Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 196
dicembre 1992 - gennaio 1993


Rivista Anarchica Online

Verso una costruzione consapevole dei propri riferimenti
di Francesco Ranci

Da qualche decina d'anni, scienziati ed epistemologi dichiarano a gran voce di aver scoperto l'importanza cruciale di quella che chiamano la "storia della scienza" aggiungendo - implicitamente o esplicitamente - "moderna" nella presunzione, peraltro mal specificata e perciò sempre più traballante, di una siffatta differenza qualificante fra i vari Galileo, Bacone, Newton, Darwin, etc., e i vari Pitagora, Tolomeo, Archimede che li hanno preceduti.
Tale atteggiamento storicistico, e sociologizzante, pur con tutte le carenze metodologiche dimostrate - basti pensare a quanti problemi comporta un'asserzione del tipo: "non c'è altro senso che quello creato nella e dalla storia" (Castoriadis, La logica del magma, in Il pensiero eccentrico, 1992), quando, invece, ogni giorno mettiamo la pentola sul fuoco per cucinare senza temere affatto che "fuoco", "acqua" e "pentola" possano comportarsi diversamente dal giorno prima o, soprattutto, quando ogni giorno raccontiamo qualcosa, e possiamo farlo in cento e uno modi diversi - tale atteggiamento, dicevo, ha comunque il merito di contrapporsi ad una tradizionale forma di dogmatismo dei "filosofi della scienza", per i quali i risultati della fisica-chimica cui viene attribuita un'univocità invero poco giustificata, costituirebbero una sorta di prius intoccabile. Una sorta di necessario punto di partenza, o addirittura di "modello intoccabile" per chiunque si cerchi la qualifica di "scienziato".
Tuttavia, anche questa contrapposizione non è così radicale come potrebbe a prima vista sembrare, infatti, se le teorie scientifiche considerate, diventano - anziché il culmine del Progresso e della Ragione - un esito storico fra gli altri possibili, la spiegazione del successo o dell'insuccesso di una di esse viene pur sempre ricondotta al confronto con una presunta Realtà, la Storia invece della Natura: un confronto - purtroppo in pochi se ne rendono conto, in meno hanno il coraggio di affermarlo, e ancor meno ne traggono le conseguenze - che è del tutto impossibile ad eseguirsi, essendo irriducibilmente metaforica la separazione fra le due "cose" da confrontare (fra "realtà" e "Realtà").
Una rassegna esemplificativa di alcuni dei maggiori problemi che l'epistemologia contemporanea pone a chi si occupa di riformulare i paradigmi della cultura politica, oltre che della cultura strettamente tecnico-scientifica da un punto di vista che mi piace considerare anti-dogmatico - nonostante la formulazione in negativo comporti sempre degli imbarazzi a chi propone qualcosa - si trova nel volume collettivo dedicato a "Il pensiero eccentrico" ("Volontà", 4/'92). Ad esempio si rileva, sulla scia delle ricerche di Paul Feyerabend, che la scienza avrebbe "scoperto l'anarchia", cioè che le presunte "regole" canoniche del metodo scientifico sono poco rispettate nella pratica scientifica o non lo sono affatto. E si contrappone, perciò, alla tradizione "centrista" il formarsi di un nuovo "paradigma", che permetterebbe di individuare "strutture e relazioni" che il precedente paradigma non "consentiva di percepire". Alcuni credono di dover constatare che il paradigma "centrista" sarebbe "inconscio" (Colombo), aprendo così la problematica di una sua possibile consapevolizzazione; per altri, sarebbe da prendere in considerazione anzitutto "lo sguardo stesso" - perché "sempre relativo all'occhio"- e, di conseguenza, ogni sforzo modellizzante non potrebbe che portare ad un "principio d'ordine" che riprodurrebbe sempre la medesima "struttura profonda" (T. Ibanez).
Se, quindi, da un lato si individuano delle potenzialità , dall'altro lato, tuttavia, si pongono dei vincoli, più o meno tassativi, a qualsivoglia opzione in merito. Giorello afferma che la critica del "centro" non vuol essere una "apologia del disordine", in netta contrapposizione con gli entusiasmi di Lizcano, per il quale, invece, la "scoperta" del caos aprirebbe nuovi orizzonti, e forse anche con Vaccaro, per il quale "l'eccentrico" non vuol essere affatto un "polo antagonista", ossia un "altro e diverso modo di centralità". La distinzione fra natura e cultura attraversa questo problema dello statuto epistemologico, ed ideologico, del "disordine": ad esempio, Morin afferma che nelle società "umane", e solo in esse, "la gerarchia e la centralizzazione" si manifesterebbero come "inibizione della componente anarchica". Tuttavia, non sono affatto chiari e condivisi i criteri di una simile separazione dell'umano, e al riguardo trovo particolarmente significative le invocazioni di Atlan a "discipline di frontiera" che dovranno accollarsi il compito di elaborarli. Atlan, parlando del "senso", si limita ad utilizzare la fortunata metafora dell'"emergere,", che ritroviamo poi pari pari in Prigogine, quando afferma che il meccanismo secondo il quale dal disordine e dal caos "possono emergere" leggi ed ordine deve ancora essere chiarito. In proposito, sono a mio avviso importanti i contributi forniti dalla simulazione artificiale delle attività mentali: mentre i primi progettisti di calcolatori hanno privilegiato un organo centrale di elaborazione - notano Petitot e Rosestiehl - i loro fallimenti, nella simulazione delle attività mentali, e le indagini neuroscientifiche hanno comportato un ripensamento sul ruolo funzionale del "cervello", nel contesto dell'organismo, della società e dell'ambiente di cui può far parte. La "mente" cioè, non può essere vista solo come elaboratore di "informazioni" già "date", ma bisogna considerarla, anche, come elemento attivo e passivo di un organismo biologico. Sono questi alcuni dei problemi principali che si pongono ad un progetto di autonomia e responsabilità, non fondata su dogmi ma sulla consapevolezza delle proprie opzioni paradigmatiche, e delle conseguenti valorizzazioni, al fine di controllarne autonomamente il mutamento, desiderato o imposto che sia. Sembra evidente - ancora una volta - che occorre una critica radicale dell'impostazione stessa del problema epistemologico, ed è a partire da questa critica che viene proposto il riferimento ad una "auto-organizzazione dinamica", o "auto-poiesi", come modello della controparte organica dell'attività mentale (Zeleny e Pierre), attività cui si cerca di accedere tramite una sua analisi come "funzione". Il tentativo di eliminare ogni forma di trascendenza, e ogni presunta localizzazione di essa in una qualsiasi sorta di "centro" di potere così legittimato - dalla cattedrale alla parrocchia, dal centro alla periferia, dall'università all'asilo, dalla famiglia alla persona o viceversa secondo i sistemi ideologici - deve fare i conti con una tradizione, quella delle scienze, che, se da un lato cerca da sempre di ricondurre al controllo i risultati della propria attività , dall'altro lato subisce tuttora la trascendenza insita nel problema epistemologico.