, ecc.
(2) Naturalmente l'auto serve anche a spostarsi... Ma di questa funzione qui non ci occupiamo.
(3) Citato da GILBERT MATHIEU, in Le Monde del 25 agosto 1971.
(4) Prima di guastarsi e inacidirsi, la gita in campagna degli invitati nel film L'Invito, di CLAUDE
GORETTA, rappresenta uno di quei "momenti buoni" dei quali la gente comune - e, ci piaccia o meno,
voi e io - è così ghiotta.
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