Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 24 nr. 207
marzo 1994


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Valori che trapassano lo schermo

Finzione e realtà sono dotate di statuti solo apparentemente indipendenti. Voglio dire che, nella percezione della gente non sempre ciò che nasce come finzione rimane sempre al suo posto; c'è anche il caso in cui questa finzione deborda o il contratto implicito in grazia del quale viene considerata tale viene improvvisamente disatteso. Un perché ci sarà. Faccio un paio di esempi. Il primo è quello di Arnold Schwarzenegger, l'attore americano. Sembra che abbia speso tre miliardi dei suoi risparmi per togliersi la soddisfazione di far sparire dalla circolazione un suo vecchio film, Pumping Iron, del 1976. E non è che abbia voluto evitare alle cineteche di tutto il mondo un film mediocre in più, ma ha voluto far sparire per l'esattezza le prove a carico di una propria cattiva condotta. Propria per interposta persona, tuttavia, perché la cattiva condotta di cui si parla è quella ascrivibile al personaggio da lui interpretato nel film, un drogato ed un violento. Nella convinzione di caricarsi di valori positivi, la persona Schwarzenegger non esita ad espropriare i suoi personaggi dei valori negativi. C'è da chiedersi se il problema è e rimane soltanto suo o, piuttosto, non coinvolga il suo pubblico: se si sente più amato interpretando soltanto personaggi virtuosi, o è davvero più amato interpretando soltanto personaggi virtuosi.
Il secondo esempio me lo fornisce Lietta Tornabuoni recensendo l'ultimo film di Clint Eastwood, Un mondo perfetto. Come i critici cinematografici hanno quasi sempre il coraggio di fare, la Tornabuoni dice la sua sugli attori e spiega che Kevin Costner «non è mai stato bravo quanto nella sua parte di cattivo-buono, anche se dovrebbe assolutamente dimagrire». Occhio e croce, la Tornabuoni, qui, non dista molto - in quanto a metodologia degli apparati critici - dalla giovin signora che, al cinema, alle mie spalle, sulle prime inquadrature del film dedicate al volto di Costner, ha detto a voce alta «cominciamo bene, cominciamo con un bonazzo». A Costner, allora, viene riconosciuto il ruolo che svolge, di attore, ma soltanto fino ad un certo punto, perché la pancia rimane sua, e non appartiene al personaggio. Sullo schermo, in altre parole, c'è un doppio duttile e malleabile: se dice una cosa, la dice uno, se tira un pugno, è sempre quello di prima a farlo, ma se ha un po' di pancetta rispetto ai modelli di «bonazzi» in auge, la pancetta ce l'ha quell'altro, se poi gli sparano e lo bucherellano dappertutto pancia compresa, uno muore e l'altro si salva, ma una cura dimagrante, come imperativo categorico dell'immaginario popolare, l'aspetta.
Come un ambasciatore cui non sempre si riconosca di «non portar pena», l'attore entra ed esce dai suoi personaggi sopportando quel tasso di razzismo - perché ogni costrutto ideologico eretto sulla forma del vivente conduce, prima o poi, al razzismo - che il momento della società cui lui appartiene gli elargisce. Anzi, non solo lo sopporta, ma, in quanto veicolo di nuove associazioni fra forme e valori, contribuisce al rinnovo dei suoi fasti.
La cosa, a ben vedere, non è incoraggiante. Vuol dire che al mondo c'è gente - fra cui gli attori medesimi, e i critici cinematografici - che non sanno stare ai patti: entri al cinema e ne accetti la finzione, ma ne esci convinto di quanto sia antipatico il tale - un tale che, dalla finzione, protrae la sua vita nella sua realtà che a quella finzione non appartiene. Un perché, dicevo, ci sarà. Il razzismo, intanto, c'è davvero e non è una finzione cinematografica: basterebbe dire che dal tipo fisico desumiamo tutto un patrimonio morale - figuriamoci cosa non ricaviamo da tutto un campionario di azioni, dichiarazioni, vita morte e miracoli. E poi non è mica vero che quel contratto che implicitamente firmiamo nel momento stesso in cui entriamo in una sala cinematografica ci vincola alla considerazione di pure e semplici finzioni. Come finto accettiamo l'evento complessivo, ma dopo averlo segmentato in dettagli cui, almeno in parte, concediamo un lasciapassare di autenticità per un eventuale prosieguo oltre lo schermo. All'insegna del fatto che, anche loro, prima o poi, da quel paradiso tutto speciale, tornano nella nostra stessa barca. Se no come potrebbero un maschietto ed una femminuccia desiderare davvero di uscire a cena, rispettivamente, con Kim Basinger e con Kevin Costner?

P.S. - La giovin signora che teneva banco alle mie spalle, peraltro, sapeva benissimo tener distinto l'oro da tutto quel che luccica. Tanto è vero che, trascurando il problema estetico dello specifico filmico, nell'intervallo si è chiesta: «e se al bonazzo puzzasse il fiato?».