Rivista Anarchica Online
La schiavitù e le sue frontiere
a cura di G'NOPPOD
Nel numero 7 del dicembre 1989 (pp. 8-12),
«Confrontations» si è occupata della situazione del diritto d'asilo
nella prospettiva della costruzione europea. Cos'è accaduto nel frattempo? La politica di accoglienza
nei
confronti delle persone che cercano protezione in Svizzera, definita come politica di dissuasione, si concretizza
in un numero sempre maggiore di rifugiati prodotti dall'amministrazione. Questa ha ricevuto nuove
possibilità
d'azione con l'entrata in vigore nel 1990 di un'Ordinanza federale straordinaria, approvata dal Parlamento
con una schiacciante maggioranza, che comprendeva i rappresentanti del Partito socialista. La
criminalizzazione dei rifugiati è diventata una costante, mentre le loro condizioni di vita e le garanzie
legali
si sono considerevolmente ridotte. Sul piano europeo, la dinamica che avevamo presentato
non ha subito variazioni. Gli Accordi di Schengen sono
stati adottati ed entrano progressivamente in vigore; una Convenzione di primo asilo è stata firmata e
ratificata. Il Consiglio federale è pungolato da Jean-François Leuba, che è stato
nominato alla testa di una
Commissione di esperti formata in gran parte da comandanti delle polizie cantonali, che è molto
interessata
a queste norme europee e scalpita d'impazienza davanti all'impossibilità di aderire immediatamente
all'Europa
delle polizie. Gli «esperti» dicono di temere che la Svizzera diventi un'«isola d'insicurezza» al centro della
Comunità europea (sic!) ... 1 movimenti militanti, da parte loro, sono molto indeboliti
o divisi. Non sono più in grado di mobilitare le
popolazioni di fronte all'arbitrio statale e i mezzi d'informazione non s'interessano più alle loro denunce.
È il
vicolo cieco del diritto d'asilo, che si può riassumere in due cifre: in Svizzera il 97% delle domande
d'asilo
riceve una risposta negativa integrata da un foglio di via, il 70% delle partenze non viene controllato. 1n
definitiva la politica d'asilo consiste nella produzione di un imponente flusso amministrativo che finisce per
trasformare decine di migliaia di individui in clandestini obbligati. È in questo
contesto che Marie-Claire Caloz-Tschopp e Axel Clevenot hanno indetto un incontro internazionale,
che si è tenuto a Ginevra alla fine di settembre del 1993, sul tema «Violenza e Diritto
d'asilo». Ricercatori,
filosofi, professori, ma anche medici, cittadini, rifugiati, provenienti dal Nord come dal Sud, hanno preso parte
a quello che non è stato né un seminario accademico, né una riunione militante, ma una
tensione permanente
tra la riflessione e la pratica in una prospettiva interdisciplinare. Qui di seguito riportiamo il testo dell'appello
uscito da questo incontro, che è stato scritto dalle due persone citate in precedenza e
leggermente modificato
da G'Noppod. Come potrete constatare, si tratta sia di una riflessione di filosofia politica sulla nozione di
democrazia, che di un grido d'allarme davanti alla situazione attuale del mondo e del diritto d'asilo. Come
diceva uno dei partecipanti, la parola «asilo» rimanda ai matti e ai rifugiati e ci invita a riconoscere la follia
nella quale viviamo ...
1. A guisa d'introduzione Nel mondo d'oggi e in particolare sul terreno del
diritto d'asilo, la violenza è un dato dell'esistenza per milioni
di esseri umani, che ci rimanda immancabilmente alla morte. Non tutti i fatti di violenza si equivalgono. Per
coglierne le conseguenze e comprendere qual è la posta in gioco, si tratterà di stabilire dei
criteri di
classificazione riflettendo sulla natura e le cause della violenza, così come sul rapporto
potere/violenza/legittimità. Per entrare nella materia, elencheremo alcuni fatti visibili.
Violenza fisica. Esseri umani mitragliati sotto l'occhio delle macchine da presa. Stupri. Torture.
Imprigionamenti. Pulizia etnica. Campi. Carnai. Colonne di profughi in cerca di asilo alle frontiere dei Paesi
europei e di altri continenti. Nuovo muro attorno all'Europa occidentale: scandalo delle politiche d'asilo
dell'emisfero Nord sempre più restrittive. La violenza simbolica fiancheggia la violenza fisica. Rituali
burocratici per respingere, in senso proprio così come nell'inconscio sociale. Le telecamere alle
frontiere, la
presa delle impronte digitali, la schedatura, hanno sostituito il passaporto e la carta d'identità adottati
all'inizio
del XX secolo. A partire da lì, l'arsenale di controllo e di repressione si è perfezionato. Colui
che chiede asilo,
come le donne e gli ebrei in un'altra epoca, rinchiuso nel ruolo di «sospetto», di «paria», è prigioniero
di una
differenza irriducibile. Nell'emisfero Nord, le esclusioni e gli atti di morte si succedono con l'ausilio di strumenti
burocratici e giuridici. La violenza, legittimata o meno, è davanti agli occhi di tutti. Nei Paesi
d'accoglienza, la violenza è onnipresente sul terreno della pratica del diritto d'asilo. Nel contesto delle
politiche restrittive, dette anche politiche di dissuasione, le persone che intervengono nel campo si sono
specializzate al punto da rimanere gradualmente isolate dal resto dell'attività sociale. Quello che accade
ai
rifugiati viene via via dimenticato dalla maggioranza dei cittadini/e. Così si trasformano certi
professionisti/e
in esseri violenti, si fa vivere loro la sofferenza, lo stress, il burn-out, mentre il loro compito
dovrebbe essere
quello di occuparsi dell'accoglienza e della protezione. Impotenti, tacciono, si deprimono o, quando possono,
rassegnano le dimissioni. Oppure, si mettono a parlare di «soglie di tolleranza umanitaria» e di «mestieri a
rischio etico». Altri, che siano professionisti/e o meno, seguono percorsi differenti. A rischio di perdere il loro
impiego, passano alla dissidenza, alla resistenza individuale o addirittura alla disubbidienza civile. Queste
persone sono al cuore di contraddizioni e di tensioni che paiono insormontabili tra le strutture statali e le nude
esistenze. Paradosso apparente. La violenza degli avvenimenti su esseri privi di protezione invade il
quotidiano,
presentando una faccia invisibile e irreale. La violenza distillata a distanza, spezzettata dallo zapping
o
mascherata dall'amministrazione, irrigidisce la massa degli spettatori allarmati nell'impotenza, dando loro
l'impressione di essere fuori dalla storia raccontata sugli schermi televisivi o nei dossier. I fatti, filtrati dalle
catene televisive e dall'amministrazione, assumono i connotati della finzione. Gli avvenimenti entrano nella vita
privata di milioni di persone attraverso l'intermediazione del televisore. Nondimeno, i fatti trasformati in
immagine o respinti come fatti giuridici sono assolutamente reali. La realtà materiale del
rapporto sociale
d'asilo è intrinsecamente costituita dalla violenza. Essa ci porta a interrogarci sui
fondamenti dei rapporti
sociali delle nostre società. In effetti, la violenza non è un fenomeno marginale della vita
sociale. Vista l'ineguale ripartizione dei beni e
della natura operata dagli esseri umani, si può ben dire che la violenza rimane nel cuore delle
società. Un nuovo
capitalismo si sviluppa a livello mondiale con nuove forme di esclusione: composizione di grandi insiemi
(Canada, USA e Messico; Giappone, Cina ed Estremo Oriente; Europa), instaurazione su scala planetaria di una
società duale con nicchie di produzione e di consumo per alcuni privilegiati; esplosione (exJugoslavia,
Russia)
o dissoluzione delle Nazioni-Stato nel Terzo Mondo provocata dai narco-Stati, dalle milizie, dai gruppi
paramilitari, dall'aumento dei colpi di Stato; disimpegno dello Stato politico e sociale rispetto all'insieme della
popolazione e rafforzamento dello Stato di polizia per escludere gli stranieri; messa in discussione del diritto
d'asilo ecc. In breve, ci si trova di fronte all'instaurazione di un nuovo apartheid tra il Nord e il Sud, con
un'intensificazione della violenza e il ritorno di una cultura della violenza nella vita quotidiana. Nei Paesi
e nei continenti d'origine degli esiliati, i conflitti armati si estendono. Le persone che fuggono da
queste situazioni di estrema violenza si trovano nell'impossibilità di dimostrare una persecuzione che
risponda
alla logica della prova in vigore nel diritto internazionale o nei diritti nazionali dei Paesi dell'emisfero Nord:
non fuggono da persecuzioni dirette individualmente contro di loro da uno Stato. Sono quelli che nel gergo
internazionale vengono chiamati i profughi della violenza. Questa nuova categoria di
rifugiati, di cui si fa un gran parlare negli ultimi tempi, ha conosciuto la violenza
generalizzata che provoca la distruzione dei beni, dell'ambiente, il trasferimento delle popolazioni e la morte.
Questi milioni di individui temono per la loro vita, la loro integrità fisica, la loro libertà. Non
godono tuttavia
dei diritti e delle regole che la maggior parte delle legislazioni nazionali offre ai soggetti di diritto e non viene
loro riconosciuto lo statuto di rifugiati. Più semplicemente, non viene riconosciuto loro lo statuto di
soggetti di
diritto. Un'infima parte viene in effetti tollerata e gode di statuti infragiuridici sempre più provvisori
e revocabili
in ogni momento dagli Stati del Nord. La maggior parte di loro è confinata in campi ai margini delle
zone di
conflitto: il 90% dei profughi vive nei Paesi del Sud che dispongono di risorse minime. In un simile
contesto, la violenza non è né un mezzo né un sintomo, né un effetto, né
un'immagine televisiva,
o ancora una dunamis (secondo Omero: forza, potenza, potere) negativa o positiva, più
o meno intensa, che per
disattivare si dovrebbe rimettere nelle mani di un potere sovrano. La violenza è una
condizione dell'esistenza
per milioni di esseri umani che subiscono una dunamis senza far presa su di
essa. La violenza è dunque
legata al potere di cui dispongono gli esseri umani riguardo le loro condizioni di esistenza. La violenza è
una
condizione dell'esistenza in quanto condizione di vita e di un progetto politico. I 9/10 della popolazione
mondiale vivono in un mondo turbato da una ripartizione squilibrata dei beni di prima necessità, delle
ricchezze
e delle capacità di annientamento. Per milioni di esseri umani si verifica una rottura del contesto sociale,
politico, culturale dell'esistenza, nonché del rapporto equilibrato con la natura. In
sintesi, la violenza nel diritto d'asilo ci rimanda immancabilmente alla disuguaglianza di fronte alla
vita, ai beni disponibili, agli strumenti della vita politica e alla natura. Al di là del
drammatico destino degli
esiliati, al di là del malessere e dei rifiuti di coloro che si ritiene mettano in atto la violenza nel nostro
Paese,
essa dimostra che il progetto e le regole della convivenza politica sono prossime al dissolvimento.
2. Scomparsa del diritto d'asilo in Europa Le frontiere tra le politiche
d'immigrazione, le politiche della pace e della sicurezza, così come le politiche
d'asilo in Europa, tendono gradualmente a scomparire. Lo stesso si può dire per le frontiere tra
l'umanitario e
il politico. Dietro queste assimilazioni che mettono a repentaglio il diritto d'asilo, si può rilevare
l'affermarsi di nuove
forme di schiavitù e di dominio. Il possesso degli esseri umani per l'utilizzo, lo sfruttamento delle loro
forze
corporali, mentali, affettive e di quelle dei loro congiunti, si rafforza. Mentre alle nostre frontiere, migliaia
di persone in pericolo di morte, minacciate nella loro integrità fisica o nella
loro libertà, cercano rifugio, con il «laboratorio Schengen» viene eretto un nuovo muro. Gli Stati
europei
sostituiscono la nozione filosofica e giuridica fondamentale di protezione con la tolleranza di un
soggiorno
temporaneo e provvisorio, il tempo di negoziare il transito verso altri paesi cui viene trasferita la
responsabilità
dell'accoglienza. Anche l'Alto Commissariato per i Rifugiati ha partecipato a questo grave attentato alla
protezione. Un valore (l'asilo) e un diritto fondamentale (il diritto d'asilo) stanno per essere cancellati dalla carta
degli Stati europei. Questa è l'innegabile realtà che vive l'Europa dei nostri giorni. Occorre
affrontarla e
indagarne il senso, e per fare ciò è necessaria una trasformazione delle categorie di pensiero,
degli atteggiamenti
individuali e collettivi.
3. Diritto d'asilo ed esclusione A proposito del diritto d'asilo, così
come quando si riflette sull'uguaglianza e sull'esclusione, non si può fare a
meno di affrontare una questione fondamentale: qual è la natura del potere sociale tra gli esseri umani,
quali
sono le modalità della sua ripartizione? Se c'è vita di esseri umani e ci sono rapporti di scambio,
c'è rapporto
sociale e dunque potere sociale. Il diritto d'asilo è un rapporto sociale tra gli altri, composto da
scambio e reciprocità, storicamente mediato dalle
istituzioni politiche delle Nazioni-Stato. Quasi tutti gli esseri umani che entrano in questo rapporto sociale di
persecuzione/protezione perdono il proprio statuto di soggetti. Essendo sottomessi al controllo, alla repressione,
alla continuazione della violenza fisica immediata nei Paesi d'origine e in quelli di accoglienza, ma privati della
protezione, dunque della possibilità di partecipare a una comunità politica, finiscono per
regredire allo stato di
oggetti. Nel pensiero scientifico, politico o comune, s'immagina, si pensa, si dice nei modi più
diversi che certe fughe
dipenderebbero in realtà da ragioni che non hanno nulla a che vedere con la persecuzione: il viaggio,
la ricerca
di lavoro, il turismo, la ricerca di avventura ecc., questi sarebbero gli scopi. [ ... ] In materia di politica
d'immigrazione, l'amministrazione svizzera ha enunciato ufficialmente il modello «dei tre cerchi», basato
sull'idea di una pluralità e di una gerarchia di civiltà, con la preoccupazione di limitare, ovvero
di escludere
l'immigrazione proveniente da certe aree del mondo. L'argomento ultimo è senza appello: se tutti gli
esseri
umani vivessero come nel Nord, il futuro del pianeta sarebbe minacciato. Per contro, questo modello non dice
nulla sulle scelte di civiltà del Nord e sulle loro conseguenze. Sulla medesima falsariga si parla anche
dei «rischi
di una società multiculturale», per escludere degli esseri umani da ogni possibilità di lavorare
o di beneficiare
di una protezione durevole o temporanea. In un contesto simile, impregnato di un'ideologia della
modernità, una
ristretta minoranza ha accesso alle condizioni dell'esistenza e ai diritti.
4. Diritto d'asilo e le frontiere delle Nazioni-Stato Sul terreno del diritto
d'asilo, la «tirannia del nazionale» domina ogni cosa indebolendosi. Man mano che si
costituivano le Nazioni-Stato, l'accoglienza dei perseguitati è stata subordinata all'«interesse nazionale»
di
ciascuno Stato, alla sua politica estera, alle sue turbolenze e alle sue tensioni interne, in particolare con il
movimento operaio. A partire da quel momento sono state erette frontiere con l'ausilio di strumenti
amministrativi e tecnologici, come le carte d'identità, la costituzione di schedari ecc. La burocrazia ha
gradualmente affiancato la polizia, mentre dentro i confini degli Stati, i problemi posti dalle cosiddette «zone
internazionali» indicano che nessuno viene considerato come essere sociale, nessuno ha uno statuto giuridico
al di fuori degli Stati e dei loro territori. La Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, conclusasi nel
1951, ha indicato una tendenza a definire uno statuto internazionale, senza tuttavia arrivare a mettere in
discussione questa logica statale. Non ci sono norme legali che gli Stati siano obbligati a rispettare. A guardare
il sistema di protezione internazionale, questa Convenzione è moribonda, mentre gli statuti temporanei
e
provvisori vengono accordati con parsimonia agli individui e ai popoli in pericolo. Per il superamento delle
frontiere esterne e interne, invece di elaborare responsabilità e regole comuni, ogni
Stato s'impegna nel «laboratorio Schengen» in nome d'interessi legati alla propria sovranità, rifiutando
d'impiegare i suoi strumenti in una politica comune di libera circolazione che rispetti i diritti fondamentali.
Si assiste a uno strano paradosso: i beni circolano, il GATT proibisce qualunque limitazione alla
circolazione
delle merci, ma le persone sono bloccate. Allorché, per esempio, l'apertura al resto del mondo viene
esaminata
nella Convenzione di Dublino, la libera circolazione delle persone diventa l'immigrazione di persone la
cui
presenza favorisce gli scambi culturali, scientifici ed economici. Si tratta di una delle forme politiche
attuali
che meglio illustrano l'inuguaglianza davanti alla vita, la libertà e l'accesso ai diritti sociali, mettendo
a
repentaglio in particolare il diritto d'asilo in Europa. La degradazione generale del diritto d'asilo segnala,
insieme ad altri fenomeni, qualcosa di nuovo:
l'indebolimento del potere politico e dei diritti sociali garantiti dalle Nazioni-Stato, l'emergere di gruppi di
polizia intergovernativi e di grandi gruppi industriali e finanziari internazionali. Una situazione simile,
esasperata dalla crisi delle relazioni internazionali e del sistema di protezione, ci pone nuove sfide. Per
quanto riguarda gli stranieri, i Paesi del Nord vivono più nella sfera di Stato di polizia che
in quella di Stato
di diritto. Una visione dominata dall'ossessione per la sicurezza disegna l'individuo di altra
nazionalità, lo
straniero, come un sovversivo potenziale. In un certo senso, si potrebbe dire che gli stranieri vivono ancora sotto
una sorta di Ancien Régime sulla via della modernizzazione. Come realizzare il passaggio dallo Stato
di polizia
allo Stato di diritto in materia di stranieri? Si tratta di superare l'ambito di uno Stato di diritto che rimarrebbe
limitato a un regime di democrazia ristretta e autoritaria, che ridurrebbe l'uguaglianza separandola dalla nozione
di libertà, in nome di una sovranità assoluta esercitata da taluni organi, per privilegiare la
nozione di sicurezza
legata a una logica di Nazione-Stato.
5. Il diritto di avere dei diritti Le condizioni materiali del diritto d'asilo oggi
escludono da una protezione durevole, o anche solo temporanea,
la maggior parte degli esseri umani che ne hanno bisogno. Cosa ancora più grave, i nuovi criteri di
discriminazione escludono dall'appartenenza al genere umano e a una comunità umana unificata, non
soltanto
coloro che presentano domanda d'asilo, ma la maggioranza degli esseri umani del nostro pianeta che subisce
la violenza e che non può godere delle regole politiche degli Stati del Nord. Analizzando lo statuto
degli apolidi, Hannah Arendt ha dimostrato che ogni essere umano deve poter
appartenere a una comunità politica, pena la perdita della propria dignità, nonché del
proprio statuto di essere
umano, conseguenza della perdita del proprio statuto di soggetto di diritto. In questo senso, ha specificato,
ciascun essere umano ha il diritto di avere dei diritti per mantenere il suo posto nel mondo. I primi
a essere
interessati da questo principio sono i rifugiati. Del resto hanno cominciato a essere seriamente in pericolo in
un'altra epoca storica, allorché sono stati privati di Stato ed espulsi dalla comunità
politica attraverso
l'esclusione dalla vecchia trinità Stato-Popolo-Territorio. Una prospettiva simile obbliga a ripensare
la nozione di Stato, la sua legittimità, le sue costrizioni e i suoi limiti
alla luce degli avvenimenti che consentono di osservare l'indebolimento o la dissoluzione degli Stati
storicamente costituiti. Come riprendere oggi, riformulando la questione della sovranità, i due enigmi
formulati
da Hobbes: la distruzione degli uni da parte degli altri, il potere capace di sottomettere tutti (Leviatano,
capitolo
XII)? Il diritto d'asilo ci insegna che si tratta di superare la Nazione-Stato nel suo esclusivismo, che tutti gli
esseri umani si trovano di fronte a una sfida: inventare un modo per unificare delle responsabilità al
livello di
un unico mondo, assicurando il controllo degli scambi e dei poteri a tutti i livelli delle loro vite e della vita delle
società. Allora, come, con quali nuovi indirizzi di pensiero, concepire ciò che deve tenere
insieme la società
mondiale come un'unica realtà? Infine, gradiremmo sottolineare qui uno degli aspetti di questo
diritto ad avere diritti: il rapporto tra l'umanitario
e il politico, osservabile sul terreno del diritto d'asilo. Qui, l'umanitario ha dato il cambio al politico. Quello che
era un diritto diventa a poco a poco un'assistenza. I profughi hanno rimpiazzato i poveri dell'inizio del secolo.
Un'espropriazione dei diritti dei rifugiati ha luogo allorché si sviluppano tutti i tipi di esperienze di una
nuova
industria, di un nuovo mercato: quello dell'asilo che si fa carico, al posto loro, della gestione della loro esistenza.
Si vedono istituzioni private per le quali le sovvenzioni pubbliche o il denaro che circola nel mondo dei rifugiati
diventa una posta in gioco essenziale, che orienta tutta la loro strategia. Questo atteggiamento delle istituzioni
contribuisce a spersonalizzare la problematica, i rifugiati finiscono per essere considerati da queste come dossier
amministrativi. Peraltro, nelle zone di conflitto, in nome di un diritto e di un dovere d'ingerenza giustificato
da certe ragioni di
Stato, l'aiuto umanitario viene dirottato dai suoi fini, utilizzato come arma politica. Ne deriva non solo un
indebolimento dell'assistenza umanitaria, ma anche dei diritti e del diritto d'asilo. Queste constatazioni ci
consentono di cogliere tutta l'importanza delle forme di deviazione, di discriminazione,
di esclusione, in vigore soprattutto nella pratica del diritto d'asilo in Europa. Possono altresì fare
comprendere
a ciascuno di noi e all'insieme dei cittadini e delle cittadine qual è oggi la posta in gioco nella difesa
dei diritti
fondamentali.
6. Diritto d'asilo e democrazia radicale Il diritto d'asilo ci porta a riflettere
su violenza, democrazia e responsabilità. Nella vita contemporanea, molte
questioni riguardano una ridefinizione della democrazia radicale: uguaglianza e delega, limiti dell'egualitarismo,
valori omogenei o contrapposti nelle società pluriculturali e criteri di scelta, linguaggio, strumenti ecc.
Alla luce
degli avvenimenti attuali (Kurdistan, ex Jugoslavia, Palestina, Sudan, India, Pakistan, Libano, Russia ecc.), si
tratta forse di rivisitare due eredità ricche ed eterogenee della filosofia politica per creare un nuovo
pensiero:
quello dello Stato, del contratto sociale e della nozione di soggetto, quello della democrazia radicale. In
relazione al diritto d'asilo, si tratta di riflettere in particolare su taluni aspetti della democrazia radicale: come
integrare la necessità di una convivenza politica in un solo mondo senza limitare la partecipazione
politica ai
territori e alle frontiere delle Nazioni-Stato? Come immaginare forme di vita politiche e di arbitrato che si
facciano carico delle tematiche mondiali? Tali questioni ci spingono a riformulare una considerazione centrale.
Pensare alla democrazia non significa semplicemente riprendere certi dibattiti ormai noti sulla democrazia
greca
(elitaria e discriminatoria nei confronti delle donne e degli schiavi), o ancora, sulla democrazia formale,
strumento nelle mani della borghesia. Pensare la democrazia non significa nemmeno pensare in termini di buono
o migliore regime politico (Platone, Aristotele), di sistema politico, o ancora, di obbedienza cieca e
incondizionata a uno Stato sovrano grazie al quale gli esseri umani sarebbero in grado di mettere fine ai loro
conflitti, o quantomeno di appianarli (Hobbes). Non è questo il nostro proposito. La nostra prospettiva
è
differente. Si tratta di superare un pensiero dualista che pone i rapporti politici in termini di
comando/obbbedienza, essendo il dominio naturalmente legato all'obbedienza. Si tratta altresì di
ritornare alle
radici della democrazia per considerarla come una democrazia radicale nel campo che c'interessa, il rapporto
con gli stranieri e il diritto d'asilo. In parole chiare, la democrazia implica un atteggiamento ontologico
individuale e collettivo. In una tale
prospettiva, essendo ogni individuo attore del proprio destino individuale e collettivo, è data la
possibilità di
tener conto del politico a tutti i livelli della vita sociale al di là di considerazioni di frontiera, razza,
sesso ecc. In questo senso, la democrazia nel suo Essere è caratterizzata dal fatto che il potere
è in mezzo a tutti, dunque
appartiene a tutti gli esseri umani considerati come uguali, e che può svilupparsi senza limiti. Dal punto
di vista
delle questioni che c'interessano, la democrazia considera che tutti gli esseri umani, allorché abitano
questo
pianeta, partecipano a un unico mondo, a un'unica comunità politica. Nelle sue radici, in questo senso,
la
democrazia è universalista. L'inuguaglianza nell'accesso ai beni, lo sfruttamento degli esseri umani, il
consumo
illimitato della natura, la gerarchia delle Nazioni-Stato, le scelte economiche, politiche e del modello di
civiltà
adottato da alcuni, questi fenomeni non possono essere presi in considerazione se si prende il progetto di
democrazia nel suo significato radicale. Di più, la democrazia deve considerare tutti gli esseri
umani come soggetti partecipanti a pieno titolo alla vita
della Città. In tale contesto, tutti, uomini e donne, sono chiamati a esercitare la propria autonomia.
Ciascuno
è responsabile di sé, della propria vita e della vita della Città. Nessuno, nel vero senso
della parola, può esistere,
esercitare il potere di autonomia, o pensare al posto di un altro, né Dio, né un'autorità
trascendente, né il partito.
La responsabilità del divenire della società e della natura è affare di ciascun essere
umano chiamato a riflettere
sul presente collettivo in un unico mondo e sul destino delle generazioni future. Tutti gli esseri umani liberi
possono decidere della creazione e del miglioramento delle leggi, dei diritti per la vita in comune e il rispetto
della natura, all'interno di limiti provvisori, sempre revocabili. Queste questioni rimangono costantemente
aperte. Sono sempre da risolvere, da inventare. Tutto è sempre da ricominciare ed è
questa certezza che ci fa
vivere. È li che risiede la creazione, la sua fragilità e imprevedibilità, come
hanno ben dimostrato la Arendt e
Castoriadis. Forme di appropriazione illegittima dei beni, della natura, degli esseri umani, così
come i movimenti
d'intolleranza, mettono oggi in discussione la democrazia nella sua radicalità. Essi fanno leva sulle
angosce e
le paure individuali davanti all'incertezza della crisi economica, politica, culturale, ideologica. Pensare una
democrazia radicale presuppone il potere, il desiderio d'immaginare e di dar vita a società aperte,
nonché
d'interrogarsi sulle condizioni di formazione degli esseri umani (istruzione), affinché siano appassionati
alla
conoscenza intesa come somma della scienza, dell'interrogazione e di un progetto politico, piuttosto che
affascinati dalla convinzione. Costoro, invece che di erigere un recinto ideologico, religioso o nazionalista che
offre un'illusione di sicurezza, dovrebbero essere capaci di sostenere e approfondire l'interrogazione.
7. Continuare le azioni di resistenza Nel momento in cui si cancellano le
distinzioni tra sicurezza e insicurezza, violenza privata e violenza pubblica,
violenza militare e violenza economica, nonché tra violenza umana e catastrofe naturale, si pone il
compito di
organizzare un'antiviolenza, vale a dire d'installare al cuore della vita politica, la lotta collettiva contro
le
molteplici e al tempo stesso interdipendenti forme di violenza. Le questioni che il movimento per
l'asilo non ha ancora risolto e che pongono un problema nell'ora della
concertazione di politiche europee rinviano alla definizione dei tipi di azione in grado di favorire una larga
mobilitazione di solidarietà in Europa. La constatazione dell'isolamento delle azioni di difesa del diritto
d'asilo
in rapporto ad altri movimenti sociali è anch'essa motivo di inquietudine che solleva diversi
interrogativi.
Rimane da costruire un ponte che colleghi le azioni per la difesa del diritto d'asilo e le altre lotte contro le
disuguaglianze e le esclusioni. C'è l'urgenza di trovare risposta a queste questioni: la debolezza
dei movimenti di difesa del diritto d'asilo è
evidente sia a livello svizzero che europeo. La banalizzazione delle politiche statali repressive presso le
popolazioni europee ha permesso di delegittimare questi movimenti consentendo di rafforzare drasticamente
gli strumenti a disposizione delle amministrazioni e delle forze di polizia e di tradurre effettivamente nella
pratica le politiche di espulsione. Gli ultimi dibattiti che hanno avuto luogo in Francia, la discussione che si
è
sviluppata in Svizzera a proposito dell'arresto di coloro che presentavano domanda d'asilo colpiti da mandato
di cattura, ne sono la dimostrazione lampante.
8. Necessità di un luogo internazionale di riflessione critica collettiva
Osservando il mondo d'oggi e la condizione del pensiero, si deve constatare l'esistenza di
almeno due movimenti
contraddittori: l'immobilismo legato a un certo determinismo, ma anche un desiderio di riflessione aperta e di
resistenza. Una delle cause dell'immobilismo, una delle forze oscure contemporanee, non è forse il peso
di
talune rappresentazioni collettive presentate come ineluttabili? Noi proponiamo pertanto a tutte le persone
interessate, provenienti dagli ambienti più diversi, della riflessione
teorica o universitaria, della pratica militante o professionale, di creare una rete di riflessione internazionale e
interdisciplinare. Il nostro progetto s'inscrive in un desiderio: quello dell'esistenza di un luogo in cui trovi
spazio, più che la saggezza, l'amore per la saggezza collettiva (Castoriadis). Questo luogo dovrebbe
poter
esplorare, a partire dal diritto d'asilo e dai contesti che lo chiamano in causa, ciò che può essere
conosciuto,
descritto, così come ciò che non può esaurire la conoscenza: gli interrogativi aperti
dalla storia presente di un
mondo comune da costruire. Dunque, esercitare la nostra libertà di pensiero come forma di azione.
Perché
pensare, è già cambiare. Pensare un fatto, è già cambiare un fatto.
Se pensare significa resistere, pensare
collettivamente significa darsi gli strumenti per cambiare collettivamente.
a cura di G'NOPPOD (traduzione di Stefano Viviani dal n. 23 - ottobre/dicembre 1993
- della rivista
trimestrale Confrontations, organo della Organizzazione Socialista Libertaria)
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