Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 27 nr. 237
giugno 1997


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Avventori attesi

Il termine del primo atto di Mercadet l'affarista - scritta da Honoré de Balzac nel 1839 e rappresentata fino ai nostri giorni con i soliti "adattamenti riduttivi" che, nell'alleggerirla, la privano di gran parte del suo antico potere corrosivo -, il protagonista, riferendosi ad un amico scomparso da tempo, invocato e atteso nei momenti di difficoltà, dice che "tutti hanno il loro Godeau, un falso Cristoforo Colombo". Godeau, alla francese, ho sempre pensato che potesse essere il prototipo del più noto, e successivo, Godot teatrale - quello di Aspettando Godot -, quello che l'irlandese Samuel Beckett mise in scena nel 1953. I Godeau e i Godot, sul palcoscenico, non appaiono mai - anche se il primo, a differenza del secondo, dicono, alla fine arriva. Se ne parla, sono oggetto di discorso e destinatari di investimenti affettivi che, gradualmente, assurgono al formato di grandi e di massimi valori, ma non hanno nulla a che fare con la carne e con le ossa dei comuni mortali che si macerano nella loro attesa.
La metafora della persona che deve arrivare e non arriverà - salvezza, riscatto, rivoluzione, compenso - s'ispessisce, ovviamente, se la variabile del tempo scandisce inesorabilmente l'attesa; se, cioè, chi attende ha vincolato la propria sorte al deperibile. Per esempio non solo alla propria carne ed al proprio contorno, ma anche a quelli di un pranzo, la cui qualità è notoriamente proporzionale al rispetto della cronometria - e per la cottura e per la degustazione.
Sia in Big night che in Nuvole in viaggio i ristoratori attendono spasmodicamente gli avventori. Il primo è stato ambientato da Stanley Tucci nell'America degli anni Quaranta e parla di due fratelli abruzzesi che si dividono il ruolo di cuoco e di direttore, mentre il secondo è stato ambientato da Aki Kaurismäki in una Finlandia d'oggidì che, per mestizie e desolazioni sociali, ricorda dannatamente l'oltrecortina di un tempo. La coppia, qui, è costituita da una moglie e da un marito, ma quel che importa, in entrambi i casi, è soltanto la forza di un legame - più simile a quello che univa la signora Mercadet al marito in Balzac che a quello che unisce Estragone a Vladimiro in Beckett.
Siamo quasi al capolinea. Fagocitati dal capitalismo vorace, si accorgono di non avere più chances. Uno degli eroi di Tucci, il bel fratello sciupafemmine, decide infine di accondiscendere, di venire a patti con la spicciola corruzione quotidiana pur di salvare il ristorante. L'America è fatta così: è inutile offrire un risottino fatto a regola d'arte, quando il criterio del successo è l'apparenza. Si fanno carte false per ottenere che un cantante famoso benedica il locale con la sua presenza - e si conta sul meccanismo imitativo che, conseguentemente, dovrebbe poi muovere le masse di avventori -, ma, queste carte false, spesso, restano in mano ai piccoli spacciatori. Gli integerrimi di Kaurismäki, invece, scendono alla svelta tutti i gradini della scala sociale e la puntata sul ristorante è già un bene caduto dal cielo. Ma in entrambi i casi siamo vicini al rendiconto finale, l'attesa si fa lunga e il pranzo rischia di andare a male. Come nel passaggio da Balzac a Beckett, l'atteso in un caso arriva e nell'altro no - in un caso la "grande notte" non finisce più e nell'altro le nuvole erano soltanto "di passaggio".
Opere delicatamente calibrate per struttura narrativa e pazientemente architettate nell'impianto visivo (Tucci più americanamente patinato, Kaurismäki dipinge di poppartistici contrasti umanità e cose modernamente povere), si tratta in entrambi i casi di appassionati apologhi sull'etica del lavoro. I due fratelli abruzzesi litigano sul modo in cui giungere al risultato: mantenendo alta la stima di sé, facendo del proprio meglio, o chiudendo un occhio e narcotizzando la coscienza. La coppia finlandese rifiuta il sussidio di disoccupazione, esige orgogliosamente la propria partecipazione ad un ciclo produttivo che tende ad espellerli. E' questione di dignità, innanzitutto. E, al contempo, sono in gioco le condizioni stesse della convivenza civile. Una società che non dà lavoro è una barbarie. Nell'attesa degli avventori - nell'attesa di quel segnale che decreta un futuro o la fine della storia -, l'unico antidoto all'angoscia è la fierezza di un dovere rispettato e adempiuto. Il timballo è riuscito alla perfezione, tutte le pietanze sono pronte, il personale è al suo posto: chi, eventualmente, decide di non arrivare, se ne assume tutte le responsabilità.

P.s.: I due fratelli di Big night tentano l'avventura americana discendendo da una famiglia di ristoratori. Uno si chiama Primo, l'altro Secondo. Ad ulteriore dimostrazione del fatto che un lavoro, nelle condizioni storiche opportune, disegna intorno a sé un intero sistema ideologico.
P.p.s.: Ilona e Lauri, i due che si ritrovano sotto le Nuvole in viaggio, hanno rispettivamente 38 e 48 anni. Troppo vecchi, gli si dice, per pretendere di trovar lavoro. Anche queste sono notizie interessanti sulla prossima rivoluzione.
P.p.p.s.: Balzac non poteva aver letto Il genio incompreso di Federico Di Trocchio (1997, Mondadori). Se l'avesse potuto leggere, non avrebbe fatto ricorso alla metafora del "falso Cristoforo Colombo" per indicare un atteso scopritore di tesori lontani. Infatti, dalla scrupolosa ricostruzione di Di Trocchio, non ci vengono soltanto confermati i noti errori tecnici e scientifici del navigante genovese, ma ci vengono rivelati, ahinoi, anche i suoi torbidi e dissennati progetti connessi alla riuscita della sua impresa. Sembra che, preda di crisi mistiche, cercasse "l'oro del Cypango" (ovvero del Giappone) per "finanziare una grande crociata per riconquistare la Terrasanta" (pag. 16).