Rivista Anarchica Online
Il potere militare
di Emilio Cipriano
Mentre la rivista è in composizione, l'esercito cileno
sta portando a termine un colpo di stato,
nonostante una dura e coraggiosa resistenza popolare. Quello che sembrava un fedele strumento
del potere civile, un tradizionale servitore della legalità costituzionale (ma anche dell'esercito
uruguayano si diceva la stessa cosa) ha assassinato il presidente e sciolto il parlamento, bombarda
le fabbriche occupate dagli operai, fucila e arresta a migliaia gli oppositori, annega il Cile in un
mare di sangue... e dà una rinfrescata alla memoria di tutti i cosiddetti "sinceri democratici" a
proposito delle forme democratiche, che sono, per l'appunto, forme di cui le
classi dominanti (ed,
al loro interno, i gruppi di potere - economico, politico, militare - nazionali ed internazionali) si
servono quando e sino a quando vogliono e possono servirsene. Con
quello cileno i regimi militari nel mondo sono ora quarantasette.
Montevideo, 8 febbraio 1973. È notte. Truppe d'assalto dell'esercito occupano le principali
stazioni radio
della capitale. Nel frattempo reparti corazzati e polizia militare occupano i punti nevralgici della
città e
istituiscono posti di blocco. Il "golpe" è riuscito. Il presidente Juan Bordaberry riesce a
mantenere la propria posizione negoziando
la costituzione del nuovo governo con il generale Esteban Cristi, capo della Prima Regione Militare e
capo della rivolta militare. Bordaberry inoltre deve accettare di continuare ad esercitare i propri poteri
sotto il diretto controllo di un "consiglio per la sicurezza nazionale" del quale fanno parte tutti i capi
delle forze armate. Anche l'Uruguay, paese di solide tradizioni politiche, unico paese dell'America
Latina ad aver avuto un
regime civile stabile per molti decenni, è caduto sotto il diretto controllo dei militari.
L'estendersi del
potere militare è un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più vaste, un
fenomeno che
interessa tutti i continenti: nei primi mesi del '73 i militari erano al potere in trentotto paesi e in altri otto
erano in grado di controllare l'operato dei civili al governo. Se esaminiamo le linee evolutive negli
anni dal 1960 al 1973, notiamo come il potere militare si sia
continuamente espanso. Nel 1960 i paesi a regime militare erano dodici. Alla fine del 1965 erano saliti
a ventuno, all'inizio del 1973 si era arrivati a quarantasei paesi direttamente o indirettamente sotto il
dominio militare, cioè quasi un terzo dei paesi indipendenti di tutto il mondo (1). Non a
caso abbiamo usato i termini "direttamente o indirettamente", essi infatti corrispondono ai due
modi principali in cui si manifesta il potere militare. Il primo sta a significare che un comandante militare
ha assunto il potere politico, di solito grazie ad un colpo di stato. Nel secondo caso intendiamo un
regime di "tutela militare", nel quale il regime politico è rimasto apparentemente invariato
mentre il
potere effettivo è caduto nelle mani dei militari. Questi ultimi, pur avendo compiuto un "golpe"
non
ritengono utile gestire il potere in prima persona e preferiscono delegare a dei civili il compito di
governare secondo le direttive da essi emanate, pronti ad intervenire ogniqualvolta i mandatari vogliano
agire autonomamente.
gli interventi militari
Sino ad epoca recente, l'esercito è stato usato (quando è stato usato) negli scontri
per il potere, in forma
strumentale, vale adire che i militari servivano da trampolino a nuovi dirigenti. Non erano i militari in
quanto tali ad andare al potere, ma essi mettevano la propria forza a disposizione di
leaders, solitamente
di destra. Anche quando erano i militari ad installarsi al potere, questi occupavano solo i posti
più alti
e rappresentativi, ma la conduzione dello stato era solitamente affidata a civili. Con l'estendersi delle
conoscenze scientifiche in campo militare, gli ufficiali sono sempre più divenuti
dei tecnici altamente qualificati, hanno ampliato i propri orizzonti e grazie alle competenze acquisite si
ritengono in diritto di intervenire nelle questioni sociali e politiche quando queste non corrispondono
o
si discostano eccessivamente dalla loro impostazione ideologica. A seconda delle realtà
socio-politiche nelle quali si trovano ad agire, i militari adeguano le loro modalità
di intervento. Così, di fronte ad un potere civile carente, in crisi, i militari entrano direttamente
e in prima
persona sulla scena politica. Qualora invece le strutture sociali siano articolate e complesse e il potere
civile abbia solidi agganci e goda di un sufficiente consenso tra le masse, il potere militare
cercherà di
farsi strada con altri metodi.
il "complesso militare-industriale"
Negli U.S.A. il potere dei militari non si esprime attraverso tentativi di presa diretta del potere.
Nonostante ciò, i militari sono oggi in quel Paese una delle forze più vincolanti della
politica
presidenziale e del Congresso. I militari statunitensi sono un forte gruppo di pressione che tende a far
valere i propri interessi e i propri punti di vista "premendo" sui centri di decisione politica. Lo
sviluppo delle possibilità di "pressione" dei generali U.S.A. prese le mosse nel secondo
dopoguerra,
dopo l'incontro di questi con le grandi industrie private specializzate in forniture militari. È sotto
la
presidenza Kennedy che il "complesso militare industriale" aumentò considerevolmente la sua
potenza.
L'amministrazione Kennedy sviluppò un intenso piano di armamento altamente tecnologico, per
coprire
un presunto divario sfavorevole nei confronti dell'U.R.S.S., soprattutto in campo missilistico: il
cosiddetto "missile gap". Si creò così una gigantesca macchina militare che tendeva
a vivere di vita propria. I bilanci militari
passarono dai 42 miliardi di dollari del 1960 agli 80 miliardi di dollari del 1970, cioè quasi il
10% del
prodotto nazionale lordo (2). La tecnologia militare è giunta a livelli estremamente complessi,
con la
conseguenza che l'establishment militare è divenuto una casta tecnoburocratica
in rapporto di mutuo
appoggio con la grande industria di guerra. Questo rapporto nasce da due esigenze parallele: i militari
hanno bisogno della grande industria per soddisfare le loro crescenti richieste (base stessa del loro
nascente potere), e la grande industria necessita dell'avvallo dei generali che le permetta di prosperare
con sempre nuovi affari. Il "military-industrial complex", cioè l'alleanza tra l'alta burocrazia
del Pentagono e l'industria militare,
è divenuto un complesso mastodontico, tanto che già nel 1967 esso occupava 7.429.000
persone così
ripartite: 3.300.000 militari, 1.107.000 funzionari federali e statali, 2.972.000 tecnici e operai di industrie
appaltatrici (3). Queste cifre significano che un americano attivo su dieci era impiegato nel "complesso
militare industriale". Questo complesso tende a far valere le sue esigenze autonome esercitando
"pressioni" sul potere civile, tanto che si è più volte manifestato il caso in cui il
"complesso" è giunto per
proprio conto a delle decisioni, riuscendo poi ad imporle al Congresso.
i militari in U.R.S.S.
Anche in Russia le forze armate hanno dato segni evidenti di esistere come gruppo autonomo, come
gruppo di pressione. Pur con l'indottrinamento ideologico a cui devono sottostare (diretto dal potere
centrale: il partito) i militari sovietici agiscono con una propria logica molto simile alla logica di potere
che esprimono il loro cugini occidentali. Nonostante le premesse teoriche dalle quali è nata
l'Armata
Rossa non è l'"organizzazione militare di un popolo che ha nelle mani il potere politico", ma
è invece un
esercito professionale altamente qualificato tecnologicamente che preme sul potere politico per
acquistare più ampi spazi di potere e di privilegio. Una peculiarità che distingue l'Armata
Rossa dagli
altri eserciti occidentali è che mentre ai membri di questi ultimi è proibita la militanza
politica,
nell'U.R.S.S. questa è non solo concessa, ma praticamente obbligata. Dagli anni '20 in cui gli
ufficiali
iscritti al partito erano circa il 30%, passiamo nel 1928 al 65% e nel 1930 al 90%, percentuale che si
è
sempre più elevata con il passare degli anni. La militanza nel partito comporta una
partecipazione attiva alla sua vita. Al XXIII congresso del 1966
i delegati militari furono 352 e 32 di essi vennero eletti membri effettivi o membri candidati del Comitato
Centrale. Nel 1969 più di 5.000 militari risultavano eletti ai Comitati centrali delle varie
repubbliche o
ai comitati di partito locali e altri 11.740 ai Soviet. Il sostanzialmente parallelo sviluppo tecnologico
dell'esercito sovietico con quello U.S.A. ha portato
anche in U.R.S.S. alla costituzione di una coalizione analoga al "military-industrial complex" americano,
formata in questo caso dall'establishment militare e dai pianificatori e dirigenti
dell'industria pesante.
Questa coalizione ha fortemente influenzato la politica dell'U.R.S.S. e la nomina o la caduta dei massimi
dirigenti. È bene ricordare che la caduta di Malenkov fu determinata in buona misura
dall'esercito che
si vedeva privato di parte dei bilanci statali per la svolta che Malenkov intendeva dare all'economia. La
coalizione appoggiò l'ascesa di Krusciov, e successivamente i contrasti con questi furono una
delle
principali cause dell'avvento al potere di Breznev e soci.
l'esercito cinese
La professionalizzazione dell'esercito cinese inizia nel 1954 con l'ascesa a Ministro della Difesa di
Peng
Teh-huai. Al posto di un volontariato più o meno reale Peng fece adottare un regolare sistema
di
coscrizione, con un esercito di tre anni, ed iniziò un processo di sviluppo tecnico notevole. Peng
Teh-huai in nome dell'efficienza militare in senso tecnologico, criticò i programmi di Mao sulle
comuni
agricole e sul "grande balzo in avanti" perché li riteneva dispersivi e limitanti lo sviluppo
dell'industria
pesante, principale fonte di approvvigionamento dell'esercito. Mao lo accusò di essere un nuovo
"signore
della guerra" e di voler porre l'esercito al di sopra del partito e lo fece destituire nell'agosto 1959 dal
Plenum del Comitato Centrale. Assunse il ministero Lin Piao che diede una svolta decisiva allo stato
di cose creatosi riportando la
"politica al primo posto" e restaurando, almeno in apparenza, la supremazia del partito sull'esercito.
Nonostante ciò, nel 1965, l'esercito controllava cinque degli otto ministeri industriali ed inoltre
quelli
degli Esteri, delle Finanze, dell'Energia Atomica e dello Sport. È però durante la
rivoluzione culturale che l'esercito, nella crisi del potere politico, lacerato dalla lotta
tra "maoisti" e "revisionisti", entra quale protagonista sulla scena. Chiamati, in nome dei loro principi
di fedeltà al partito e a Mao, ad eliminare l'opposizione, i militari si accorsero di essere gli arbitri
della
situazione e di poter contare come forza autonoma. A rivoluzione conclusa, la forza che si era
imposta era l'esercito, e il maresciallo Lin Piao godeva di un
potere enorme. Partito come riformatore degli eccessi corporativi e professionali di Peng Teh-huai, Lin
Piao aveva portato l'esercito popolare in una posizione di potere sino ad allora
inimmaginabile. L'ultimo atto della carriera di Lin Piao sta proprio a dimostrare che l'esercito era
una forza tendente
all'egemonia assoluta e che scopriva il mezzo tradizionale di tutti gli eserciti per acquisire l'esercizio
esclusivo del potere: il colpo di stato.
il terzo mondo
È soprattutto nel "terzo mondo" che troviamo i militari non più come gruppo di
pressione (più o meno
potente), ma come forza egemone, come gestori del potere, in forma per lo più diretta. In
tutte le forme assunte dal potere militare nel terzo mondo possiamo cogliere alcuni aspetti significativi
ed essenziali che denotano una sostanziale identità ideologica. Solitamente si usa distinguere
dittature
militari di "destra" o di "sinistra" a seconda dei programmi sociali che i militari al governo propugnano.
E generalmente vengono ritenute di "sinistra" le dittature militari del Perù, della Libia, dell'Iraq,
eccetera,
mentre vengono considerate di "destra" quelle del Brasile, Sud-Corea, eccetera. In realtà nei
paesi del
terzo mondo l'unica vera ideologia dei militari, siano essi di "destra" o di "sinistra", è lo sviluppo
economico per sottrarsi all'influenza e allo sfruttamento dei paesi industriali avanzati. Nell'America
Latina questa ideologie infatti viene chiamata "desarrollo" (sviluppo) e
"desarrollista" è l'aggettivo che
qualifica la linea politica dei generali al potere. Diverse sono le linee e le forme di sviluppo prescelte:
di fronte ad un Perù con un'economia fortemente
pianificata c'è un Brasile che ha sviluppato una forma di neo-liberalismo. È però
significativo che sia
nell'un caso come nell'altro i militari siano usciti dagli schemi a loro propri e abbiano creato scuole
militari dove vengono insegnati economia, sociologia e menagement. Se nel
Perù si insiste sul carattere autonomo dello sviluppo, in Brasile si aprono le porte al mondo degli
affari internazionali per servirsene per la costruzione del "grande Brasile". Queste ed altre
differenziazioni fanno apparire di sinistra o di destra i due regimi, ma esse sono null'altro che due
differenti impostazioni politiche di una stessa ideologia tecnocratica e
desarrollista. Così la maggior parte dei regimi militari presentano, al di là
delle differenziazioni storiche, politiche,
geografiche, un dato comune di fondo: il potere militare si sta instaurando come potere di per
sé, come
esigenza dettata da principi tipici dell'epoca in cui viviamo, quelli della "competenza tecnica"
cioè
tecnocratici. I militari di molti paesi oggi si ritengono i più adatti a gestire come forza
tecnocratica lo sviluppo
nazionale, liberandolo dai "ritardi" e dalle "complicazioni" delle dispute politiche. Questa evoluzione
della mentalità militare si è accompagnata a una trasformazione sociale del corpo
ufficiali. I militari
tecnocrati non sono più i figli delle classi superiori aristocratiche o alto-borghesi, ma sono i figli
della
piccola e media borghesia o addirittura della classe operaia. Per questi nuovi ufficiali la promozione
sociale si identifica col possesso delle tecniche moderne, viste come la chiave d'accesso a posizioni di
maggiore potere. La tecnocrazia è la vera divisa mentale dei militari di oggi.
antimilitarismo oggi
Il potere dei militari, nella forma del "complesso militare-industriale", tipica dei Paesi industriali
avanzati,
e nella forma della dittatura militare diretta o indiretta, tipica dei Paesi sottosviluppati o in via di
sviluppo, si va dunque rapidamente diffondendo e rafforzando in tutto il mondo. Con questo
l'antimilitarismo si presenta più che mai attuale ed aggiunge alla sua tradizionale tematica
pacifista ed
internazionalista nuovi argomenti tipicamente anti-autoritari. L'esercito non è più solo
strumento del
potere ma forma un centro di potere esso stesso.
Emilio Cipriano
(1) Rizzo, L'alternativa in uniforme, Milano 1973. (2) Galbraith, Il potere
militare negli U.S.A., Milano 1970. (3). Melman, Il Capitalismo militare,
Torino 1972.
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