Rivista Anarchica Online
Una miniera di spunti
di Paolo Finzi
Ci sono persone che esercitano su di te un'attrazione, un'influenza, un qualche cosa
di indefinibile ma
sicuramente profondo, coinvolgente. Già dal loro sguardo, dal loro corpo, dal loro modo di muoversi, di
gesticolare, di restare in silenzio, ti fanno capire che il tuo rapporto con loro lascerà un segno. Non capita
spesso. Una ventina d'anni fa ebbi modo di conoscere a Milano, in occasione di uno spettacolo del Living
Theatre alla Comuna Baires, Julian Beck e Judith Malina. E quando la sera vennero a cena a casa nostra, ebbi
proprio questa sensazione. Sia con Julian sia con Judith. Certo, c'era un che di inevitabilmente affascinante
nella loro vita di teatranti anarchici pellegrini per il mondo.
Certo, quando ti raccontavano delle loro esperienze di teatro di strada in Brasile, della loro permanenza nella
Comunidad del Sur in Uruguay, delle esperienze di vita e di lotta negli States - insomma, quando raccontavano,
io che allora avevo meno della metà dei loro anni - potevo anche pendere dalle loro labbra. Loro,
anarchici come noi, ma di un anarchismo così diverso per tanti aspetti - loro nonviolenti, mentre io mi
riconoscevo allora nella concezione malatestiana della "violenza (quando) necessaria"; loro vegetariani, mentre
per noi queste erano tuttalpiù simpatiche opzioni personali; loro da tanti anni coinvolti in una complessa
(e
contraddittoria) esperienza di vita comunitaria, apertissima sui fronti della coppia, dell'omosessualità,
ecc.,
mentre noi eravamo concettualmente aperti a tutto ciò ma di fatto abituati a vivere in modo molto
più
tradizionale. Insomma, anche se la comune sensibilità libertaria e l'istintiva simpatia facilitavano la
comunicazione, le distanze tra noi e loro erano grosse, molto grosse. Vent'anni dopo Cristina mi fa avere le
bozze di questa sua intervista con Judith ed io mi ritrovo sveglio la notte, a leggere e rileggere. Nel frattempo
tante cose sono cambiate. Intanto, non c'è più Julian. E poi, come mi pare giusto, tutti siamo un
po' cambiati,
abbiamo vissuto, lottato, pensato. Esperienze, delusioni, inevitabili bilanci inevitabilmente non troppo rosei.
Leggo e rileggo parti del libro, sto a sentire quel che dice Judith su tante cose. Come sempre di fronte ai grandi
libri, sono possibili molteplici chiavi di lettura. Il Living Theatre è stato ed è una delle
esperienze più interessanti nel panorama teatrale di questo secolo e
Cristina - che della cultura teatrale è fine conoscitrice come pochi - ci offre innanzitutto un libro
importante
sul teatro del Living, sulle sue interconnessioni con altre esperienze teatrali, insomma sul Teatro. C'è poi
la
vita di Judith, il suo maturare all'interno di una famiglia e di una cultura profondamente ebraiche verso un
pensiero e uno stile di vita libertario. Quale ricchezza di relazioni , da quella essenziale con Julian alle mille
altre che una vita segnata dall'impegno
sociale (prima ancora che teatrale) propone come tappe di un arricchimento personale e collettivo. Stimolata
da Cristina, Judith riesce a darci un quadro non retorico, non idealizzato, di una vita spesso randagia
ma mai "occasionale": un filo rosso-nero, anarchico, la attraversa e ne collega le diverse fasi con la coerenza
della problematicità, con la volontà di ripartire - per quanto possibile - con la stessa energia, con
la stessa
curiosità della prima volta. In tante sue pagine in particolare, ma anche nel suo insieme, questo libro
è anche una miniera di spunti e di
riflessioni attuali sull'anarchismo, sulla rivoluzione, sulla nonviolenza, sulla liberazione sessuale, ecc. Come
sempre, in un'intervista l'intervistatore conta quanto l'intervistato. Ed è grazie alla cultura, alla
sensibilità libertaria, alla grande finezza d'animo di Cristina se Judith riesce a darci - in meno di 300
pagine -
un manuale di vita e di anarchia dello stesso spessore dell'autobiografia di Emma Goldman - anche lei - come
Judith - nata in Europa, ebrea, immigrata negli Stati Uniti, anarchica, femminista, spirito libero e
rivoluzionario, girovaga per il mondo, a volte ospite delle carceri, ecc. Se qualcosa in più ha, secondo
me, il libro di Judith, è proprio l'incontro con un'intervistatrice/stimolatrice
come Cristina, che l'ha aiutata a focalizzare ed a condensare, fornendoci così un distillato critico di
un'esistenza vissuta giorno dopo giorno nel segno della libertà. |