Rivista Anarchica Online
Signorsì alla democrazia
di Claudio Venza
L'esercito italiano sta imboccando la via della ristrutturazione funzionale, abbandonando elefantiasi ed
inefficienza, sue caratteristiche storiche. Il nuovo "modello di sviluppo" e la copertura ideologica fornita
dai partiti
di sinistra. Le tesi sull'esercito "di popolo" proposte da un ufficiale "illuminato" in un libro pubblicato col
beneplacito del Ministero della Difesa.
Non è vero, come molti sostengono, che l'esercito rappresenti in
Italia solo un fattore di conservazione e di
reazione. L'apparato militare è certamente affetto da elefantiasi, inefficienza e intramontata
nostalgia. Ma non è
esclusivamente questo. Se gran parte delle alte gerarchie sono al loro posto per connivenza con la
classe politica governativa e allo scopo
di gestire mafie personali, e se le gerarchie minori sopravvivono senza badare troppo al futuro, rinchiuse
nei muri
della caserma, non tutti gli ufficiali - in particolare i più giovani - si fermano a questo squallido
cliché. Ormai lo Stato cerca di bruciare i personaggi più compromessi
mentre prepara nuovi e ben più pericolosi individui
per il controllo della macchina militare. I burattini si susseguono freneticamente, come in un film
eroicomico, ma
il burattinaio resta calmo, freddo e lucido. La facciata rozza e arretrata, pasticciona e ridicola del
militarismo
attuale potrà essere sostituita anche assai prima del previsto.
Sintomi di ristrutturazione
Negli ultimi tempi è stata varata una legge di rinnovamento della Marina
Militare. Con lo stanziamento di 1.000
miliardi si costruiranno nuove navi ed impianti, occupando per 10 anni circa 5.000 lavoratori. Il che
automaticamente vuol dire legare un tipo di produzione industriale a certi settori sindacali alle esigenze
della
struttura militare. Il sindacalismo ufficiale è talmente asservito allo Stato che preme per ottenere
lavoro a qualsiasi
condizione anche a quella di costruire armi per i privilegiati, quelle armi che domani spareranno sui
lavoratori
in lotta. D'altra parte il controllo esercitato dagli autoritari sugli operai impedisce lo sviluppo di una
precisa
coscienza antimilitarista nelle masse. Nei cantieri esse danno periodicamente spettacolo di subordinazione
e di
integrazione assistendo con gioia al varo di nuovo naviglio da guerra. Il peso delle
servitù militari, che opprime centinaia e centinaia di comuni, verrà
drasticamente ridotto. Entro
pochi mesi le aree sottoposte dovrebbero ridursi della metà. Con questa mossa si ridimensiona
un aspetto
dell'esercito legato a principi strategici ormai superati e contemporaneamente si fa piazza pulita delle
molte
inimicizie ed ostilità dei contadini e dei pastori vessati. Agitazioni di varia forma ed
intensità si sono infatti avute
negli ultimi anni nelle zone più colpite: la Sardegna e il Friuli. In questa regione nord-orientale
le marce
antimilitariste, organizzate prima dai radicali e poi dagli anarchici, hanno puntato anche alla mobilitazione
contro
le limitazioni imposte dal militarismo all'uso agricolo del terreno. Il servizio di leva
è ridotto ad un anno (un anno e mezzo per la Marina) rendendo più accettabile
questa corvée
(1) che, grazie alla Costituzione democratica, è obbligatoria per tutti i cittadini maschi, almeno
in teoria. Al tempo
stesso si aumentano le esenzioni per gli ammogliati con prole, le occasioni di rancore, rabbia e
insubordinazione
dovrebbero ridursi con un altro provvedimento, non a caso legato alla riduzione della ferma e
cioè l'anticipo della
chiamata alle armi. "Carne più giovane e più fresca, cervelli meno prevenuti e più
malleabili" pensano gli incaricati
all'addestramento della truppa. Ultimamente numerosi giovani di leva, con preparazione culturale ed
esperienza
politica nettamente superiore ai sergenti di carriera, avevano creato non pochi imbarazzi nella gestione
del
condizionamento ideologico, affidato perlopiù ad elementi brutali ed ottusi. In alcune zone
comincia ad essere applicata la regionalizzazione del servizio militare con un risparmio dei
costi,
in parte a carico dell'amministrazione militare, relativi al trasferimento a centinaia e talvolta a migliaia di
chilometri di distanza. Si moltiplichi il prezzo di un biglietto ferroviario per i 250.000-300.000 soldati
di leva e
si avrà un importo dell'ordine di non pochi miliardi (2). Il giovane in divisa restando vicina casa
sopporta con
minor sforzo il servizio e, casomai, sentirà vivo il ricatto del trasferimento. Famiglia e fidanzata
completeranno
il quadro dell'integrazione con i soliti discorsi sul bene e sul futuro della recluta non ancora
inquadrata. Gli aspetti più evidenti della violenza istituzionale, dalle carceri militari
al regolamento di disciplina, verranno
tra breve riesaminati e ripuliti dalle norme più barbare e screditanti. Nei piani ministeriali un
assistente sociale
e un lavoro obbligatorio dovrebbero trasformare i penitenziari-lager in collegi. Il bubbone così
poco decorativo
del S.I.D., l'organizzazione del servizio segreto, (3) andrebbe riordinato, epurato e
naturalmente riproposto con,
al più, un cambiamento di sigla. In questo quadro di razionalizzazione marciante si
comprende meglio il significato della legge per il
riconoscimento dell'obiezione di coscienza che permette di emarginare qualche centinaio
di giovani
potenzialmente refrattari dalle caserme. Essi vengono relegati in questo o in quell'ente assistenziale, dal
quale non
possono nuocere direttamente all'esercito e alla sua disciplina. Siamo insomma in piena
ristrutturazione e, come nel caso di una azienda in crisi (4), che si rinnova tagliando i
rami secchi e potenziando quelli più promettenti dovendo fare i conti con una base sociale per
lo più diffidente,
è essenziale assicurarsi l'appoggio di chi rappresenta e controlla gli strati inferiori portatori di
scomode incognite.
La funzione delle sinistre
Per le Forze Armate la propaganda sul loro ammodernamento diventa oggi una necessità
ineluttabile, tanto più
efficace in quanto può disporre della cosiddetta copertura politica. Invece di affidare la propria
immagine ad
un'impresa che reclamizza formaggini e lavatrici, essa ricerca disperatamente degli interlocutori ancora
credibili
che rilancino la sua campagna pubblicitaria. Sono le forze della sinistra, in primo luogo parlamentare,
a fornirle
il "nuovo modello di sviluppo" e a farlo accettare dai cittadini, contribuenti e consumatori del prodotto
"difesa
delle istituzioni". Il piano consiste soprattutto nella estromissione graduale di personaggi screditati e
incapaci, di
quei generali che non sanno gestire con successo né i colpi di Stato né i ricatti e le stragi
dei servizi segreti.
Contemporaneamente occorre trovare un altro staff con le stellette e presentarlo con il tricolore
dell'unità
nazionale interclassista. Sorge però il problema di dare un volto a questi nuovi dirigenti
dell'azienda militare, una
facciata democratica e riformista, costituzionale e progressista. Ma non è certamente un'impresa
di poco conto. Nell'ufficialità le tendenze predominanti sono dichiaratamente reazionarie,
con simpatie mal celate verso i colleghi
sudamericani o spagnoli (5). I pochi generali intelligenti e perciò disponibili ad un rinnovamento
dell'apparato
vengono corteggiati e contesi, con la promessa di favori di vario genere, sia dai partiti di sinistra che da
quelli di
centro (6). L'esercito, dopo aver allevato a migliaia squadristi e spie, fascisti e provocatori, dovrebbe
mettersi l'abito da festa,
il vestito di circostanza, quello antifascista. Le parate d'ora in poi si faranno con colonnelli ed
ex-partigiani a
braccetto, le sfilate vedranno carri armati e gruppi di civili, in particolare bambini e ragazzi, quasi a
scimmiottare
la situazione portoghese. Le ricorrenze celebrative diverranno tutte uguali, dal 25 aprile al 4 novembre
passando
per il 2 giugno e quanto prima anche per il I maggio. Esercito e popolo, ufficiali e parlamentari,
cappellani militari
e sindacalisti, tutti insieme sorridenti, plaudenti, eccitati in un clima di esaltante
patriottismo. Perché e come lottare contro l'oppressione militare quando gli stessi esponenti
più in vista del socialismo e del
comunismo sono visibilmente dalla stessa parte del sistema? Quali possibilità di riuscita ha uno
scontro con un
nemico che appare tanto forte da essere sostenuto da tutte le forze politiche, di governo e di opposizione?
Queste domande dovrebbero porsi gli sfruttati in divisa e, in base a valutazioni realistiche, essi
sarebbero costretti
a rinunciare ad ogni progetto di ribellione, ripiegando in una sconsolata impotenza. Non siamo
ancora a questo punto, sia ben chiaro. Fermenti e sussulti continuano a turbare i sonni delle gerarchie;
basti tener presente le coraggiose partecipazioni di soldati alle manifestazioni di protesta contro gli
assassinii dei
fascisti e della polizia. Ecco però che anche in questo caso ministero e partiti hanno denunciato
l'iniziativa come
provocatoria e irresponsabile preparando il terreno a repressioni in grande stile. Ricordiamo ancora
l'appoggio
dato in vari modi dai militari di leva alle marce antimilitariste nel Friuli-Venezia Giulia. Neppure quei
gruppi che mantengono un certo clima di agitazione nelle caserme sfuggono, malgrado certe
apparenze, al piano di ristrutturazione riformista (7). Molte delle loro rivendicazioni infatti sono ancorate
ad una
prospettiva miopemente sindacale (rancio migliore, licenze più frequenti, paga più alta,
servizi meno pesanti,...)
oppure alla creazione di una rappresentanza guida (Nucleo Controllo Cucina eletto dalla truppa,
"autogestione"
di spacci e iniziative culturali, commissioni di verifica dell'igiene e della sicurezza in caserma,...) che
lasciano
intatta la struttura gerarchica la quale annulla e recupera questi presunti obiettivi di limitazione dello
sfruttamento. I gravi sacrifici in conseguenza di una repressione bieca non impediscono che tutto questo
sia usato
per il puro e semplice riordinamento del potere militare.
Esercito "autogestito"?
In questo ambito risulta particolarmente interessante ed esemplare la proposta fatta da Rodolfo
Guiscardo, un
ufficiale in servizio permanente effettivo, in un libro pubblicato con l'imprimatur del
Ministero della Difesa (8).
Questa giovane speranza si rivela un acceso sostenitore di "Quell'esercito che definiamo e
definiremo "popolo"
per significare l'adesione che ad esso sempre più daranno autonomamente e consapevolmente
le masse
popolari" (9). Egli è convinto che "i giovani ufficiali, la base, i quadri tutti,
sono in gran parte maturi per tale nuovo,
importante, fruttuoso dialogo e mature appaiono sempre più le forze democratiche. Tale dialogo
è
determinante per l'equilibrio costituzionale del paese affinché le Forze Armate possano divenire
sempre più
aperte e moderne proprio per essere più efficienti e per non isolarsi in un pericoloso ghetto
psicologico e
culturale" (10). Cosa ha fatto in concreto questa sicura promessa in s.p.e.? Ha condotto un
esperimento su
campione con il beneplacito delle superiori autorità e secondo i canoni di una buona sociologia,
disponendo al
riguardo di un centinaio di soldati di leva. Il suo scopo era di dimostrare che "l'incremento di
democrazia,
naturalmente centralizzata, (...) esalterebbe il rendimento delle Forze Armate; l'accresciuta
libertà di
espressione (sic!) faciliterebbe e renderebbe maggiormente produttivo
l'addestramento" (11). Ciò gli riesce
incredibilmente presto e bene: i soldati si trovano in una atmosfera serena, distesa, "come in famiglia"
dice uno
dei meglio addestrati. Le punizioni avvengono in modo dialettico e autocritico. Tutto funziona
così
tranquillamente che "il gruppo esaminato si comportava meglio in assenza che in presenza del
comandante".
I soldati si controllavano vicendevolmente i colpevoli venivano chiamati - letteralmente - "eversori
dell'ordine
democratico" (12) e la truppa li voleva punire più duramente dell'ufficiale. A queste cavie
veniva concessa
"l'autogestione (sic!) di diversi beni: dalla televisione ai piatti, dai tavolini alle
lampade, alle sedie, ai
posters, ai fiori di carta" (13). I risultati furono talmente entusiasmanti che "anche i
disadattati, gli
indisciplinati, i nevrotici e potenziali obiettori di coscienza, immessi nel reparto, si adeguarono, sì
che il
campione divenne sempre più vario e interessante" (14) e "alla fine anche con i
potenziali obiettori di
coscienza, il dialogo fu proficuo ed essi divennero degli ottimi soldati democratici" (15). Si
è voluto analizzare questo libro perché esso rappresenta indubbiamente un'ipotesi su cui
può muoversi la
gerarchia militare. Per riqualificare un istituzione in crisi ci vogliono idee al passo coi tempi, bisogna
dare alla massa l'illusione di
partecipare alle decisioni, di contare qualcosa di più della consueta carne da macello. Se questa
manovra sarà
bene calcolata e applicata si svuoterà dall'interno l'istanza rivoluzionaria meno cosciente e si
ricondurrà quello
che poteva diventare uno scontro letale con l'autorità in un pacato confronto fra i diversi modi
di funzionamento
del meccanismo del potere unanimamente dato per eterno. Una volta castrati gli sfruttati della loro
volontà di
emancipazione integrale sì può lasciarli "liberi"; essi ricostruiranno da soli la loro prigione
e la chiameranno
rifugio, ci abiteranno contenti senza uscirne più. In questo periodo sono in molti a voler
rinchiudere le aspirazioni dei giovani di leva a liberarsi dal giogo
militarista nelle strettoie della richiesta difensiva, funzionale alla trasformazione efficientistica dello Stato.
Tanto
più cruciale e dirompente diventa perciò la lotta coerentemente antimilitarista che non
vuol cogestire nessuna
caserma ma agire decisamente per costruire una società a misura dell'uomo, dove caserme carceri
tribunali e chiese
saranno solo un ricordo d'altri tempi.
Claudio Venza
1) In questo senso il Ministero della Difesa ha seguito i suggerimenti di un parlamentare del PCI, A.
D'ALESSIO,
Il servizio di leva e la riduzione della ferma, sta in A. BOLDRINI e altri, Le
istituzioni militari e l'ordinamento
costituzionale, Atti del Convegno organizzato dal Centro di Studi e Iniziative per la Riforma dello
Stato - Roma,
20-21 febbraio 1974 - Editori Riuniti, 1974, p.p. 408. L'esperto del PCI per le questioni militari aveva
scritto (pp.
60-61): "se i giovani non amano prestare il servizio delle armi molto è dovuto, a nostro avviso,
all'arretratezza dei
sistemi di addestramento, al limitato interesse del servizio che viene richiesto, non commisurato di certo
al livello
medio di istruzione. Anche le negative condizioni materiali e spesso di insicurezza per la salute nelle quali
il
servizio si svolge, costituiscono un valido motivo di malcontento e di critica". Questo importante
volume ha inaugurato una nutrita serie di pubblicazioni che attestano l'interesse e la sensibilità
del PCI verso i problemi delle FF.AA.
2) Anche quest'opera di razionalizzazione era indicata dal D'ALESSIO che lamentava l'alta quota
di spese
relative al personale (nel 1972 si trattò di 1.218 miliardi pari al 64,15% del totale). Cfr. A.
BOLDRINI e altri,
op.cit., p. 55.
3) Cfr. la documentazione politica e giuridica del volumetto a cura di R. PESENTI, Le stragi
del S.I.D., I
generali sotto accusa, Mazzotta, 1974, pp. 135. In un certo senso si tratta della continuazione
dell'inchiesta sulla
Strage di Stato.
4) Notava l'amm. Henke nella sua relazione del 30 novembre 1972: "Tale amministrazione
occupa 575.000
dipendenti; ha amministrato nel 1972 il 14,77% di tutte le entrate dello Stato; svolge acquisti di beni e
servizi
- solo per l'esercizio e l'ammodernamento - di circa 750 miliardi". Testo riportato dal
D'ALESSIO, op.cit.,
pp. 77, n. 8.
5) Lo conferma, oltre all'univoca esperienza dei compagni che hanno fatto il servizio di leva, il
recentissimo libro
di G.MASSOBRIO, Bianco rosso e grigioverde. Struttura e ideologia delle Forze Armate
italiane, Bertani,
1974, pp. 412. Cfr. sul tema in questione le pagine 164-169 dove vengono identificate almeno cinque
tendenze
politiche tra gli ufficiali. Si tratta di uno studio politico-sociologico quasi completo sul ruolo dell'E.I. oggi.
Comprende in appendice il Regolamento di Disciplina Militare dal quale emerge quell'ideologia ancora
borbonica
che verrà presto sostituita.
6) Mentre le forze governative offrono promozioni e carriere, il PCI può fornire un lustro
democratico che domani
sarà molto utile. La linea di fondo di questo atteggiamento è ben riassunta da
A.BOLDRINI, A. D'ALESSIO,
Esercito e politica in Italia, Editori Riuniti, p. 349: "effettivamente noi pensiamo che
occorra risvegliare e
mobilitare la componente democratica e patriottica esistente in seno alle Forze Armate". A p. 330
viene citato
un interlocutore dell'amm. R. Carlini, il quale dichiara "sono convinto che un colloquio anche
critico tra
ambiente militare e civile sarebbe estremamente utile, anche perché la nazione avrebbe modo di
accorgersi
che, contrariamente all'opinione diffusa, molti militari sono persone apertissime e colte che si interessano
a tutti problemi del paese". Da notare che al Convegno del febbraio 1974 erano invitati e presero
la parola un
maggiore dell'esercito e un generale di squadra aerea, Nino Pasti, purtroppo ormai in pensione.
7) Nella nota della Commissione Proletari in divisa (P.I.D.) di Lotta Continua alla ristampa del libro
di G.
GIANNETTINI - P. RAUTI, Le mani rosse sulle Forze Armate, Savelli, 1975, pp. 125,
si sostiene apertamente
l'utilità di un'organizzazione di massa dei soldati per qualificare il processo di democratizzazione
con l'intervento
proletario. La stessa posizione è espressa da A. DE FONDULIS, Un "esercito di popolo"
riformista, in Quaderni
Piacentini, A. XIII, nn. 53-54, dic. 1974, pp. 223-227.
8) R. GUISCARDO, Forze Armate e democrazia, De Donato, 1974, pp. 328. Da
notare che la Commissione
P.I.D. di L.C. giudica la sua interpretazione solamente "ottimistica". Egli si ritiene in grado di giudicare
immaturi
i movimenti rivoluzionari latino-afro-americani in quanto "nonostante alcune posizioni
rigorosamente marxiste
subiscono influssi anarchici, sindacalisti e di altro genere" (p. 72).
9) ib., p. 59
10) ib., p. 93. Il nostro ufficialetto non può esimersi dal condannare, confortato dai suoi due
amici Boldrini e
D'Alessio, certi estremisti che si dilettano in azioni "velleitarie, inutili, molto spesso
controproducenti per le
stesse finalità di cambiamento e, quindi, sempre obiettivamente provocatorie sia dal punto di vista
delle
istituzioni democratiche della Repubblica sia da quello della corretta costruzione di un esercito di
popolo".
11) ib., p. 126;
12) ib., p. 116;
13) ib., p. 120;
14) ib., p. 121;
15) ib., p. 123.
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