Rivista Anarchica Online


dossier

 

a cura di Massimo Ortalli


Nota dell’autore

Scopo di questa bibliografia è fornire un panorama della produzione editoriale che negli ultimi anni ha interessato il mondo dell’anarchismo. Si è considerata sia la bibliografia specifica o prodotta da case editrici anarchiche, sia quella attinente alle tematiche generali dell’anarchismo. La selezione proposta non intende ovviamente essere esaustiva.
La scelta è stata quella di segnalare, oltre ai testi di carattere storico, quelli basati su materiale documentario non circoscritto, né settoriale o troppo militante. Di conseguenza sono rimasti fuori i pamphlets propagandistici, le autoproduzioni a scarsa circolazione e di difficile reperibilità, i lavori facenti riferimento ad ambiti di intervento escludenti e non includenti. Tale criterio può, forse, apparire un limite “ideologico”, ma corrisponde soprattutto alla coerenza di una scelta metodologica finalizzata a mettere in relazione l’anarchismo con il maggior numero possibile di potenziali lettori.
Quanto ai limiti cronologici, si è preferito attenersi a criteri non troppo rigidi. La maggior parte dei testi citati si riferisce all’arco degli anni compresi fra il 1995 e il 2005. Questo non solo per l’attualità dei testi, ma anche per la loro sostanziale reperibilità. Si sono inseriti alcuni titoli pubblicati prima del 1995, quando ritenuti particolarmente importanti e quando dedicati ad argomenti non altrimenti presenti.
Qualcosa sicuramente è sfuggito, qualcosa, forse, non è descritto nel modo più appropriato. Si spera comunque che questa traccia bibliografica possa rivelarsi un prezioso strumento di lavoro e un utile contributo alla conoscenza dell’anarchismo, della sua storia, delle sue storie, del suo pensiero.
Che è quanto ci si era proposti.

Massimo Ortalli
massimo.ortalli@acantho.it


Primo
approccio

Per un primo approccio con la storia del movimento anarchico, converrà partire dai due volumi di Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta e Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati (Milano, Rizzoli, 1969 e 1981, poi più volte ristampati, anche recentemente, dalla stessa casa editrice), che segnano il coronamento di studi rigorosamente impostati sul piano scientifico e condotti inoltre con passione e adesione ideale. I due testi rappresentano, infatti, la prima tappa di un processo storiografico che ha avuto “l’ardire” di emanciparsi dagli schemi interpretativi della scuola marxista e dai relativi inappellabili giudizi, che hanno segnato tradizionalmente lo studio dei movimenti sociali dell’Italia unitaria.

Pier Carlo Masini

A questi andrà affiancata la più recente opera di Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano. I volume: Dalla Rivoluzione francese ad Andrea Costa; II volume: Dalle prime lotte nella Valle padana ai Fasci siciliani (Torino, Einaudi, 1993 e 1997), con la quale l’autore, rivalutando il ruolo e l’importanza delle correnti libertarie nel secondo Ottocento, ha fatto giustizia di un’impostazione storiografica partigiana che aveva sempre sottovalutato, se non mistificato, il contributo degli anarchici alla nascita del socialismo italiano.
Nel loro insieme, i tre studi ricostruiscono un quadro pressoché completo delle origini e del periodo “eroico” dell’anarchismo di lingua italiana. A margine di questi capisaldi, non per attinenza scientifica ma per completezza d’informazione, è possibile segnalare un’altra storia dell’anarchia di Alessandro Aruffo, Breve storia degli anarchici italiani. 1870-1970 (Roma, Datanews, 2005). Che sia breve non c’è il minimo dubbio, visto il numero delle pagine in relazione alla mole degli avvenimenti presi in considerazione; che sia anche storia, i dubbi non sono pochi, considerando i numerosi e spettacolari strafalcioni in cui incorre.
Va invece salutata con soddisfazione la traduzione italiana dei quattro monumentali tomi di James Guillaume, L’Internazionale. Documenti e ricordi 1864-1878, finalmente pubblicati, dopo un’attesa più che centenaria, per le edizioni Csl Di Sciullo (Chieti, 2004). Si tratta di una raccolta di documenti di prima mano, dalle risoluzioni assembleari ai verbali dei congressi, dai volantini di propaganda ai testi di divulgazione, che consente di avvicinare il modo di pensare, di esprimersi e di comunicare dei primi nuclei anarchici e internazionalisti nel lontano Ottocento.
Passando dalla teoria all’azione, va segnalato il testo Movimenti sociali e lotte politiche. Il moto anarchico del Matese, a cura di Luigi Parente (Milano, Angeli, 2001), che raccoglie gli atti del convegno di studi sul moto rivoluzionario del Matese, tenutosi a San Lupo nel 1998. Il volume ripercorre la storia del primo tentativo insurrezionale, generoso e sfortunato, che agitò il neonato stato italiano e che ebbe protagonisti Errico Malatesta, Carlo Cafiero e uno stuolo di entusiasti “banditi” romagnoli e marchigiani.
Restando ai tempi della Prima Internazionale, un’altra raccolta, a cura di Giampietro Berti, Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionario in Veneto tra Otto e Novecento (Padova, Poligrifo, 2004) raccoglie le quindici relazioni presentate al convegno omonimo tenutosi, non a caso, a Monselice, sede di uno dei primi e più attivi gruppi internazionalisti italiani.
Sempre di quegli anni, il finire del secolo, scrive Valerio Bartoloni in I fatti delle Tremiti. Una rivolta di coatti anarchici nell’Italia umbertina (Foggia, Bastogi, 1996), ricostruendo le drammatiche fasi dell’uccisione dell’anarchico Argante Salucci, avvenuta al domicilio coatto, nel corso di una rivolta innescata dalle disumane condizioni di detenzione.
Restando nell’ambito della storia generale dell’anarchismo, e proseguendo per tappe cronologiche, dopo il citato contributo di Masini, che si ferma ai primi del Novecento, va ricordato l’interessante Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla Prima guerra mondiale, scritto a quattro mani da Pier Carlo Masini e Maurizio Antonioli (Pisa, Bfs, 1999), contenente un saggio sulla Prima Internazionale e altri studi sull’anarchismo individualista e organizzatore prebellico.

Errico Malatesta nel carcere milanese di San Vittore (1921)

Un altro studio complessivo è il monumentale Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale di Giampietro Berti (Milano, Angeli, 2003), frutto di una ricerca di anni, che ha il pregio di ricostruire non solo la biografia di uno dei personaggi più importanti dell’anarchismo internazionale, ma anche la storia di quel fervido e fecondo movimento che vide Malatesta fra i suoi protagonisti per più di sessant’anni.
Se quella di Berti è una monografia che potremmo considerare definitiva su Malatesta e la sua azione rivoluzionaria, desidero segnalare inoltre, per la prosa accattivante, il vecchio lavoro di Armando Borghi, Errico Malatesta in 60 anni di lotte anarchiche, ristampato da Samizdat (Pescara) nel 1999: un ritratto intenso del periodo “eroico” dell’anarchismo italiano, vissuto in prima persona.
Guerra di Classe e Lotta Umana. L’anarchismo in Italia dal Biennio rosso alla guerra di Spagna (1919-1939) di Gigi Di Lembo (Pisa, Bfs, 2001) rappresenta il primo e più approfondito studio sulle traversie, raramente interrotte da qualche momento esaltante, vissute dagli anarchici italiani dal primo dopoguerra fino alla definitiva vittoria di Francisco Franco. È la storia del fuoriuscitismo, di anni drammatici e duri, rischiarati dalla luce della Rivoluzione Spagnola, ma fatti soprattutto di privazioni, delusioni, dolorose rotture e difficili ricomposizioni.
Curiosamente, dopo un lungo silenzio storiografico su questo periodo, è uscito, a poca distanza, un altro lavoro, Il movimento anarchico italiano nella lotta contro il fascismo 1927-1945, di Fabrizio Giulietti (Manduria, Lacaita, 2004) che riprende in considerazione, sostanzialmente, le stesse tematiche e gli stessi avvenimenti trattati da Di Lembo, arrivando però alla fine della Seconda guerra mondiale. Con un apparato documentario arricchito da un’interessante appendice, il testo contribuisce a descrivere compiutamente la fase presa in esame.
A complemento di questi, l’opuscolo di Giorgio Sacchetti pubblicato dalla livornese Sempre Avanti nel 1995, Gli anarchici contro il fascismo, tratta di alcuni degli aspetti specifici con i quali si misurò l’antifascismo libertario, ad esempio il campo di concentramento di Renicci d’Anghiari o la collaborazione con il movimento di Giustizia e Libertà.

Confinati anarchici nell’isola di Lipari (1927)

Ma perché non si pensi che il movimento anarchico sia rimasto immune, soprattutto nell’ambiente individualista, dal fascino della sirena fascista, conviene confrontarsi con l’interessante lavoro di Alessandro Luparini, Anarchici di Mussolini. Dalla sinistra al fascismo tra rivoluzione e revisionismo (Firenze, M.i.r., 2001) che ripercorre le biografie degli anarchici che, passando per l’interventismo, scelsero di schierarsi con le camicie nere. Ma nella sostanza il rapporto dei compagni di allora con la dittatura fascista fu di ben altro tenore, e lo dimostra l’abbondante letteratura, anche recente, sui reiterati tentativi di attentare alla vita di Mussolini per liberare l’Italia dalla sua soffocante dittatura. Ricordiamo il testo di Riccardo Lucetti, Gino Lucetti. L’attentato contro il Duce. 11 settembre 1926 (Carrara, Cooperativa Tipolitografica, 2000); poi Attentato al Duce (Bologna, Il Mulino, 2000), con il quale Brunella Dalla Casa ricostruisce le complesse e intricate vicende del “presunto” attentato bolognese di Anteo Zamboni; la ristampa del libro di Giuseppe Fiori, Vita e morte di Michele Schirru. L’anarchico che pensò di uccidere Mussolini (Bari, Laterza, 1990); quindi Il dito dell’anarchico. Storia dell’uomo che sognò di uccidere Mussolini di Lorenzo del Boca (Casale Monferrato, Piemme 2000), sulla figura di Lucetti; e infine il monumentale e documentatissimo Angelo Sbardellotto, scritto e pubblicato da Giuseppe Galzerano (Casalvelino, 2003), che ricostruisce la tragica vicenda dell’anarchico di Mel fucilato per aver tentato di uccidere il dittatore di Predappio.
Sulla prima opposizione anarchica al fascismo, segnalo: di Eros Francescangeli, Arditi del Popolo. Argo Secondari (1917-1922) (Roma, Odradek, 2000), di Luigi Balsamini, Gli arditi del Popolo (Casalvelino, Galzerano, 2002) e di Marco Rossi, Dall’arditismo di guerra agli arditi del popolo (Pisa, Bfs, 1997), tre lavori che hanno portato nuovi e interessanti elementi di conoscenza sull’arditismo popolare e sui suoi protagonisti, rompendo il sostanziale silenzio della storiografia ufficiale su questo movimento di resistenza armata contro le squadracce agli albori del fascismo, praticato dagli elementi più combattivi del proletariato, entusiasticamente appoggiato dagli anarchici, ma che incontrò anche l’ostilità dei dirigenti dei partiti “dell’estrema”. Ancora sull’arditismo popolare, il lavoro di Pino Cacucci, a metà strada fra narrazione e contributo storico, che rievoca felicemente in Oltretorrente (Milano, Feltrinelli, 2003) le atmosfere proletarie dell’esaltante lotta dei borghi parmigiani contro gli squadristi di Italo Balbo.
E, sempre su Parma, scritto con l’amore che le portava, Parma libertaria, di Gianni Furlotti, l’affresco di una bellissima città popolana affollata di uomini liberi, volume del quale l’autore non ha potuto purtroppo vedere le stampe, ma che la Bfs di Pisa ha ostinatamente voluto pubblicare nel 2001 come ultimo omaggio.
Sulla resistenza opposta dagli anarchici all’azione delle squadracce, c’è anche l’avvincente L’imboscata. Foiano della Chiana, 1921: un episodio di guerriglia sociale (Comune di Foiano, 2000), nel quale Giorgio Sacchetti ricostruisce, come fosse un romanzo, un’azione di opposizione al fascismo condotta da un intero paese toscano e coordinata dal locale gruppo anarchico.
Passando alla Resistenza e alla guerra di liberazione, per un quadro completo del ruolo degli anarchici nella lotta contro il nazifascismo, sarebbe sufficiente la riedizione de La Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo (Milano, Zero in condotta, 2005) che raccoglie i saggi di diversi autori (G. Manfredonia, I. Rossi, M. Rossi, G. Sacchetti, F. Schirone e C. Venza) sulle vicende “militari” e politiche che videro impegnati i partigiani libertari, con allegato un cd contenente fotografie, riproduzioni di documenti della lotta clandestina, immagini delle lapidi dedicate ai compagni caduti nella lotta, e alcune canzoni tratte dal repertorio dell’antifascismo anarchico.
Come esempio di storia locale, va citato il lavoro di Anna Marsilii, Il movimento anarchico a Genova (1943-1950) (Genova, Annexia, 2004) che, grazie a un’accurata ricerca d’archivio e riprendendo gli studi di Guido Barroero, riporta alla luce le ricche ma sostanzialmente inedite vicende del forte movimento comunista-anarchico genovese negli anni cruciali della Resistenza e della ricostruzione.
Per venire ad anni più recenti, le editrici di area anarchica sono impegnate a promuovere lavori sulla storia (fino a poco fa in gran parte inedita) del movimento anarchico nel secondo dopoguerra.

Carrara, agosto 1968 – Congresso internazionale anarchico

Ecco così la nuova edizione del testo Il ruolo dell’organizzazione anarchica di Gino Cerrito (Pescara, Samizdat, 1998), già uscito nel 1973, che affronta i problemi organizzativi con i quali si è misurato l’anarchismo italiano, dal piattaformismo all’esperimento neomarxista dei Gaap, fino alle complesse stesure dei vari Patti associativi della Fai; la preziosa integrazione delle fonti operata da Giorgio Sacchetti sul vecchio lavoro di Ugo Fedeli, Congressi e convegni della Fai. 1944-1995 (sempre per i tipi di Samizdat, 2002), nel quale sono raccolte le mozioni congressuali più importanti approvate dalla Federazione Anarchica Italiana negli ultimi decenni; e infine il recentissimo Anni senza tregua. La Fai dal 1970 al 1980 (Milano, Zero in condotta, 2005), col quale due protagonisti palermitani di quella stagione di lotte, Antonio Cardella e Ludovico Fenech, scrivono un primo capitolo di quella “storia della Fai” di cui in molti, ci si perdoni lo spirito di parte, avvertiamo la mancanza. E, data l’attenzione con la quale è affrontato il periodo della “rinascita” della Fai e l’interesse che questa lettura può avere non solo per i militanti, c’è da augurarsi che questi volumi segnino l’inizio di una nuova stagione di ricerche.
Visto poi che stiamo parlando degli anni della “contestazione”, segnalo, soprattutto ai lettori più giovani e curiosi, due godibilissime opere di Diego Giachetti, Oltre il sessantotto. Prima, durante e dopo il movimento e Anni sessanta comincia la danza. Giovani, capelloni, studenti ed estremisti negli anni della contestazione (Pisa, Bfs, 1998 e 2002), entrambe capaci di spiegare, anche emotivamente (soprattutto per chi li ha vissuti) come e quanto fossero “formidabili” quegli anni, non solo sul piano politico, ma anche e soprattutto su quello esistenziale e culturale.


Piazza Fontana
e dintorni

Anni formidabili, incrinati irrimediabilmente, però, dalla stagione delle stragi, prima fra tutte quella di Piazza Fontana nel 1969.
Sono più di trenta i titoli usciti da allora sulla Strage di Stato, sull’assassinio di Pinelli e sulla detenzione di Valpreda, ma nonostante questa documentazione, una soluzione giudiziaria non la si è voluta trovare. (Come meravigliarsi, del resto?!).

Giuseppe Pinelli

Rimando comunque al testo di Luciano Lanza, fondamentale soprattutto per la chiarezza, Bombe e segreti (Milano, Elèuthera, 1997), di cui renderei obbligatoria la lettura nelle scuole; alla apprezzata ristampa del Pinelli. Una finestra sulla strage (Milano, Saggiatore, 2004), con il quale Camilla Cederna scese, usando tutto il suo carisma, la sua intelligenza e la sua sensibilità, al fianco nostro, di Pinelli e della verità; a La strage, Piazza Fontana, di Maurizio Dianese e Gianfranco Bettin (Milano, Feltrinelli, 1999); e infine al recente La strage con i capelli bianchi, titolo quanto mai significativo del libro di Paolo Barbieri e Paolo Cucchiarelli (Roma, Editori Riuniti, 2003).
Anche se muovendo da prospettive diverse, si coglie in tutti l’indignazione purtroppo impotente nei confronti dell’impenetrabile muro di gomma contro il quale le istituzioni hanno fatto rimbalzare le proprie colpe, insieme alla mole di materiale raccolto sulle responsabilità dei fascisti e degli apparati dello Stato. Fino alla recente sentenza della Cassazione, vergognosa, indegna e infame, che ha messo una definitiva pietra tombale su tutta la faccenda.

Il giorno di Serantini – La punizione (1973-1974). Disegno di Orio Melani

Restando a quegli anni e a quel clima, rimando al bel libro-denuncia di Fabio Cuzzola Cinque anarchici del Sud (Cosenza, Città del Sole, 2001) sulla “misteriosa” e tragica morte di cinque compagni calabresi che nei primi anni Settanta stavano indagando sulle responsabilità fasciste nella strage di Piazza Fontana; e al bellissimo, duro e struggente Il sovversivo (Pisa, Bfs, 2002), ristampa del capolavoro di Corrado Stajano che ricostruisce la storia di Franco Serantini, il giovane figlio di nessuno, massacrato di botte dalla polizia e lasciato morire come un cane nel carcere Don Bosco di Pisa nel maggio del 1972. (Uno dei libri più belli che abbia mai letto!).
Per restare nel campo delle misure repressive messe in atto dal potere per reprimere le lotte più radicali di alcuni settori dell’anarchismo di oggi, è interessante la ricostruzione fatta da Tobia Imperato, Le scarpe dei suicidi. Sole Silvano Baleno e gli altri (Torino, Fenix, 2003), sul drammatico caso di Soledad Rosas ed Edoardo Massari, impegnati nella lotta contro l’Alta Velocità e morti suicidi nelle carceri torinesi dove erano stati ingiustamente ristretti.
Altrettanto “duro” è Achtung Banditen! Marco Camenisch e l’ecologismo radicale, a cura di Piero Tognoli (edizioni NN, 2004), dove si riporta una lunga intervista all’anarchico svizzero, da lunghi anni prigioniero, dapprima in Italia poi nel suo paese, dove “paga” la sua estrema tensione ecologista. Per saperne di più c’è anche Rassegnazione e complicità. Il caso Marco Camenisch (senza autore, Salorino, L’Affranchi, 1992).
Venendo ai nostri giorni, fa impressione la lettura del libro scritto a più mani, Organismi genovesamente modificati. Piccolo dizionario degli orrori (Milano, Zero in condotta, 2002), un’ampia documentazione, anche fotografica, della durissima repressione messa in atto da polizia e carabinieri in occasione della riunione del G8 nella città della Lanterna, nel luglio 2001.
Già che siamo in argomento, per una lettura diversa del cosiddetto movimento no global, segnalo l’interessante lavoro di Vittorio Giacopini, No global. Tra rivolta e retorica (Milano, Elèuthera, 2002), una delle poche voci critiche di sinistra sulle contraddizioni e i meriti di questo movimento.


Vite
di anarchici

Tornando ai temi più propriamente storici, e in particolare a quelli sugli anni più lontani, i titoli interessanti usciti in questi ultimi tempi sono tanti, a testimonianza del rinnovato interesse per la ricerca non solo da parte di studiosi di area anarchica, ma anche di storici di altre scuole.
Numerose sono, infatti, le biografie e i saggi su momenti specifici e locali dell’anarchismo.
Va segnalata in primo luogo un’opera complessiva, forse la più importante mai uscita sul movimento anarchico di lingua italiana.
Intendo parlare dei due volumi del Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, opera diretta da Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele e Pasquale Juso, curata e stampata dai compagni della Bfs di Pisa. Usciti nel 2003 e 2004 i due volumi contengono oltre duemila biografie redatte da circa un centinaio di collaboratori sparsi per l’Italia. Inutile sottolineare – del resto se ne è ampiamente parlato in numeri precedenti della rivista – l’importanza di questa opera, la sola che sia riuscita a ricostruire e raccogliere le biografie di tutti gli esponenti più significativi di uno dei movimenti della storia sociale del nostro paese.
Accostando il Dizionario ai due volumi sulla stampa periodica curati in anni lontani da Leonardo Bettini, diventa ora possibile conoscere “le opere e i giorni” della lunga e ininterrotta esperienza dell’anarchismo di lingua italiana, anche nei suoi aspetti più particolari e settoriali.
Di ben altro spessore è il classico Gli Anarchici di Cesare Lombroso, lo studio con il quale il criminologo ottocentesco avrebbe voluto ridurre la ricchezza di un intero movimento a soggetto di uno studio di psicopatologia criminale. Non vedremmo certo l’opportunità di questa riedizione (Milano, Claudio Gallone, 1998), se non fosse per l’introduzione di Francesco Novelli e la testimonianza di Pietro Valpreda.
Entrando nel merito di lavori più settoriali, riguardanti momenti particolari, entità geografiche o biografie di personaggi a vario titolo protagonisti della stagione classica dell’anarchismo, conviene partire da un’opera tanto importante quanto poco conosciuta in Italia, il bel Addio Lugano bella. Gli esuli politici nella Svizzera italiana di Maurizio Binaghi (Locarno, Dadò Editore, 2002), che già nel titolo della nostra più famosa canzone riecheggia le vicende luganesi vissute dai numerosi internazionalisti italiani esuli nell’ospitale Ticino.
Di personaggi del “mitico” internazionalismo scrive anche Claudia Bassi Angelini che, nel suo Amore e anarchia. Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi, due ravennati nella seconda metà dell’ottocento (Ravenna, Longo, 2004), ricostruisce le vicende umane e politiche di questi due romagnoli, coppia nella vita e nell’impegno sociale intensamente profuso a Firenze al nascere delle prime sezioni dell’Internazionale. Luigi Campolonghi, nel suo Amilcare Cipriani. Memorie, antico testo ristampato da Samizdat (Pescara) nel 2003, racconta la vita avventurosa di questo che fu, senz’ombra di dubbio, uno dei sovversivi più emblematici dell’Ottocento, il riminese legionario, garibaldino, comunardo, internazionalista, a lungo detenuto per fatti di sangue e di onore “rivoluzionario”.
Passando alle storie locali, daremo la precedenza a Carrara, la “capitale” riconosciuta dell’anarchismo di lingua italiana, sulle cui vicende libertarie non mancano mai nuovi contributi.

Alberto Meschi

Ecco allora l’aggiornata edizione di una vecchia tesi di laurea di Gian Maria Andrenucci, L’anarchia a Carrara dall’Unità alla crisi di fine secolo (Carrara, Società Editrice Apuana, 2005), poi la ristampa di uno dei tanti lavori di Ugo Fedeli, Anarchismo a Carrara e nei paesi del marmo (Pisa, Bfs, 1995), e il lavoro di Massimiliano Giorgi su Alberto Meschi e la Camera del Lavoro di Carrara (1911-1915) con il quale la Cooperativa Tipolitografica di Carrara, nel 1998, ha reso omaggio alla limpida figura del sindacalista fidentino Meschi, che nella città del marmo seppe dare impulso e forti forme organizzative al vivacissimo movimento anarchico locale.
Restando a Carrara, ma spostandoci al secondo dopoguerra, fa piacere vedere la ristampa di un vecchio lavoro di Rosaria Bertolucci, completamente dedicato alla figura di Ugo Mazzucchelli (Carrara, Società Editrice Apuana, 2005), senza dubbio, per la sua lunga e avventurosa esistenza, uno dei personaggi centrali e più costruttivi del movimento libertario carrarese. Sempre dalla Toscana, terra dove l’anarchismo non ha mai mancato di far sentire la sua forte voce, popolare e rivoluzionaria, provengono il recente lavoro di Giorgio Sacchetti, Presenze anarchiche nell’aretino dal XIX al XX secolo (Pescara, Samizdat, 1999), dove spicca la biografia del sindacalista imolese Attilio Sassi, ancora oggi ricordato dai figli dei minatori e degli antifascisti di Cavriglia, e l’originale opuscolo di Alberto Prugnetti, Potassa. Storia di sovversivi (Roma, Stampa Alternativa, 2003), sospeso fra la ricostruzione storica e la narrazione romanzata di straordinarie esistenze ribelli della ribelle Maremma.
Prima di abbandonare questa regione, segnalo il libro di Lelio Lagorio, Ribelli e briganti nella Toscana del Novecento. La rivolta dei fratelli Scarselli e la banda dello Zoppo in Valdelsa e nel Volterrano (Firenze, Olschki, 2002), la storia di una famiglia di anarchici portata, per la sua irriducibile opposizione allo Stato e all’avanzante fascismo, a condurre una battaglia tanto disperata quanto avventurosa.
Restando alla storiografia locale, va segnalato La polveriera d’Italia. Le origini del socialismo anarchico nel Regno di Napoli (1799-1877), di Giulio De Martino e Vincenzo Simeoli (Napoli, Liguori 2001), dal quale escono a tutto tondo le figure di Carlo Pisacane e Mikhail Bakunin, assieme a quelle dei loro seguaci che dettero vita al primo nucleo internazionalista italiano.
Mi piace poi segnalare il prezioso lavoro dei compagni abruzzesi che curano le edizioni Samizdat di Pescara e Csl Di Sciullo di Chieti.
Sono molti i testi dedicati all’Abruzzo, a dimostrazione che nelle zone “periferiche” dell’anarchismo non mancarono mai storie e personaggi talmente significativi da meritare di essere portati alla considerazione storica. Sono di Edoardo Puglielli Abruzzo rosso e nero (Chieti, Csl Di Sciullo, 2003), alla riscoperta di importanti figure di attivisti quali Carlo Tresca, Francesco Ippoliti e Umberto Postiglione, e Luigi Meta. Vita e scritti di un libertario abruzzese (Chieti, Csl Di Sciullo, 2004), la biografia, con prefazione di Gaetano Arfè, di un militante a lungo vissuto in America dove conobbe, tra gli altri, Salvemini, Cianca e Tarchiani,

Camillo Di Sciullo

Di Fabio Palombo l’esemplare biografia di Camillo Di Sciullo anarchico e tipografo di Chieti (Pescara, Samizdat, 1996) continuamente alle prese con la strisciante repressione umbertina, fra i sequestri delle sue pubblicazioni e quelli della sua persona,
sempre e solo per reati d’opinione, ritenuti evidentemente molto pericolosi.
Poi, di Francesca Piccioli, Virgilia D’Andrea, storia di un’anarchica (Chieti, Csl Di Sciullo, 2002), la più accurata biografia di questa fervente poetessa e propagandista dell’ideale, morta esule nella lontana America, ancora in giovane età, dopo un’esistenza segnata da grandi passioni e sofferenze; di Maria Lucia Calice, Gli anarchici abruzzesi nel periodo giolittiano (Pescara, Samizdat, 1999), e infine La presenza anarchica nell’aquilano, di Silvio Cicolani (Pescara, Samizdat, 1997).

Virgilia D’Andrea

Passando alla Romagna, altra terra dalla forte impronta libertaria, vanno segnalati due lavori di Alessandro Luparini, il primo sul tentativo rivoluzionario di poco precedente lo scoppio della Grande guerra, Settimana Rossa e dintorni (Ravenna, Istituto Storico della Resistenza, 2004), il secondo, a tratti perfino commovente nel ritrarre splendide e pressoché sconosciute figure proletarie, Terra di libertà. Anarchici in provincia di Ravenna (Ravenna, Montanari, 2005), volume ricco, tra l’altro, di un apparato iconografico in gran parte inedito e molto interessante. Se parliamo della Settimana rossa, dell’opposizione alla guerra di Libia e della Romagna, arriviamo al lavoro di Laura Di Marco, Il soldato che disse no alla guerra. Masetti (Santa Maria Capua Vetere, Spartaco, 2003), la biografia del muratore persicetano che per non partire per la Libia sparò al colonnello mentre concionava i soldati, la cui detenzione e le lunghe traversie giudiziarie furono da stimolo per i tentativi insurrezionali nelle Marche e nelle Romagne.

Armando Borghi

Restando in questa terra sanguigna, segnalo, anche se uscito da tempo, Armando Borghi e l’Usi di Maurizio Antonioli (Manduria, Lacaita, 1990), in cui lo studioso affronta uno dei momenti cruciali dell’esperienza sindacalista anarchica del primo Novecento, vista attraverso l’instancabile opera organizzatrice del suo primo segretario.
Continuando con le biografie, veniamo alle più importanti. Tralasciando quella di Berti su Malatesta, già citata, torniamo ad Antonioli, che nel suo Pietro Gori. Il cavaliere errante dell’anarchia (Pisa, Bfs, 1996) disegna un ritratto a tutto tondo (accompagnato da un’antologia di testi goriani sul Primo Maggio) di quello che forse è stato il più amato e venerato fra i poeti dell’ideale, come testimonia del resto la bella raccolta di poesie a lui dedicate, qui presentata per la prima volta.

Pietro Gori

Ricordo anche la ristampa del breve profilo biografico di Pietro Gori scritto da Carlo Molaschi (Pescara, Samizdat, 1999), amico e compagno di lotta dell’elbano. Di Antonio Gamberi, un poeta meno noto ma interessante come prototipo del proletario autodidatta, scrivono Franco Bertolucci e Daniele Ronco nella lunga introduzione al suo Poesie per un liberato mondo (Pisa, Bfs, 2004).
Ancora di Giampietro Berti, Francesco Saverio Merlino (1856-1930) (Milano, Angeli, 1993), altro corposo lavoro che ripercorre le tappe della vita e del pensiero di uno dei più originali e interessanti esponenti dell’anarchismo prima e del socialismo libertario poi, coetaneo e compagno di lotta e di polemiche di Errico Malatesta.
Un’altra bella biografia è quella che Luce Fabbri, a coronamento di una vita segnata dalla continuità con l’esperienza paterna, ha scritto su Luigi Fabbri storia di un uomo libero (Pisa, Bfs, 1996). Non solo la vita travagliata di questo grande anarchico, continuatore del pensiero di Malatesta, ma anche le vicende, condivise dall’autrice, di una irripetibile generazione di militanti tenacemente impegnata a combattere il fascismo e l’oppressione in nome della libertà. Particolare è il ritratto che Fabrizio Montanari traccia in Voci dal Plata. Vita e morte di Torquato Gobbi (Reggio Emilia, Bertani, 1997), ricostruendo le drammatiche vicissitudini di questo anarchico emiliano, morto suicida nel 1936 a Montevideo dove condivideva l’esilio con l’amico e compagno Luigi Fabbri.
È un’altra figura “minore” quella riportata alla luce da Giuseppe Galzerano in Vincenzo Perrone. Vita e lotte, esilio e morte dell’anarchico salernitano volontario della libertà in Spagna (Casalvelino, Galzerano, 1999), che la morte nella battaglia di Monte Pelato rende emblematica della sorte collettiva di un’intera generazione di militanti.

Luigi Bertoni

Segnalo poi la biografia della nobile figura di Luigi Bertoni. La coerenza di un anarchico (Lugano, La Baronata, 1997), con la quale Gianpiero Bottinelli percorre l’esemplare e ammirevole vita dell’anarchico ticinese, fondatore e redattore, per oltre mezzo secolo, del bilingue giornale ginevrino «Il Risveglio – Le Reveil». Anche questa diventa la monografia di un movimento vivace e ricco di iniziative antifasciste e antimilitariste quale fu quello svizzero, di cui fu parte attiva anche un’altra figura di cui Gianpiero Bottinelli traccia le linee biografiche nel suo Giovanni Devincenti. Il sogno di un emigrante (Lugano, La Baronata, 2001).

Camillo Berneri

Va ricordato poi l’ultimo lavoro su Camillo Berneri, di Carlo De Maria, Camillo Berneri tra anarchismo e liberalismo (Milano, Angeli, 2004), con il quale, in tempi di revisionismo storico imperante, mi sembra si intenda perseguire lo “strano” disegno di fare del rivoluzionario Berneri, ucciso anche e soprattutto per la sua intransigenza rivoluzionaria dai sicari di Stalin in Spagna, un eroe del pensiero liberale e un affossatore dell’anarchismo “tradizionale”. (Ma così, a quanto pare, dev’essere per queste nuove scuole storiografiche!).
Nessuna materia di revisionismo storico dovrebbe essere offerta (ma non si può mai dire!) dalle figure di Giovanni Passannante e di Gaetano Bresci, alle quali si è dedicato Giuseppe Galzerano (Casalvelino, Galzerano, 1997 e 2001). Due monumentali opere nelle quali l’autore ha passato al setaccio tutto quello che è stato scritto, all’epoca dei fatti, sui due attentatori all’augusto re d’Italia Umberto I: il primo mancato, il secondo decisamente meno. Mentre sul secondo è famoso (troppo) il lavoro di Arrigo Petacco, L’anarchico che venne dall’America. Gaetano Bresci (ultima ed. Milano, Oscar Mondadori, 2000), e meno noto il sorprendente saggio di Leone Tolstoj, Per l’uccisione di Re Umberto (Chieti, Csl Di Sciullo, 2003), su Passannante non si sa molto, per cui è apprezzabile la curiosa pièce teatrale di Ulderico Pesce, L’innaffiatore del cervello di Passannante (Possidente, Pz, Pianetalibro 2003), che ha contribuito a riaprire il caso dei resti cerebrali del povero cuoco lucano, ancora barbaramente conservati sotto formalina al museo criminale di Roma – come i lettori di “A” hanno avuto modo di leggere – e dei quali ora si auspica una “normale” sepoltura nel paese natale.

Il regicidio di Gaetano Bresci in un dipinto di Flavio Costantini

Di un altro attentatore al re, anch’esso mancato e quindi meno conosciuto, scrive Luigi Balsamini, Antonio D’Alba. Storia di un mancato regicida (Chieti, Di Sciullo, 2004), corredandone la biografia con le ricerche sugli ambienti romani nei quali ebbe origine l’idea di sparare al sovrano.
Restando nel campo dell’“azione diretta”, che fra Ottocento e Novecento fu la risposta di non pochi anarchici alle violenze del potere, è avvincente la lettura delle Memorie di Jules Bonnot, ristampate dall’Arkiviu Serra di Guasila nel 2001 e scritte, con stile pittoresco, da Un Copain, pseudonimo del famoso giornalista Paolo Valera. Sulle avventure di Bonnot e della sua famosa banda di “rapinatori in automobile” (pare siano stati i primi, agli inizi del Novecento, a usare la macchina nel loro “lavoro”) ricordo il romanzo storico di Pino Cacucci, In ogni caso nessun rimorso (rist. Milano, Feltrinelli, 2003), sulle emozionanti vicende e i controversi sentimenti di questi banditi tragici, votati alla morte.
Di altri banditi e ribelli irriducibili scrive Massimo Novelli in Cavalieri del nulla. Renzo Novatore, poeta. Sante Pollastro, bandito (Casalvelino, Galzerano, 1998), tracciando le arroventate biografie del poeta ucciso in uno scontro a fuoco con i carabinieri nel 1922 e del bandito che scontò trent’anni nelle carceri francesi e italiane.
Restando ai primi del secolo, ma spostandoci a Milano, dove particolarmente vivace fu la presenza degli anarchici individualisti di formazione stirneriana, sono quattro i libri usciti recentemente su quel periodo e quell’ambiente. Di Francesco Pellegrino, per i tipi di Derive Approdi di Roma, è uscito nel 2004 Libertà estrema. Le ultime ore dell’anarchico Bruno Filippi, il giovanissimo attentatore morto nel 1920, vittima del suo stesso ordigno, mentre cercava di farlo brillare in un lussuoso locale della Galleria di Milano. C’è poi il famoso saggio di Vincenzo Mantovani, Mazurka Blu (rist. Pescara, Samizdat, 2002), un lavoro frutto di lunghe ricerche, che ricostruisce le disgraziate vicende del disgraziato attentato al Teatro Diana nella Milano del 1921, e le tremende vicissitudini dei suoi autori, in particolare di Mariani, Boldrini e Aguggini, che pagarono la follia del loro gesto con la morte in carcere o con lunghissime detenzioni.

Leda Rafanelli

Ma, ricordandoci che non tutto l’anarchismo milanese si muoveva su queste direttrici, conforta leggere l’originale e a tratti commovente epistolario Lettere d’amore e di amicizia. La corrispondenza di Leda Rafanelli, Carlo Molaschi e Maria Rossi. Per una lettura dell’anarchismo milanese (1913-1919) (Pisa, Bfs, 2002), nel quale Mattia Granata ricostruisce la complessità e l’eterodossia dei milieu culturali anarchici nella capitale morale d’Italia. Restando a Leda Rafanelli, l’affascinante “zingara” dell’anarchia, uno dei più originali personaggi di quegli anni, il recente libro curato da Alberto Ciampi, Leda Rafanelli – Carlo Carrà. Un romanzo (Venezia, Centro Internazionale Grafica, 2005), propone documenti originali e autografi conservati presso l’Archivio Chessa-Berneri di Reggio Emilia, sul fugace amore fra Leda e il giovane simpatizzante anarchico, e grande pittore, Carlo Carrà.

Luigi Veronelli

Tornando in terra emiliana, segnalo alcune curiosità, a dimostrazione che spesso la storia, anche la grande storia, trova fondamento nell’insieme di cose più piccole, di fatti e momenti segnati dalla più semplice quotidianità. Sono usciti gli atti del recente convegno Le cucine del popolo. Atti del convegno di Massenzatico (Milano, Zero in condotta, 2005), con interventi di Fiamma Chessa, Alberto Ciampi, Federico Ferretti, Gian Andrea Pautasso, Marco Rossi, Giorgio Sacchetti e Luigi Veronelli, sulle modalità e l’inventiva con le quali le culture proletarie, anche e soprattutto in situazioni di lotta, riuscivano a soddisfare, gustosamente, le necessità alimentari di tutti i giorni.
Altrettanto interessante il materiale uscito dalle giornate di studio organizzate dal Csl Pinelli di Milano sulle infiltrazioni e le provocazioni poliziesche nei confronti degli anarchici. I contributi di Cesare Bermani, Giampietro Berti, Piero Brunello, Mimmo Franzinelli, Aldo Giannuli, Lorenzo Pezzica, Claudio Venza, raccolti in Voci di compagni. Schede di questura (Milano, Csl, 2002), rappresentano una sorta di istruttivo manuale sui sistemi di controllo dell’universo sovversivo che ancora può insegnarci molte cose.
Di argomento simile, il saggio di Giorgio Sacchetti, Sovversivi agli atti (Ragusa, La Fiaccola, 2002), che ricostruisce la storia della schedatura politica, nella fattispecie quella utilizzata fino ai giorni nostri nei confronti dei militanti libertari. Un lavoro che illustra, anche con divertente ironia, le pratiche demenziali e grottesche messe in atto dal potere statale per “controllare”, in Italia come dovunque, il movimento anarchico e gli altri movimenti sovversivi.
Terminiamo la parte storica con le biografie di tre personaggi che hanno contribuito a mantenere vivo e vitale il movimento anarchico in questo secondo dopoguerra. Tre militanti nati agli albori del Novecento che hanno dato un forte senso alla loro attività non solo durante la Rivoluzione spagnola e la lotta al fascismo, ma anche, con uguale intensità, negli anni della crisi del movimento che non si incancrenì irrimediabilmente anche grazie al loro impegno e alla loro presenza.
Costantino Cavalleri ha scritto, con affetto quasi filiale, il profilo del sardo Tomaso Serra, L’anarchico di Barrali (Guasila, Arkiviu Serra, 1992), esule antifascista, combattente in Spagna e nella Resistenza francese e, nel dopoguerra, animatore della Comunità di Barrali, nella sua Sardegna, un vero e proprio esempio di autogestione realizzata.

Scheda segnaletica di Alfonso Failla

Paolo Finzi ha ricostruito la vita di un Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986) (Ragusa, La Fiaccola, 1993), riportando nelle sue pagine non solo le esperienze di lotta di un genuino ribelle, di un uomo libero che pagò la voglia di libertà per sé e per gli altri subendo incessantemente la repressione statale (Failla è l’antifascista che ha passato il periodo più lungo al confino), ma anche i tratti umani che abbiamo potuto apprezzare quando abbiamo fatto nostre le sue idee.

Umberto Marzocchi

E, per finire, la recentissima monografia Senza frontiere. Pensiero e azione dell’anarchico Umberto Marzocchi (1900-1986) (Milano, Zero in condotta, 2005) il libro con cui Giorgio Sacchetti, a lungo suo affezionato collaboratore negli impegni internazionali, ricostruisce la vita eccezionale di un militante “come tanti”, che fino alla fine seppe trasmettere il suo prezioso, a volte determinante contributo, per affrontare e superare le travagliate vicende del nostro movimento.
Tre libri insostituibili per comprendere appieno non solo la storia, ma anche e soprattutto l’anima dell’anarchismo di lingua italiana.


Fucina
di idee

La bibliografia sul pensiero anarchico, ovvero sulla storia delle idee, deve riferirsi in primo luogo ai primi pensatori, i cosiddetti “classici”, coloro che dettero sostanza e struttura al pensiero ribelle, antiautoritario e antistatale che ha poi preso il nome di anarchismo.
Innanzitutto William Godwin, il grande pensatore radicale inglese, da molti considerato il pioniere dell’anarchismo. Elèuthera ha riproposto opportunamente, nel 1997, alcuni dei suoi testi più sintomatici, raccolti sotto il titolo L’eutanasia dello Stato, arricchiti da un interessante profilo biografico.

Pierre-Joseph Proudhon in un celebre quadro di Gustave Courbet

Di Pierre-Joseph Proudhon, colui che può essere ritenuto l’antesignano, segnaliamo Che cos’è la proprietà. Ricerche sul principio del diritto e del governo (Milano, Zero in condotta, 2000), il famoso lavoro con la famosa domanda, la cui semplice risposta, «la proprietà è un furto», avrebbe determinato e formato la coscienza egualitaria e solidaristica di tutti i movimenti sociali della sinistra. Sempre del pensatore francese, nel 2001 è uscito per Elèuthera, Critica della proprietà e dello Stato, una corposa raccolta di saggi curata da Giampietro Berti, che dimostrano l’importanza che il pensatore di Besançon avrebbe avuto per il pensiero socialista, nonostante le sue non poche contraddizioni.
Passando a Mikhail Bakunin, è doveroso iniziare con il famosissimo Stato e Anarchia (Milano, Feltrinelli, 2000) se non altro perché, mi si passi la notazione personale, fu il primo libro che, nei lontani anni Sessanta, contribuì alla mia formazione libertaria. Sempre di Bakunin, va segnalata una ricca miscellanea curata da Luca Michelini, Là dove c’è lo stato non c’è libertà (Verona, Demetra, 1996), che raccoglie testi da tutte le sue opere più importanti, e Considerazioni filosofiche sul fantasma divino, il mondo reale e l’uomo (Lugano, La Baronata, 2000), un’altra selezione di brevi testi e saggi, particolarmente utile per comprendere la personalità e la ricchezza filosofica del rivoluzionario russo, e inoltre Tre conferenze sull’anarchia, pronunciate a Saint Imier nel 1871, introdotte da Anselm Jappe e uscite per Il Manifesto nel 1996, non a caso nella collana “I grandi discorsi”.

Mikhail Bakunin visto da Xavier Poiret

Infine, La libertà degli uguali, a cura di Giampietro Berti (Milano, Elèuthera, 2000), dove vengono riproposti e commentati numerosi saggi estratti da alcune delle opere più importanti e significative del pensatore russo, tra le quali Dio e lo Stato, Catechismo del Rivoluzionario e Stato e Anarchia. Di e su Bakunin segnalo l’edizione finalmente disponibile del lavoro di Arthur Lehning, Bakunin e gli altri. Ritratti contemporanei di un rivoluzionario (Milano, Zero in condotta, 2002) che raccoglie lettere, testimonianze, notizie biografiche e curiose tranche de vie del vecchio Michele, raccontate dai grandi personaggi dell’Ottocento che incrociarono la sua strada: per citarne alcuni, Herzen, Bielinskij, Turgenev, Engels, Sand, Wagner, Marx, Reclus; mentre, su Bakunin, il suo pensiero e la sua azione, va ricordato il libro di Roberto Giulianelli, Bakunin e la rivoluzione anarchica (Casalvelino, Galzerano, 1998).
A dimostrazione, infine, dell’interesse che il rivoluzionario russo suscita ancora, e non solo fra i militanti, il ponderoso L’etica (Torino, Ananke, 2003): una raccolta di scritti prefati, commentati e chiosati con attenzione e competenza da Carlo Genova.

Piotr Kropotkin

Dopo Bakunin, Piotr Kropotkin, il principe russo che, grazie anche alla solida formazione scientifica, cercò di dare sistematicità alle teorie anarchiche. Due i testi, relativamente recenti, stampati in questi anni: il primo è il noto Ai Giovani, una sorta di accorata invettiva e incitamento morale, del quale la Fiaccola di Ragusa, nel 1997, ha ristampato l’ennesima edizione italiana.
Sempre dello stesso anno, ma per i tipi di Stampa Alternativa di Roma, è uscito un altro dei suoi piccoli capolavori, Morale anarchica, un testo quanto mai sedimentato fra i compagni anarchici, presso i quali non ha mai mancato di far sentire i suoi effetti benefici. Dell’anno successivo, per Elèuthera, Scienza e anarchia, anche questa un’antologia curata da Giampietro Berti, che evidenzia quanto il pensiero scientifico fortemente deterministico del nostro ne influenzasse – a volte troppo, stando a Malatesta – le teorie politiche e sociali.

Elisée Reclus

Per restare ai grandi, Natura e società. Scritti di geografia sovversiva è l’unico testo di Elisée Reclus uscito in questi anni (ma siamo in attesa delle celebrazioni del centenario), e ne va dato atto ad Elèuthera che, nel 1999, ha riproposto alcuni scritti (tra i quali il bellissimo A mio fratello contadino) del grande geografo, rivoluzionario e protagonista della Comune parigina. Non di Stirner, ma su Stirner, La città degli unici. Individualismo, nichilismo, anomia (Torino, Giappichelli, 2001) di Enrico Ferri, apprezzato studioso di questo eretico filosofo hegeliano, che analizza l’influenza dell’individualismo stirneriano sull’anarchismo del primo Novecento, anche in rapporto con i suoi critici e con le altre correnti filosofiche individualiste.
L’elaborazione teorica non fu opera solo di pensatori stranieri; anche in Italia fu notevole il contributo dato alla sistematizzazione dell’anarchismo, nella ricerca del necessario incontro fra teoria e pratica.
In questo senso è doveroso citare l’ennesima edizione de Il compendio del Capitale di Carlo Cafiero (Roma, Editori Riuniti, 1996), una sorta di bibbia volutamente divulgativa, apprezzata per la semplicità espositiva anche da Marx, e strumento indispensabile di approfondimento teorico per intere generazioni di militanti dell’Otto e Novecento.
Pietro Gori, il poeta dell’anarchia, di cui un tempo erano assai diffusi opuscoli e raccolte, oggi non gode della stessa fortuna editoriale. Se il suo anarchismo, intriso di idealismo e poesia, può sembrare superato, resta pur sempre molto efficace nella denuncia dei mali sociali e nella proposta di soluzioni coerentemente libertarie, come si evince anche da Addio Lugano Bella. Scritti scelti (Milano, M&B Publishing, 1996).
Veniamo ora a Malatesta, certamente la figura più importante per la vita e la storia dell’anarchismo italiano: come dimostrano, del resto, le numerose edizioni dei suoi scritti che continuano a vedere la luce. Andando in ordine cronologico, partiamo dai classici Anarchia e Il nostro Programma, ristampati da La Fiaccola di Ragusa nel 1993 e da Datanews di Roma nel 1997. Si tratta, come si sa, di due capisaldi del pensiero organizzativo anarchico, soprattutto il secondo, tuttora a base dei principi della Federazione Anarchica Italiana. Nel 1999, per i tipi di Elèuthera e la cura di Giampietro Berti, è uscita l’antologia Il buon senso della rivoluzione, una raccolta commentata degli scritti degli ultimi anni, i più maturi.
Segue la ristampa di L’autodifesa davanti alle Assise di Milano e altri scritti (Roma, Datanews, 2002), vibrante arringa trasformatasi, come sovente accadeva, in un possente atto d’accusa contro i guasti della società borghese, pronunciata davanti ai giudici milanesi nel 1921, periodo in cui Malatesta era detenuto con Borghi e Quaglino.
Piero Brunello e Pietro di Paola hanno curato Autobiografia mai scritta. Ricordi (1853-1932) (Santa Maria Capua Vetere, Spartaco, 2003), un’insieme di brani impostato in maniera originale – vi figurano infatti solo quelli caratterizzati da accenni autobiografici – che diventa così quella sorta di autobiografia che Malatesta, nonostante i solleciti, non scrisse mai. Segnaliamo inoltre ancora una collazione, Bakunin e altri scritti (Roma, Datanews, 2004) e, per le edizioni Le nubi, In vista di un avvenire che potrebbe diventare realtà (Roma, 2004) dove, come dice il titolo, la concretezza e la solidità del pensiero malatestiano si evidenziano non solo sul piano della critica all’autoritarismo e allo statalismo, ma anche su quello delle proposte operative, capaci di trasformare dalle radici le basi della società. Da ricordare infine Individuo, società, anarchia: la scelta del volontarismo etico (Roma, Edizioni e/o, 1998), un’altra raccolta di scritti tutti centrati, come ha voluto il curatore Giampietro Berti, su uno dei momenti centrali della riflessione malatestiana.

Luigi Fabbri

Se Malatesta fu il maestro, Luigi Fabbri fu l’allievo che seppe onorare, con lucida coerenza, le lezioni del “padre”. Opportunamente le edizioni Zero in condotta hanno riproposto due suoi scritti, entrambi particolarmente interessanti e attuali anche ai giorni nostri. Il primo è L’anarchismo, la libertà, la rivoluzione (Milano, 1997), il secondo è Le influenze borghesi sull’anarchismo. Saggi sulla violenza (Milano, 1998), che raccoglie per la prima volta i quattro articoli usciti nei primi anni del Novecento su «Il Pensiero», nei quali Fabbri attaccava con dura intransigenza i germi dell’individualismo amoralista e borghese e di quel cosiddetto “ravacholismo” che inquinava non pochi ambienti libertari, soprattutto milanesi, allontanandoli dall’obiettivo della Rivoluzione sociale.
Per finire con i classici, Camillo Berneri, l’antifascista più espulso d’Europa, “l’anarchico sui generis”, l’uomo d’azione, il combattente contro il fascismo in Italia e in Spagna, ma anche l’acuto, sorprendente ed eterodosso intellettuale. Qui ricordo la raccolta Umanesimo e anarchismo (Roma, Edizioni e/o, 1996) e un’altra interessante antologia, utile per comprendere il non conformismo che Berneri sapeva mettere in tutte le sue riflessioni, Anarchia e società aperta, a cura di Pietro Adamo (Milano, M&B Publishing, 2001).


Antologie e
studi complessivi

Venendo alle antologie e agli studi dedicati a vari autori, segnalo la scorrevole e utile miscellanea Aforismi dell’anarchia (Verona, Demetra, 2002), suddivisa per argomenti da Emanuele Del Medico e Andrea Dilemmi, che raccoglie brevi frasi, brani e citazioni dei più noti pensatori per una lettura immediata e fruibile.
Di tutt’altro spessore i due volumi di Giampietro Berti, Un’idea esagerata di libertà. Introduzione al pensiero anarchico (Milano, Elèuthera, 1994) e Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento (Manduria, Lacaita, 1998). Si tratta, in questo caso, di lavori di approfondimento e di analisi sulle idee, le riflessioni filosofiche e le proposte operative elaborate in quasi due secoli dai maggiori pensatori dell’anarchismo, dai precursori fino agli epigoni. Comunque, per lo stile piacevole e per il grande interesse degli argomenti, libri destinati non solo agli specialisti.
Di lettura più agevole, ma altrettanto formativa, l’ottimo lavoro di Angel J. Cappelletti, L’Idea anarchica. Dalle origini ai giorni nostri (rist. Milano, Zero in condotta, 2003), nel quale, affrontando il pensiero di Godwin, Proudhon, Bakunin, Kropotkin, Stirner e Malatesta, si dà conto della evoluzione dell’idea libertaria, della sua complessità e capacità di adattarsi al mutare delle condizioni sociali, senza perdere la coerenza delle istanze antiautoritarie.
Allo stesso contesto appartiene la ristampa di L’anarchismo attraverso i secoli (Pescara, Samizdat, 1996), il vecchio e introvabile capolavoro di Max Nettlau, “l’Erodoto dell’anarchia”, che probabilmente rappresenta il primo tentativo di dare sistematicità agli studi sull’anarchismo. Un’altra fortunata e istruttiva antologia sull’anarchismo, che rende molto efficacemente la ricchezza della storia e del pensiero anarchico, è il classico di Daniel Guerin, L’anarchismo dalla dottrina all’azione, che ebbe grande fortuna editoriale negli anni Sessanta ed è stato opportunamente ristampato (Pescara, Samizdat, 1998).
Molto utile anche Il Pensiero anarchico. Alle radici della libertà, curato da Filippo Pani e Salvo Vaccaro (Verona, Demetra, 1997), che ripercorre tutte le tappe attraverso le quali si sono sviluppati il pensiero e il movimento anarchico, analizzate per tematiche e descritte, il che non guasta, in modo scorrevole.
Di tutt’altro carattere e anche di minore spessore, comunque utile, l’antologia del pensiero libertario conservatore di matrice anglosassone, Anarchici senza bombe, curata da Alberto Mingardi e Guglielmo Piombini (Roma, Stampa Alternativa, 2001). Al di là del titolo un po’ stupido e superficiale, l’opuscolo consente di dare un rapido sguardo alle “strane” ed eterodosse teorie di Rothbard e company, che si richiamano costantemente all’anarchia ma con le quali, nonostante le strumentali intenzioni dei loro sostenitori, l’anarchismo classico e... classista ha ben poco a che spartire.
Sulle contraddizioni del “libertarismo di destra” anglosassone e sulla confusione interessata fra liberismo e libertarismo creata dagli assertori del libero mercato, interviene opportunamente Luigi Corvaglia con Psicopatologia della libertà. Lineamenti di una psicologia anarchica del sociale (Pescara, Samizdat, 2000), una “proposta di lettura trasversale e alternativa dei concetti di libertà e di dominio”.

Diverse
angolature

Come ogni altro complesso di idee che si proponga di cogliere e analizzare tutti gli aspetti della vita sociale, anche l’anarchismo, nelle sue differenti manifestazioni, si è proposto come sistema particolare e organico di analisi e di proposte.
Ispirandosi all’anarchismo e alla sua attitudine a sviscerare le tematiche sociali muovendo da differenti spunti di analisi, non sono pochi gli studi e i contributi critici, più o meno militanti, che si propongono di affrontare da diverse angolature l’interpretazione dei fenomeni sociali e offrire soluzione al problema dell’autorità e della libertà.
In questa sezione si cercherà in tal senso di passare in rassegna il “vecchio” e il “nuovo” stampato in questi anni.

Luce Fabbri

Molto interessante, innanzitutto, l’antologia degli scritti di Luce Fabbri, figlia di Luigi, morta da pochi anni dopo una vita passata in esilio in Uruguay, Una strada concreta verso l’utopia. Itinerario anarchico di fine millennio, che Samizdat ha dedicato alla acuta e intelligente saggista (Pescara, 1998). Si tratta, in gran parte, di articoli tratti da «Opcion Libertaria» – il periodico da lei fondato e che ancora esce nella capitale uruguayana – nei quali spicca la sua sorprendente capacità di riflettere sul nuovo e di cogliere implicazioni libertarie anche in fenomeni sociali apparentemente lontani. Un’altra analisi sulle dinamiche che interagiscono soprattutto con il mondo del lavoro e i suoi rapporti sociali, è l’opuscolo di Cosimo Scarinzi, L’enigma della transizione. Conflitto sociale e progetto sovversivo (Milano, Zero in condotta, 2000), una raccolta di articoli usciti su «Umanità Nova», mai banali e sempre stimolanti, sulle teorie che vanno nella direzione della trasformazione radicale dell’esistente.
Scendendo in Sicilia, si segnala la pubblicazione del Programma per l’intervento politico e sociale stilato dalla Federazione Anarchica Siciliana (Ragusa, La Fiaccola, 2004). Si tratta delle analisi sulla “fase” compiute recentemente dai compagni siciliani e opportunamente assemblate in un testo organico e maneggevole.
Un’altra raccolta di articoli, che comprende i corsivi feroci e irriverenti a firma di Sciruccazzu, è I Corsivi di Sicilia Libertaria (Ragusa, La Fiaccola, 2004), puntuali nel denunciare ogni mese, sul giornale che esce con regolarità da circa trent’anni, le malversazioni del sistema di potere siciliano. Fermandoci in Sicilia, segnalo il meritato omaggio che La Fiaccola, nel 1999, ha dedicato a uno dei suoi padri fondatori, Franco Leggio, raccogliendo in Avanti avanti con la fiaccola nel pugno e con la scure i caustici e incendiari “fuoritesto” degli innumerevoli opuscoletti da lui stampati negli anni Sessanta.

Luigi Galleani

Restando alle raccolte di articoli, ricordo il classico Faccia a faccia col nemico di Luigi Galleani, la cui prima edizione risale al 1914 e che è stato recentemente riproposto da Galzerano (Casalvelino, 2002). I lettori meno giovani ne conoscono lo stile declamatorio e ridondante, ma efficace nella virulenza contro il “nemico” e nell’esaltazione, a volte acritica, di quanti hanno dato vita e pensiero all’ideale anarchico. Di tutti i lavori di Luigi Galleani, questo resta forse la testimonianza più chiara, anche se un po’ datata, di come egli intendesse e interpretasse l’anarchismo.
Di tutt’altro segno, come stile e approccio alla realtà sociale, il testo di Salvo Vaccaro, Cruciverba. Lessico per i libertari del XXI secolo (Milano, Zero in condotta, 2001), una sorta di lemmario ragionato con il quale l’apprezzato studioso di filosofia della politica affronta con acume le “voci” che esprimono i concetti cruciali da cui “muovere verso una genealogia del pensare libertario contemporaneo”. Sempre di Vaccaro, vanno segnalati altri due testi, il primo Anarchia e progettualità. Per l’autogoverno extra-istituzionale (Milano, Zero in condotta, 1996), nel quale le proposte autogestionarie sono pensate non come una realizzazione futura, ma come strumenti d’azione sociale, per vivere e trasformare l’immediato; il secondo, Anarchismo e modernità (Pisa, Bfs, 2004) rappresenta una complessa e approfondita sistematizzazione del rapporto fra il pensiero anarchico, tradizionale e innovativo al tempo stesso, e le sfide poste dal continuo mutare dei rapporti e delle dinamiche sociali. Sempre nel campo della filosofia politica si colloca il lavoro curato da Franco Riccio, Spazi eccentrici. Mappe del molteplice sociale (Pisa, Bfs, 2003) che raccoglie, tra gli altri, i saggi di Cardella, Castoriadis, Lucido e Riccio stesso.
Sulla modernità del pensiero anarchico e sulla sua ininterrotta capacità di interpretare e intervenire nel presente, ricordo il testo dell’irlandese Séan M. Sheehan, Ripartire dall’anarchia. Attualità delle idee e delle pratiche libertarie (Milano, Elèuthera, 2004), una sorta di viaggio d’esplorazione che, partendo da Seattle, scopre le sensibilità libertarie che percorrono l’oggi senza soluzioni di continuità.

Colin Ward

Sempre Elèuthera, nel 1996, ha ripubblicato un altro classico dell’anarchismo moderno, La pratica della libertà. Anarchia come organizzazione, di Colin Ward (la prima edizione risale al 1973), nel quale lo scrittore inglese, giocando sul paradosso, interpreta l’anarchia come efficace organizzazione sociale non solo sul piano ipotetico ma, anche e soprattutto, su quello fattuale. Per venire a uno dei nomi più conosciuti del pensiero libertario, segnalo il testo di Noam Chomsky forse più attinente con questa bibliografia, Anarchia e libertà (Roma, Datanews, 2003). In questa raccolta di saggi e interviste, il filo conduttore è l’analisi di quanto sia preminente il tema della libertà all’interno del pensiero e del movimento anarchico e come tale preminenza faccia dire a questo “guru” mondiale del pensiero radicale, di essere e sentirsi anarchico.
Sempre di Chomsky, Alla corte di Re Artù e Illusioni necessarie (Milano, Elèuthera, 2002 e 2003), altri due testi di questo “inguaribile guastafeste dell’intellighenzia americana”, critico sempre spiazzante dei luoghi comuni del potere.
Infine, di Vittorio Giacopini, La comunità che non c’è. Paul Goodman, idee per i movimenti (Trento, Nonluoghilibere, 2003), sul pensiero di una delle più significative figure intellettuali del Nord America, già riferimento per i movimenti giovanili degli anni Sessanta.


Né stato
né chiesa

Prendiamo ora in considerazione le materie più specifiche che hanno caratterizzato la riflessione e l’azione militante degli anarchici.
Forse anche per una certa predisposizione personale, partirò dalle tematiche antireligiose e anticlericali, e dal rapporto conflittuale che il movimento anarchico ha sempre intrattenuto con le strutture chiesastiche e le sovrastrutture religiose. Come si vedrà, le edizioni siciliane de La Fiaccola si dimostrano particolarmente interessate a mantenere attuale la “lotta alla superstizione religiosa”.
Lo dimostra la ristampa del vecchio e fortunatissimo testo di Nicola Simon Viaggio umoristico attraverso i dogmi e le religioni (Ragusa, 1996). È l’ennesima edizione di questo feroce e irriverente pamphlet francese dell’Ottocento, con il quale, in pieno positivismo e materialismo, si mettevano in ridicolo le credenze e le assurdità comuni a tutte le religioni. Di Walter Siri, le edizioni Sempre Avanti hanno pubblicato Senza dio senza padroni (Livorno, 1997), chiara ed efficace la prosa del compagno bolognese, fra gli animatori dei meeting anticlericali svoltisi recentemente in varie località italiane e attento critico dell’invadenza clericale e dei rapporti di potere fra capitale e Chiesa.
Di Mimmo Franzinelli, studioso quotato in campo nazionale, Il clero del duce, il duce del clero. Il consenso ecclesiastico nelle lettere a Mussolini (1922-1945) (Ragusa, La Fiaccola, 1998), una interessante, sorprendente e a tratti divertente antologia della “corrispondenza”, sempre rispettosa e spesso affettuosa fra le gerarchie ecclesiastiche e il duce del fascismo, che da ateo, mangiapreti e anticlericale quale era, si trasformò, opportunisticamente, nell’ossequioso sacerdote del privilegiato rapporto fra Chiesa e potere.
Sempre La Fiaccola, nel 1999, ha edito La Santa Inquisizione, di Maurizio Marchetti, dove l’autore, senza giri di parole, compila un’ordinata cronologia dei misfatti compiuti nei secoli da questa “santa” istituzione. “Reverendo, giù le mani!”. Clero e reati sessuali negli anni 30 e negli anni 90 è il titolo di un volume senza indicazione di autore, forse un po’ greve nel taglio e per certi aspetti datato, che resta comunque interessante nel testimoniare la continua benevolenza del potere verso i “crimini” sessuali sacerdotali, sia durante il fascismo sia in piena legalità repubblicana (Ragusa, La Fiaccola, 2000).

La piovra vaticana vista da Giuseppe Scalarini

Del libro di Vittorio Giorgini, Le religioni plagiano (Ragusa, La Fiaccola, 2002) si può dire che l’apoditticità del titolo non ha bisogno di commenti. Originale è la riproposta di due testi di uno dei massimi poeti dell’Ottocento, l’inglese Percy B. Shelley, La necessità dell’ateismo. La mascherata dell’anarchia (Salorino, L’Affranchi, 2004), talmente radicali, nei loro contenuti rivoluzionari, da essere costati all’autore l’espulsione da Oxford, alla faccia della libertà d’espressione. Di tutt’altro taglio La piovra vaticana di Pippo Gurrieri (Ragusa, La Fiaccola, 2004). Editore da un trentennio del combattivo «Sicilia Libertaria» e da sempre propagandista efficace e convincente, l’autore non si è mai sottratto all’impegno, sia come militante sia come editore, di tenere accesa la “fiaccola” del pensiero libero e libertario contro i tentacoli onnipresenti della “piovra vaticana”.
Per finire, lo studio quanto mai interessante e istruttivo di Emanuele Del Medico, All’estrema destra del padre. Tradizionalismo cattolico e destra radicale (Ragusa, La Fiaccola, 2004), un inquietante documento sulle connessioni, non solo ideologiche ma anche operative, tra il tradizionalismo cattolico e la destra radicale. Connessioni che si manifestano nella affermazione di valori che non tengono conto delle mutazioni culturali delle nostre società, ma anzi le rifiutano.


Contro
le camicie nere

L’antifascismo è stato senz’altro uno degli aspetti più significativi e caratterizzanti, in certi momenti addirittura centrale, nell’azione e nella riflessione dell’anarchismo.
In particolare in questo periodo, quando sembra affermarsi quel sottofenomeno definito “revisionismo storico”, che si propone di rivalutare il fascismo, per lo meno in molti dei suoi aspetti, è opportuno insistere con testi che facciano chiarezza sull’abissale distanza che separa il fascismo dalla pratica della libertà; e anche da parte nostra si contribuisce ad arginare questa tendenza alla rivalutazione della dittatura.
Ecco dunque un classico di Camillo Berneri, Mussolini, psicologia di un dittatore (Pescara, Samizdat, 2001). Impegnata a rimettere in circolazione gli introvabili classici anarchici, l’editrice abruzzese ha reso accessibile lo studio con il quale Berneri, documenti alla mano, diede conto della pochezza morale di Mussolini – il più grande statista del secolo, come ha avuto a dire Fini – surrogata solamente dalle sue grandi e volgari doti istrioniche e demagogiche. Sullo stesso piano, Mussolini, la maschera del dittatore, di Pier Carlo Masini (Pisa, Bfs, 1999), praticamente l’ultima fatica dell’autore. Riprendendo e completando il precedente lavoro di Berneri, ancora una volta Masini ha colto i tratti essenziali del suo oggetto di studio, smascherando e irridendo i tratti più paradossali e truffaldini di colui che arrivò a credersi il naturale erede di Giulio Cesare.
Venendo a tempi recenti, e ai nuovi fascisti, va segnalato il libro di Alain Bihr, L’avvenire di un passato, l’estrema destra in Europa (Pisa, Bfs, 1997), nel quale si analizzano le molteplici forme in cui si manifesta il risorgere delle organizzazioni della destra europea, dal Front National di Le Pen ai numerosi movimenti xenofobi e sessuofobi. Di taglio simile il testo di Marco Rossi I fantasmi di Weimar, Origini e maschere della destra rivoluzionaria (Milano, Zero in condotta, 2001). Un lavoro di indagine e denuncia in cui l’autore, attento ed esperto studioso del fenomeno neofascista, mostra la varietà, a volte solo apparentemente contraddittoria, con cui si presenta e si manifesta il pensiero autoritario e oppressivo che chiamiamo comunemente fascismo.
Marco Coglitore e Claudia Cernigoi, ne La memoria tradita. L’estrema destra da Salò a Forza Nuova (Milano, Zero in condotta 2002), compiono un lungo viaggio attraverso gli epigoni del più violento estremismo neofascista, fra coloro che in questi sessant’anni di repubblica hanno contribuito a rappresentare, con allarmante continuità, settori non secondari, ma a volte addirittura determinanti, della cultura reazionaria e tradizionalista italiana. A cura dell’Archivio Antifascista, è uscito Forza Nuova. I ragazzi venuti da Salò (Milano, Zero in condotta, 2003), un utile dossier di controinformazione sulla più aggressiva delle attuali formazioni della destra, frutto dell’ormai decennale attività di un gruppo di compagni dediti a studiare il fenomeno neofascista in Italia in tutte le sue forme.


Signornò!

E veniamo ora all’antimilitarismo, un altro dei temi forti, sul quale non è mai mancato l’originale contributo dell’anarchismo. Il primo testo da cui partire è Di fronte alla guerra. L’obiezione presentata al Tribunale militare di Losanna nel 1940 di Lucien Tronchet (Lugano, La Baronata, 1996), sul rifiuto di due antimilitaristi svizzeri di indossare la divisa; oltre ad essere condannati a parecchi mesi di prigione, essi furono trattati da vigliacchi e traditori, proprio quando il loro gesto, in piena guerra, mostrava un grande coraggio civile.

Restando nell’ambito della difficile arte dell’obiezione al servizio militare, l’Archiviu-Bibrioteka Tomaso Serra di Guasila ha pubblicato, nel 1997, L’obiezione di coscienza anarchica in Italia di Piero Ferrua. È il primo volume (siamo in attesa del secondo) dedicato alle complesse vicende dell’obiezione, dagli anni pionieristici dopo la guerra, fino agli anni Novanta. L’autore fu protagonista di una delle prime dichiarazioni di rifiuto, e pertanto questa è una storia-cronaca descritta dall’interno: un documento che mostra come i giovani anarchici siano stati i precursori di un atto che avrebbe visto una “esplosione demografica” solo nei politicizzatissimi anni Settanta.
A cura della Assemblea Antimilitarista e Antiautoritaria, è uscito l’opuscolo Per un futuro senza eserciti (s.l. [ma: Carrara], A.A.A., 2004). Si tratta del lavoro collettivo di una rete di gruppi e individui attivi sul territorio nella critica radicale ad ogni forma di autoritarismo, che si propone come utile strumento di analisi e di lavoro per una sana pratica antimilitarista. Antimilitarismo è anche guerra alla guerra, ed è quanto propone Peter Schrembs, nel suo La pace possibile (Lugano, La Baronata, 2004). L’autore, sull’onda dell’invasione americana in Irak, riflette sulle possibilità di dare sistematicità alle potenzialità offerte dall’antimilitarismo e dall’antiautoritarismo propri del pensiero anarchico.
Tornando indietro nel tempo, segnalo la prima edizione italiana del libro straordinario di Ernst Friedrich, Guerra alla guerra. 1914-1918. Scene di orrore quotidiano (Milano, Mondadori, 2004), un testo che rappresenta uno dei più impressionanti e agghiaccianti manifesti antimilitaristi, come volle che fosse, nel lontano 1924, il suo autore, un ex soldato anarchico testimone, suo malgrado, degli orrori della Grande guerra. Le numerose foto che mostrano morti e orribili mutilazioni sono di una tale crudezza da denunciare gli orrori della guerra e del militarismo più di qualsiasi parola.

Maria Luisa Berneri

Termino l’argomento antimilitarista citando, di Marie Louise Berneri e Vera Brittain, Il seme del Caos. Scritti sui bombardamenti di massa (1939-1945) (Santa Maria Capua Vetere, Spartaco, 2004). Nella Londra martoriata dalle V-2 tedesche si levò la voce ostinatamente antimilitarista e nonviolenta di queste due donne dai percorsi differenti ma che, dalle pagine di «War Commentary» e di innumerevoli opuscoli, trovarono una profonda assonanza nella denuncia, politica e morale, della bestialità bellica che stava distruggendo l’Europa.


Astensionismo
e federalismo

Astensionismo e federalismo sono temi quanto mai cari agli anarchici, ma il fatto che siano ormai profondamente sedimentati nel loro sentire spiega come mai in questi anni la nostra editoria se ne sia curata poco.
Sull’astensionismo segnalo, di Massimo Varengo, Astensione. Arma rivoluzionaria contro governo e parlamento (Livorno, Sempre Avanti, 1994). L’autore, consapevole dell’importanza ricoperta dalla pratica astensionista, affronta, con competenza “militante”, aspetti e conseguenze del rifiuto della delega, integrando il suo saggio con una ricca appendice documentaria. Sul federalismo segnalo una sorta di piccolo manuale ad opera di Gigi Di Lembo, Il federalismo libertario e anarchico in Italia dal Risorgimento alla Seconda guerra mondiale (Livorno, Sempre Avanti, 1994).

Per chi non avesse ancora chiara la differenza abissale che intercorre fra il federalismo escludente di bassa lega e quello ugualitario e solidale dell’anarchismo, figlio di Cattaneo e Pisacane, questa lettura si rende davvero indispensabile. Restando in tema di federalismo e Lega Nord, segnalo, di Maria Matteo, Marco Rossi e Cosimo Scarinzi, Le armi della Lega. Razzismo, xenofobia e populismo in Val Padana (Livorno, Sempre Avanti, 1998). Uscito quasi un decennio fa, il testo conserva ancora la sua attualità per la chiarezza e l’efficacia con cui denuncia l’estremismo razzista dei “padani”, sostanziale puntello di quel potere statale che questi beceri individui affermano, invece, di voler combattere.


Sindacalismo
rivoluzionario

E veniamo ora al sindacalismo, al mondo del lavoro e alla necessità di costruire un’organizzazione orizzontale e non verticistica con i lavoratori più coscienti. Il movimento anarchico ha sempre marciato a fianco degli sfruttati, nella consapevolezza che l’eliminazione dello sfruttamento è premessa indispensabile e necessaria per realizzare una società liberata. Ecco allora il significativo Il sindacalismo autogestionario. L’Usi dalle origini ad oggi, di Gianfranco Careri (Roma, Unione Sindacale Italiana, 1991), che ricostruisce la storia dell’Unione Sindacale Italiana, il sindacato anarchico autogestito che ha vissuto, soprattutto nel primo dopoguerra, una stagione di grandi lotte, consensi e successi. L’autore, per anni segretario generale di questo sindacato, ma anche militante di base, offre una rara testimonianza specifica su una delle organizzazioni più interessanti del panorama libertario. Di Maurizio Antonioli, il più competente storico dei movimenti sindacali, va ricordato Azione diretta e organizzazione operaia. Sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell’Ottocento e il fascismo (Manduria, Lacaita, 1990), dove si affrontano gli intensi e continui rapporti intercorsi fra avanguardie sindacali e movimento anarchico, a smentita del vieto luogo comune sull’individualismo e sul presunto disinteresse degli anarchici per la lotta di classe e sindacale.

Roma, 10-13 marzo 1922 – Il 4° congresso dell’Unione Sindacale Italiana

Le edizioni Zero in Condotta hanno poi pubblicato i vecchi ma sempre interessanti articoli che Alibrando Giovannetti scriveva sul giornale americano «Il Proletario» negli anni Venti. Il sindacalismo rivoluzionario in Italia. L’azione diretta, le lotte e le conquiste proletarie (Milano, 2004) offre la puntigliosa ricostruzione degli avvenimenti legati alla “rivoluzione mancata” del primo dopoguerra, consentendo una riflessione quanto mai attuale sulle strategie di lotta dei movimenti sindacali e rivoluzionari.


Una scelta
ecologista

Anche nel campo ecologista e dello sviluppo urbano sostenibile, non mancano interessanti contributi, stimolati soprattutto dalla linea editoriale scelta da Elèuthera.
Attenta a queste tematiche, l’editrice ha creato una vera e propria collana saggistica, con caratteristiche di alta qualità scientifica e di facile fruibilità, anche per i non addetti ai lavori. Innanzitutto va segnalata la seconda edizione di uno dei “testi sacri” di Murray Bookchin, Democrazia diretta. Idee per un municipalismo libertario (Milano, Elèuthera, 2000), ispiratore di quel concetto di cittadinanza, intesa come “partecipazione attiva e diretta dei cittadini alla politica”, che ha stimolato la riflessione e l’azione del movimento anarchico in questi ultimi anni.

Murray Bookchin

Di Franco Bunçuga sono le Conversazioni con Giancarlo De Carlo. Architettura e libertà (Milano, Elèuthera, 2000), la penetrante testimonianza lasciataci dal grande urbanista da poco scomparso, attento intellettuale libertario vicino al movimento nel secondo dopoguerra, che ha sempre improntato il suo lavoro alla realizzazione di progetti di forte impegno sociale. Colin Ward, in Acqua e comunità. Crisi idrica e responsabilità sociale (Milano, Elèuthera, 2003), affronta uno fra i problemi più drammatici del prossimo futuro, quello della conclamata scarsità delle risorse idriche. Drammatico per le politiche di rapina e di sconsiderato sfruttamento praticate ovunque dai poteri che condizionano i destini del mondo, il problema potrebbe trovare risposte razionali e praticabili nelle semplici soluzioni prospettate dallo studioso anglosassone.

Giancarlo De Carlo

Sempre a testimonianza dell’attenzione con la quale Elèuthera segue queste tematiche, è stato pubblicato, nel 2003, La città imprevista. Il dissenso nell’uso dello spazio urbano, di Paolo Cottino, un giovane esperto di pianificazione del territorio, che contribuisce, con questo tassello, all’illustrazione di un’ipotesi di migliore vivibilità quotidiana non utopistica ma realizzabile e supportata da esempi concreti. Della stessa casa editrice, Progettare per abitare (Milano, 2003), di Adriano Paolella, al quale si deve inoltre Abitare i luoghi (Pisa, Bfs, 2004).


Pedagogia
libertaria

“Lasciate che i bambini vengano a me” disse chi era consapevole del valore dell’educazione nella formazione delle coscienze degli adulti. Anche per bilanciare e contrastare gli strumenti educativi autoritari e coercitivi del potere, gli anarchici hanno posto particolare attenzione al problema educativo, cercando strade che portassero alla formazione di coscienze libere e consapevoli.
Della grande ricchezza e varietà delle esperienze pedagogiche promosse dagli anarchici, e dell’importanza che è sempre stata attribuita all’insegnamento, inteso come formazione libera e libertaria del fanciullo, tratta Francesco Codello nel suo recente La buona educazione. Esperienze libertarie e teorie anarchiche in Europa da Godwin a Neill (Milano, Angeli, 2005): un ricco e documentato studio sulle esperienze educative che hanno visto all’opera pensatori e maestri libertari e che mostra i tentativi, a volte falliti ma sempre generosi e intelligenti, di sottrarre l’educazione dei giovani alla chiesa e allo Stato.

Francisco Ferrer

Dell’esperienza forse più famosa, anche per la drammatica sorte del suo promotore, tratta Giuliana Iurlano in Da Barcellona a Stelton. Ferrer e il Movimento delle Scuole Moderne in Spagna e negli Stati Uniti (Milano, M&B, 2000), un importante studio su Francisco Ferrer, sulla formulazione della sua teoria e della sua pratica pedagogica, profondamente innovativa rispetto ai tempi e caratterizzata da fortissime tensioni razionaliste e libertarie. Talmente libertarie da causare la morte per fucilazione del suo protagonista – fortemente voluta dai preti – nella Spagna del 1911.
Di un altro grande pedagogista libertario scrive Sabrina Pulvirenti in Paul Robin (Catania, Coop. Univ. Editrice Catanese di Magistero, 1999), un testo interessante non solo perché ricostruisce l’esistenza di un personaggio centrale nell’esperienza pedagogica libertaria, ma anche perché è l’unico pubblicato in Italia su questo personaggio vissuto a cavallo fra Ottocento e Novecento, molto noto e apprezzato in Francia.
Elèuthera ha ricordato Lamberto Borghi, il più grande pedagogista italiano, pubblicando nel 2000 La città e la scuola, un’antologia di testi fondamentali usciti sulla rivista «Scuola e città» dai primi anni ’50 fino agli anni ’90, curata da Goffredo Fofi, a cui si deve anche la prefazione.
Va poi segnalato, di Rino Ermini, Per una pedagogia libertaria (Livorno, Sempre Avanti, 1998), un breve studio sulla possibilità di dare un senso libertario e di trasformazione radicale all’insegnamento, una proposta e un’ipotesi indirizzate al sensibile e attento mondo degli insegnanti e un invito a infondere contenuti rivoluzionari anche dietro l’apparenza della normalità. Infine, di Filippo Trasatti, Lessico minimo di pedagogia libertaria (Milano, Elèuthera, 2004), nel quale l’autore offre una prospettiva di lettura delle idee-forza dell’educazione libertaria per come si sono espresse negli anni. Passando dalla teoria alla pratica, va segnalato Gli anarchici di Clivio e la Scuola moderna razionalista, a cura di Amerigo Sassi (Varese, Macchione, 1998), testo che ripercorre, anche con l’aiuto di numerose fotografie, la storia di una delle più originali esperienze pedagogiche messe in atto agli inizi del Novecento dagli anarchici: in questo caso, significativamente, nel bianco Varesotto.


Per una critica
radicale

Veniamo, ora, alla critica radicale della società e alla prospettiva di una trasformazione profonda, in grado di coniugare le tensioni utopistiche del pensiero libertario con prospettive oggettivamente praticabili. Curata da Salvo Vaccaro nel 1999, Elèuthera propone Il pianeta unico. Processi di globalizzazione, una raccolta di testi sul processo di globalizzazione apparentemente inarrestabile, rispetto al quale, però, gli autori contrappongono l’idea che questo sia ancora in divenire e che, pertanto, sia possibile creare spazi alternativi e liberati. Sempre in contrapposizione all’idea che “questo” progresso sia ineluttabile, interviene più volte John Zerzan, sia con Ammazzare il tempo, sia con Futuro primitivo (Torino, Nautilus, 1995 e 2001). Si tratta di due testi esemplari di questo originale teorico del primitivismo, molto seguito negli Usa, che prospetta una società “altra”, nella quale sia abolito lo scambio a favore del dono e del gioco, dove sia possibile emanciparsi dalla tecnocrazia, e dove la liberazione dallo sfruttamento coincida con l’esaltazione della creatività degli individui. Sotto lo pseudonimo di Odoteo e Crisso, è stato pubblicato Barbari. L’insorgenza disordinata (Pont St. Martin, NN, 2002). Gli autori, critici delle argomentazioni pseudo-rivoluzionarie oggi a là page e attenti alle loro implicazioni, propongono questo efficace e irriverente ribaltamento libertario dell’ultimo best seller di Toni Negri, Impero, rilevando la sottile ambiguità del teorico della “moltitudine” e l’altrettanto sottile esaltazione del capitalismo e del suo ruolo.
Per finire citiamo, di David Goodway, Conversazioni con Colin Ward. Lo sguardo anarchico (Milano, Elèuthera, 2003), una sorta di libro-intervista nel quale l’autore, docente di storia sociale all’università di Leeds, evidenzia nell’anarchismo anglosassone di Colin Ward, insegnante, pubblicista e filosofo, la peculiare espressione dell’anarchismo pragmatico di un osservatore attento a cogliere “il seme dell’anarchia reale” nelle cose che vengono fatte e nel modo in cui vengono fatte.


Sebben che
siamo donne

Termino questo excursus sulle tematiche dell’anarchismo segnalando i testi usciti in quest’ultimo decennio, dedicati ad approfondire la conoscenza del ruolo femminile nel movimento libertario, sia come presenza militante sia come apporto di idee.

Emma Goldman

Due sono le biografie al femminile uscite in questi anni. La prima è di Emma Goldman, Vivendo la mia vita, di cui Zero in condotta ha pubblicato, nel 1993, il quarto e ultimo volume (dopo i tre usciti per La Salamandra negli anni Settanta). Da questa straordinaria autobiografia dell’anarchica russo-americana di origine ebrea esce un quadro suggestivo, non solo delle vicende dell’autrice, ma anche degli avvenimenti più importanti della prima metà del Novecento dei quali “red Emma” fu protagonista. Rudolf Rocker è autore di Zensl Elfinger Mühsam. Una libertaria in lotta contro i totalitarismi (Ragusa, La Fiaccola, 2002), in cui narra la drammatica parabola di vita di questa limpida militante libertaria, compagna di Erich Mühsam ucciso in un lager nazista, e lei stessa drammaticamente passata per i gulag sovietici, a dimostrazione di quanto sia stata irriducibile l’etica anarchica rispetto ai totalitarismi che insanguinarono il secolo passato. Spartaco ha poi pubblicato, di Mary Wollstonecraft, Tempo di rivoluzioni. Sui diritti degli uomini e delle donne (Santa Maria Capua Vetere, 2004), con una bella introduzione della Goldman sul pensiero di questa antesignana del femminismo, moglie di William Godwin e vissuta ai tempi della Rivoluzione francese.

Il calvario dell’anarchico ebreo tedesco Erich Mühsam in un disegno di George Grosz

Di tutt’altro tenore, ma sempre legato alle tematiche femminili, è il testo di Chiara Gazzola e Laura Siddi, Il desiderio, il controllo e l’eresia. Approcci critici alla bioetica (Ragusa, La Fiaccola, 2003). Scritto a quattro mani, ma frutto di un ricco dibattito tutto fra donne, svoltosi al 18° meeting anticlericale, il saggio offre un’inedita e interessante possibilità di confronto con quanto il pensiero anarchico può dire su problemi quali la bioetica, la fecondazione assistita e la sperimentazione dei farmaci su donne e bambini.


Al cinema

Se, come visto, non sono poche le opere relative agli aspetti politici e militanti dell’anarchismo, altrettante sono quelle che fanno riferimento alle frequenti e felici “contaminazioni” con il mondo della cultura. E non c’è alcun ambito artistico che non registri lavori interessanti e innovativi.
Iniziando dal cinema, da segnalare sono soprattutto i lavori di Pino Bertelli, critico anticonformista dal forte afflato libertario. Luis Buñuel il fascino discreto dell’anarchia (Pisa, BFS, 1996) traccia un profilo della vita e dell’opera di questo grande regista spagnolo, tanto surrealista sul piano dell’estetica quanto sovversivo su quello dell’impegno politico; Cinema e anarchia. Nell’età della falsificazione e del conformismo sociale (1992-1998) (Ragusa, La Fiaccola, 1998) raccoglie una serie di scritti e recensioni apparsi su varie testate; e infine Glauber Rocha. Cinema in utopia. Dall’estetica della fame all’estetica della libertà (Ragusa, La Fiaccola, 2002) è un interessante lavoro sul regista brasiliano e sulla grande tradizione “innovativa” del Cinema Novo del paese sudamericano. Da citare, infine, Il cinema libera la testa. Elogio della ribellione nella macchina/cinema, di Fratel Luther Blissett (Ragusa, La Fiaccola, 2004). Arricchito dalla prefazione di Guy Debord e dall’introduzione di Raoul Vaneigem, è un trattato sulla ribellione libertaria nella storia del cinema, con particolare attenzione alle opere di Vigo, Buñuel, Rocha, Truffaut e Pasolini.

Arti figurative

Nel campo delle arti figurative, ricordo lo studio di Eva Civolani, La sovversione estetica. Arte e pensiero libertario tra Ottocento e Novecento (Milano, Elèuthera, 2000), dove sono messi in luce i numerosi e felici momenti di contatto tra le correnti artistiche più sovversive, dal dadaismo al simbolismo, dal futurismo al surrealismo, e la “forma più estrema di sovversione sociale”, l’anarchismo.
Curato sempre da Eva Civolani e da Antonietta Gabellini è Mio caro Lucien. Lettere al figlio su arte e anarchia di Camille Pissarro (Milano, Elèuthera, 1998), che raccoglie la copiosa corrispondenza intercorsa fra il grande pittore impressionista e il figlio, ricca di riferimenti non solo ai problemi legati all’estetica pittorica, ma anche ai grandi temi politici e sociali a cui partecipò Pissarro, come dimostra la collaborazione a numerose pubblicazioni libertarie e la splendida raccolta di disegni Turpitudes Sociales.
Ricco di spunti è Baj Bakunin, Ascona. Atti del convegno 1996 (Lugano, La Baronata, 2000), testo che raccoglie gli atti di un convegno interessante e per tutti i gusti, che si tenne in Svizzera in occasione dell’inaugurazione dello “smonumento” a Bakunin, e si svolse nel solco della migliore tradizione patafisica di cui il pittore milanese era maestro.

Cacacazzo, personaggio realizzato da Enrico Baj

Ancora di Baj e Paul Virilio, Discorso sull’orrore dell’arte (Milano, Elèuthera, 2002), stimolante confronto e dialogo fra l’artista e l’urbanista francese, che vede i due interrogarsi reciprocamente sulla percezione dell’arte e dei luoghi che la ospitano e la espongono. Nel 2000, per le edizioni del Centro Internazionale della Grafica di Venezia, è apparso un curioso opuscolo di Alberto Ciampi, Forma e forme. I colori dell’anarchia nelle pubblicazioni periodiche, dove l’autore, indagando sulle forme artistiche coniugate all’anarchia, analizza l’uso del colore, e i suoi significati non detti, nelle pubblicazioni anarchiche.
Per finire con le arti figurative in senso lato, veniamo a un testo più propriamente militante, quello curato da Massimiliano Giorgi, Gli anarchici non archiviano (Carrara, Germinal, 2002). Si tratta del catalogo dei manifesti conservati presso il Circolo Culturale Anarchico di Carrara, molti dei quali stampati dalla Cooperativa Tipolitografica ed esposti nella mostra tenutasi nella città del marmo. Una cavalcata sorprendente e stimolante lungo trent’anni di comunicazione “gridata” dai muri italiani, che consente di cogliere con immediatezza i modi e i settori d’intervento degli anarchici.


A teatro

In campo teatrale, cominciamo con Dal cabaret alle barricate (Milano, Elèuthera, 1999), una antologia dei feroci testi satirici di Erich Mühsam, il geniale intellettuale ebreo tedesco impegnato nella lotta contro il totalitarismo nazista, torturato e ucciso in uno dei primi campi di concentramento tedeschi nei quali Hitler rinchiuse i suoi oppositori politici. Un testo sorprendente e coinvolgente, capace di attrarre il lettore per il suo irriverente anticonformismo.

Judith Malina

Venendo ai nostri giorni, ricordo, di Cristina Valenti, Intervista con Judith Malina. L’arte, l’anarchia, il Living Theatre (Milano, Elèuthera, 1995) la lunga e intensa conversazione fra la studiosa di teatro e una delle massime icone del teatro rivoluzionario del Novecento. Attraverso il dialogo fra le due donne, appassionato e ricco di momenti emozionanti, si ricompone la storia di una delle più importanti avventure artistiche e intellettuali del Novecento, quella del Living Theatre, sempre a cavallo fra la provocazione artistica e il forte impegno sociale e non violento.
Non su, ma di Judith Malina, Love and politics (Roma, Stampa Alternativa, 1998), un Millelire curato da Cristina Valenti che raccoglie alcune delle più belle poesie della fondatrice, con Julian Beck, del mitico Living Theatre, tenacemente ispirate al progetto di costruzione della Bella Rivoluzione Anarchica Non Violenta. Sul Living Theatre, da segnalare Quattro spettacoli del Living Theatre (Lecce, Manni, 2000), un testo bilingue che raccoglie gli ultimi lavori del regista e drammaturgo Hanon Reznikov, tra cui Il Metodo Zero e Anarchia.

Julian Beck

Si parla ancora di Living Theatre, ma anche di Gori, Brecht e Peter Brook, in Maschera e rivoluzione. Visioni di un teatro di ricerca, a cura di Fernando Mastropasqua (Pisa, Bfs, 1999), testo che ospita i saggi di vari studiosi interessati alle numerose esperienze “rivoluzionarie” espresse in campo teatrale.


Musica
e canti

Dal teatro alla musica, quella popolare e militante delle canzoni di lotta, e quella dei colti e sofisticati cantautori dalla impronta libertaria. Iniziamo con Il canto anarchico in Italia nell’ottocento e nel novecento di Santo Catanuto e Franco Schirone (Milano, Zero in condotta, 2001), frutto della tenace e lunga ricerca condotta dai due compagni della Federazione Anarchica Milanese, che vede raccolti, per la prima volta e in modo pressoché completo, tutti i testi e quasi tutte le partiture delle canzoni, delle strofe, dei brani musicali della tradizione anarchica e libertaria, dalle origini ottocentesche fino a oggi. Ogni pezzo è opportunamente accompagnato da un apparato documentario, mentre l’introduzione illustra metodi e finalità della ricerca. Praticamente in sedicesimo, rispetto al precedente, è il Nuovo canzoniere dei ribelli di Donato Landini (Livorno, Sempre avanti, 1996), un’antologia ragionata, anche dal punto di vista musicale, di alcuni dei testi più famosi della tradizione libertaria.
Nel cuore della bestia. Storie personali nel mondo della musica bastarda (Milano, Zero in condotta, 1996) è opera di un artista, Stefano Giaccone, e di un conoscitore della “musica bastarda” senza uguali, Marco Pandin, ai quali si deve un’intelligente raccolta dei materiali prodotti dal variegato e affollatissimo universo delle autoproduzioni, sempre vicino, per tematiche e comportamenti, a quello libertario.

Fabrizio De André

Dicevamo dei cantanti autori dalla spiccata sensibilità libertaria. Su Fabrizio De André segnalo, in questa bibliografia, solo De André e Napoli. Storia d’amore e d’anarchia di Federico Vacalebre (Milano, Sperling & Kupfer, 2002) e Gli occhi della memoria di Romano Giuffrida (Milano, Elèuthera, 2002) perché, fra i tanti titoli usciti dopo la sua morte, evidenziano più di altri l’impronta fortemente libera e libertaria dell’ispirazione artistica del cantautore. Di Mauro Macario sono i saggi dedicati a Leo Ferrè, l’arte della rivolta (Milano, Selene, 2003), un piacevole testo in cui si colgono l’amore e l’ammirazione per il grande poeta e chansonnier anarchico che ha composto alcune delle nostre canzoni-poesie più belle di questi decenni, e Il cantore dell’immaginario (Milano, Elèuthera 2000), che vede raccolte alcune delle sue opere più significative.

Leo Ferré (a sinistra) e George Brassens


Letteratura

Veniamo ora all’ambito letterario, il più frequentato dagli autori che hanno trovato nelle storie degli anarchici e dell’anarchia un’evidente fonte d’ispirazione. Sono parecchi i testi da segnalare, per cui la cosa migliore è procedere in ordine cronologico.
Iniziamo con Luigi Regoli anarchico di Angelo Toninelli (Firenze, Shakespeare and Company, 1995), un romanzo molto bello, ambientato nella Maremma selvaggia e nell’industrializzata Piombino agli inizi del ’900, in cui emergono i caratteri degli spiriti ribelli e sognatori del secolo scorso. Una storia d’amore e di lotta contro i fascisti che vede impegnato un intero paese, temprato nelle lotte di fabbrica delle acciaierie piombinesi, giunto all’anarchia sulle “alate” parole di Pietro Gori, deciso a conservare la sua anima proletaria e libertaria senza cedere alla violenza e alla reazione.
Trattando di anarchismo e letteratura, centrale è l’opera di Paco Ignatio Taibo II, che in Rivoluzionario di passaggio (Milano, Tropea, 1996) tratteggia la straordinaria figura di un irriducibile rivoluzionario spagnolo che, nel Messico degli anni ’20, incarna, con il rifiuto di normalizzare la propria vita, l’essenza di quello spirito libero e ribelle caro a tanti compagni di ieri e di oggi.
Restando in Sud America, ricordo Un caffè molto dolce di Maria Luisa Magagnali (Torino, Bollati Boringhieri, 1996), che rievoca le vicende di Severino Di Giovanni, uno dei personaggi più controversi dell’anarchismo argentino. La sua vita avventurosa, fatta di azioni quasi sempre ai limiti o fuori della legalità e finita tragicamente, è anche quella di un anarchico a tutto tondo, che dette tutto di sé per la causa, vivendo anche un’appassionata storia d’amore con una giovanissima compagna.
Il francese Michel Ragon è autore de La memoria dei vinti (Milano, I nostri, 1997), un complesso romanzo che ripercorre la storia dell’anarchismo, dalla Banda Bonnot alla guerra di Spagna, da Kronstadt al Sessantotto, mescolando personaggi reali e figure di fantasia, e costruendo tanto il ritratto di un’epoca quanto un’intensa storia sentimentale.
Restiamo in Francia con Il grido del popolo di Jean Vautrin (Milano, Frassinelli, 2001). Premio Goncourt, Legion d’Onore, giallista di fama, Vautrin, al suo primo romanzo tradotto in italiano, ci porta ai tempi della gloriosa Comune del 1871, con una trama avvincente a mezza via tra le forti tinte del feuilleton ottocentesco e la denuncia sociale delle miserie del proletariato insorto.

Pino Cacucci

Poi ci sono i Ribelli! di Pino Cacucci (Milano, Feltrinelli, 2001): Sacco e Vanzetti, Secondari, Marius Jacob, Sabaté e tante altre figure quasi leggendarie accomunate dall’inesauribile amore per una vita libera e ribelle.
Tornando in patria, esclameremo, con Toni Iero, Forza, Italia! 2001-2005 una nazione alla deriva in un mondo in tempesta (Milano, Zero in condotta, 2002). Un racconto avvincente, composto nel solco della migliore tradizione della fantapolitica libertaria, con la prefigurazione delle future scadenze sociali, economiche e politiche che ci attendono – ma speriamo di no – nei prossimi anni. Un altro romanzo curioso, a tratti onirico e surreale, è Zero maggio a Palermo di Fulvio Abbate (Milano, Baldini & Castoldi, 2003). L’autore torna alle sue esperienze giovanili, vissute dentro i movimenti della Palermo sessantottesca, una città attraversata da pulsioni libertarie e da sette metafisici Salvatori anarchici, una città magica e affascinante nella quale tutto appare finalmente possibile.
Il secondo romanzo di ispirazione anarchica di Angelo Toninelli, scrittore decisamente innamorato dell’anarchia e delle sue coinvolgenti storie, è Un sogno d’amore (Pisa, Ets, 2003). In una popolana Firenze ottocentesca si incontra una folla di personaggi, storici e di fantasia, impegnati nella costruzione dell’Internazionale e convinti assertori della necessità di un’organizzazione sociale che crei le premesse dell’emancipazione. Il racconto delle tribolazioni, ma anche degli entusiasmi dei primi militanti proletari.
Di tutt’altro tenore, ma non meno avvincente, Itala scola. I delitti di una scuola azienda (Milano, Zero in condotta, 2004), un vero e proprio thriller di Dario Molino, insegnante e militante del sindacalismo di base. Un racconto dove gli elementi tipici del noir si mescolano, con feroce ironia, ai problemi pressanti che affondano, giorno dopo giorno, una scuola sempre meno scuola e sempre più azienda. Il dolore perfetto (Milano, Mondadori, 2004), che è valso a Ugo Riccarelli il Premio Strega 2004, è un bellissimo romanzo che narra la saga struggente ed eroica di una famiglia e di un’intera generazione di anarchici, trascorsa fra la poesia del padule maremmano. Nella drammaticità di vite sconvolte dalla violenza del potere, solo la solidarietà fra emarginati riesce a lenire e a rendere superabili le dolorose difficoltà della vita.
Di Franco Bernini è uscito La prima volta (Torino, Einaudi, 2005), curioso ma non straordinario romanzo ambientato nel 1898, nel quale si intrecciano rocambolescamente le vicende del primo campionato di calcio, quelle dei moti milanesi soppressi nel sangue da Bava Beccaris e le mene attentatrici di improbabili anarchici idealisti e di cinici anarchici ancora più inverosimili.

Gianna Manzini

Saluto anche con piacere la ristampa del Ritratto in piedi di Gianna Manzini (Pistoia, Libreria dell’Orso, 2005). Era, infatti, ormai introvabile questo libro – senz’altro una delle più belle opere letterarie dedicate a figure anarchiche – nel quale la famosa scrittrice tratteggia la splendida ed amata figura del padre, anarchico pistoiese, amico di Gori e Malatesta, che mai si piegò di fronte alle avversità famigliari e politiche.
Termino questa “rassegna letteraria” con l’ultimo nato, Lo zio anarchico di Pier Francesco Gasparetto (Reggio Emilia, Aliberti, 2005). Ancora una volta storie di anarchici e attentatori, in trasferta dalla provincia piemontese a Paterson, New Jersey. A un primo sguardo, questo libro sembra avere come unico pregio la bella riproduzione in copertina di un quadro di Costantini.


I situazionisti

Termino la sezione culturale con una serie di testi che, pur non interessando il mondo delle arti in senso stretto, testimoniano però una corrente intellettuale che affrontò, in modo originale e felicemente provocatorio, le tematiche legate alla critica culturale. Intendo parlare del situazionismo.
Partiamo, doverosamente, da L’amara vittoria del situazionismo. Per una storia critica dell’Internationale Situationniste 1957-1972, di Gianfranco Marelli (Pisa, Bfs, 1996), un testo ormai indispensabile per comprendere quanto vicine, ma anche quanto distanti siano state le strade percorse, negli stessi anni, da situazionisti e anarchici. In questo saggio, senza dubbio il più importante in Italia, Marelli ricostruisce il percorso teorico dei situazionisti che aveva l’obiettivo di reinventare la rivoluzione e liberare la vita quotidiana dalla passività alienante della società dello spettacolo. Sempre di Marelli, L’ultima Internazionale. I situazionisti oltre l’arte e la politica (Torino, Bollati Boringhieri, 2000), un altro studio sulla peculiarità del situazionismo, l’ultima internazionale del secondo millennio, in bilico fra il recupero agiografico della sua critica radicale e dei suoi “profeti”, e la capacità di allestire un habitat per “l’illimitato dispiegamento delle nuove passioni”. Sullo stesso argomento è uscito Breve storia dell’Internazionale Situazionista (Torino, Nautilus, 1999), a cura della Nottingham Psychogeographical Unit, col corredo di rare immagini fotografiche.
Molto interessante è anche Potlach, Bollettino dell’Internazionale lettrista 1954-57, che la piccola e vivace editrice torinese Nautilus, in sintonia con la sua linea editoriale, ha stampato nel 1999. È l’unica edizione italiana degli introvabili documenti di questa Internazionale, il movimento francese d’avanguardia capostipite della “editoria selvaggia”, che si proponeva di operare la difficile riunificazione della creazione culturale d’avanguardia con la critica rivoluzionaria della società.
Per finire, altri tre testi esemplari pubblicati da Nautilus, Urla in favore di Sade (Torino, 2000), di Guy Debord, uno dei fondatori e padri nobili del situazionismo; Avviso agli studenti (Torino, 1996), dell’altro “mostro sacro” Raul Vaneigem; e infine La rivoluzione dell’arte moderna e l’arte moderna della rivoluzione (Torino, 1996), antico e illuminante documento del 1967 proveniente dalla Sezione inglese dell’Internazionale Situazionista.


Spagna ’36

A conclusione di questa traccia bibliografica gettiamo uno sguardo oltre le frontiere e occupiamoci dell’anarchismo degli altri paesi. Naturalmente l’attenzione sarà concentrata soprattutto sulle due grandi esperienze rivoluzionarie del Novecento, nelle quali gli anarchici ebbero una parte importantissima: la libertaria rivoluzione spagnola e la rivoluzione, un po’ meno libertaria, che sfociò nella fondazione della prima repubblica sovietica.
Per l’affetto che ci lega, partiamo dalla Spagna, seguendo in questo caso l’ordine cronologico delle pubblicazioni segnalate.
Zero in condotta ha pubblicato Chi c’era racconta. La Rivoluzione Libertaria nella Spagna del 1936 (Milano, 1995), le intense testimonianze in presa diretta di una ventina di militanti spagnoli che dettero vita alla rivoluzione comunista libertaria. Parole che valgono quanto e più di una ricostruzione saggistica, ricordi partecipi di un’esperienza esaltante e, temiamo, irripetibile. Sempre Zero in condotta ha curato, con altre quattro editrici internazionali, Durruti 1896-1936 (Milano, 1996), una bella edizione fotografica commentata in cinque lingue, che permette di cogliere, grazie alla ricca iconografia, tutti i momenti della “eroica” e avventurosa vita di Durruti, ucciso mentre difendeva, con i suoi miliziani, le conquiste rivoluzionarie del proletariato in armi in terra di Spagna. Di Carlos Semprun Maura, Libertad! Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna (Milano, Elèuthera, 1996). È la seconda edizione (dopo quella milanese dell’Antistato del 1976) di questo studio critico sui problemi interni alle forze rivoluzionarie e al movimento anarchico, nati dalle difficoltà e dalle contraddizioni che caratterizzarono i primi mesi della rivoluzione, là dove prese forma il comunismo libertario della Cnt.

Buenaventura Durruti

A seguire, di Abel Paz, Spagna 1936, un anarchico nella rivoluzione (Manduria, Lacaita, 1998). In questa autobiografia Abel Paz (nom de plume di Diego Camacho), giovanissimo combattente rivoluzionario sulle barricate di Barcellona, ripercorre con grande partecipazione le vicende esaltanti e le tragedie immani che segnarono quella che può essere considerata l’esperienza senza ritorno del ventesimo secolo. Sempre di Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola (Pisa-Ragusa-Milano, Bfs, Fiaccola, Zero in condotta, 1999-2000, 2 voll.). Da questa biografia, frutto di una documentazione imponente e scritta con l’immediatezza del testimone, emerge la figura di uno dei personaggi non solo più importanti e significativi, ma anche più amati dell’anarchismo internazionale.
Si parla di anarchici, di quelli reclusi ma ancora vitali nelle carceri franchiste, nel romanzo di Manuel Rivas, Il lapis del falegname (Milano, Feltrinelli, 2000). Una storia struggente, una delle tante che in questi anni hanno ispirato i narratori spagnoli alla scoperta delle vergogne di un passato volutamente nascosto dai miserabili aguzzini di un popolo straordinario.

Manifesto degli anarchici catalani, realizzato da Carles Fontseré (1936)

Ancora di Abel Paz, Le 30 ore di Barcellona. Immagini della rivoluzione (Carrara, Cooperativa Tipolitografica, 2002). Impreziosito dalle famose tavole disegnate da Sim durante le giornate di luglio, e finalmente pubblicate in Italia, il libro si concentra sulla descrizione delle prime, determinanti ore della rivoluzione spagnola, quando, grazie alla resistenza operaia al sollevamento dei militari, si decisero le strategie e i rapporti di forza che avrebbero caratterizzato la lotta al franchismo.
Per chi ama i fumetti, segnalo la bella storia a strisce di Alfonso Font, Negras tormentas e altre storie (Milano, ReM, 2002), dove il disegnatore spagnolo ricostruisce vividamente una Barcellona rivoluzionaria e anarcosindacalista, epicentro di avvincenti avventure.
Apprezzabile la ristampa dell’introvabile Mussolini alla conquista delle Baleari (Casalvelino, Galzerano, 2002), il famoso testo con il quale Berneri affrontava, nel fuoco della rivoluzione, le responsabilità del fascismo italiano a sostegno del sollevamento dei militari felloni guidati da Franco. Di un altro grande protagonista dell’anarchismo spagnolo scrive Fulvio Abbate ne Il ministro anarchico (Milano, Baldini & Castoldi, 2004). Restando a metà strada fra narrazione romanzata e ricostruzione storica, lo scrittore palermitano abbozza la biografia di uno dei più affascinanti e controversi protagonisti della rivoluzione, Juan García Oliver, ministro anarchico della giustizia, già idolo della Barcellona proletaria, poi esule in Nord Europa e in Messico dove continuerà a vivere nel ricordo della travolgente esperienza del 1936.

Manifesto dell’organizzazione femminile anarchica Mujeres Libres, realizzato da José Maria Gallo (1936)

Di un’altra esperienza eccezionale, fra le tante vissute dal movimento iberico, scrive Martha Ackelsberg nel suo Mujeres Libres. L’attualità della lotta delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola (Milano, Zero in condotta, 2005), ricostruendo, con un accurato studio delle fonti, le gloriose vicende di un’organizzazione tutta femminile, operaia, emancipatrice e impegnata nel progresso della condizione della donna, tanto più importante in Spagna dove gli atavici retaggi feudali e maschilisti erano ancora dominanti.
Seguono due testi dedicati agli anni successivi al 1936-39: gli anni della feroce repressione franchista e degli ultimi, tragici tentativi di anarchici irriducibili, decisi a combattere il fascismo armi alla mano. Di Massimiliano Ilari è uscito La giustizia di Franco. La repressione franchista ed il movimento libertario spagnolo 1939-1951 (Chieti, Csl Di Sciullo, 2005), che descrive la resistenza “sconosciuta” degli epigoni dell’imponente movimento anarchico spagnolo e la barbara repressione con la quale il regime colpì il suo nemico più irriducibile. L’autore, giovane militante della Fai, propone anche un’inedita cronologia comparata di grande interesse.
La Fiaccola di Ragusa, sempre nel 2005, riedita il famoso Sabatè, la guerriglia urbana in Spagna (1945-1960), di Antonio Tellez. Il 1939 non segna la fine della resistenza anarchica alla dittatura: già dai primi mesi del nuovo regime guerriglieri anarchici cercano di mantenere viva la lotta. Quanto mai opportuna è dunque la ristampa di questo drammatico testo, che narra la tragica storia di una generazione di giovani militanti caduti nella lotta contro il carnicero falangista.
Chiudo questo lungo capitolo con una curiosità di autore anonimo, La cuoca di Durruti. La cucina spagnola al tempo della “guerra civile”. Ricette e ricordi (Roma, Derive Approdi, 2002). Con la prefazione di Luigi Veronelli, questo originale e avvincente frammento di diario, un po’ narrazione e un po’ cronaca storica, mescola i ricordi rivoluzionari della giovane miliziana Nadine, ricchi di personaggi e grandi avvenimenti, con le sue allettanti ricette culinarie realizzate, è il caso di dirlo, nel fuoco di uno dei più grandi e gloriosi incendi del Novecento.

Russia
e Ucraina

Veniamo ora all’altra grande rivoluzione che segnò l’inizio del secolo breve, quella “realizzata” e non sconfitta dalle forze della reazione e del capitalismo, la rivoluzione russa, ricca di contraddizioni e di duri insegnamenti per gli entusiasti rivoluzionari, bolscevichi, anarchici, menscevichi, che vi presero parte.
È soprattutto della soffocante burocrazia e della repressione che ne seguì e che affossò il sogno della palingenesi sociale, che trattano i libri che citerò.

Nestor Makhno

Piotr Arscinov, ucraino, fu uno dei tanti anarchici che combatterono le truppe bianche della reazione, con in cuore il sogno di una nuova società di liberi ed uguali. Nella sua ormai classica Storia del movimento makhnovista, ristampata da Samizdat (Pescara, 1999), ma uscita a caldo nella Parigi del 1924, ci sono tutti gli elementi per capire la capitale importanza che ebbe l’anarchismo nei primi anni, soprattutto nella fertile Ucraina controllata dalle truppe dell’anarchico Makhno, e la degenerazione che i semi dell’autoritarismo bolscevico avrebbero innestato nella nuova società.
Anche l’anarcosindacalista Gregori P. Maximoff, con il suo Gli anarcosindacalisti nella rivoluzione russa (Pescara, Samizdat, 1997), porta un prezioso contributo alla ricostruzione del ruolo, importante e misconosciuto, che l’anarchismo ebbe nei processi rivoluzionari della Russia.
Ed è proprio la specificità dell’agire anarchico, inconciliabile con il centralismo burocratico marxista leninista, che fa capire perché i libertari furono tra i primi a cadere sotto i colpi della spietata repressione di Lenin e Stalin.
Un altro lavoro sui contrastati rapporti all’interno delle forze rivoluzionarie è Marxismo e anarchismo nella rivoluzione russa, di Arthur Lehning, nella nuova edizione di Samizdat (Pescara, 1999). Si tratta di uno dei grandi classici della letteratura anarchica, nel quale lo studioso olandese affonda le mani nella tragica diatriba che vide opporsi, da un lato, il pragmatismo totalitario di Lenin e, dall’altro, l’afflato libertario e rivoluzionario che gli anarchici russi, nonostante la repressione, contrapposero alla degenerazione burocratica e alla dittatura del proletariato.
Infine, molto interessante per la prospettiva da cui muove, è il libro di Santi Fedele, Una breve illusione. Gli anarchici italiani e la Russia sovietica 1917-1939 (Milano, Angeli, 1996). Come si sa, le sirene della rivoluzione russa cantarono a lungo fra i movimenti sovversivi europei, e anche gli anarchici non furono sordi. Questo documentato e illuminante saggio ricostruisce il progressivo alienarsi delle simpatie che i libertari italiani avevano manifestato, se non per i bolscevichi, certamente per la loro rivoluzione.
Una breve illusione, appunto, presto sommersa dalla consapevolezza con cui si colsero gli aspetti degenerativi della rivoluzione burocratica e della dittatura proletaria.

Altrove
nel mondo

Esaurite le due grandi esperienze rivoluzionarie, prendiamo ora in considerazione i non molti libri dedicati ad altri paesi. Restando in Europa, un bel testo che tratta di argomenti poco conosciuti è quello di Martine Lina Riesenfeld e altri autori, Piegarsi vuol dire mentire. La resistenza libertaria al nazismo nella Ruhr e in Renania (1933-1945) (Milano, Zero in condotta, 2005), che viene a smentire il consolidato luogo comune sulla mancata resistenza del proletariato tedesco all’avvento del nazismo, dimostrando come, fra le fila del movimento sindacalista libertario, l’opposizione alla barbarie hitleriana non venne mai meno.
Sulla ex Jugoslavia e i drammi che l’hanno dilaniata negli anni Novanta, ricordo l’opuscolo Jugoslavia una guerra per il potere (Livorno, Sempre Avanti, 1996), nel quale Claudio Venza mostra con chiarezza le cause e gli effetti di una delle maggiori tragedie della fine del secondo millennio: la guerra fratricida fra i popoli slavi condotta in nome di diversità etniche e religiose, evocate cinicamente per occultare la sete di potere delle varie cricche post-titoiste.

Marina Padovese

Estremamente interessante, anche per la particolare prospettiva di analisi, Donne contro la guerra. Interventi e testimonianze dalla ex Jugoslavia, curato dalla non dimenticata Marina Padovese e da Salvo Vaccaro (Palermo, La Zisa, 1996). Pier Francesco Zarcone è autore di Portogallo anarchico e ribelle (Pescara, Samizdat, 2004), che ripercorre l’esperienza dell’anarchismo portoghese, senza dubbio meno significativa di quella dei cugini spagnoli, ma non per questo priva di episodi e figure interessanti.
Rimaniamo in Europa, per parlare di quei cittadini del mondo che furono gli ebrei fino alla nascita dello Stato di Israele, e segnaliamo l’interessante Nati altrove. Il movimento anarchico ebraico tra Mosca e New York di Furio Biagini (Pisa, Bfs, 1998), che ricostruisce la storia di un movimento tanto importante quanto poco conosciuto, quello degli ebrei di lingua yiddish che partirono dai villaggi della Russia per sfuggire ai pogrom, trasportando in Inghilterra e negli Stati Uniti le loro esperienze comunaliste e autogestionarie, nelle quali il tradizionale messianismo era sostituito dall’utopismo rivoluzionario.
Sempre sull’importanza della presenza ebraica nell’anarchismo internazionale, Amedeo Bertolo ha curato L’anarchico e l’ebreo. Storia di un incontro (Milano, Elèuthera, 2001), gli atti del convegno tenutosi a Venezia nel maggio 2000, nel corso del quale gli epigoni di questo movimento senza frontiere hanno confrontato, forse per la prima volta, le loro eccezionali esperienze.
Cambiando continente, sbarchiamo nelle due Americhe; nella prima, che pare destinata a essere a lungo l’epicentro politico-economico e sbirresco del mondo, e nella seconda che ancora manifesta, con i colori degli indios messicani, la voglia di un cambiamento definitivo nei rapporti che regolano la vita dei popoli.
Sugli Stati Uniti e il loro ruolo negli equilibri internazionali, si è scritto e si continua a scrivere con dovizia, e spesso gli occhiali delle superstiti ideologie impediscono di cogliere con esattezza le dinamiche in atto. Non è il caso del libro di Stefano Capello, Oltre il giardino. Guerra infinita ed egemonia americana (Milano, Zero in condotta, 2003) nel quale l’autore, con un’analisi dal taglio decisamente libertario e scevro da condizionamenti, analizza le tendenze in atto nella geopolitica mondiale, evitando di cadere nelle trappole della propaganda e mettendo in risalto le oggettive convergenze fra i poteri internazionali in conflitto, per fare sì che il dominio nordamericano sull’economia non venga minimamente messo in discussione.
Passando la frontiera di El Paso, sbarchiamo in Messico, dove la comunità chiapaneca, con la sua pratica antimperialista, continua a destare l’interesse degli spiriti liberi in tutto il mondo.
Come primo approccio, non si può prescindere dal prezioso Documenti e comunicati del Chiapas insorto. 1 gennaio 1994-29 settembre 1995 (Pisa, Bfs, 1996-1997, 2 voll.), che raccoglie i documenti dell’Ejercito Zapatista de Liberacion Nacional. Uno strumento indispensabile, anche per la mole documentaria, per cogliere di prima mano la ricchezza teorica e la imprevedibile tattica sovversiva degli indios del Chiapas. Sempre sul Chiapas, ma anche su altre insorgenze indie, due libri scritti da uno dei maggiori esperti del continente latinoamericano, il giornalista uruguayano Raul Zibechi. Il primo, Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista in Chiapas (Milano, Elèuthera, 1998), dove la peculiarità libertaria del movimento zapatista si mostra in tutta la sua inimitabile originalità, e il secondo, Zapatisti e sem terra. Movimenti sociali ed insorgenza indigena (Milano, Zero in condotta, 2001), in cui si afferma che la cultura india, la cultura degli oppressi, può emergere come strumento di riscatto e di liberazione per chi non è più rassegnato ad essere l’ultimo degli ultimi.
Infine, di Jerome Baschet, La scintilla zapatista. Insurrezione india e resistenza planetaria (Milano, Elèuthera, 2003), una storia e una cronologia dello zapatismo che, con chiarezza e senza demagogia, spazza via il fuorviante folclore “militante” che avvolge l’Ezln. Venendo a Cuba, un altro dei nodi politici e sociali di questi anni, segnaliamo Cuba libertaria. Storia dell’anarchismo cubano (Milano, Zero in condotta, 2003), di Frank Fernandez, militante storico e redattore della rivista «Guangara Libertaria», edita dal movimento libertario cubano in esilio.
Un movimento che, soprattutto negli anni Venti e Trenta ma anche in seguito, ha vissuto momenti di grande splendore e che ha visto i suoi militanti dapprima combattere al fianco di Castro e Guevara contro la dittatura di Batista, poi prendere la via dell’esilio per continuare a lottare per la libertà.
Termino questo lungo viaggio nell’editoria libertaria sbarcando in Africa, nell’auspicio che questa ultima segnalazione sia presagio di nuove avventure anarchiche in terre ancora inesplorate dagli eredi di Bakunin e Malatesta. Merito dunque alla milanese Zero in condotta per aver pubblicato, nel 2002, Africa ribelle, Società senza stato. Le prospettive libertarie, di Sam Mbah e I. E. Igariwey, militanti della Awareness League nigeriana aderente all’Ait, che illustrano gli sconosciuti e sorprendenti elementi libertari e comunalisti presenti nelle società tradizionali africane, ancora vitali nonostante gli effetti del colonialismo, gli esperimenti dei socialismi di stato, le drammatiche conseguenze delle lotte di liberazione nazionale e dei conflitti tribali.


Alcune case editrici anarchiche e libertarie

BFS edizioni
via I. Bargagna, 60
56124 Pisa
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Edizioni La Fiaccola
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Edizioni Zero in Condotta
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Elèuthera editrice
via Rovetta, 27
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c. p. 17002
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sito: www.eleuthera.it

Giuseppe Galzerano Editore
84040 Casalvelino Scalo SA
tel. e fax 0974 62028
email: giuseppe.galzerano@tiscalinet
sito (catalogo): http://web.tiscali.it/felittonet/idx_gal.htm

Nautilus
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fax 011 6505653
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sito: www.ecn.org/nautilus

Chi non riuscisse a rintracciare gli indirizzi di altre case editrici citate nel testo, può rivolgersi direttamente al curatore Massimo Ortalli massimo.ortalli@acantho.it, che si rende diponibile anche per ulteriori informazioni di carattere bibliografico.

 

Questo dossier esce come supplemento del n. 311 (ottobre 2005) della rivista mensile anarchica “A”; direttrice responsabile: Fausta Bizzozzero; registrazione al tribunale di Milano n.72 in data 24.2.1971; stampa e legatoria: Officina Grafica – Milano; progetto grafico e impaginazione: Erre & Pi – Milano.

“A” esce regolarmente 9 volte l’anno dal febbraio 1971. Non esce nei mesi di gennaio, agosto e settembre. È in vendita per abbonamento, in numerose librerie e presso centri sociali, circoli anarchici, botteghe, ecc.. Se ne vuoi una copia/saggio, chiedicela. Siamo alla ricerca di nuovi diffusori.

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