Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 223
dicembre 1995 - gennaio 1996


Rivista Anarchica Online

L'umanità è mediocre
di Marc 'de Pasquali

La straordinaria mostra chiusa a maggio, il mese delle madonne, delle rose, delle mamme chiassose, nell'accogliente Fondazione Mazzotta di Milano (relativo e curato catalogo a lire 80.000), ispira queste righe su Umberto Boccioni pittore scultore e scrittore. L'insieme d'antico e contemporaneo, d'identificazione e decomposizione amorosamente intessuto e ripetuto, per Boccioni è la figura femminile, meglio, sua madre, spesso sublimata nella sorella, nelle amiche vicine di casa, replicata per tele e tele, schizzi e schizzi, in studi e foto (così esplicito e inusitato nell'arte, le eccezioni sono dei cammei, da Dürer nel 1514 a Pasolini nel cinema); decine di posture intere o tagliate, in piedi, rovesciate che riposano, sedute che cuciono o leggono, tristi, stanche, di fianco, di fronte, solitarie, in gruppo, tutte tra periferiche finestre aperte, chiuse, che riflettono, e balconi; tante mamme in buchi di luce, in buchi di aria, di vista e di rumore, borderline tra mondo mobile e serrato palcoscenico da caseggiato, sfogatoi criptici, d'annunciazioni, di benedizioni, con due piantine nei vasi; da questo insieme d'attesa e riflessioni, di primordiale e cosmica creatività, confluirà dopo anni di lavoro e di fame patita e d'insensate occupazioni, in quello che viene ritenuto il suo capolavoro, la concava convessa Materia (1912, collezione privata), titolo denso di emozioni di colori di sapori - madre arte.
Il passaggio monumentale un po' verista e divisionista, un po' liberty, illuminato alla Segantini, succhiatore delle spose ritratte da Balla e da Cézanne, delle toilettes di cocottine e tenutarie colte da Touluse-Lautrec o da Bonnard, è Controluce (1909, collezione privata), una seduzione dall'apparente sorpresa ci impone una madre ibrida, carnale, nuda, raro per questo autentico artista che così ci avvolge negli universi dei desideri edipici, quelli da obnubilare, da far giacere all'inferno (ah, proibite fantasie erotiche)...Una madre vecchia, gli occhi dolci e comprensivi dai colori non certo glauchi (duplicati nello schienale di una sedia Thonet povero), misteriosa, con la schiena odorosa di talco, detersa da scaglie si sapone di Marsiglia, da pioggerelle policrome, tante virgolette ciondolanti, tanti vermicelli scolati su un corpo arrestato, lento nella sua molle muscolatura; una donna dalle curve striscianti, invasa da altre larve sfilacciate, un arcobaleno cadente senza soluzione di continuità, dal destino femminile reiterato, con le sue giornate sfatte, ricamate con la Singer - il pianoforte delle case proletarie lombarde; una popolazione operosa impiegata a buon prezzo dai padroni delle ciminiere e mal rappresentata dal socialismo pittorico. Tutto è basato sull'ubbidienza, chi legge, chi desidera, chi partorisce e spignatta, fresche Madame Bovary cacciate dai campi e sfornate nei capoluogo presso la zia, emancipate, belle vaporose e sospirose, finiscono alla finestra, col rocchetto del filo rosso posto con diligenza sul piano lavoro, annusando i fiori di pesco, aspettando la domenica, le mestruazioni, il filo della speranza, della provvidenza da dipanare...tant'è, tutte le forme, come si mangia, il gesticolare, la nostra grafia, in quanto irripetibili, sono da considerarsi opere d'arte - consolatoriamente Duchamp docet.
Matermateria è allora respingente, e non per la fatica della sintesi richiesta allo sguardo, è inquietante e tormentante per la sua implosione. La grande madre Materia che incombe cupa e che guarda storto chi la guarda è delusa, emotivamente incomprensibile e sottilmente funesta, pure ricattatoria, son cose che si sentono, non le si possono granché formalizzare. Quel quadrone ha un potere contadino, risentito, troneggia dolente e solenne, stride quanto i sestetti d'archi di Schönberg (ritratto da Schiele), ha le gote arrossate che fanno pendant con le sue mani e le sue dita da pugilatore (insanguinate dopo aver fatto partorire qualche mucca o sviscerato qualche gallina); la figura imprigionata è in apparenza paziente, in posa, in realtà è danzante con una tecnica che scalcia, perseguita, ma con le falangi incrociate sulla sua rassegnazione, come ogni santa martire incantata fa, e dà ansia; un grembo stile squadrato, mischiato tra dinamismo e cubismo, baricentro enfatizzato da chele gorgonee che il figlio creativo ha disposto con furia per un'ancestrale castrazione, e con tante studiate pennellate dai colori sporcati eseguiti a raggiera, e le due autostrade verde crepato sono i due polsi possenti infilati nelle manicacce, tetre gallerie da cui non si potrà più tornare indietro, Boccioni in primis.
Ecco il Futurismo come sconforto ed esaltazione, come sogno, aspirazione piccolo borghese assillante (il padre era impiegato alla prefettura, Umberto nasce a Reggio Calabria, il 19 ottobre 1882, dopo la casa distrutta dal terremoto la famiglia d'origine romagnola si trasferisce a Forlì, indi Genova, Padova, Catania, infine Roma dove papà Boccioni sparirà con una camerierina); Futurismo contro la contingenza del ricucire un passato duro, i tempi umbertini, la "meschinità di vita continua" scrive sul diario riferendosi a sua mamma che nelle relazioni alla dongiovanni la sostituisce con signorine eleganti e truccate; Futurismo pittorico che si tufferà a peso morto in una germogliante classe media, fintamente edulcorata, alla francese, mai esistita in Italia.
Suo equivalente letterario è Marinetti (nato ad Alessandria d'Egitto nel 1876 da un avvocato di Voghera) che debutta su Le Figaro col primo Manifesto. In Italia i due lanciano il movimento con fragore, dal Politeana di Torino, nel 1910, insieme a Balla (maestro iniziatico di Boccioni), Russolo, Severini, Carrà; ne seguiranno altri, persino della donna futurista, alcuni firmati dal solo Boccioni. A Parigi, il gruppo rincorso dal chiasso del successo, tramite l'anarchico Félix Fénéon (nel contempo Modigliani amicone di Severini campa nella più nera miseria e Licini li ammira) stravende con profitto, a blocchi, e le opere circolano nelle maggiori capitali europee.
Dalla lettura di Nietzsche, Sorel, Renan, dell'incantevole Ruskin, di Marx, Engels, Bakunin, dagli abbigliamenti barbuto trasandati, i futuristi passano alla reazione, alle calzature tirate a lucido (Scarpetta di società + orina).
Apparentemente rivoluzionari contro il benpensante borghese, inneggiano a uno stereotipo anarchismo fatto di bombe e attentati, alla velocità virile, alla città che sale, al canto dei motori; l'uso intimo legato alla qualità delle opere d'arte, diviene consumo, dapprima d'élite, poi di massa, esaltata per l'espansione aggressiva industriale, con fanatismo e nazionalismo, con l'ordine del piccolo potere sino all'interventismo sfrenato, in un'isteria collettiva esibita anche negli arruolamenti al battaglione volontario ciclisti, una parte finirà al fronte come alpini, alcuni praticando l'arte del morire: Franz Marc schierato contro, Antonia Sant'Elia coi suoi bei progetti, Umberto Boccioni a trentaquattro anni vicino Verona a causa d'un cavallo - una presenza frequente nel suo lavoro, anche fuori dalle amene finestre. La superbia del progresso, la superiorità degli slanci vani, restano senza anima. I sopravvissuti si convertiranno all'arrancare fascista, da istrioni a macchiette (Sironi a parte grande nel cogliere le periferie impietose riprese poi da Antonioni), per esaurirsi, con acribia, anche nel resto d'Europa. Ai ceti emergenti gliene importa un fico dell'Arte, non la conosce, avidi mediocri, esultano per l'ecatombe preparata con scrupolo, l'igiene del mondo esige ambiziosi dalla goffa creatività, basta rimestare: Mussolini nasce da braccianti a Dovia di Predappio (Forlì) vuole scrivere e fa il muratore in Svizzera, Hitler nasce dal doganiere di Braunau sull'Inn (confine Baviera Alta Austria) vuole dipingere e fa l'imbianchino a Vienna, due che (si) piaceranno, e se non includo Stalin, per quanto nascendo contadino a Gori nel Tiflis (Transcaucasia Georgia), sappiamo che a mediocrità non scherzasse, è per non equiparare l'ideologia razzista (peraltro ancora vivace) ai GULAG siberiani - inaccettabile confusione di parte, e per sorvolare su tutti i garzoni nascenti che macelleranno in loco (Spagna, Portogallo, Ungheria, eccetera) agli ordini dell'industriosità criminale nazista per eccellenza. Lo straripante miracolo del nostro Novecento, periodo ricco d'opere straordinarie (Proust, Woolf, Pessoa, Joyce, Kafka, Oscar Wilde, Lawrence, Colette, Diaghilev, Savinio, Eleonora Duse, Albert Schweitzer, Pirandello, Debussy, Ravel, Rodin, la Mansfield, Marina Cvetiva, Esenin, Freud, Marconi, Svevo, Musil, Mann, Charlot, Klee, l'Impressionismo, l'Espressionismo, l'Astrattismo, il Surrealismo, il Raggismo, i Suprematisti, i Macchiaiolai, il Divisionismo, i Fauve, il dadaismo, il Pointismo, il Verismo, il Liberty, Gaudì, la cartellonistica, una lunga lista...) quanto mai, si conclude maldestramente attorno ai Trenta. Il resto è noto.
"Le nostre mani sono abbastanza libere e abbastanza vergini per ricominciare tutto?" sì, e lo sappiamo - Io noi Boccioni.

N.B. - Umberto Boccioni è visibile nelle Gallerie d'Arte Moderna di New York, di Torino, di Roma, molto in quella di Milano oltre a Brera: Autoritratto (1908), vestito alla russa, eseguito sul balcone di una camera ammobiliata nella periferia milanese.