Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 26 nr. 228
giugno 1996


Rivista Anarchica Online

Situazionismo: Un'amara vittoria
di Gianfranco Marelli

È appena uscito, per le edizioni della Biblioteca Franco Serantini, L'amara vittoria del situazionismo, di Gianfranco Marelli. Vecchia e simpatica conoscenza della nostra rivista - infatti in passato ha pubblicato su «A» numerosi articoli con il suo abituale nome de plume Jules Elisard - Marelli si è dedicato in questi ultimi anni alla ricerca e allo studio delle fonti originali e in buona parte inedite del «situazionismo»: un movimento a metà strada fra l'avanguardia artistica e l'organizzazione rivoluzionaria, proteso verso la ricerca di coniugare le due realtà e fonderle in un superamento in grado di assimilare la necessità di cambiare la vita con l'esigenza di trasformare il mondo. Ripercorrere la storia dell'Internationale Situationniste affrontando le questioni spinose, sia pratiche che teoriche, poste dai situazionisti nel tentativo di avviare un processo capace di trasformare qualcosa di importante nella vita e non solo apportarvi delle inutili e nocive modifiche - ci ha spiegato l'autore - è il punto di osservazione dal quale sono partito con la speranza di fornire ai lettori gli strumenti indispensabili per avvicinarsi ed appropriarsi di un argomento più volte trattato in maniera agiografica, per iniziati, ma soprattutto in modo acritico. Perché, ad esclusione di pochi saggi, le pubblicazioni attinenti al situazionismo o sono semplici antologie di testi dell'I.S., o concernono semplici variazioni sul tema compiute dai soliti pro-situazionisti, oppure si tratta di sparuti articoli in cui traspare un'acredine preconcetta nei loro confronti da inficiare ogni sereno giudizio. Ovviamente tutto ciò mi ha creato serie difficoltà nel ricostruire il percorso teorico e pratico di un'organizzazione rivoluzionaria considerata per alcuni la più significativa esperienza che il movimento degli anni '60 poté compiere, mentre per altri nient'altro che un'avanguardia di sparuti intellettuali che si erano divertiti nel parlare di rivoluzione, di critica della vita quotidiana, di società dello spettacolo.
E, secondo te, chi ha avuto ragione?
Semplicemente nessuno dei due. Non tanto per uno spirito salomonico, quanto perché l'Internationale Situationniste riuscì a rappresentare, per un breve arco di tempo durato quindici anni, sia le più profonde aspirazioni di un'avanguardia artistica davvero intenzionata a rompere con l'ambiente dei mercanti d'arte ed a prospettare la realizzazione di uno stile di vita che fosse una continua creazione di situazioni ambientali/comportamentali in grado di far indietreggiare l'infelicità di questa società consumistica; sia le tensioni di un movimento di radicale contestazione del sistema economico-capitalista che iniziava ad esprimersi con le forme di un linguaggio per nulla ingessato dai desueti slogan di partito con tanto di impegno militante volto a conquistare la piazza operaia al suono di Bandiera rossa.
Non erano però gli unici a criticare la «forma-partito» e l'alienazione prodotta da una militanza sacrificata ad una politica istituzionale protesa alla conquista dello stato…
Certo, il movimento anarchico nel suo insieme si è sempre contraddistinto per una pratica ed una teoria scevra da qualsiasi ideologia rivoluzionaria mirante alla presa dello stato per mezzo di un'avanguardia politica in grado di guidare le masse alla conquista del potere o attraverso le consultazioni elettorali (riformismo), oppure attraverso la lotta armata (leninismo). L'azione degli anarchici non ha mai frequentato il retrobottega della politica, ma si è posta al centro di una proposta autogestionaria, federalista e antistatalista della società da attuare mediante l'azione diretta, il rifiuto della delega, l'autorganizzazione dei lavoratori, degli sfruttati, degli emarginati. L'internationale Situationniste, almeno sul piano teorico, si avvicina a questa concezione di «rivoluzione sociale», e bisogna sottolineare che non fu nemmeno l'unica rivista dell'estrema sinistra francese che all'inizio degli anni '60 intraprese un lento ma proficuo cammino di revisione del pensiero marxista, soprattutto riguardo alle concezioni di «avanguardia rivoluzionaria», «stato socialista», «economia di stato», al punto da ridiscutere il ruolo avuto dall'Unione Sovietica nel processo di emancipazione dei popoli, nonchè la stessa validità di quello che era stato definito il «comunismo in un solo paese». La differenza però consistette nel modo e soprattutto nel linguaggio con il quale i situazionisti criticavano le forme alienate ed alienanti dell'agire politico.
Che cosa intendi dire?
Il loro obiettivo di «reinventare la rivoluzione » non solo rispondeva all'esigenza di portare sul banco degli imputati il progetto rivoluzionario per accusarlo di aver fallito e di aver prodotto una nuova alienazione, ma soddisfava anche il bisogno di ribadire con forza che la società capitalista non per questo era diventata più accettabile: semplicemente era necessario individuare nello scandaloso ritardo fra le possibili costruzioni di vita e la sua miseria presente i veri motivi per far «incollerire il popolo». Attraverso l'analisi della società contemporanea l'Internationale Situationniste non seppe soltanto operare una critica reale delle condizioni di alienazioni prodotte dallo sviluppo dell'economia capitalista sull'intero arco della vita quotidiana degli individui (precisando in tal modo la definizione di «proletario» come colui che non ha più il controllo, il possesso, della propria esistenza), ma sviluppò un attacco contro tutte le forme di rappresentazione politica del proletariato, perché oltre che essere estranee, separate dal vissuto quotidiano del proletariato, risultano al contrario le legittime rappresentanti di un sistema economico basato sull'unità della miseria che si nasconde dietro le sue opposizioni spettacolari.
E qui entra in ballo il concetto di «società dello spettacolo». In che senso i situazionisti lo interpretarono?
Guy Debord nel cercare di esplicare il concetto di - società dello spettacolo - distinse tra spettacolo concentrato (proprio del capitalismo burocratico sovietico, sebbene importabile nelle economie miste più arretrate, o in certi momenti di crisi del capitalismo avanzato), e spettacolo diffuso (tipico delle società dell'abbondanza delle merci). Il richiamo al sistema economico e al diverso sviluppo produttivo raggiunto, la dice lunga sul fatto che né Debord, né alcun altro aderente all'Internationale Situationniste abbiano mai voluto individuare la «società dello spettacolo» come il prodotto e il produttore del mondo dell'informazione (i massmedia), ma semmai come l'informazione di un mondo in cui lo spettacolo - per dirla con le parole di Debord - «è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine». I situazionisti non si occuparono mai dei mass-media come oggi giorno sembrano occuparsene i critici dello spettacolo; piuttosto si interessarono dello «spettacolo» indecoroso della cultura, della politica, dell'informazione al fine di denunciare un sistema economico-produttivo incapace di sviluppare le potenzialità tecnologiche ed artistiche in grado di liberare la vita quotidiana dalle proprie miserie. In primis quello di lavorare per le macchine, mentre dovrebbero essere le macchine a lavorare per sviluppare ed arricchire la creatività umana.
Non è questa una visione iper-futurista?
Certamente, ma è stata l'unica in grado di coniugare in termini rivoluzionari la necessità di dare risposte complessive - non parcellari e frazionate - al bisogno di «vivere senza tempi morti e gioire senza ostacoli». O, perlomeno, i situazionisti hanno creduto di apportare quelle condizioni indispensabili affinché il progetto di trasformare radicalmente la società passasse attraverso la realizzazione di una vita quotidiana libera da impedimenti imposti da un sistema di dominio incapace di governare il cambiamento in atto. Purtroppo questa sfida sul cambiamento è stata vinta dai loro nemici, che hanno saputo riutilizzare le idee più geniali dell'Internationale Situationniste per migliorare - apportandovi quella critica dello spettacolo in grado di rendere più interessante lo spettacolo della critica - il sistema di dominio. Cosicché invece di adattare il sistema alla trasformazione del mondo, vi è stato l'adattamento degli uomini ad un sistema di trasformazione del mondo.
Questa «débacle» dell'I.S. può forse essere considerata l'origine dei non sempre facili rapporti tra situazionisti e anarchici?
Sul piano della critica teorica gli anarchici hanno in più occasioni sottolineato quanto il limite del pensiero situazionista fosse annidiato in un comportamento elitario, da primi della classe, che si esprimeva in modo autoritario e gerarchico nella loro stessa struttura organizzativa; infatti sebbene i situazionisti teorizzassero la necessità di «avere rapporti dialettici» tra di loro e nei confronti del movimento rivoluzionario, non riuscirono mai a far sì che i loro rapporti non fossero improntati da un'atteggiamento di superiorità, che in molti casi rasentò il disprezzo e la calunnia, nei confronti di tutte le altre esperienze rivoluzionarie, considerate il più delle volte facili prede da sottomettere e utilizzare ai loro fini. Così quando, prima in Francia e successivamente in Italia, i situazionisti si trovarono costretti a confrontarsi politicamente con le strutture organizzate del movimento anarchico, applicarono il sistema dell'infiltrazione per minare alla base qualsiasi reale e proficuo confronto fra le due teorie, volendo assulutamente che il metodo organizzativo degli anarchici e la loro pratica rivoluzionaria fossero considerati superati, ma soprattutto inadatti a cogliere gli elementi innovativi presenti nella contestazione giovanile. Nei fatti ciò nascondeva l'obiettivo di cancellare qualsiasi organizzazione rivoluzionaria che potesse mettere in discussione una pratica antiautoritaria e antigerarchica che in effetti non era affatto, bensì mostrava aperte e insanabili contraddizioni dal momento che l'Internazionale Situationniste pur predicando di non voler assumere la guida del movimento rivoluzionario e svolgere il ruolo di avanguardia, in realtà divenne, come ho appunto scritto nel saggio, «un organismo che agì sulle avanguardie rivoluzionarie (cercando di condizionarle e cooptarle) più che intervenire direttamente sul sociale». Tale atteggiamento finì non solo per inasprire i rapporti con il movimento anarchico e con tutte le altre forze rivoluzionarie non disposte a piegarsi al credo situazionista, ma si tramutò nell'unica pratica che i situazionisti, ma soprattutto i posituazionisti, cercarono di attuare quando ormai le loro idee si erano mostrate così «attuali» da essere utilizzate, pro domo sua, dalla stessa società dello spettacolo».
Dunque, «un'amara vittoria»…Ma allora perché riproporre una lettura del «situazionismo», seppur critica?
Perché forse ripercorrere le analisi dei situazionisti ci aiuta a comprendere quali sono stati gli errori che hanno permesso il recupero delle idee, delle iniziative, delle realizzazioni più importanti compiute dal movimento rivoluzionario nel suo insieme. Perché, sebbene tanti sono stati gli errori commessi (e fra questi, quello più macroscopico è stato di non aver saputo prevedere che la società capitalista si sarebbe saputa difendere utilizzando l'immaginazione al potere), rimane il fatto che le miserie della vita quotidiana non sono diventate certo più accettabili. Anzi....