Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 222
novembre 1995


Rivista Anarchica Online

Frammenti di anarchia
di Franco Bunçuga

Lo scorso giugno è morto Carlo Doglio, architetto, urbanista, anarchico. Era nato a Cesena il 19 novembre 1914. Una figura atipica, originale, che ha lasciato un'impronta significativa. Lo ricorda in queste pagine Franco Bunçuga, che ne è stato allievo

Ogni tanto appaiono nella vita, agli incroci dei destini possibili, delle persone che trovi istintivamente familiari e ti indicano la via, con il loro aiuto, con l'esempio, o semplicemente con la loro presenza ed il loro fascino, o con un qualche ammiccamento segreto che al momento non capisci, che forse anche dimentichi, ma che fa germogliare dentro di te, lentamente nel tempo, frammenti di realtà impreviste.
Qualcuno evita questi incontri, o meglio irrigidisce i muscoli del collo e del trapezio per non girarsi e tirar dritto se proprio incrocia la strada di simili personaggi. Molti giurano che tipi così non possono esistere e si mettono il cuore in pace. Io ho avuto la fortuna di incontrarne e riconoscerne alcuni: Carlo Doglio è uno di questi.
Era Venezia nel '71 quando assistetti alle prime "lezioni" di Carlo Doglio, mio docente di Urbanistica 1. Studente del terzo anno di Architettura avevo già visto di tutto: libretti coi voti di storia dati a caso, ma con ordine: 28, 29, 30, 28, 29, 30 distribuiti a pacchi in corridoio da bidelli potenti e sorridenti e l'esultanza di chi col "totovoto" aveva preso 30 senza veder in faccia l'insegnante; docenti di composizione chiedere quale sia il monumento antico piramidale più famoso - unica domanda d'esame - e sbattere in faccia a uno studente un po' imbarazzato un bel trenta con ostentato entusiasmo; docenti di scienza delle costruzioni chiedere del quinto libro del capitale, altri picchiati o sequestrati in stanzini per non contare occupazioni, marce a Marghera, scontri con polizia, ecc.
In quanto a rivoluzionari avevamo già dato e non eravamo tipi da meravigliarci di qualche stranezza dei docenti, classe in via di proletarizzazione.
Però...Doglio comincia a far "lezioni" o meglio "passeggiate mentali" insieme a noi allievi su cosa...non è l'Urbanistica!
Analizza cos'è l'Urbanistica degli architetti-urbanisti e dice che non è esattamente quello l'Urbanistica, poi fa una lezione sulla Urbanistica dei sociologi e non si dimostra soddisfatto, sull'Urbanistica degli economisti e poi...ci dichiara candidamente che lui non è urbanista, è laureato in diritto e che dopo tante esperienze con architetti e urbanisti nella pratica di lavoro ancora non è soddisfatto di nessuna teorizzazione della disciplina. E poi ci fa capire che è contro le teorizzazioni, che descrivere la vita del territorio vuol dire parteciparvi, che qualsiasi disciplina cede di fronte alla complessità della vita e ci racconta di autori e maestri - molti del mondo anglosassone - che non mi abbandoneranno mai: Patrick Geddes, Lewis Mumford e soprattutto Piotr Kropotkin.
Patatrac, comincio a leggere i classici anarchici, tutto quello che trovo - poco - di Kropotkin e vengo a sapere che Doglio è militante del movimento anarchico che all'epoca assolutamente non conoscevo, divertendomi di più a fare l'individualista e un po' l'hippy. Nel clima '68esco di quei giorni mi affascinò un docente che non parlava di valore dell'urbanistica usando come riferimento i metri cubi e il colore dei retini, né dava formule marxian-rivoluzionarie o populiste per risolvere a tavolino qualsiasi problema del territorio, diceva soltanto che cosa non si deve fare: ci dava delle norme proscrittive non delle prescrizioni, non era malato di sindrome di onnipotenza divina come quasi tutti gli urbanisti che sanno benissimo come dovrebbe essere il mondo fin nei più piccoli particolari e come dovrebbe comportarsi ciascuno di noi. Avevo trovato qualcuno che mi parlava di una forma anarchica del territorio che era in armonia col mio carattere: troppo pigro e curioso per essere un tecnico efficiente, troppo libero per essere un apparatnick di qualche sinistro partito di sinistra.
Attraverso l'architetto Giancarlo De Carlo, anche lui anarchico, Carlo Doglio era entrato nel mondo dell'architettura e si era poi anche occupato di urbanistica. Grazie a questa esperienza, dopo la guerra lavora con Adriano Olivetti, proposto dall'arch. Quaroni, e dirige il Giornale di Fabbrica di Ivrea e nel 1952 vince un premio dell'Istituto Nazionale di Urbanistica per una monografia sulla Città Giardino, da cui dal '53 in poi nasceranno le puntate sull'argomento sulla rivista Volontà, che raccolte in un opuscolo diventeranno L'equivoco della città giardino, uno dei testi fondamentali dell'urbanistica contemporanea che diventerà "un 'classico', se posso dire così (e ridendo), di cultura urbanistica in Italia, usato da chiunque ne ha scritto di poi..." come lui stesso ironicamente faceva notare.
Ebbi modo poi varie volte di incrociarlo, per motivi di comune militanza, per interessi affini, quasi sempre in circostanze "magiche" o che ben presto lo diventavano.
Devo a lui alcuni dei miei viaggi più belli e dei miei amici più cari che ho ri-conosciuto in luoghi e tempi diversi grazie a quel marchio comune che si rintraccia in chi è stato suo allievo: quella particolare, poetica visione della disciplina che solo lui sapeva trasmettere, si attacca sotto la pelle e lentamente lavora e si deposita in qualche angolo anche di chi in seguito ha preso strade completamente diverse.
Ho sentito dire da più di un suo ex-allievo che lui era inaffidabile, che no garantiva (poteva o voleva farlo?) una carriera ai suoi assistenti, che si era disperso in mille rivoli e non riusciva a dare organicità alle sue pur geniali intuizioni, che aveva frequentazioni e accettava collaborazioni non sempre in armonia coi suoi ideali, ecc. In quasi tutti vedo ancor oggi grandi tracce del maestro e nel bene e nel male tutti continuano a portarne in giro la maschera e la grande umanità. Quasi tutti i suoi ex-allievi che conosco sono rimasti anarchici, o almeno si sentono parte di un filone di architetti e urbanisti che affonda profondamente le proprie radici in quei pensatori inglesi e nei grandi maestri anarchici che Doglio per primo ha introdotto organicamente in Italia e proposto come docente a Venezia, Bologna, Palermo e dovunque abbia portato la propria testimonianza.
William Morris diceva che "destino di ogni vero rivoluzionario è lottare per un'idea che altri dopo di lui porteranno avanti in modo completamente diverso". Da questo punto di vista Doglio è stato una figura emblematica: entrava a fondo nelle questioni di cui si occupava, sempre in modo creativo e coinvolgente, riusciva a trascinare il gruppo ed a trasmettere con la profonda ironia del suo discorso e l'efficacia delle sue invenzioni l'entusiasmo che lo pervadeva e poi...non capitalizzava, non si ritagliava fette di potere, non formava schiere di discepoli replicanti per diffondere acriticamente il suo verbo. In poche parole rispettava profondamente gli "altri", non vedeva le gerarchie, non le riconosceva e no le creava: noi studenti, coinvolti dal suo avvolgente dialogo socratico, ci sentivamo sempre suoi pari, e l'impressione che mi resta dal rapporto con lui è di "aver sempre fatto le cose insieme", mai di aver ricevuto degli ordini. Per molti sentirsi rispettai come "uguali" suona di fregatura, soprattutto quando si cerca uno "sponsor", cosa ovvia e abituale nell'ambiente universitario.
Doglio come veniva spariva, la sua attenzione e i suoi interessi variavano e dimenticava problemi, cose, persone. Qualcuno avrà potuto scambiare questo atteggiamento per indifferenza e superficialità, si tratta invece di un modo di ritrovarsi ogni volta nuovo, pulito, di fronte all'evento, di considerare ogni situazione nuova, ogni amore il primo e il più profondo, quello di vivere in modo totalmente coinvolgente, riconoscere che non si sono mai visti due tramonti uguali, ricevute due carezze identiche, avere il coraggio di ricominciare ogni volta tutto da capo, non dare nulla di scontato.
Leggere un testo di Doglio, o seguirne una lezione, voleva dire "perdersi" (con tutte le accezioni positive che ne dà il suo allievo Franco La Cecla nel testo omonimo) o accettare di fare un viaggio con lui, condividere il suo gusto per la scoperta.
Mi ricordo un giorno in cui lo invitammo ad una conferenza ad Udine, camminando con un gruppo di compagni locali per le vie del centro storico Doglio fece alcune considerazioni sull'architettura del luogo: "...quella torre campanaria sembra fuori luogo, i volumi di questa piazza richiederebbero un'altra collocazione e dimensione, ciò mi dà un senso di spaesamento anche se non sono mai stato in questa città...". Con un certo imbarazzo l'organizzatore locale della conferenza gli ricordò: "...scusa Doglio ma alcuni anni fa io stesso ti ho accompagnato per le vie della città e...hai detto le stesse cose...". Doglio non mostrò il minimo imbarazzo e continuò a gustarsi la passeggiata.
Durante la conferenza poi mise tutti a disagio con una volontaria provocazione. "Senti Franco - mi disse - io questa conferenza l'ho già pronta, registrata, falla ascoltare all'auditorio dal palco con un registratore": lui si sedette in prima fila a chiacchierare con una giovane amica e prima del dibattito si allontanò con lei.
Sempre fortemente provocatorio in tutte le sue azioni e sempre sensibile al fascino femminile. Mi ricordo quando, durante un incontro a Bologna gli presentai la mia compagna di allora: vidi risvegliarsi immediatamente il suo aspetto di vecchio gentiluomo. Fu un ospite perfetto per tutta la giornata e presentò alla mia compagna Bologna nei dettagli come se la città fosse una vecchia signora sua amica. Sempre passeggiando e chiacchierando.
Ripensai a quella giornata quando, qualche tempo dopo, un amico docente ed anche lui ex-allievo di Doglio durante l'esame alla mia compagna le propose di uscire a cena...Dai maestri si impara più di quanto si creda.
Doglio amava passeggiare e discutere, ragionare, intrecciare ipotesi, trovare soluzioni e continuamente elaborare i dati in modo nuovo. Le prime volte che andavo a trovarlo a Bologna, questo modo di discutere mi intimidiva e mi spiazzava, per me discutere di cose "serie" si può fare solo attorno a un tavolo, la mia concentrazione richiede un tavolo e delle sedie. Doglio amava coinvolgere in passeggiate, fisiche e mentali, spesso in "deambulations" surrealiste o situazioniste: quando si cammina insieme la meta si trova insieme ed il percorso è sempre una scoperta; si parla camminando così non si fissa l'idea una volta per tutte, non si prendono appunti, non si è ascoltati di traverso da chi ci è vicino, si muta prospettiva in continuo, dentro e fuori, si è forse più sinceri perché tutto sembra più informale.
Non dimenticherò mai le passeggiate per Bologna con lui che ne conosceva gli angoli più segreti ed i ritmi sotterranei: ricordo come ci mostrò da uno sportello in un muro un canale all'aria aperta che scorreva sotto di noi, invisibile dalla strada, la visione degli alberi e delle colline attorno alla città da particolari punti in piazze o portici, le vecchie trattorie e osterie, i vecchi muri, architetture poco conosciute anche dai bolognesi, la descrizione della storia di ogni strada, l'evocazione di luoghi ed edifici che non esistono più.
L'urbanistica per Doglio coincideva col grande amore e rispetto che sapeva provare per i luoghi e le persone.
Uno dei miei viaggi di studio più belli fu quello che mi portò alla ricerca delle "carte" di Patrick Geddes e di Kropotkin a Londra ed in seguito ad Edimburgo, su indicazione di Doglio. "Ci sono casse piene di lavori di Geddes mai catalogate e forse anche testimonianze della sua collaborazione con Kropotkin, le cui tracce ho trovato durante i miei soggiorni inglesi, perché non vai a darci un'occhiata?". Ero studente e dopo qualche lavoretto estivo recuperai i soldi per un "charter" super-economico e capitai di notte, sperduto, a Londra. Ricordo ancora quando la prima volta mi presentai alla tipografia di Freedom, la famosa rivista anarchica londinese dicendo: "Salve, sono un anarchico italiano, potete darmi una mano?". Mi ricordo la visione della vecchia tipografia, nera, centenaria, attraverso uno spiraglio della porta aperta da un vecchio compagno un po' diffidente, subito richiusa con un perentorio "ripassa all'orario di apertura della libreria"; e ricordo la dolcezza della vecchia Mary che mi introdusse poi nella sede e come le si illuminarono gli occhi quando mi sentì nominare il compagno che mi mandava "...ah Carlo Doglio, l'anarchico italiano che restò per lungo tempo qui con noi".
Doglio, inviato dalla rivista Comunità abitò a Londra dal 1955 al 1960, dove ebbe un'importante attività di editorialista, lavorò per la BBC, divenne membro della Fabian Society ed entrò nella direzione della International Society for Social Studies di Lelio Basso. E' di questo periodo la sua collaborazione con Freedom ed il movimento anarchico locale.
Un'altra esperienza all'estero di cui sono in gran parte debitore a Carlo Doglio è quella dei miei due anni di servizio civile in Algeria.
Potete immaginare quale fu la mia sorpresa quando a Roma, all'esame per l'ammissione all'Università di Algeri come insegnante mi trovai innanzi, senza averlo minimamente previsto, proprio lui, e come la mia candidatura, dopo quel momento mi sembrò cosa fatta, come poi fu. Lo incontrai poi di seguito più volte ad Algeri nel corso della programmazione del corso universitario di cui facevo parte e conobbi molti dei suoi collaboratori, alcuni dei quali sono ancora miei amici e rimangono anarchici.
Già durante il suo soggiorno a Londra Doglio si era interessato ai problemi dello sviluppo e del Terzo Mondo, in Sicilia aveva collaborato con Danilo Dolci e a Palermo aveva collaborato con la CGIL sui programmi di sviluppo territoriale, esperienza che continuerà ad Algeri all'EPAU (Ecole Politechnique d'Architecture) nella quale insegnai durante il mio periodo di Servizio Civile.
Se non ci fosse stato lui ad introdurre tra gli anarchici, soprattutto attraverso la rivista Volontà dagli anni cinquanta in poi, i temi di urbanistica e architettura, i grandi temi della gestione del territorio sarebbero rimasti completamente assenti dalla rielaborazione del nostro progetto di società. Non dimentichiamoci che Carlo Doglio oltre a rimanere nella storia delle discipline del territorio, farà sempre parte anche della storia del nostro movimento, del quale fu militante in maniera attiva, partecipando ai grandi momenti di dibattito del dopoguerra.
Carlo Doglio era anarchico e poeta e da questi punti di osservazione cercava di descrivere e migliorare l'ambiente in cui viveva: l'urbanistica per lui fu sempre strumento per la progettazione di una nuova società, mai disciplina scientifica fine a sé, e l'insegnamento un modo per creare personalità libere e creative, un modo per realizzare frammenti di anarchia qui, subito e vederli germogliare sotto i sassi, tra le fessure dei muri nelle città in cui ha abitato e amato.