Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 42
ottobre 1975


Rivista Anarchica Online

Tutti uniti, tutti insieme... ma questo non è il PCI?
di Claudia V.

Il ruolo dell'organizzazione interclassista.
La funzione dei "partiti di massa" nel processo di costruzione dello Stato democratico - Attraverso quali canali viene mediata la "volontà popolare" - Il clientelismo della DC contrapposto all'efficientismo del PCI - Come si è evoluta in questo dopoguerra la struttura organizzativa comunista

Uno degli aspetti più importanti della scalata al potere del PCI è la formazione della propria egemonia non solo all'interno delle istituzioni dello Stato, ma anche e soprattutto nella società civile: accanto alla strategia di politica interna ed estera che va dalle riforme di struttura ai rapporti diplomatici con le altre forze politiche, il partito ha sviluppato in modo particolare un certo tipo di rapporto con la propria base e con la comunità sociale in genere. Uno dei livelli di formazione di questa egemonia è rappresentato dal rapporto tra la struttura del partito e la società, in altre parole dal modo di organizzare il legame tra queste due realtà.
Per il particolare modo di organizzare la propria struttura in rapporto alla base sociale il PCI viene definito un partito di massa. Storicamente i partiti di massa si sono formati parallelamente al processo di industrializzazione, con la funzione principale di integrare nel sistema politico già esistente le forze economiche e sociali che tendevano ad opporsi alla classe dominante. In Italia il processo di industrializzazione ha caratteri particolari: alla fine dell'800 esso si svolge contemporaneamente a quello di unificazione nazionale, avviene cioè all'interno di un regime di monarchia militare e non si lega, come in altri paesi, ad una rivoluzione sociale di tipo liberale.
La classe dominante durante il processo di unificazione è formata da una coalizione tra l'aristocrazia fondiaria e i rappresentanti del mondo degli affari: commercio, banche, industrie ecc.; il sistema politico verte intorno al Parlamento al quale hanno accesso solo i rappresentanti di questa coalizione; la selezione dei rappresentanti infatti avviene secondo il censo; il diritto di voto alle elezioni spetta solo a chi dispone di un certo grado di ricchezza. Questo sistema è esclusivamente espressione del potere dell'aristocrazia e della borghesia conservatrice e ha il compito di premere sulle decisioni della monarchia: il suffragio ristretto garantisce un rapporto diretto tra Parlamento e classe dominante: i partiti quindi hanno una struttura sostanzialmente oligarchica volta a mantenere la connessione tra queste forze.
L'unificazione nazionale e l'affermazione politica di questa classe, viene però ostacolata dallo sviluppo di due tendenze opposte: la cosiddetta subcultura cattolica e quella socialista. Per capire il ruolo svolto da queste forze si deve tener conto del fatto che esse sono realtà economiche sociali e culturali ed è quindi fondamentale il loro tipo di organizzazione, il loro modo di "gestirsi".
Le due subculture sono dunque associazioni e organizzazioni "parallele" a quelle capitalistiche: in quella socialista troviamo i primi sindacati delle regioni industriali del Nord, le Camere del Lavoro e nelle regioni agrarie le leghe dei contadini, le società di mutuo soccorso e le cooperative; in quella cattolica (oltre alle organizzazioni clericali tradizionali) troviamo le scuole (che sono in gran parte di proprietà della Chiesa), le reti di leghe bianche, le società di credito agricolo ed ancora le cooperative.
I partiti di massa, che trasformeranno al momento della loro formazione il sistema politico dell'aristocrazia e della borghesia conservatrice, nascono da una tendenza organizzativa presente in queste due subculture, la tendenza autoritaria. Infatti, specialmente per quanto riguarda le associazioni socialiste, esiste un rapporto tra le forze che spingono per un'organizzazione verticistica e autoritaria delle associazioni stesse, che formano la subcultura, e la pressione ad organizzare e dare espressione politica (e potere) a queste tendenze attraverso la costituzione del partito. Al contrario, sempre nell'ambito socialista, le forze che premono per gestire, o meglio, autogestirsi in modo egualitario, rifiutano di formare un apparato di partito e agiscono in una prospettiva rivoluzionaria. Uno dei caratteri fondamentali del partito di massa è dunque comprensibile considerando il modo in cui esso si è formato: il Partito Socialista fondato nel 1892 e il Partito Popolare, che raccoglie i democratici cristiani, fondato nel 1919, si formano come organizzazioni politiche autoritarie delle tendenze associative, autoritarie, delle rispettive subculture. Il termine partiti "di massa" indica ad un tempo la nuova struttura e la nuova funzione introdotta appunto da queste organizzazioni: esse, rispetto ai partiti originari dei notabili legati ad una cerchia ristretta di forze economiche, sono in rapporto con organizzazioni sociali diffuse e numerose; non solo: la loro forza consiste nel presentarsi come organizzatori e "possessori" della volontà delle masse, nella capacità di gestire la "delega del popolo". Il principio su cui ruota il loro potere e in funzione del quale è costruita la struttura del partito è che la "volontà popolare" può essere delegata e rappresentata da organismi di mediazione: la funzione di queste istituzioni di massa è dunque di "mediare" questa volontà, ossia, nella realtà, di svuotare le lotte degli sfruttati della loro portata rivoluzionaria e integrarle nel sistema e contemporaneamente di conservare il proprio potere sfruttando appunto la "volontà popolare".
Il sistema dei partiti, per rafforzarsi, preme per una progressiva democratizzazione politica e sociale (per es. il suffragio universale) ed è quindi il punto d'appoggio, tra i più importanti, del sistema capitalista e in particolare della borghesia progressista che spinge appunto per uno sviluppo "necessariamente parallelo della borghesia industriale e del proletariato organizzato".
Ma la formazione vera e propria dei partiti di massa si realizza in Italia nel secondo dopoguerra (parallelamente al consolidarsi della democrazia rappresentativa e alla ripresa del processo di industrializzazione) nelle due forme più importanti: la DC e il PCI. Entrambe le organizzazioni si trovano di fronte al medesimo problema per l'affermazione del proprio potere come partiti di massa e cioè il rapporto con il livello di sviluppo economico, il sistema politico e la situazione sociale.
Alcune scelte sono dettate dalla differente collocazione dei due partiti all'interno del sistema politico ed alla loro natura particolare: la DC è il partito al governo e raccoglie quasi tutte le forza di tradizione cattolica, il PCI è bloccato all'opposizione, ostacolato negli anni '50 dalla guerra fredda e raccoglie le forze di sinistra sviluppatesi soprattutto durante la resistenza. Tenendo presenti questi fattori, vi sono però delle differenze di orientamento (soprattutto per quanto riguarda il PCI) che non sono strettamente vincolate alla specifica situazione politica ma rientrano in una strategia (del resto abbastanza recente) che è rivolta ad una realtà economica e sociale completamente nuova e diversa.

Le organizzazioni di base

Nell'immediato dopoguerra non esiste in Italia una cultura politica nazionale, ma continuano a svilupparsi la subcultura cattolica e quella socialista: esse giocano un ruolo importante nella fondazione del potere dei due partiti in quanto rappresentano il terreno sul quale essi formano il proprio elettorato e la base dell'organizzazione.
Il PCI, in particolare, essendo escluso dal governo ha una ragione di più per coltivare questo campo d'azione e imposta la propria politica più sulla costruzione a tempi lunghi dell'egemonia che sulla ricerca della vittoria elettorale, della maggioranza formale. Il modo di agganciarsi con la base è dunque diverso per le due organizzazioni e soprattutto è diverso il valore attribuito a questo rapporto: per il partito comunista è infatti di primaria importanza.
Il primo elemento di confronto è il legame tra l'organizzazione del partito e le associazioni economiche e sociali della subcultura: il rapporto instaurato dalla DC è di tipo clientelare: le sue basi sociali sono fornite dalle associazioni dell'Azione Cattolica, dalle parrocchie, dai Comitati Civici (oltre agli organismi clericali ereditati dall'anteguerra): nell'insieme queste associazioni, appoggiate dalla borghesia e dalle forze "moderate" del capitalismo, formano una realtà piuttosto potente e indipendente rispetto al partito, ne costituiscono un'organizzazione parallela. Il legame tra il partito e queste associazioni si realizza quindi come scambio di favori tra poteri equivalenti, nella politica di sottogoverno: la forza della DC sta infatti anche nella possibilità di distribuire incarichi di potere o di prestigio. La politica di sottogoverno condiziona anche un secondo elemento della struttura del partito e cioè il modo in cui esso forma i propri quadri e quelli dell'amministrazione: la prassi consiste nel fatto che il partito interviene nella distribuzione degli incarichi nei diversi settori statali, in primo luogo quello amministrativo: può collocare un "favorito" per controllare meglio la situazione, o perché questi è un uomo influente all'interno dell'organizzazione del partito stesso o perché e potente nella subcultura che dà la vita al partito di governo. A sua volta il partito forma i propri quadri secondo criteri di prestigio raccogliendo i membri del partito dai vertici delle associazioni "di base": il risultato è che il partito è scopertamente chiuso all'ascesa al potere e alla partecipazione politica per le persone che non facciano parte della classe dominante, la quale forma la base elettorale del partito ed è disposta a difenderlo solo in cambio di altro potere. Il potere della DC è legato allo sviluppo del capitalismo e a una struttura dello stato in cui le istituzioni contrabbandano prestigio e controllo sociale con i detentori dei mezzi di produzione: il clientelismo è anche un'espressione politica di un certo tipo di sviluppo economico.
Partendo dal primo elemento di confronto, il rapporto tra l'organizzazione del partito e le associazioni della subcultura notiamo innanzitutto che il PCI, fin dall'immediato dopoguerra, si è posto il duplice obiettivo di integrare nella propria organizzazione le associazioni socialiste già esistenti e soprattutto di crearne di nuove e di stabilire così un rapporto diretto e organico con la base.
La trasformazione della struttura del partito dal tipo marxista-leninista (rigorosamente riservato ai militanti ideologicizzati) al tipo attuale di massa è uno dei modi in cui si è concretizzato questo rapporto: il PCI ha puntato con impegno sistematico all'iscrizione in massa dei simpatizzanti e alla costituzione di organismi di base in grado di organizzare totalmente la vita dei propri iscritti.
Gli organismi a cui è attribuita la funzione di collegare organicamente il partito alla base sono le cellule e le sezioni: questi nuclei hanno infatti il compito di fornire un'organizzazione non solo politica, ma anche sociale e culturale, mediante collegamenti con il sindacato, le cooperative, i centri culturali e sportivi.
Contemporaneamente all'intensificarsi di questa attività è accaduto però, nell'evoluzione di queste cellule, un cambiamento di rotta: è mutato cioè il loro orientamento sociale e ciò rappresenta un fatto importante nei rapporti tra il partito e la società. Nel '74 era principio diffuso (del resto rispondente ad una realtà economica in gran parte ancora contadina) che le organizzazioni di massa, le società operaie, le associazioni culturali e ricreative dovessero avere vita e funzione su base territoriale: il PCI impegnò così gli anni '50 nello sforzo di organizzare tante cellule quante sono le sezioni territoriali realizzando una presenza diffusa, capillare, nella società. Intorno agli anni '60 le cellule "territoriali" sono però entrate in crisi soprattutto per la trasformazione del tipo di vita legata al consumismo, il quale tende a disgregare la base culturale e sociale nella quale agivano queste cellule. È a questo punto che interviene il cambiamento di rotta: le cellule non si orientano più secondo criteri territoriali, ma piuttosto "produttivi", cioè tendono a raccogliere i simpatizzanti secondo associazioni di interesse e per categorie professionali: si sviluppa in questo modo una delle caratteristiche distintive del PCI rispetto alla Democrazia Cristiana: il professionalismo.
Mentre per la Democrazia Cristiana il legame con l'elettorato è rappresentato dal clientelismo, per il partito comunista il legame è il professionalismo, a diversi livelli: esso impronta la formazione dei quadri dalla base al vertice. L'attività politica non è concepita come spartizione del potere in base al prestigio dei diversi settori di potere, ma è piuttosto una spartizione del potere secondo il ruolo svolto dagli iscritti nei vari settori della produzione e anzi proprio in rapporto ad essa; specialmente per quanto riguarda le amministrazioni locali, le sole con le quali il partito è in stretto contatto, non c'è stata distribuzione di cariche, ma piuttosto un reclutamento di tecnici e burocrati nelle file del partito. Questo rispetto per le regole "meritocratiche" delle organizzazioni tecnoburocratiche, già abbastanza forti per opporsi al sottogoverno DC, ha contribuito a creare un clima di fiducia e di stima nei confronti del PCI, per la sua "serietà", facendo pendere la bilancia dei professionisti in favore del partito comunista.
A questo si deve aggiungere l'impronta di efficienza che il PCI ha dato all'amministrazione del partito: il risultato è stato che riuscendo ad assimilare la subcultura socialista alla propria struttura, creando organismi propri, congiungendo amministrazione locale e attività di partito il PCI è diventato molto più forte nelle zone non proletarie della nazione, nelle quali però ha gestito il potere locale ed è riuscito nello stesso tempo ad aprirsi una nuova via al potere.
L'importanza del professionalismo sembra superare infatti i limiti della semplice azione di opposizione al partito di governo corrotto e disgregato: è possibile infatti che esso tenda a diventare un legame tra il partito e la tecnoburocrazia, non dissimile dal clientelismo che ha caratterizzato il rapporto tra la DC e il capitalismo.
Nel convegno tenuto a Torino nel '73 sul tema "Scienza e organizzazione del lavoro" gli ideologi del PCI hanno preparato un materiale di base per uno studio sui seguenti temi: l'organizzazione del lavoro in rapporto allo sviluppo tecnologico e scientifico; il tipo di partecipazione operaia alla lotta politica in rapporto all'organizzazione della produzione ed infine l'inserimento di questi temi all'interno della strategia della via italiana al socialismo.
Una delle proposte centrali di queste elaborazioni è di fondare un nuovo tipo di rapporto tra l'organizzazione del lavoro quale è determinato dallo sviluppo tecnologico e l'organizzazione del partito: questo rapporto risulterebbe integrando il principio della democrazia di base all'interno dell'attuale organizzazione del partito. La democrazia di base viene intesa infatti come una struttura che ha il pregio di essere fondata e di agire in diretto rapporto con le categorie professionali: le cellule ed i vari comitati costituiscono in questo senso l'espressione politica dei lavoratori inseriti nei rispettivi livelli di produzione.
Un altro aspetto importante di questa democrazia di base è quello cosiddetto sociale: una delle conquiste politiche e ideologiche del movimento operaio viene infatti indicata nel superamento delle lotte esclusivamente salariali, rivendicative, corporative ecc. in direzione di un tipo di lotta appunto sociale, cioè tale da "fondare un certo tipo di rapporto tra sindacato e lavoratori, tra lavoratori e società" "lo scopo (di queste lotte) è creare una contro-organizzazione di base che unisca la produzione alla vita sociale"; il termine "lotta sociale" indica dunque un progetto di struttura alternativa e totale, legata al partito, espressione politica della nuova organizzazione del lavoro. In questo disegno generale fa la sua comparsa un terzo elemento: il nuovo tipo di rapporto con gli intellettuali e in particolare con tecnici e tecnocrati. La democrazia diretta viene considerata l'unica base attraverso la quale la classe operaia può realizzare la sua "funzione egemone nei confronti degli intellettuali, non strumentalizzandoli occasionalmente come sostegno tecnico e scientifico ad una politica decisa dal sindacato senza una loro partecipazione, ma invece chiedendo loro una partecipazione, anche se in forma autonoma, alla formazione delle decisioni e un contributo specifico alla definizione della strategia. È questo il modo di renderli protagonisti nell'elaborazione e nell'articolazione di una politica di riforme". Ai tecnocrati quindi si propone non un ruolo subordinato, di consultazione occasionale, ma una partecipazione stabile, l'unione della funzione nel campo del lavoro con il potere politico in un partito egemone nella società.
A sostegno degli intellettuali si afferma in altri punti, recuperando la "tradizione" leninista del partito, che poiché la lotta operaia "non può restare chiusa in fabbrica e deve invece connettersi direttamente con la battaglia per la riforma e la trasformazione dell'organizzazione dell'intera società non può essere condotta avanti da una classe operaia nella sua vecchia accezione, che non inglobi in sé, nella sua stessa definizione, la scienza come forza produttiva e che quindi non abbia dei rapporti molto precisi con tutta una serie di settori tecnici, di ricercatori e così via" poiché "... o questi gruppi professionali e sociali entrano nella classe operaia, cioè fanno parte della sua lotta, oppure la classe operaia da sola non ce la fa, cade nell'unilateralità e nel corporativismo".
Il quadro che emerge da questo convegno mostra quindi, anche se solo a livello di proposta, un rapporto preciso tra un tipo di organizzazione politica in grado di articolazione secondo la gerarchia delle professioni, e cioè la democrazia diretta, una dimensione sociale (e totalitaria) dell'egemonia e un ruolo di protagonista affidato ai tecnocrati, il tutto legato alla struttura del partito.
Riportandoci, infine, ad un discorso generale sul ruolo dei partiti e del sistema politico attuale è possibile che il tipo di egemonia nella società civile così prospettata dal PCI sia anche una risposta alla crisi delle istituzioni politiche e forse la proposta per una nuova dimensione del partito. Una delle ragioni della perdita di "autorità" delle istituzioni politiche è il cambiamento avvenuto nella realtà economica e sociale: abbiamo visto che il sistema partitico è nato come espressione dei molteplici poteri e interessi sorti durante lo sviluppo e l'affermazione del capitalismo: la democrazia rappresentativa di massa, insieme con i partiti che ne sono i pilastri, è l'espressione politica di questa realtà.
Oggi la formazione delle società multinazionali, svincolate dalla volontà politica dei governi delle singole nazioni e la concentrazione in queste società del potere di pianificazione economica e politica, oltre al rafforzamento dei cosiddetti gruppi di pressione (come ad es. il sindacato, i quali tendono a risolvere le questioni economiche attraverso un rapporto diretto anziché mediato) rende sempre più superflue le diverse funzioni dell'istituzione-partito, e cioè la mediazione e il mantenimento dell'equilibrio fra i diversi poteri, l'integrazione delle masse nel sistema politico nazionale e i partiti stessi sembrano perdere la terra sotto i piedi con il mutare del concetto di delega e di rappresentanza della volontà popolare: un cambiamento, anche se parziale, della struttura del partito rispetto a questo concetto è quindi significativo per individuare in quale modo i partiti possono trasformarsi da strumento di potere del capitalismo a strumento di potere della tecnoburocrazia.
Per i partiti è quindi fondamentale il modo di rispondere alle esigenze della classe emergente e dei gruppi di pressione, è importante il tipo di struttura politica che il partito offre come una possibile organizzazione totale della nuova realtà economica. Già negli anni '60 alcuni autori individuarono i nodi che un partito attualmente deve sciogliere per realizzare il proprio potere: esso dovrebbe riuscire ad aggregare su una base sufficientemente comune di interessi le diverse categorie di lavoratori, operai, impiegati, funzionari, liberi professionisti, ecc. e ad elaborare una strategia generale che non sia troppo ideologizzata e che sia totale: e questo sembra già rientrare in buona parte nella strategia del PCI.

Claudia V.