Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 40
giugno 1975


Rivista Anarchica Online

Signorsì alla democrazia
di Claudio Venza

L'esercito italiano sta imboccando la via della ristrutturazione funzionale, abbandonando elefantiasi ed inefficienza, sue caratteristiche storiche. Il nuovo "modello di sviluppo" e la copertura ideologica fornita dai partiti di sinistra. Le tesi sull'esercito "di popolo" proposte da un ufficiale "illuminato" in un libro pubblicato col beneplacito del Ministero della Difesa.

Non è vero, come molti sostengono, che l'esercito rappresenti in Italia solo un fattore di conservazione e di reazione. L'apparato militare è certamente affetto da elefantiasi, inefficienza e intramontata nostalgia. Ma non è esclusivamente questo.
Se gran parte delle alte gerarchie sono al loro posto per connivenza con la classe politica governativa e allo scopo di gestire mafie personali, e se le gerarchie minori sopravvivono senza badare troppo al futuro, rinchiuse nei muri della caserma, non tutti gli ufficiali - in particolare i più giovani - si fermano a questo squallido cliché.
Ormai lo Stato cerca di bruciare i personaggi più compromessi mentre prepara nuovi e ben più pericolosi individui per il controllo della macchina militare. I burattini si susseguono freneticamente, come in un film eroicomico, ma il burattinaio resta calmo, freddo e lucido. La facciata rozza e arretrata, pasticciona e ridicola del militarismo attuale potrà essere sostituita anche assai prima del previsto.

Sintomi di ristrutturazione

Negli ultimi tempi è stata varata una legge di rinnovamento della Marina Militare. Con lo stanziamento di 1.000 miliardi si costruiranno nuove navi ed impianti, occupando per 10 anni circa 5.000 lavoratori. Il che automaticamente vuol dire legare un tipo di produzione industriale a certi settori sindacali alle esigenze della struttura militare. Il sindacalismo ufficiale è talmente asservito allo Stato che preme per ottenere lavoro a qualsiasi condizione anche a quella di costruire armi per i privilegiati, quelle armi che domani spareranno sui lavoratori in lotta. D'altra parte il controllo esercitato dagli autoritari sugli operai impedisce lo sviluppo di una precisa coscienza antimilitarista nelle masse. Nei cantieri esse danno periodicamente spettacolo di subordinazione e di integrazione assistendo con gioia al varo di nuovo naviglio da guerra.
Il peso delle servitù militari, che opprime centinaia e centinaia di comuni, verrà drasticamente ridotto. Entro pochi mesi le aree sottoposte dovrebbero ridursi della metà. Con questa mossa si ridimensiona un aspetto dell'esercito legato a principi strategici ormai superati e contemporaneamente si fa piazza pulita delle molte inimicizie ed ostilità dei contadini e dei pastori vessati. Agitazioni di varia forma ed intensità si sono infatti avute negli ultimi anni nelle zone più colpite: la Sardegna e il Friuli. In questa regione nord-orientale le marce antimilitariste, organizzate prima dai radicali e poi dagli anarchici, hanno puntato anche alla mobilitazione contro le limitazioni imposte dal militarismo all'uso agricolo del terreno.
Il servizio di leva è ridotto ad un anno (un anno e mezzo per la Marina) rendendo più accettabile questa corvée (1) che, grazie alla Costituzione democratica, è obbligatoria per tutti i cittadini maschi, almeno in teoria. Al tempo stesso si aumentano le esenzioni per gli ammogliati con prole, le occasioni di rancore, rabbia e insubordinazione dovrebbero ridursi con un altro provvedimento, non a caso legato alla riduzione della ferma e cioè l'anticipo della chiamata alle armi. "Carne più giovane e più fresca, cervelli meno prevenuti e più malleabili" pensano gli incaricati all'addestramento della truppa. Ultimamente numerosi giovani di leva, con preparazione culturale ed esperienza politica nettamente superiore ai sergenti di carriera, avevano creato non pochi imbarazzi nella gestione del condizionamento ideologico, affidato perlopiù ad elementi brutali ed ottusi.
In alcune zone comincia ad essere applicata la regionalizzazione del servizio militare con un risparmio dei costi, in parte a carico dell'amministrazione militare, relativi al trasferimento a centinaia e talvolta a migliaia di chilometri di distanza. Si moltiplichi il prezzo di un biglietto ferroviario per i 250.000-300.000 soldati di leva e si avrà un importo dell'ordine di non pochi miliardi (2). Il giovane in divisa restando vicina casa sopporta con minor sforzo il servizio e, casomai, sentirà vivo il ricatto del trasferimento. Famiglia e fidanzata completeranno il quadro dell'integrazione con i soliti discorsi sul bene e sul futuro della recluta non ancora inquadrata.
Gli aspetti più evidenti della violenza istituzionale, dalle carceri militari al regolamento di disciplina, verranno tra breve riesaminati e ripuliti dalle norme più barbare e screditanti. Nei piani ministeriali un assistente sociale e un lavoro obbligatorio dovrebbero trasformare i penitenziari-lager in collegi. Il bubbone così poco decorativo del S.I.D., l'organizzazione del servizio segreto, (3) andrebbe riordinato, epurato e naturalmente riproposto con, al più, un cambiamento di sigla.
In questo quadro di razionalizzazione marciante si comprende meglio il significato della legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza che permette di emarginare qualche centinaio di giovani potenzialmente refrattari dalle caserme. Essi vengono relegati in questo o in quell'ente assistenziale, dal quale non possono nuocere direttamente all'esercito e alla sua disciplina.
Siamo insomma in piena ristrutturazione e, come nel caso di una azienda in crisi (4), che si rinnova tagliando i rami secchi e potenziando quelli più promettenti dovendo fare i conti con una base sociale per lo più diffidente, è essenziale assicurarsi l'appoggio di chi rappresenta e controlla gli strati inferiori portatori di scomode incognite.

La funzione delle sinistre

Per le Forze Armate la propaganda sul loro ammodernamento diventa oggi una necessità ineluttabile, tanto più efficace in quanto può disporre della cosiddetta copertura politica. Invece di affidare la propria immagine ad un'impresa che reclamizza formaggini e lavatrici, essa ricerca disperatamente degli interlocutori ancora credibili che rilancino la sua campagna pubblicitaria. Sono le forze della sinistra, in primo luogo parlamentare, a fornirle il "nuovo modello di sviluppo" e a farlo accettare dai cittadini, contribuenti e consumatori del prodotto "difesa delle istituzioni". Il piano consiste soprattutto nella estromissione graduale di personaggi screditati e incapaci, di quei generali che non sanno gestire con successo né i colpi di Stato né i ricatti e le stragi dei servizi segreti. Contemporaneamente occorre trovare un altro staff con le stellette e presentarlo con il tricolore dell'unità nazionale interclassista. Sorge però il problema di dare un volto a questi nuovi dirigenti dell'azienda militare, una facciata democratica e riformista, costituzionale e progressista. Ma non è certamente un'impresa di poco conto.
Nell'ufficialità le tendenze predominanti sono dichiaratamente reazionarie, con simpatie mal celate verso i colleghi sudamericani o spagnoli (5). I pochi generali intelligenti e perciò disponibili ad un rinnovamento dell'apparato vengono corteggiati e contesi, con la promessa di favori di vario genere, sia dai partiti di sinistra che da quelli di centro (6).
L'esercito, dopo aver allevato a migliaia squadristi e spie, fascisti e provocatori, dovrebbe mettersi l'abito da festa, il vestito di circostanza, quello antifascista. Le parate d'ora in poi si faranno con colonnelli ed ex-partigiani a braccetto, le sfilate vedranno carri armati e gruppi di civili, in particolare bambini e ragazzi, quasi a scimmiottare la situazione portoghese. Le ricorrenze celebrative diverranno tutte uguali, dal 25 aprile al 4 novembre passando per il 2 giugno e quanto prima anche per il I maggio. Esercito e popolo, ufficiali e parlamentari, cappellani militari e sindacalisti, tutti insieme sorridenti, plaudenti, eccitati in un clima di esaltante patriottismo.
Perché e come lottare contro l'oppressione militare quando gli stessi esponenti più in vista del socialismo e del comunismo sono visibilmente dalla stessa parte del sistema? Quali possibilità di riuscita ha uno scontro con un nemico che appare tanto forte da essere sostenuto da tutte le forze politiche, di governo e di opposizione?
Queste domande dovrebbero porsi gli sfruttati in divisa e, in base a valutazioni realistiche, essi sarebbero costretti a rinunciare ad ogni progetto di ribellione, ripiegando in una sconsolata impotenza.
Non siamo ancora a questo punto, sia ben chiaro. Fermenti e sussulti continuano a turbare i sonni delle gerarchie; basti tener presente le coraggiose partecipazioni di soldati alle manifestazioni di protesta contro gli assassinii dei fascisti e della polizia. Ecco però che anche in questo caso ministero e partiti hanno denunciato l'iniziativa come provocatoria e irresponsabile preparando il terreno a repressioni in grande stile. Ricordiamo ancora l'appoggio dato in vari modi dai militari di leva alle marce antimilitariste nel Friuli-Venezia Giulia.
Neppure quei gruppi che mantengono un certo clima di agitazione nelle caserme sfuggono, malgrado certe apparenze, al piano di ristrutturazione riformista (7). Molte delle loro rivendicazioni infatti sono ancorate ad una prospettiva miopemente sindacale (rancio migliore, licenze più frequenti, paga più alta, servizi meno pesanti,...) oppure alla creazione di una rappresentanza guida (Nucleo Controllo Cucina eletto dalla truppa, "autogestione" di spacci e iniziative culturali, commissioni di verifica dell'igiene e della sicurezza in caserma,...) che lasciano intatta la struttura gerarchica la quale annulla e recupera questi presunti obiettivi di limitazione dello sfruttamento. I gravi sacrifici in conseguenza di una repressione bieca non impediscono che tutto questo sia usato per il puro e semplice riordinamento del potere militare.

Esercito "autogestito"?

In questo ambito risulta particolarmente interessante ed esemplare la proposta fatta da Rodolfo Guiscardo, un ufficiale in servizio permanente effettivo, in un libro pubblicato con l'imprimatur del Ministero della Difesa (8). Questa giovane speranza si rivela un acceso sostenitore di "Quell'esercito che definiamo e definiremo "popolo" per significare l'adesione che ad esso sempre più daranno autonomamente e consapevolmente le masse popolari" (9).
Egli è convinto che "i giovani ufficiali, la base, i quadri tutti, sono in gran parte maturi per tale nuovo, importante, fruttuoso dialogo e mature appaiono sempre più le forze democratiche. Tale dialogo è determinante per l'equilibrio costituzionale del paese affinché le Forze Armate possano divenire sempre più aperte e moderne proprio per essere più efficienti e per non isolarsi in un pericoloso ghetto psicologico e culturale" (10). Cosa ha fatto in concreto questa sicura promessa in s.p.e.? Ha condotto un esperimento su campione con il beneplacito delle superiori autorità e secondo i canoni di una buona sociologia, disponendo al riguardo di un centinaio di soldati di leva. Il suo scopo era di dimostrare che "l'incremento di democrazia, naturalmente centralizzata, (...) esalterebbe il rendimento delle Forze Armate; l'accresciuta libertà di espressione (sic!) faciliterebbe e renderebbe maggiormente produttivo l'addestramento" (11). Ciò gli riesce incredibilmente presto e bene: i soldati si trovano in una atmosfera serena, distesa, "come in famiglia" dice uno dei meglio addestrati. Le punizioni avvengono in modo dialettico e autocritico. Tutto funziona così tranquillamente che "il gruppo esaminato si comportava meglio in assenza che in presenza del comandante". I soldati si controllavano vicendevolmente i colpevoli venivano chiamati - letteralmente - "eversori dell'ordine democratico" (12) e la truppa li voleva punire più duramente dell'ufficiale. A queste cavie veniva concessa "l'autogestione (sic!) di diversi beni: dalla televisione ai piatti, dai tavolini alle lampade, alle sedie, ai posters, ai fiori di carta" (13). I risultati furono talmente entusiasmanti che "anche i disadattati, gli indisciplinati, i nevrotici e potenziali obiettori di coscienza, immessi nel reparto, si adeguarono, sì che il campione divenne sempre più vario e interessante" (14) e "alla fine anche con i potenziali obiettori di coscienza, il dialogo fu proficuo ed essi divennero degli ottimi soldati democratici" (15).
Si è voluto analizzare questo libro perché esso rappresenta indubbiamente un'ipotesi su cui può muoversi la gerarchia militare.
Per riqualificare un istituzione in crisi ci vogliono idee al passo coi tempi, bisogna dare alla massa l'illusione di partecipare alle decisioni, di contare qualcosa di più della consueta carne da macello. Se questa manovra sarà bene calcolata e applicata si svuoterà dall'interno l'istanza rivoluzionaria meno cosciente e si ricondurrà quello che poteva diventare uno scontro letale con l'autorità in un pacato confronto fra i diversi modi di funzionamento del meccanismo del potere unanimamente dato per eterno. Una volta castrati gli sfruttati della loro volontà di emancipazione integrale sì può lasciarli "liberi"; essi ricostruiranno da soli la loro prigione e la chiameranno rifugio, ci abiteranno contenti senza uscirne più.
In questo periodo sono in molti a voler rinchiudere le aspirazioni dei giovani di leva a liberarsi dal giogo militarista nelle strettoie della richiesta difensiva, funzionale alla trasformazione efficientistica dello Stato. Tanto più cruciale e dirompente diventa perciò la lotta coerentemente antimilitarista che non vuol cogestire nessuna caserma ma agire decisamente per costruire una società a misura dell'uomo, dove caserme carceri tribunali e chiese saranno solo un ricordo d'altri tempi.

Claudio Venza

1) In questo senso il Ministero della Difesa ha seguito i suggerimenti di un parlamentare del PCI, A. D'ALESSIO, Il servizio di leva e la riduzione della ferma, sta in A. BOLDRINI e altri, Le istituzioni militari e l'ordinamento costituzionale, Atti del Convegno organizzato dal Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato - Roma, 20-21 febbraio 1974 - Editori Riuniti, 1974, p.p. 408. L'esperto del PCI per le questioni militari aveva scritto (pp. 60-61): "se i giovani non amano prestare il servizio delle armi molto è dovuto, a nostro avviso, all'arretratezza dei sistemi di addestramento, al limitato interesse del servizio che viene richiesto, non commisurato di certo al livello medio di istruzione. Anche le negative condizioni materiali e spesso di insicurezza per la salute nelle quali il servizio si svolge, costituiscono un valido motivo di malcontento e di critica".
Questo importante volume ha inaugurato una nutrita serie di pubblicazioni che attestano l'interesse e la sensibilità del PCI verso i problemi delle FF.AA.

2) Anche quest'opera di razionalizzazione era indicata dal D'ALESSIO che lamentava l'alta quota di spese relative al personale (nel 1972 si trattò di 1.218 miliardi pari al 64,15% del totale). Cfr. A. BOLDRINI e altri, op.cit., p. 55.

3) Cfr. la documentazione politica e giuridica del volumetto a cura di R. PESENTI, Le stragi del S.I.D., I generali sotto accusa, Mazzotta, 1974, pp. 135. In un certo senso si tratta della continuazione dell'inchiesta sulla Strage di Stato.

4) Notava l'amm. Henke nella sua relazione del 30 novembre 1972: "Tale amministrazione occupa 575.000 dipendenti; ha amministrato nel 1972 il 14,77% di tutte le entrate dello Stato; svolge acquisti di beni e servizi - solo per l'esercizio e l'ammodernamento - di circa 750 miliardi". Testo riportato dal D'ALESSIO, op.cit., pp. 77, n. 8.

5) Lo conferma, oltre all'univoca esperienza dei compagni che hanno fatto il servizio di leva, il recentissimo libro di G.MASSOBRIO, Bianco rosso e grigioverde. Struttura e ideologia delle Forze Armate italiane, Bertani, 1974, pp. 412. Cfr. sul tema in questione le pagine 164-169 dove vengono identificate almeno cinque tendenze politiche tra gli ufficiali. Si tratta di uno studio politico-sociologico quasi completo sul ruolo dell'E.I. oggi. Comprende in appendice il Regolamento di Disciplina Militare dal quale emerge quell'ideologia ancora borbonica che verrà presto sostituita.

6) Mentre le forze governative offrono promozioni e carriere, il PCI può fornire un lustro democratico che domani sarà molto utile. La linea di fondo di questo atteggiamento è ben riassunta da A.BOLDRINI, A. D'ALESSIO, Esercito e politica in Italia, Editori Riuniti, p. 349: "effettivamente noi pensiamo che occorra risvegliare e mobilitare la componente democratica e patriottica esistente in seno alle Forze Armate". A p. 330 viene citato un interlocutore dell'amm. R. Carlini, il quale dichiara "sono convinto che un colloquio anche critico tra ambiente militare e civile sarebbe estremamente utile, anche perché la nazione avrebbe modo di accorgersi che, contrariamente all'opinione diffusa, molti militari sono persone apertissime e colte che si interessano a tutti problemi del paese". Da notare che al Convegno del febbraio 1974 erano invitati e presero la parola un maggiore dell'esercito e un generale di squadra aerea, Nino Pasti, purtroppo ormai in pensione.

7) Nella nota della Commissione Proletari in divisa (P.I.D.) di Lotta Continua alla ristampa del libro di G. GIANNETTINI - P. RAUTI, Le mani rosse sulle Forze Armate, Savelli, 1975, pp. 125, si sostiene apertamente l'utilità di un'organizzazione di massa dei soldati per qualificare il processo di democratizzazione con l'intervento proletario. La stessa posizione è espressa da A. DE FONDULIS, Un "esercito di popolo" riformista, in Quaderni Piacentini, A. XIII, nn. 53-54, dic. 1974, pp. 223-227.

8) R. GUISCARDO, Forze Armate e democrazia, De Donato, 1974, pp. 328. Da notare che la Commissione P.I.D. di L.C. giudica la sua interpretazione solamente "ottimistica". Egli si ritiene in grado di giudicare immaturi i movimenti rivoluzionari latino-afro-americani in quanto "nonostante alcune posizioni rigorosamente marxiste subiscono influssi anarchici, sindacalisti e di altro genere" (p. 72).

9) ib., p. 59

10) ib., p. 93. Il nostro ufficialetto non può esimersi dal condannare, confortato dai suoi due amici Boldrini e D'Alessio, certi estremisti che si dilettano in azioni "velleitarie, inutili, molto spesso controproducenti per le stesse finalità di cambiamento e, quindi, sempre obiettivamente provocatorie sia dal punto di vista delle istituzioni democratiche della Repubblica sia da quello della corretta costruzione di un esercito di popolo".

11) ib., p. 126;

12) ib., p. 116;

13) ib., p. 120;

14) ib., p. 121;

15) ib., p. 123.