Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 208
aprile 1994


Rivista Anarchica Online

La schiavitù e le sue frontiere
a cura di G'NOPPOD

Nel numero 7 del dicembre 1989 (pp. 8-12), «Confrontations» si è occupata della situazione del diritto d'asilo nella prospettiva della costruzione europea. Cos'è accaduto nel frattempo? La politica di accoglienza nei confronti delle persone che cercano protezione in Svizzera, definita come politica di dissuasione, si concretizza in un numero sempre maggiore di rifugiati prodotti dall'amministrazione. Questa ha ricevuto nuove possibilità d'azione con l'entrata in vigore nel 1990 di un'Ordinanza federale straordinaria, approvata dal Parlamento con una schiacciante maggioranza, che comprendeva i rappresentanti del Partito socialista. La criminalizzazione dei rifugiati è diventata una costante, mentre le loro condizioni di vita e le garanzie legali si sono considerevolmente ridotte.
Sul piano europeo, la dinamica che avevamo presentato non ha subito variazioni. Gli Accordi di Schengen sono stati adottati ed entrano progressivamente in vigore; una Convenzione di primo asilo è stata firmata e ratificata. Il Consiglio federale è pungolato da Jean-François Leuba, che è stato nominato alla testa di una Commissione di esperti formata in gran parte da comandanti delle polizie cantonali, che è molto interessata a queste norme europee e scalpita d'impazienza davanti all'impossibilità di aderire immediatamente all'Europa delle polizie. Gli «esperti» dicono di temere che la Svizzera diventi un'«isola d'insicurezza» al centro della Comunità europea (sic!) ...
1 movimenti militanti, da parte loro, sono molto indeboliti o divisi. Non sono più in grado di mobilitare le popolazioni di fronte all'arbitrio statale e i mezzi d'informazione non s'interessano più alle loro denunce. È il vicolo cieco del diritto d'asilo, che si può riassumere in due cifre: in Svizzera il 97% delle domande d'asilo riceve una risposta negativa integrata da un foglio di via, il 70% delle partenze non viene controllato. 1n definitiva la politica d'asilo consiste nella produzione di un imponente flusso amministrativo che finisce per trasformare decine di migliaia di individui in clandestini obbligati.
È in questo contesto che Marie-Claire Caloz-Tschopp e Axel Clevenot hanno indetto un incontro internazionale, che si è tenuto a Ginevra alla fine di settembre del 1993, sul tema «Violenza e Diritto d'asilo». Ricercatori, filosofi, professori, ma anche medici, cittadini, rifugiati, provenienti dal Nord come dal Sud, hanno preso parte a quello che non è stato né un seminario accademico, né una riunione militante, ma una tensione permanente tra la riflessione e la pratica in una prospettiva interdisciplinare. Qui di seguito riportiamo il testo dell'appello uscito da questo incontro, che è stato scritto dalle due persone citate in precedenza e leggermente modificato da G'Noppod. Come potrete constatare, si tratta sia di una riflessione di filosofia politica sulla nozione di democrazia, che di un grido d'allarme davanti alla situazione attuale del mondo e del diritto d'asilo. Come diceva uno dei partecipanti, la parola «asilo» rimanda ai matti e ai rifugiati e ci invita a riconoscere la follia nella quale viviamo ...

1. A guisa d'introduzione
Nel mondo d'oggi e in particolare sul terreno del diritto d'asilo, la violenza è un dato dell'esistenza per milioni di esseri umani, che ci rimanda immancabilmente alla morte. Non tutti i fatti di violenza si equivalgono. Per coglierne le conseguenze e comprendere qual è la posta in gioco, si tratterà di stabilire dei criteri di classificazione riflettendo sulla natura e le cause della violenza, così come sul rapporto potere/violenza/legittimità. Per entrare nella materia, elencheremo alcuni fatti visibili.
Violenza fisica. Esseri umani mitragliati sotto l'occhio delle macchine da presa. Stupri. Torture. Imprigionamenti. Pulizia etnica. Campi. Carnai. Colonne di profughi in cerca di asilo alle frontiere dei Paesi europei e di altri continenti. Nuovo muro attorno all'Europa occidentale: scandalo delle politiche d'asilo dell'emisfero Nord sempre più restrittive. La violenza simbolica fiancheggia la violenza fisica. Rituali burocratici per respingere, in senso proprio così come nell'inconscio sociale. Le telecamere alle frontiere, la presa delle impronte digitali, la schedatura, hanno sostituito il passaporto e la carta d'identità adottati all'inizio del XX secolo. A partire da lì, l'arsenale di controllo e di repressione si è perfezionato. Colui che chiede asilo, come le donne e gli ebrei in un'altra epoca, rinchiuso nel ruolo di «sospetto», di «paria», è prigioniero di una differenza irriducibile. Nell'emisfero Nord, le esclusioni e gli atti di morte si succedono con l'ausilio di strumenti burocratici e giuridici. La violenza, legittimata o meno, è davanti agli occhi di tutti.
Nei Paesi d'accoglienza, la violenza è onnipresente sul terreno della pratica del diritto d'asilo. Nel contesto delle politiche restrittive, dette anche politiche di dissuasione, le persone che intervengono nel campo si sono specializzate al punto da rimanere gradualmente isolate dal resto dell'attività sociale. Quello che accade ai rifugiati viene via via dimenticato dalla maggioranza dei cittadini/e. Così si trasformano certi professionisti/e in esseri violenti, si fa vivere loro la sofferenza, lo stress, il burn-out, mentre il loro compito dovrebbe essere quello di occuparsi dell'accoglienza e della protezione. Impotenti, tacciono, si deprimono o, quando possono, rassegnano le dimissioni. Oppure, si mettono a parlare di «soglie di tolleranza umanitaria» e di «mestieri a rischio etico». Altri, che siano professionisti/e o meno, seguono percorsi differenti. A rischio di perdere il loro impiego, passano alla dissidenza, alla resistenza individuale o addirittura alla disubbidienza civile. Queste persone sono al cuore di contraddizioni e di tensioni che paiono insormontabili tra le strutture statali e le nude esistenze.
Paradosso apparente. La violenza degli avvenimenti su esseri privi di protezione invade il quotidiano, presentando una faccia invisibile e irreale. La violenza distillata a distanza, spezzettata dallo zapping o mascherata dall'amministrazione, irrigidisce la massa degli spettatori allarmati nell'impotenza, dando loro l'impressione di essere fuori dalla storia raccontata sugli schermi televisivi o nei dossier. I fatti, filtrati dalle catene televisive e dall'amministrazione, assumono i connotati della finzione. Gli avvenimenti entrano nella vita privata di milioni di persone attraverso l'intermediazione del televisore. Nondimeno, i fatti trasformati in immagine o respinti come fatti giuridici sono assolutamente reali. La realtà materiale del rapporto sociale d'asilo è intrinsecamente costituita dalla violenza. Essa ci porta a interrogarci sui fondamenti dei rapporti sociali delle nostre società.
In effetti, la violenza non è un fenomeno marginale della vita sociale. Vista l'ineguale ripartizione dei beni e della natura operata dagli esseri umani, si può ben dire che la violenza rimane nel cuore delle società. Un nuovo capitalismo si sviluppa a livello mondiale con nuove forme di esclusione: composizione di grandi insiemi (Canada, USA e Messico; Giappone, Cina ed Estremo Oriente; Europa), instaurazione su scala planetaria di una società duale con nicchie di produzione e di consumo per alcuni privilegiati; esplosione (exJugoslavia, Russia) o dissoluzione delle Nazioni-Stato nel Terzo Mondo provocata dai narco-Stati, dalle milizie, dai gruppi paramilitari, dall'aumento dei colpi di Stato; disimpegno dello Stato politico e sociale rispetto all'insieme della popolazione e rafforzamento dello Stato di polizia per escludere gli stranieri; messa in discussione del diritto d'asilo ecc. In breve, ci si trova di fronte all'instaurazione di un nuovo apartheid tra il Nord e il Sud, con un'intensificazione della violenza e il ritorno di una cultura della violenza nella vita quotidiana.
Nei Paesi e nei continenti d'origine degli esiliati, i conflitti armati si estendono. Le persone che fuggono da queste situazioni di estrema violenza si trovano nell'impossibilità di dimostrare una persecuzione che risponda alla logica della prova in vigore nel diritto internazionale o nei diritti nazionali dei Paesi dell'emisfero Nord: non fuggono da persecuzioni dirette individualmente contro di loro da uno Stato. Sono quelli che nel gergo internazionale vengono chiamati i profughi della violenza.
Questa nuova categoria di rifugiati, di cui si fa un gran parlare negli ultimi tempi, ha conosciuto la violenza generalizzata che provoca la distruzione dei beni, dell'ambiente, il trasferimento delle popolazioni e la morte. Questi milioni di individui temono per la loro vita, la loro integrità fisica, la loro libertà. Non godono tuttavia dei diritti e delle regole che la maggior parte delle legislazioni nazionali offre ai soggetti di diritto e non viene loro riconosciuto lo statuto di rifugiati. Più semplicemente, non viene riconosciuto loro lo statuto di soggetti di diritto. Un'infima parte viene in effetti tollerata e gode di statuti infragiuridici sempre più provvisori e revocabili in ogni momento dagli Stati del Nord. La maggior parte di loro è confinata in campi ai margini delle zone di conflitto: il 90% dei profughi vive nei Paesi del Sud che dispongono di risorse minime.
In un simile contesto, la violenza non è né un mezzo né un sintomo, né un effetto, né un'immagine televisiva, o ancora una dunamis (secondo Omero: forza, potenza, potere) negativa o positiva, più o meno intensa, che per disattivare si dovrebbe rimettere nelle mani di un potere sovrano. La violenza è una condizione dell'esistenza per milioni di esseri umani che subiscono una dunamis senza far presa su di essa. La violenza è dunque legata al potere di cui dispongono gli esseri umani riguardo le loro condizioni di esistenza. La violenza è una condizione dell'esistenza in quanto condizione di vita e di un progetto politico. I 9/10 della popolazione mondiale vivono in un mondo turbato da una ripartizione squilibrata dei beni di prima necessità, delle ricchezze e delle capacità di annientamento. Per milioni di esseri umani si verifica una rottura del contesto sociale, politico, culturale dell'esistenza, nonché del rapporto equilibrato con la natura.
In sintesi, la violenza nel diritto d'asilo ci rimanda immancabilmente alla disuguaglianza di fronte alla vita, ai beni disponibili, agli strumenti della vita politica e alla natura. Al di là del drammatico destino degli esiliati, al di là del malessere e dei rifiuti di coloro che si ritiene mettano in atto la violenza nel nostro Paese, essa dimostra che il progetto e le regole della convivenza politica sono prossime al dissolvimento.

2. Scomparsa del diritto d'asilo in Europa
Le frontiere tra le politiche d'immigrazione, le politiche della pace e della sicurezza, così come le politiche d'asilo in Europa, tendono gradualmente a scomparire. Lo stesso si può dire per le frontiere tra l'umanitario e il politico.
Dietro queste assimilazioni che mettono a repentaglio il diritto d'asilo, si può rilevare l'affermarsi di nuove forme di schiavitù e di dominio. Il possesso degli esseri umani per l'utilizzo, lo sfruttamento delle loro forze corporali, mentali, affettive e di quelle dei loro congiunti, si rafforza.
Mentre alle nostre frontiere, migliaia di persone in pericolo di morte, minacciate nella loro integrità fisica o nella loro libertà, cercano rifugio, con il «laboratorio Schengen» viene eretto un nuovo muro. Gli Stati europei sostituiscono la nozione filosofica e giuridica fondamentale di protezione con la tolleranza di un soggiorno temporaneo e provvisorio, il tempo di negoziare il transito verso altri paesi cui viene trasferita la responsabilità dell'accoglienza. Anche l'Alto Commissariato per i Rifugiati ha partecipato a questo grave attentato alla protezione. Un valore (l'asilo) e un diritto fondamentale (il diritto d'asilo) stanno per essere cancellati dalla carta degli Stati europei. Questa è l'innegabile realtà che vive l'Europa dei nostri giorni. Occorre affrontarla e indagarne il senso, e per fare ciò è necessaria una trasformazione delle categorie di pensiero, degli atteggiamenti individuali e collettivi.

3. Diritto d'asilo ed esclusione
A proposito del diritto d'asilo, così come quando si riflette sull'uguaglianza e sull'esclusione, non si può fare a meno di affrontare una questione fondamentale: qual è la natura del potere sociale tra gli esseri umani, quali sono le modalità della sua ripartizione? Se c'è vita di esseri umani e ci sono rapporti di scambio, c'è rapporto sociale e dunque potere sociale.
Il diritto d'asilo è un rapporto sociale tra gli altri, composto da scambio e reciprocità, storicamente mediato dalle istituzioni politiche delle Nazioni-Stato. Quasi tutti gli esseri umani che entrano in questo rapporto sociale di persecuzione/protezione perdono il proprio statuto di soggetti. Essendo sottomessi al controllo, alla repressione, alla continuazione della violenza fisica immediata nei Paesi d'origine e in quelli di accoglienza, ma privati della protezione, dunque della possibilità di partecipare a una comunità politica, finiscono per regredire allo stato di oggetti.
Nel pensiero scientifico, politico o comune, s'immagina, si pensa, si dice nei modi più diversi che certe fughe dipenderebbero in realtà da ragioni che non hanno nulla a che vedere con la persecuzione: il viaggio, la ricerca di lavoro, il turismo, la ricerca di avventura ecc., questi sarebbero gli scopi. [ ... ] In materia di politica d'immigrazione, l'amministrazione svizzera ha enunciato ufficialmente il modello «dei tre cerchi», basato sull'idea di una pluralità e di una gerarchia di civiltà, con la preoccupazione di limitare, ovvero di escludere l'immigrazione proveniente da certe aree del mondo. L'argomento ultimo è senza appello: se tutti gli esseri umani vivessero come nel Nord, il futuro del pianeta sarebbe minacciato. Per contro, questo modello non dice nulla sulle scelte di civiltà del Nord e sulle loro conseguenze. Sulla medesima falsariga si parla anche dei «rischi di una società multiculturale», per escludere degli esseri umani da ogni possibilità di lavorare o di beneficiare di una protezione durevole o temporanea. In un contesto simile, impregnato di un'ideologia della modernità, una ristretta minoranza ha accesso alle condizioni dell'esistenza e ai diritti.

4. Diritto d'asilo e le frontiere delle Nazioni-Stato
Sul terreno del diritto d'asilo, la «tirannia del nazionale» domina ogni cosa indebolendosi. Man mano che si costituivano le Nazioni-Stato, l'accoglienza dei perseguitati è stata subordinata all'«interesse nazionale» di ciascuno Stato, alla sua politica estera, alle sue turbolenze e alle sue tensioni interne, in particolare con il movimento operaio. A partire da quel momento sono state erette frontiere con l'ausilio di strumenti amministrativi e tecnologici, come le carte d'identità, la costituzione di schedari ecc. La burocrazia ha gradualmente affiancato la polizia, mentre dentro i confini degli Stati, i problemi posti dalle cosiddette «zone internazionali» indicano che nessuno viene considerato come essere sociale, nessuno ha uno statuto giuridico al di fuori degli Stati e dei loro territori. La Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati, conclusasi nel 1951, ha indicato una tendenza a definire uno statuto internazionale, senza tuttavia arrivare a mettere in discussione questa logica statale. Non ci sono norme legali che gli Stati siano obbligati a rispettare. A guardare il sistema di protezione internazionale, questa Convenzione è moribonda, mentre gli statuti temporanei e provvisori vengono accordati con parsimonia agli individui e ai popoli in pericolo.
Per il superamento delle frontiere esterne e interne, invece di elaborare responsabilità e regole comuni, ogni Stato s'impegna nel «laboratorio Schengen» in nome d'interessi legati alla propria sovranità, rifiutando d'impiegare i suoi strumenti in una politica comune di libera circolazione che rispetti i diritti fondamentali.
Si assiste a uno strano paradosso: i beni circolano, il GATT proibisce qualunque limitazione alla circolazione delle merci, ma le persone sono bloccate. Allorché, per esempio, l'apertura al resto del mondo viene esaminata nella Convenzione di Dublino, la libera circolazione delle persone diventa l'immigrazione di persone la cui presenza favorisce gli scambi culturali, scientifici ed economici. Si tratta di una delle forme politiche attuali che meglio illustrano l'inuguaglianza davanti alla vita, la libertà e l'accesso ai diritti sociali, mettendo a repentaglio in particolare il diritto d'asilo in Europa.
La degradazione generale del diritto d'asilo segnala, insieme ad altri fenomeni, qualcosa di nuovo: l'indebolimento del potere politico e dei diritti sociali garantiti dalle Nazioni-Stato, l'emergere di gruppi di polizia intergovernativi e di grandi gruppi industriali e finanziari internazionali. Una situazione simile, esasperata dalla crisi delle relazioni internazionali e del sistema di protezione, ci pone nuove sfide.
Per quanto riguarda gli stranieri, i Paesi del Nord vivono più nella sfera di Stato di polizia che in quella di Stato di diritto. Una visione dominata dall'ossessione per la sicurezza disegna l'individuo di altra nazionalità, lo straniero, come un sovversivo potenziale. In un certo senso, si potrebbe dire che gli stranieri vivono ancora sotto una sorta di Ancien Régime sulla via della modernizzazione. Come realizzare il passaggio dallo Stato di polizia allo Stato di diritto in materia di stranieri? Si tratta di superare l'ambito di uno Stato di diritto che rimarrebbe limitato a un regime di democrazia ristretta e autoritaria, che ridurrebbe l'uguaglianza separandola dalla nozione di libertà, in nome di una sovranità assoluta esercitata da taluni organi, per privilegiare la nozione di sicurezza legata a una logica di Nazione-Stato.

5. Il diritto di avere dei diritti
Le condizioni materiali del diritto d'asilo oggi escludono da una protezione durevole, o anche solo temporanea, la maggior parte degli esseri umani che ne hanno bisogno. Cosa ancora più grave, i nuovi criteri di discriminazione escludono dall'appartenenza al genere umano e a una comunità umana unificata, non soltanto coloro che presentano domanda d'asilo, ma la maggioranza degli esseri umani del nostro pianeta che subisce la violenza e che non può godere delle regole politiche degli Stati del Nord.
Analizzando lo statuto degli apolidi, Hannah Arendt ha dimostrato che ogni essere umano deve poter appartenere a una comunità politica, pena la perdita della propria dignità, nonché del proprio statuto di essere umano, conseguenza della perdita del proprio statuto di soggetto di diritto. In questo senso, ha specificato, ciascun essere umano ha il diritto di avere dei diritti per mantenere il suo posto nel mondo. I primi a essere interessati da questo principio sono i rifugiati. Del resto hanno cominciato a essere seriamente in pericolo in un'altra epoca storica, allorché sono stati privati di Stato ed espulsi dalla comunità politica attraverso l'esclusione dalla vecchia trinità Stato-Popolo-Territorio.
Una prospettiva simile obbliga a ripensare la nozione di Stato, la sua legittimità, le sue costrizioni e i suoi limiti alla luce degli avvenimenti che consentono di osservare l'indebolimento o la dissoluzione degli Stati storicamente costituiti. Come riprendere oggi, riformulando la questione della sovranità, i due enigmi formulati da Hobbes: la distruzione degli uni da parte degli altri, il potere capace di sottomettere tutti (Leviatano, capitolo XII)? Il diritto d'asilo ci insegna che si tratta di superare la Nazione-Stato nel suo esclusivismo, che tutti gli esseri umani si trovano di fronte a una sfida: inventare un modo per unificare delle responsabilità al livello di un unico mondo, assicurando il controllo degli scambi e dei poteri a tutti i livelli delle loro vite e della vita delle società. Allora, come, con quali nuovi indirizzi di pensiero, concepire ciò che deve tenere insieme la società mondiale come un'unica realtà?
Infine, gradiremmo sottolineare qui uno degli aspetti di questo diritto ad avere diritti: il rapporto tra l'umanitario e il politico, osservabile sul terreno del diritto d'asilo. Qui, l'umanitario ha dato il cambio al politico. Quello che era un diritto diventa a poco a poco un'assistenza. I profughi hanno rimpiazzato i poveri dell'inizio del secolo. Un'espropriazione dei diritti dei rifugiati ha luogo allorché si sviluppano tutti i tipi di esperienze di una nuova industria, di un nuovo mercato: quello dell'asilo che si fa carico, al posto loro, della gestione della loro esistenza. Si vedono istituzioni private per le quali le sovvenzioni pubbliche o il denaro che circola nel mondo dei rifugiati diventa una posta in gioco essenziale, che orienta tutta la loro strategia. Questo atteggiamento delle istituzioni contribuisce a spersonalizzare la problematica, i rifugiati finiscono per essere considerati da queste come dossier amministrativi.
Peraltro, nelle zone di conflitto, in nome di un diritto e di un dovere d'ingerenza giustificato da certe ragioni di Stato, l'aiuto umanitario viene dirottato dai suoi fini, utilizzato come arma politica. Ne deriva non solo un indebolimento dell'assistenza umanitaria, ma anche dei diritti e del diritto d'asilo.
Queste constatazioni ci consentono di cogliere tutta l'importanza delle forme di deviazione, di discriminazione, di esclusione, in vigore soprattutto nella pratica del diritto d'asilo in Europa. Possono altresì fare comprendere a ciascuno di noi e all'insieme dei cittadini e delle cittadine qual è oggi la posta in gioco nella difesa dei diritti fondamentali.

6. Diritto d'asilo e democrazia radicale
Il diritto d'asilo ci porta a riflettere su violenza, democrazia e responsabilità. Nella vita contemporanea, molte questioni riguardano una ridefinizione della democrazia radicale: uguaglianza e delega, limiti dell'egualitarismo, valori omogenei o contrapposti nelle società pluriculturali e criteri di scelta, linguaggio, strumenti ecc. Alla luce degli avvenimenti attuali (Kurdistan, ex Jugoslavia, Palestina, Sudan, India, Pakistan, Libano, Russia ecc.), si tratta forse di rivisitare due eredità ricche ed eterogenee della filosofia politica per creare un nuovo pensiero: quello dello Stato, del contratto sociale e della nozione di soggetto, quello della democrazia radicale. In relazione al diritto d'asilo, si tratta di riflettere in particolare su taluni aspetti della democrazia radicale: come integrare la necessità di una convivenza politica in un solo mondo senza limitare la partecipazione politica ai territori e alle frontiere delle Nazioni-Stato? Come immaginare forme di vita politiche e di arbitrato che si facciano carico delle tematiche mondiali? Tali questioni ci spingono a riformulare una considerazione centrale.
Pensare alla democrazia non significa semplicemente riprendere certi dibattiti ormai noti sulla democrazia greca (elitaria e discriminatoria nei confronti delle donne e degli schiavi), o ancora, sulla democrazia formale, strumento nelle mani della borghesia. Pensare la democrazia non significa nemmeno pensare in termini di buono o migliore regime politico (Platone, Aristotele), di sistema politico, o ancora, di obbedienza cieca e incondizionata a uno Stato sovrano grazie al quale gli esseri umani sarebbero in grado di mettere fine ai loro conflitti, o quantomeno di appianarli (Hobbes). Non è questo il nostro proposito. La nostra prospettiva è differente. Si tratta di superare un pensiero dualista che pone i rapporti politici in termini di comando/obbbedienza, essendo il dominio naturalmente legato all'obbedienza. Si tratta altresì di ritornare alle radici della democrazia per considerarla come una democrazia radicale nel campo che c'interessa, il rapporto con gli stranieri e il diritto d'asilo.
In parole chiare, la democrazia implica un atteggiamento ontologico individuale e collettivo. In una tale prospettiva, essendo ogni individuo attore del proprio destino individuale e collettivo, è data la possibilità di tener conto del politico a tutti i livelli della vita sociale al di là di considerazioni di frontiera, razza, sesso ecc.
In questo senso, la democrazia nel suo Essere è caratterizzata dal fatto che il potere è in mezzo a tutti, dunque appartiene a tutti gli esseri umani considerati come uguali, e che può svilupparsi senza limiti. Dal punto di vista delle questioni che c'interessano, la democrazia considera che tutti gli esseri umani, allorché abitano questo pianeta, partecipano a un unico mondo, a un'unica comunità politica. Nelle sue radici, in questo senso, la democrazia è universalista. L'inuguaglianza nell'accesso ai beni, lo sfruttamento degli esseri umani, il consumo illimitato della natura, la gerarchia delle Nazioni-Stato, le scelte economiche, politiche e del modello di civiltà adottato da alcuni, questi fenomeni non possono essere presi in considerazione se si prende il progetto di democrazia nel suo significato radicale.
Di più, la democrazia deve considerare tutti gli esseri umani come soggetti partecipanti a pieno titolo alla vita della Città. In tale contesto, tutti, uomini e donne, sono chiamati a esercitare la propria autonomia. Ciascuno è responsabile di sé, della propria vita e della vita della Città. Nessuno, nel vero senso della parola, può esistere, esercitare il potere di autonomia, o pensare al posto di un altro, né Dio, né un'autorità trascendente, né il partito. La responsabilità del divenire della società e della natura è affare di ciascun essere umano chiamato a riflettere sul presente collettivo in un unico mondo e sul destino delle generazioni future. Tutti gli esseri umani liberi possono decidere della creazione e del miglioramento delle leggi, dei diritti per la vita in comune e il rispetto della natura, all'interno di limiti provvisori, sempre revocabili. Queste questioni rimangono costantemente aperte. Sono sempre da risolvere, da inventare. Tutto è sempre da ricominciare ed è questa certezza che ci fa vivere. È li che risiede la creazione, la sua fragilità e imprevedibilità, come hanno ben dimostrato la Arendt e Castoriadis.
Forme di appropriazione illegittima dei beni, della natura, degli esseri umani, così come i movimenti d'intolleranza, mettono oggi in discussione la democrazia nella sua radicalità. Essi fanno leva sulle angosce e le paure individuali davanti all'incertezza della crisi economica, politica, culturale, ideologica. Pensare una democrazia radicale presuppone il potere, il desiderio d'immaginare e di dar vita a società aperte, nonché d'interrogarsi sulle condizioni di formazione degli esseri umani (istruzione), affinché siano appassionati alla conoscenza intesa come somma della scienza, dell'interrogazione e di un progetto politico, piuttosto che affascinati dalla convinzione. Costoro, invece che di erigere un recinto ideologico, religioso o nazionalista che offre un'illusione di sicurezza, dovrebbero essere capaci di sostenere e approfondire l'interrogazione.

7. Continuare le azioni di resistenza
Nel momento in cui si cancellano le distinzioni tra sicurezza e insicurezza, violenza privata e violenza pubblica, violenza militare e violenza economica, nonché tra violenza umana e catastrofe naturale, si pone il compito di organizzare un'antiviolenza, vale a dire d'installare al cuore della vita politica, la lotta collettiva contro le molteplici e al tempo stesso interdipendenti forme di violenza.
Le questioni che il movimento per l'asilo non ha ancora risolto e che pongono un problema nell'ora della concertazione di politiche europee rinviano alla definizione dei tipi di azione in grado di favorire una larga mobilitazione di solidarietà in Europa. La constatazione dell'isolamento delle azioni di difesa del diritto d'asilo in rapporto ad altri movimenti sociali è anch'essa motivo di inquietudine che solleva diversi interrogativi. Rimane da costruire un ponte che colleghi le azioni per la difesa del diritto d'asilo e le altre lotte contro le disuguaglianze e le esclusioni.
C'è l'urgenza di trovare risposta a queste questioni: la debolezza dei movimenti di difesa del diritto d'asilo è evidente sia a livello svizzero che europeo. La banalizzazione delle politiche statali repressive presso le popolazioni europee ha permesso di delegittimare questi movimenti consentendo di rafforzare drasticamente gli strumenti a disposizione delle amministrazioni e delle forze di polizia e di tradurre effettivamente nella pratica le politiche di espulsione. Gli ultimi dibattiti che hanno avuto luogo in Francia, la discussione che si è sviluppata in Svizzera a proposito dell'arresto di coloro che presentavano domanda d'asilo colpiti da mandato di cattura, ne sono la dimostrazione lampante.

8. Necessità di un luogo internazionale di riflessione critica collettiva
Osservando il mondo d'oggi e la condizione del pensiero, si deve constatare l'esistenza di almeno due movimenti contraddittori: l'immobilismo legato a un certo determinismo, ma anche un desiderio di riflessione aperta e di resistenza. Una delle cause dell'immobilismo, una delle forze oscure contemporanee, non è forse il peso di talune rappresentazioni collettive presentate come ineluttabili?
Noi proponiamo pertanto a tutte le persone interessate, provenienti dagli ambienti più diversi, della riflessione teorica o universitaria, della pratica militante o professionale, di creare una rete di riflessione internazionale e interdisciplinare. Il nostro progetto s'inscrive in un desiderio: quello dell'esistenza di un luogo in cui trovi spazio, più che la saggezza, l'amore per la saggezza collettiva (Castoriadis). Questo luogo dovrebbe poter esplorare, a partire dal diritto d'asilo e dai contesti che lo chiamano in causa, ciò che può essere conosciuto, descritto, così come ciò che non può esaurire la conoscenza: gli interrogativi aperti dalla storia presente di un mondo comune da costruire. Dunque, esercitare la nostra libertà di pensiero come forma di azione. Perché pensare, è già cambiare. Pensare un fatto, è già cambiare un fatto. Se pensare significa resistere, pensare collettivamente significa darsi gli strumenti per cambiare collettivamente.

a cura di G'NOPPOD (traduzione di Stefano Viviani dal n. 23 - ottobre/dicembre 1993 - della rivista trimestrale Confrontations, organo della Organizzazione Socialista Libertaria)