Rivista Anarchica Online
Dalla resistenza al progetto
di Maria Matteo
Le radicali trasformazioni in atto nel mondo del lavoro richiedono un altrettanto profondo adeguamento dei
progetti alternativi
L'autunno testè trascorso è parso muoversi all'insegna della fiera
delle ovvietà: il prevedibile gioco delle parti
all'interno della neonata maggioranza di sinistra l governo, una finanziaria dura, perchè di destra o di
sinistra
l'Italia "deve" entrare in Europa e "deve" quindi ridurre il debito e, conseguentemente, aumentare la pressione
fiscale e tagliare la spesa pubblica. Le anime belle che ritenevano che il rosso cuore di questa sinistra avrebbe
bastonato i redditi più alti e salvaguardato quel poco di servizi che rimanevano, magari riducendo le spese
militari,
constatano oggi a loro spese di essere degli allegri e sconsiderati utopisti. Quel che forse non era del tutto
scontato e certo conrtibuisce a rendere un po' più vivace il panorama sociale, è
l'emergere di un'opposizione sociale vera, ossia di un'opposizione che ècapace di emanciparsi dala tutele
del
Partito della Rifondazione Comunista: la manifestazione dei sindacati alternativi che a Roma il 26 ottobre
è
riuscita a coinvolgere alcune decine di migliaia di lavoratori nonostante il silenzio di tutti i media ed il chiaro
boicottaggio del PRC, ne è stata la più chiara dimostrazione. Senza esagerarne ovviamente
la portata, tale manifestazione ha segnalato la possibilità che il futuro prossimo
venturo non sia all'insegna di una assai poco attraente pax catto-comunista e che il governo benedetto da sindacati
e confindustria non è in grado di rispondere alle aspettative di chi riteneva che non ci fosse modo migliore
per
attuare una politica di destra che affidarne l'attuazione ad una compagine di sinistra. L'abile giochetto di
Rifondazione, che pensava di continuare a tenere i piedi in due scarpe agendo nel contempo come partito di
governo e come movimento di opposizione, sta alla lunga logorandosi e non si può escludere che non
finisca col
produrre forti lacerazioni. Se tuttavia il fascino delle sirene rifondate pare oggi decisamente meno irresistibile
di un anno fa, resta tuttavia
sul terreno la questione irrisolta di dar corpo e forma organizzativa ad un'opposizione troppo spesso ancorata ad
una dimensione meramente resistenziale dello scontro politico e sociale, un'opposizione le cui analisi e
modalità
d'intervento paiono ancora incapaci di adeguarsi ad una situazione politica, sociale, economica e, dato non certo
secondario, culturale in rapida e profonda trasformazione, non solo nel nostro paese ma su un più vasto
piano
internazionale. I cambiamenti che ci troviamo di fronte sono molteplici e di ampia portata anche se è
senza dubbio oggi assai
problematico tracciare un quadro netto e coerente nel quale individuare univoche linee di
tendenza. Nell'ultimo decennio abbiamo assistito alla fine dei modelli sociali che hanno dominato il nostro
secolo. Un
secolo che è stato segnato dalla pretesa che la produzione sia il fulcro attorno al quale si plasma l'ordine
sociale,
un ordine che si fonda sul delicato ma potente e pervasivo equilibrio tra produzione e ammortizzazione sociale
di marca statuale. La versione sovietica di tale concezione, caratterizzata da un'ideologia produttivista
più rigida, meno duttile e
flessibile e al contempo da una statualità di impronta più seccamente disciplinare, si è
bruscamente frantumata
nell'89. Il modello occidentale, certo più flessibile ed abile nel districarsi tra la necessità di
mantenere un basso
costo del lavoro ed alti profitti e il bisogno del tutto contestuale di evitare che l'eccessivo contrarsi delle
condizioni di vita dei salariati dia luogo ad una diminuzione della domanda e quindi, ovviamente, del profitto,
pare oggi in difficoltà. La fabbrica non è più il centro della vita sociale, il luogo in
cui si concentra la produzione e al contempo lo spazio
fisico e simbolico dell'aggregazione operaia. Il lavoro stesso è profondamente cambiato in virtù
dell'innovazione
tecnologica ma non solo, poichè è la stessa filosofia della produzione che è mutata ed
implica che il lavoratore
aderisca ai fini aziendali, rendendosi disponibile ad adattarsi a condizioni di lavoro di volta in volta diversificate.
Abbiamo in questi anni assistito al riemergere di lavori che si pensavano ormai scomparsi come il lavoro a
domicilio, sevile e al tempo stesso sono apparse figure di lavoratori inedite, quali quelle, spesso decisive nei
processi produttivi, di lavoratori formalmente autonomi ma che di fatto operano sotto lo streto controllo e alle
dipendenze del committente. Precarietà, parcellizzazione, flessibilità estrema sono oggigiorno
i segni distintivi
del lavoro. A ciò si aggiunge il dato importante dello stabilizzarsi di ampie fasce di disoccupazione e
sottoccupazione, non certo imputabili ad una crisi momentanea ma di fatto configurantesi come elemento
strutturale nel panorama sociale: per la prima volta infatti assistiamo al fefnomeno che alla crescita della
produzione non corrisponda un incremento dell'occupazione.
Fine della fabbrica? In un contesto sociale in cui il lavoro non nobilita l'uomo
e certo ancor meno la donna, ma di fatto rappresenta
uno dei vettori importanti da cui si dipana l'autopercezione di sè di ciascuno di noi, i fenomeni
sovredescritti
hanno grandi implicazioni non solo, del tutto ovviamente, sul piano sindacale, ma anche e soprattutto
rappresentano gli elementi chiave di una vera e propria trasformazione di carattere antropologico. La fine della
fabbrica fordista è anche la fine di quella comunità operaia che in un passato anche recente
rappresentava un
legame sociale capace di fornire identità ai singoli. Oggi ciascuno di noi viene continuamente
sollecitato ad una straordinaria fiera dei sensi, in cui stili di vita del
tutto virtuali sono disponibili in tivù o via internet, ma si è persa la capacità di acquisire
punti di riferimento
stabili capaci di formare un'identità. Oggi uno può passare la settimana a lavorare dodici ore per
la FIAT pur
restando un lavoratore autonomo e poi vestirsi da guerriero della notte per trascorrere il sabato sera in una
discoteca che fa tendenza, dove inconrterà il giovane disoccupato che si è comprato il giubbotto
rubando autoradio
e la casalinga che sbarca il lunario lavorando da casa con il proprio terminale per il servizio 12 della
telecom. Intendiamoci: non si vuole qui riproporre l'etica del produttore in opposizione a quella del
consumatore, poichè
certo la prima non appare in alcun modo più seducente della seconda, ma semmai segnalare un fattore
importante
nel determinare l'attuale diffusa anomia sociale. Un percorso identitario giocato sulla mistica della tuta blu non
assume maggiore o minore connotazione libertaria della libertà da supermercato, che gode chi assume
un modello
esistenziale intercambiabile come una giacca. Quel che è invece importante sottolineare è
la necessità di adeguare la progettualità trasformatrice ad una società
che va assumendo, sia pure senza dar luogo almeno per il momento ad un modello coerente e compiuto,
caratteristiche inedite rispetto al passato. Specie se si tiene conto che non solo è cambiato l'ambito
produttivo,
ma si va altresì trasformando il ruolo degli stati nazionali che, in virtù del processo di
globaliozzazione
dell'economia, sempre meno assolvono la funzione di regolazione dello scontro tra le classi e non solo per il
restringersi dello stato sociale, ma anche e soprattutto perchè il capitale, anche in virtù dei
processi di
finanziarizzazione dell'economia, assume vieppiù una dimensione sovranazionale che sfugge al controllo
dei
singoli stati nazionali. Gli organismi sovranazionali che in qualche modo avrebbero dovuto ereditare funzioni in
precedenza appannaggio degli stati sono, peraltro, per lo più del tutto impotenti. Il che, certamente,
contribuisce
ad aumentare ulteriormente il tasso di anomia diffusa. Le politiche economiche deglil stati nazionali, poco, molto
poco importa se in mano a governi di "destra" o di "sinistra", puntano a garantire le condizioni di offerta atte a
rendere la propria area attraente per il capitale. In certa misura, anche se non esclusivamente, l'affacciarsi alla
ribalta di tendenze di carattere localistico,
rappresenta il tentativo da un lato di salvaguardare dal "populismo" dello stato nazionale alcune zone "pregiate",
dall'altro la speranza di potersi dotare di un più efficace ombrello protettivo. In ultima analisi, l'immane
tragedia
dell'ex-Jugoslavia non è forse stato anche un modo, poco raffinato ma efficace, per consentire alle parti
più ricche
e sviluppate delpaese di salire sul treno delle nazionidi prima classe? E non è una delle anime del
leghismo
nostrano la miriade di piccole imprese commerciali, tritate dalla concorrenza della grande distribuzione, che
sognano di cavarsela in virtù dell'attenuazione della pressione fiscale? In definitiva, dal sommario
abbozzo testè tracciato, emerge un panorama in cui le coordinate a noi familiari
risultano spostate, in fase di radicale ridefinizione e necessitano quindi non solo di un'attenta analisi, ma
altresì
richiamano la necessità, che già in apertura segnalavo, di pensare e sperimentare forme di
conflitto sociale che
sappiano tenerne conto. D'altro canto, le ripetute sconfitte cui in questi anni sono andate incontro le politiche
meramente resistenziali, dovrebbe di per sè rappresentare uno stimolo forte a tentare di andare oltre.
L'area del
sindacalismo alternativo rappresenta oggi, nonostante le grandi difficoltà in cui si muove, una realta vera
capace,
come s'è visto a Roma il 26 ottobre, di sviluppare la propria iniziativa, prescindendo dall'interessata tutela
del
PRC. Nondimeno rischia di piegarsi su se stessa se non saprà assumere un più ampio respiro. Se,
in una parola,
non riuscirà a divenire elemento catalizzatore per la creazione di un humus sociale capace di costruire
un nuovo
legame sociale, un legame che si sedimenta nella pratica quotidiana e concreta dell'autonomia, in cui i servizi
sociali non si contrattano con lo stato ma si costruiscono collettivamente, in cui si sperimentano modalità
di
fuoriuscita dal lavoro salariato che sappiano fornire chance di esistenza ai singoli e miglior qualità della
vita a
tutti.
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