Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 23
estate 1973


Rivista Anarchica Online

Il potere militare
di Emilio Cipriano

Mentre la rivista è in composizione, l'esercito cileno sta portando a termine un colpo di stato, nonostante una dura e coraggiosa resistenza popolare. Quello che sembrava un fedele strumento del potere civile, un tradizionale servitore della legalità costituzionale (ma anche dell'esercito uruguayano si diceva la stessa cosa) ha assassinato il presidente e sciolto il parlamento, bombarda le fabbriche occupate dagli operai, fucila e arresta a migliaia gli oppositori, annega il Cile in un mare di sangue... e dà una rinfrescata alla memoria di tutti i cosiddetti "sinceri democratici" a proposito delle forme democratiche, che sono, per l'appunto, forme di cui le classi dominanti (ed, al loro interno, i gruppi di potere - economico, politico, militare - nazionali ed internazionali) si servono quando e sino a quando vogliono e possono servirsene.
Con quello cileno i regimi militari nel mondo sono ora quarantasette.

Montevideo, 8 febbraio 1973. È notte. Truppe d'assalto dell'esercito occupano le principali stazioni radio della capitale. Nel frattempo reparti corazzati e polizia militare occupano i punti nevralgici della città e istituiscono posti di blocco.
Il "golpe" è riuscito. Il presidente Juan Bordaberry riesce a mantenere la propria posizione negoziando la costituzione del nuovo governo con il generale Esteban Cristi, capo della Prima Regione Militare e capo della rivolta militare. Bordaberry inoltre deve accettare di continuare ad esercitare i propri poteri sotto il diretto controllo di un "consiglio per la sicurezza nazionale" del quale fanno parte tutti i capi delle forze armate.
Anche l'Uruguay, paese di solide tradizioni politiche, unico paese dell'America Latina ad aver avuto un regime civile stabile per molti decenni, è caduto sotto il diretto controllo dei militari. L'estendersi del potere militare è un fenomeno che sta assumendo proporzioni sempre più vaste, un fenomeno che interessa tutti i continenti: nei primi mesi del '73 i militari erano al potere in trentotto paesi e in altri otto erano in grado di controllare l'operato dei civili al governo.
Se esaminiamo le linee evolutive negli anni dal 1960 al 1973, notiamo come il potere militare si sia continuamente espanso. Nel 1960 i paesi a regime militare erano dodici. Alla fine del 1965 erano saliti a ventuno, all'inizio del 1973 si era arrivati a quarantasei paesi direttamente o indirettamente sotto il dominio militare, cioè quasi un terzo dei paesi indipendenti di tutto il mondo (1).
Non a caso abbiamo usato i termini "direttamente o indirettamente", essi infatti corrispondono ai due modi principali in cui si manifesta il potere militare. Il primo sta a significare che un comandante militare ha assunto il potere politico, di solito grazie ad un colpo di stato. Nel secondo caso intendiamo un regime di "tutela militare", nel quale il regime politico è rimasto apparentemente invariato mentre il potere effettivo è caduto nelle mani dei militari. Questi ultimi, pur avendo compiuto un "golpe" non ritengono utile gestire il potere in prima persona e preferiscono delegare a dei civili il compito di governare secondo le direttive da essi emanate, pronti ad intervenire ogniqualvolta i mandatari vogliano agire autonomamente.

gli interventi militari

Sino ad epoca recente, l'esercito è stato usato (quando è stato usato) negli scontri per il potere, in forma strumentale, vale adire che i militari servivano da trampolino a nuovi dirigenti. Non erano i militari in quanto tali ad andare al potere, ma essi mettevano la propria forza a disposizione di leaders, solitamente di destra. Anche quando erano i militari ad installarsi al potere, questi occupavano solo i posti più alti e rappresentativi, ma la conduzione dello stato era solitamente affidata a civili.
Con l'estendersi delle conoscenze scientifiche in campo militare, gli ufficiali sono sempre più divenuti dei tecnici altamente qualificati, hanno ampliato i propri orizzonti e grazie alle competenze acquisite si ritengono in diritto di intervenire nelle questioni sociali e politiche quando queste non corrispondono o si discostano eccessivamente dalla loro impostazione ideologica.
A seconda delle realtà socio-politiche nelle quali si trovano ad agire, i militari adeguano le loro modalità di intervento. Così, di fronte ad un potere civile carente, in crisi, i militari entrano direttamente e in prima persona sulla scena politica. Qualora invece le strutture sociali siano articolate e complesse e il potere civile abbia solidi agganci e goda di un sufficiente consenso tra le masse, il potere militare cercherà di farsi strada con altri metodi.

il "complesso militare-industriale"

Negli U.S.A. il potere dei militari non si esprime attraverso tentativi di presa diretta del potere. Nonostante ciò, i militari sono oggi in quel Paese una delle forze più vincolanti della politica presidenziale e del Congresso. I militari statunitensi sono un forte gruppo di pressione che tende a far valere i propri interessi e i propri punti di vista "premendo" sui centri di decisione politica.
Lo sviluppo delle possibilità di "pressione" dei generali U.S.A. prese le mosse nel secondo dopoguerra, dopo l'incontro di questi con le grandi industrie private specializzate in forniture militari. È sotto la presidenza Kennedy che il "complesso militare industriale" aumentò considerevolmente la sua potenza. L'amministrazione Kennedy sviluppò un intenso piano di armamento altamente tecnologico, per coprire un presunto divario sfavorevole nei confronti dell'U.R.S.S., soprattutto in campo missilistico: il cosiddetto "missile gap".
Si creò così una gigantesca macchina militare che tendeva a vivere di vita propria. I bilanci militari passarono dai 42 miliardi di dollari del 1960 agli 80 miliardi di dollari del 1970, cioè quasi il 10% del prodotto nazionale lordo (2). La tecnologia militare è giunta a livelli estremamente complessi, con la conseguenza che l'establishment militare è divenuto una casta tecnoburocratica in rapporto di mutuo appoggio con la grande industria di guerra. Questo rapporto nasce da due esigenze parallele: i militari hanno bisogno della grande industria per soddisfare le loro crescenti richieste (base stessa del loro nascente potere), e la grande industria necessita dell'avvallo dei generali che le permetta di prosperare con sempre nuovi affari.
Il "military-industrial complex", cioè l'alleanza tra l'alta burocrazia del Pentagono e l'industria militare, è divenuto un complesso mastodontico, tanto che già nel 1967 esso occupava 7.429.000 persone così ripartite: 3.300.000 militari, 1.107.000 funzionari federali e statali, 2.972.000 tecnici e operai di industrie appaltatrici (3). Queste cifre significano che un americano attivo su dieci era impiegato nel "complesso militare industriale". Questo complesso tende a far valere le sue esigenze autonome esercitando "pressioni" sul potere civile, tanto che si è più volte manifestato il caso in cui il "complesso" è giunto per proprio conto a delle decisioni, riuscendo poi ad imporle al Congresso.

i militari in U.R.S.S.

Anche in Russia le forze armate hanno dato segni evidenti di esistere come gruppo autonomo, come gruppo di pressione. Pur con l'indottrinamento ideologico a cui devono sottostare (diretto dal potere centrale: il partito) i militari sovietici agiscono con una propria logica molto simile alla logica di potere che esprimono il loro cugini occidentali. Nonostante le premesse teoriche dalle quali è nata l'Armata Rossa non è l'"organizzazione militare di un popolo che ha nelle mani il potere politico", ma è invece un esercito professionale altamente qualificato tecnologicamente che preme sul potere politico per acquistare più ampi spazi di potere e di privilegio. Una peculiarità che distingue l'Armata Rossa dagli altri eserciti occidentali è che mentre ai membri di questi ultimi è proibita la militanza politica, nell'U.R.S.S. questa è non solo concessa, ma praticamente obbligata. Dagli anni '20 in cui gli ufficiali iscritti al partito erano circa il 30%, passiamo nel 1928 al 65% e nel 1930 al 90%, percentuale che si è sempre più elevata con il passare degli anni.
La militanza nel partito comporta una partecipazione attiva alla sua vita. Al XXIII congresso del 1966 i delegati militari furono 352 e 32 di essi vennero eletti membri effettivi o membri candidati del Comitato Centrale. Nel 1969 più di 5.000 militari risultavano eletti ai Comitati centrali delle varie repubbliche o ai comitati di partito locali e altri 11.740 ai Soviet.
Il sostanzialmente parallelo sviluppo tecnologico dell'esercito sovietico con quello U.S.A. ha portato anche in U.R.S.S. alla costituzione di una coalizione analoga al "military-industrial complex" americano, formata in questo caso dall'establishment militare e dai pianificatori e dirigenti dell'industria pesante. Questa coalizione ha fortemente influenzato la politica dell'U.R.S.S. e la nomina o la caduta dei massimi dirigenti. È bene ricordare che la caduta di Malenkov fu determinata in buona misura dall'esercito che si vedeva privato di parte dei bilanci statali per la svolta che Malenkov intendeva dare all'economia. La coalizione appoggiò l'ascesa di Krusciov, e successivamente i contrasti con questi furono una delle principali cause dell'avvento al potere di Breznev e soci.

l'esercito cinese

La professionalizzazione dell'esercito cinese inizia nel 1954 con l'ascesa a Ministro della Difesa di Peng Teh-huai. Al posto di un volontariato più o meno reale Peng fece adottare un regolare sistema di coscrizione, con un esercito di tre anni, ed iniziò un processo di sviluppo tecnico notevole. Peng Teh-huai in nome dell'efficienza militare in senso tecnologico, criticò i programmi di Mao sulle comuni agricole e sul "grande balzo in avanti" perché li riteneva dispersivi e limitanti lo sviluppo dell'industria pesante, principale fonte di approvvigionamento dell'esercito. Mao lo accusò di essere un nuovo "signore della guerra" e di voler porre l'esercito al di sopra del partito e lo fece destituire nell'agosto 1959 dal Plenum del Comitato Centrale.
Assunse il ministero Lin Piao che diede una svolta decisiva allo stato di cose creatosi riportando la "politica al primo posto" e restaurando, almeno in apparenza, la supremazia del partito sull'esercito. Nonostante ciò, nel 1965, l'esercito controllava cinque degli otto ministeri industriali ed inoltre quelli degli Esteri, delle Finanze, dell'Energia Atomica e dello Sport.
È però durante la rivoluzione culturale che l'esercito, nella crisi del potere politico, lacerato dalla lotta tra "maoisti" e "revisionisti", entra quale protagonista sulla scena. Chiamati, in nome dei loro principi di fedeltà al partito e a Mao, ad eliminare l'opposizione, i militari si accorsero di essere gli arbitri della situazione e di poter contare come forza autonoma.
A rivoluzione conclusa, la forza che si era imposta era l'esercito, e il maresciallo Lin Piao godeva di un potere enorme. Partito come riformatore degli eccessi corporativi e professionali di Peng Teh-huai, Lin Piao aveva portato l'esercito popolare in una posizione di potere sino ad allora inimmaginabile.
L'ultimo atto della carriera di Lin Piao sta proprio a dimostrare che l'esercito era una forza tendente all'egemonia assoluta e che scopriva il mezzo tradizionale di tutti gli eserciti per acquisire l'esercizio esclusivo del potere: il colpo di stato.

il terzo mondo

È soprattutto nel "terzo mondo" che troviamo i militari non più come gruppo di pressione (più o meno potente), ma come forza egemone, come gestori del potere, in forma per lo più diretta.
In tutte le forme assunte dal potere militare nel terzo mondo possiamo cogliere alcuni aspetti significativi ed essenziali che denotano una sostanziale identità ideologica. Solitamente si usa distinguere dittature militari di "destra" o di "sinistra" a seconda dei programmi sociali che i militari al governo propugnano. E generalmente vengono ritenute di "sinistra" le dittature militari del Perù, della Libia, dell'Iraq, eccetera, mentre vengono considerate di "destra" quelle del Brasile, Sud-Corea, eccetera. In realtà nei paesi del terzo mondo l'unica vera ideologia dei militari, siano essi di "destra" o di "sinistra", è lo sviluppo economico per sottrarsi all'influenza e allo sfruttamento dei paesi industriali avanzati. Nell'America Latina questa ideologie infatti viene chiamata "desarrollo" (sviluppo) e "desarrollista" è l'aggettivo che qualifica la linea politica dei generali al potere.
Diverse sono le linee e le forme di sviluppo prescelte: di fronte ad un Perù con un'economia fortemente pianificata c'è un Brasile che ha sviluppato una forma di neo-liberalismo. È però significativo che sia nell'un caso come nell'altro i militari siano usciti dagli schemi a loro propri e abbiano creato scuole militari dove vengono insegnati economia, sociologia e menagement.
Se nel Perù si insiste sul carattere autonomo dello sviluppo, in Brasile si aprono le porte al mondo degli affari internazionali per servirsene per la costruzione del "grande Brasile". Queste ed altre differenziazioni fanno apparire di sinistra o di destra i due regimi, ma esse sono null'altro che due differenti impostazioni politiche di una stessa ideologia tecnocratica e desarrollista.
Così la maggior parte dei regimi militari presentano, al di là delle differenziazioni storiche, politiche, geografiche, un dato comune di fondo: il potere militare si sta instaurando come potere di per sé, come esigenza dettata da principi tipici dell'epoca in cui viviamo, quelli della "competenza tecnica" cioè tecnocratici.
I militari di molti paesi oggi si ritengono i più adatti a gestire come forza tecnocratica lo sviluppo nazionale, liberandolo dai "ritardi" e dalle "complicazioni" delle dispute politiche. Questa evoluzione della mentalità militare si è accompagnata a una trasformazione sociale del corpo ufficiali. I militari tecnocrati non sono più i figli delle classi superiori aristocratiche o alto-borghesi, ma sono i figli della piccola e media borghesia o addirittura della classe operaia. Per questi nuovi ufficiali la promozione sociale si identifica col possesso delle tecniche moderne, viste come la chiave d'accesso a posizioni di maggiore potere. La tecnocrazia è la vera divisa mentale dei militari di oggi.

antimilitarismo oggi

Il potere dei militari, nella forma del "complesso militare-industriale", tipica dei Paesi industriali avanzati, e nella forma della dittatura militare diretta o indiretta, tipica dei Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo, si va dunque rapidamente diffondendo e rafforzando in tutto il mondo. Con questo l'antimilitarismo si presenta più che mai attuale ed aggiunge alla sua tradizionale tematica pacifista ed internazionalista nuovi argomenti tipicamente anti-autoritari. L'esercito non è più solo strumento del potere ma forma un centro di potere esso stesso.

Emilio Cipriano

(1) Rizzo, L'alternativa in uniforme, Milano 1973.
(2) Galbraith, Il potere militare negli U.S.A., Milano 1970.
(3). Melman, Il Capitalismo militare, Torino 1972.