Rivista Anarchica Online
L'individualismo
di Filippo Trasatti
L'individualismo non ha ancora superato del tutto il discredito del senso comune,
anche linguistico, che lo
connota come un atteggiamento di isolamento dalla comunità e dalla società, un sorta di
egoismo di uno contro
tutti. Eppure l'individualismo è anche e soprattutto una conquista irrinunciabile della civiltà
moderna. Liberatosi
dai legami sociali e religiosi, da quella totalità organica che ne stabiliva il ruolo, la funzione e il senso,
l'individuo si scopre autonomo e sovrano, capace attraverso la propria ragione di autodeterminarsi e
autorealizzarsi. E' così mutata profondamente la concezione dell'individuo divenuto centro originario
di libertà,
dotato della consapevolezza, della dignità e del diritto di decidere da sé della propria vita.
Questa nuova
condizione, esistenziale, giuridica ed etica allo stesso tempo non è priva di problemi. L'individuo
sradicato da quella totalità sociale e culturale che gli dava senso e valori si trova solo davanti al
compito titanico di decidere della propria vita, col fardello non leggero della propria autodeterminazione.
Minacciato dall'anomia nelle moderne società di massa, cerca di difendersi attraverso la ricerca
egoistica della
soddisfazione dei propri bisogni e desideri, ritagliandosi una nicchia privata in cui realizzarsi ed esprimere le
proprie potenzialità. Nicchia troppo stretta entro la quale rischia di rimanere soffocato e in cui si perde
il respiro
ampio dell'ideale individualistico. Qui sta la genesi di uno di quelli che si possono chiamare i disagi della
modernità. A questa tematica è dedicato l'ultimo libro di Charles Taylor, filosofo nord
americano, intitolato Il
disagio della modernità (Laterza 1994). Taylor individua tre punti che sono effettivamente
centrali per la
riflessione sulla modernità: il problema dell'individualismo, il primato della ragione strumentale legato
al
problema della tecnica nella società contemporanea, il declino della libertà politica nelle
società complesse. Qui
ci occuperemo brevemente del primo rimandando al libro per le altre pur fondamentali questioni, anche
perché
il problema dell'individualismo sembra essere il fondamento sul quale gli altri due si basano. Le questioni
poste da Taylor sono di grande importanza anche per la riflessione libertaria, per due motivi. Il
primo è l'elaborazione del rapporto tra individualismo e gli altri valori che ci appartengono,
particolarmente
l'uguaglianza e la solidarietà. Il secondo ha invece a che vedere con un problema filosofico più
generale, cioè
il relativismo e l'universalismo. Riassumiamo alcune delle riflessioni del filosofo. Sulla base di
quell'individualismo che è conquista dell'uomo moderno si è innestato, a partire dal
romanticismo,
a livello «alto» e «basso» della cultura, un relativismo morale assai pericoloso che porta progressivamente al
degrado la vita culturale e sociale collettiva. Si è diffusa una concezione dell'individualismo basata
sul relativismo morale che Taylor definisce
«individualismo dell'autorealizzazione». Stigmatizzato da altri critici americani, tra cui Christopher Lasch,
come
«cultura del narcisismo», questo atteggiamento verso la vita può essere così sintetizzato:
«ciascuno ha il diritto
di sviluppare la propria forma di vita, fondata sulla sua propria percezione di ciò che è
realmente importante
o ha realmente valore» (p.18). Ossia, formulato in altri termini: ciò che ha realmente valore è
basato sulle scelte
e sulle preferenze del singolo individuo. Non è ozioso domandarsi su che cosa si basino queste scelte
o
preferenze. Infatti se le scelte individuali sono fondate su giudizi morali razionali, esse sono discutibili e
condivisibili (universalizzabili), mentre se si fondano su un'inspiegabile e insindacabile (ad
libitum bizzarra)
preferenza esse scavano un solco incolmabile tra gli individui. Quest'ultima concezione, assai diffusa, viene
denominata nell'ambito della teoria morale «emotivismo» o soggettivismo morale, e viene definita da Taylor
«l'idea che le posizioni morali non siano in nessun modo fondate sulla ragione o sulla natura delle cose, ma
siano in ultima analisi adottate da ciascuno di noi per il semplice motivo che ci troviamo a subire la loro
attrazione» (23). Il filosofo mostra come questa forma di relativismo sia intimamente contraddittoria e porti a
gravi conseguenze sociali che poco hanno a che vedere con l'ideale dell'individualismo. I valori si danno
sullo sfondo di un orizzonte di senso, condivisibile anche se elaborabile individualmente,
dentro una cultura e una storia. Che cosa si potrebbe dire di una persona che mettesse al primo posto nella scala
dei valori la pesca delle carpe? E chi invece preferisse come valore supremo l'infliggere agli altri sofferenze?
Comprendere e discutere le scelte valoriali presuppone un ambito razionale di confronto all'interno del quale
si danno uguaglianze e differenze. Al di là di questo confronto liberamente scelto c'è solo la
lotta. Max Weber,
parlando del «politeismo dei valori» diceva: «tra valori si tratta ovunque e sempre non già di semplici
alternative, bensì di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione come quella tra «dio»
e il «demonio».
Tra di essi non è possibile nessuna relativizzazione né compromesso». Se non c'è nulla
che possa garantire a
livello superiore della validità dei valori e se il valore si basa esclusivamente sull'atto di
«valorizzazione»
individuale non possiamo che arrivare allo scontro tra gli individui. Dal conflitto tra valori si arriva attraverso
una strada sempre troppo breve al conflitto come valore: se infatti ciò che vale per me è davvero
importante e
non semplice e indifferente preferenza, cercherò di affermarlo contro gli altri che, essendo portatori di
disvalori,
implicitamente (o direttamente) mi contrastano. Dobbiamo dunque ritornare al punto di partenza.
C'è qualcosa nell'ideale dell'individualismo che impedisca di
scivolare lungo una china fratricida che conosciamo anche troppo bene? Come è possibile sfuggire a
questo
soggettivismo morale che disgrega non solo ogni idea di comunità, di patto, di solidarietà, ma
minaccia
sostanzialmente anche lo stesso individualismo? E infine, a livello più generale (ma non meno concreto
e
urgente) come possono convivere insieme in una comunità le diversità dei punti di vista morali
e politici,
diverse culture, forme e stili di vita? Questa è esattamente la sfida di un pensiero e di una pratica
libertari per
individui che si riconoscono uguali e diversi, che tentano di coniugare finalità universali di
emancipazione con
la particolarità di individui e popoli diversi. È necessario andare oltre una certa astrattezza dei
principi e dei
valori che ci guidano, considerati spesso come entità puntiformi iperuranee immutabili. La vita
e l'esperienza, che sono guide oltre ai valori, mostrano come soprattutto in situazioni di conflitto sia
necessaria una grande capacità di articolazione e mediazione, che ci aprono la vista su orizzonti un po'
meno
angusti del nostro limitato e libero egoismo. In questa ricerca interminabile ci sorreggono solo la ragione,
l'esperienza e la storia. La ragione ci dice che l'emancipazione di uomini liberi e diversi, legati tra loro in forme
di vita diverse, sottratti al dominio è possibile; l'esperienza e la storia ci inducono al pessimismo.
La forza per continuare la ricerca si trova proprio dentro agli individui, in quello slancio che spinge ad
andare
oltre sé, rimanendo fedeli a se stessi.
|