Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 212
ottobre 1994


Rivista Anarchica Online

Il corpo della passione
di Ariela Overflight

Qual è la riconoscenza dovuta ad un romanzo verso cui si sente di avere un debito? Essersi nutriti di un pensiero. Leggendo o pensando «La passione secondo G. H.» (1) rimpiango la vita dell'amica e mi rammarico per la sua morte. Con lei avrei diviso, accrescendola, la voluttà di questa lettura che se, come a me accade, non si può condividere, si esperisce a metà. Il romanzo di Clarice Lispector costruisce il senso nella restituzione a qualcuna. E lì lei, l'amica, lo avrebbe arricchito, lo avrebbe ampliato: «Tento di capire. Tento di dare a qualcuno ciò che ho vissuto e non so neppure a chi, ma non voglio tenere per me ciò che ho vissuto...».
Simone Weil insegnava alle sue alunne al Liceo di Roanne a ricondurre le affezioni più complesse ad elementi semplici: voleva educarle a guardare i propri pensieri costruendo un ordine separato dall'io che le aveva agite o patite (2).
La lieve raccomandazione introduttiva di Lispector sembra proprio marcare la bellezza di avere un linguaggio le cui modulazioni non coincidono affatto con le astrazioni funzionali alla soggettività impantanata su se stessa. È piuttosto lo sguardo delle cose ad illuminare lo sguardo di chi si avventura lungo il buio cammino del vedere e del capire (3): «Questo libro è un libro come un altro, ma avrei piacere fosse letto solo da persone dall'anima già formata. Quelle persone sanno come l'avvicinamento a ogni cosa avvenga per gradi e con sofferenza e passando talvolta attraverso l'opposto di ciò che è la meta. Quelle persone e solo loro capiranno passo per passo che questo libro non toglie nulla a nessuno. A me, per esempio, il personaggio di G. H. ha dato a poco a poco una gioia difficile, eppure il suo nome è gioia».
Realismo e idealismo, termini presi a prestito da un linguaggio inadeguato, convergono in un romanzo «extra-filosofico» come amano definirlo le filosofe della comunità «Diotima» presso l'Università di Verona (4). Non c'è esempio nella storia della filosofia di un tale equilibrato superamento. Il pensiero teoretico ha proceduto inevitabilmente sulla fluttuazione di queste due varianti, optando, di volta in volta, per l'uno o per l'altro, secondo un bizzarro movimento che sostiene la coazione del moto autistico. È proprio l'extrafilosoficità del romanzo a farne un testo unico e un contesto condivisibile se è vero che l'approccio comune alla lettura diventa necessario quanto difficile. Perciò non mi sazio mai di rovistare tra i commenti, le citazioni e le rare testimonianze biografiche di Lispector e della sua opera. Il debito può essere assolto soltanto riconoscendolo come un non debito: la gratuità di un pensiero d'amore. Il filo narrativo si avvolge su se stesso quasi a ricomporre l'origine che è poi la struttura di «La passione secondo G. H.». La scena primordiale è l'essere al mondo, in un giorno qualunque della vita quotidiana di una donna. Messe a tacere le convalide soggettive dell'io, G. H. entra nel mondo dove è sempre stata ma in modo artefatto, fatto in modo che le potesse dare sicurezza. Nella messa al mondo del mondo (5) trova «il tessuto proibito della vita». «Ho preso una cosa che mi era essenziale e che non lo è già più. Non mi è necessaria, così come se avessi perduto una terza gamba che finora mi impediva di camminare, ma che faceva di me uno stabile treppiedi. Quella terza gamba ho perduto. E sono tornata ad essere una persona che non sono mai stata. Sono tornata ad avere quanto non ho mai avuto: null'altro che due gambe. E so che soltanto con due gambe io posso camminare».
L'avventura è un tale immediato da poter essere resa solamente con la mistica dell'estasi. Non a caso si parla di «passione». Passione nel senso etimologico del verbo latino «pati» sentire con, il, e a causa del corpo. Ma anche «passione» da «passus» cammino astratto di «patere» - essere aperto - e a sua volta radice di «passivus» che subisce. Un lessico generatore di movimento e quindi di spazio-tempo, con la teoria inflazionistica dell'universo in base a cui è la materia a creare tempo e spazio. Per Lispector il cammino è la disponibilità fisica del corpo. L'accaduto è una tale indicibile concretezza da essere nominata «una cosa». «Cosa» da «res», da qui «realtà». La cosa è la realtà. Essa non è il riflesso dell'io, ma il suo opposto, l'estasi, l'uscire da sé, lo star fuori da ogni logica precostituita e perfino da qualsiasi attività del pensiero logico e volontaristico. È un sapere per nescienza: «Non comprendo ciò che ho visto. E non so neppure se ho visto, giacché i miei occhi hanno finito col confondersi con la cosa vista... La sottile morte che mi ha fatto toccare con mano il tessuto proibito della vita... È forse stata una comprensione la cosa che mi è accaduta e, perché io sia autentica, devo continuare a non esserne all'altezza, devo continuare a non capirla. Ogni repentina comprensione somiglia parecchio a un'acuta incomprensione. No! Ogni repentina comprensione è finalmente la rivelazione di un'acuta incomprensione... Mi è forse accaduto una comprensione totale quanto un'ignoranza e dalla quale io uscirò intatta e innocente come prima..».
G. H. è una donna accreditata, benestante, vive a Rio de Janeiro in un appartamento-attico reso, fino al momento dell'evento, un luogo con luci ed ombre che rispecchiano la sua personalità. Ma quanto le accade comincia a svelarsi proprio dallo spazio fisico che sempre ha abitato pur non avendolo mai visto, con la stessa spontanea certezza che la fa essere se stessa nelle cifre - G.H. - impresse sulle valigie. Priva del consueto aiuto domestico, può dedicarsi a riordinare la casa. Un'attività a lei molto consona, paragonabile all'hobby della scultura.
G. H. pratica quest'arte quale modo di dar forma al caos: una creazione insomma e quindi la manifestazione di un segreto. La scrittura scalfisce la pagina nell'ordine della narrazione - «la scrittura è un pensiero raccontato» - come la forma è l'esistenza di un limite nell'ordine dell'infinito. Tra Ingeborg Bachmann e Clarice Lispector ci sono differenze molto somiglianti. Quando la scrittrice austriaca distingue la rappresentazione dalla presentazione, ovvero la descrizione del processo storico ed esistenziale nel suo decorso temporale dallo spalancarsi di una dimensione verticale al di fuori dello spazio-tempo, registra un tempo della poesia, intesa come atteggiamento di riverenza di fronte alle cose che vengono restituite al loro significato originario e autentico. Quando la scrittrice brasiliana racconta, come fa in «La passione secondo G.H.», il precedere dell'indicibile, il rumore del silenzio, lo fa sullo sconfinato abisso dell'eternità: «Non ho parole da dire. Perché
non taccio, allora? Ma se io non forzerò la parola, la mutezza mi sommergerà per sempre nelle sue onde. La parola e la forma saranno la tavola su cui galleggerò sopra marosi di mutezza». L'appartamento da riordinare le si presenta come un pozzo percorribile orizzontalmente sopra i tredici piani di un edificio bianco, quasi la miniatura della maestosità di un panorama di gole e canyon. Il tutto, pieno di risorse da cui attingere: «Tutto
era di una ricchezza inanimata che rammentava quella della natura: anche lì si sarebbe potuto cercare uranio e da lì avrebbe potuto scaturire petrolio». Ma l'inaspettato accade proprio nel locale della domestica. Convinta di trovare nei «bassifondi» della sua casa una stanza odorante di muffa, colma di tenebre e di sporcizia, resta invece accecata dalla luce di un assoluto pulito in un quadrilatero investito dal sole con un ordine calmo e spoglio, dominante sull'intero edificio come un minareto sulla collina. Dopo l'esplosione di luce lo sguardo si imbatte su un primitivo disegno alla parete: un uomo, una donna e un cagnetto stilizzati fino al punto di essere rivestiti dalla nudità «che risultava solamente dall'essenza di tutto quel che copre: erano i contorni di una nudità vuota». Contro il muro, accatastate, le valigie con le cifre G.H. Al grafema dell'origine - il disegno - si aggiunge il grafema della nominazione - il segno che rende oggettivata la soggettività dell'io. A compimento della scena, dal profondo dell'armadio, quasi il vuoto da cui può scaturire il pieno, procede lenta ma inesorabile lungo l'anta, una blatta: «Allora prima di capire, il mio cuore è diventato bianco, come bianchi diventano i capelli». Cadere nell'interpretazione simbolica e metaforica della blatta è far torto allo splendore di avere un linguaggio su cui ho indugiato inizialmente, sembrandomi essere la peculiarità della storia e della verità. Di quella storia e di quella verità che Lispector racconta con lo sguardo e percepisce con il delirio: «Il mio metodo visivo era del tutto imparziale: io lavoravo direttamente con le evidenze della visione, e senza consentire a impressioni estranee alla visione di predeterminare le mie conclusioni: io ero interamente preparata a sorprendere me stessa. Questo anche se le evidenze venivano a contraddire quanto in me era già stabilito dal mio tranquillissimo delirio». La presenza della blatta cancella tutti i reiterati confini tra fisica e metafisica, e la realtà si fa più trasparente e corposa. La blatta è lì, da sempre e per sempre, testimone muto dell'origine, «da trecentocinquanta milioni di anni si ripetevano senza mutazioni biologiche»; con l'indifferenza di chi vive, perché il processo stesso della vita è il movimento dell'attenzione, l'attenzione di vivere: un neutro divino proprio della materia. Il frutto proibito è l'immondo. Ciò che si cela dietro la fobia dell'immondo è il rimosso divino che è pura e semplice materia. Inevitabilmente G. H., nella sua passione per arrivare al tutto che è il nulla «vivo e umido», mangia la materia bianca e pastosa di cui è fatta la blatta, spezzata a metà e ancora così piena di vita perché in procinto di morte. È il segreto della blatta, il segreto di una risposta che attende la domanda: «Mi avevano dato tutto e guarda un po' che cos'è quel tutto! È una blatta che è viva e che è in procinto di morire. Sapevo che l'errore di base della vita era quello di avere disgusto di una blatta. Avere disgusto nel baciare il lebbroso significa ancora e sempre che io sbagliavo la mia prima vita in me - provare disgusto mi contraddice, contraddice in me la mia materia. Il fatto è che la redenzione doveva essere nella cosa stessa. E la redenzione nella cosa stessa sarebbe stato mettermi in bocca la pasta bianca della blatta... Ho cercato di riflettere sul mio disgusto. Perché mai io dovrei aver disgusto della pasta che usciva dalla blatta? Non avevo forse bevuto del bianco latte che è liquida pasta materna? E all'atto di bere la cosa di cui era fatta mia madre non l'avevo forse chiamata, senza nome, amore?...». Nell'atto di mettersi in bocca la materia della blatta, G. H. sente di poter attuare la grande opera di trasmutazione da sé in se stessa e che in tal modo si sarebbe avvicinata al divino-reale: «La vita preumana divina è così immediata che brucia».
Il ripetuto uso di citazioni è una necessità alla quale non posso sottrarmi per testimoniare la singolare e indefinibile atmosfera di questo romanzo. Almeno per come l'ho vissuto io. «La passione secondo G. H.» è un'opera da leggere cominciando in qualsivoglia punto, senza che la lettura si smarrisca; si può andare avanti e tornare indietro, soffermarci su una pagina e riprendere da un'altra. La scrittura non subisce scompensi di significazione, come i punti di una circonferenza, tutti equidistanti dal centro. Di fatto il romanzo si inscrive in una cornice circolare, sia per la forma di orazione discorsiva di cui si serve G. H. nel raccontare l'indicibile, sia per l'affascinante stratagemma di marcare le pause del racconto con la ripresa di quanto detto poco prima. È la materia lispectoriana di tessere i trentatré pseudocapitoli di cui è fatta «La passione secondo G. H.». Le raffinatezze stilistiche dell'oralità formulaica sempre in cerca di dicibilità e memoria attraverso la persistenza tonale, fanno della metrica del testo un'eco di fondo. La passione di G. H., questa personalissima «via crucis», prende corpo in un momento, in qualcosa che non ha né prima né dopo. La fine è l'inizio e l'inizio comincia alla fine. Sulla linea immaginaria del loro coincidere scorre il vuoto creato dalle parole. È un viaggio alla velocità della luce e alla scoperta dell'universo.
Fatalmente l'avanzare nello spazio è un indietreggiare nel tempo. Lispector naviga su questa lunghezza d'onda con una scrittura lenta ma immediata, scandendo il ritmo con un vibrante e pacato susseguirsi di ossimori: la figura retorica per eccellenza della visione e del linguaggio mistico. Ossimoro, sorta di antitesi in cui si accostano parole di senso opposto che sembrano escludersi l'un l'altra, recita nel lemma greco - oxymoros - «acuto sotto un'apparenza di stupidità». L'ossimoro di Lispector, espediente stilistico su un pensiero sconfinato, è l'icona della realtà che, incommensurabile rispetto al grande e al piccolo, riesce a misurarsi sui raggi della magia poetica: «E' proprio tramite l'afasia che si udrà per la prima volta la mutezza propria e quella degli altri e quella delle cose, e la si accetterà come il possibile linguaggio».

1) Clarice Lispector: «La passione secondo G. H.». Ed. La Rosa 1982 Torino Traduzione di Adelina Aletti con una nota di Angelo Morino.
2) L'osservazione è di Elisabetta Zamarchi: «E' un procedere arduo» in AA.VV.: «Diotima - Il cielo stellato dentro di noi» La tartaruga Edizioni 1992 Milano.
3) Devo questo spunto di riflessione al perspicace saggio di Hélène Cixous: «L'approche de Clarice Lispector - Se laisser lire (par) C. L.» Université de Paris VIII
4) A questo proposito ricordo, fra le altre, Luisa Muraro: «Commento alla passione secondo G. H.» nella rivista DWF N° 15 ed. Utopia Roma; Luisa Muraro: «La nostra comune capacità di infinito», tema di un seminario di filosofia all'Università di Verona, inserito successivamente in AA.VV.: «Diotima - Mettere al mondo il mondo» La tartaruga 1990 Milano; Adriana Cavarero: «Nonostante Platone - Figure femminili nella filosofia antica» Editori Riuniti 1991 Roma.
5) Il secondo volume di «Diotima», la comunità filosofica femminile presso l'Università di Verona, è dedicato al tema del realismo femminile con una serie di saggi, racconti, appunto, sotto il titolo di «Mettere al mondo il mondo - Oggetto e oggettività alla luce della differenza sessuale» op. citata.