Due nuovi arrivi dal
Nord-Est, tutti e due decisamente interessanti. Iniziamo con il n.
57 di Germinal, la storica testata anarchica triestina
(nell'ultimo periodo usciva una o due volte l'anno - una,
tradizionalmente, in occasione del 1° maggio). Da questo numero
- si legge a pag .2 - il Germinal cambia pelle. Muta i suoi
orizzonti formali, allarga i suoi orizzonti mantenendo tuttavia,
come ben spiegato nell'altro editoriale, le sue lontane e storiche
radici nel movimento anarchico e libertario, triestino e non. Da
questo numero il Germinal vede ampliata la sua redazione e la
collaborazione alla sua diffusione. Compagni di Udine, S. Giorgio,
Pordenone, Mestre, Padova e Verona contribuiranno da oggi in poi
alla stesura del giornale, che tenterà di mantenere una certa
periodicità. Ma il progetto che sottende questa nuova veste
editoriale è ben più ampio ed ambizioso. L'idea è
quella di costituire un momento di dibattito, un ambito di confronto
e discussione libero ed aperto ad ogni intelligente
contributo. L'altro editoriale, cui si fa riferimento,
propone una ricostruzione della storia e del ruolo esercitato dal
Germinal, a partire dal pre-fascismo fino ai giorni nostri. Tentando un bilancio,
la redazione scrive tra l'altro: Certo non abbiamo cambiato
radicalmente la società: padroni e burocrati, poliziotti e
preti, inquadratori e manipolatori sono sempre al loro posto, anzi
sono più forti di quindici-vent'anni fa. Forse abbiamo perso,
ma non ci hanno disperso né ci hanno fatto perdere la voglia
di lottare. Al contrario. Ora è forse maturo il momento di
socializzare le possibilità di comunicazione e di intervento
allargando la redazione e la gestione del giornale "Germinal"
ad altri gruppi e compagni del Veneto e del Friuli. Da tempo si
valuta la possibilità di un periodico che esca più
frequentemente per assicurare la continuità del nostro
discorso, per dare più spazio a circoli e gruppi spontanei
che si muovono in sintonia con i valori della libertà e
dell'eguaglianza, dell'autogestione e della creatività
(...). Questo n. 57, primo di una nuova serie, dedica le sue
32 pagine grande formato (grafica e impaginazione di Fabio Santin -
responsabile anche del progetto grafico di "A"-, di Marina
Padovese e Rino De Michele) ad un solo tema: le questioni etniche.
Molta attenzione per le vicende della vicina ex-Jugoslavia, ma
anche più in generale per le questioni connesse con i
molteplici temi delle minoranze etniche, dei loro diritti
(calpestati), del leghismo, ecc.. Gli spunti per la riflessione ed
il dibattito non mancano. Di segno profondamente diverso (ma non
antitetico) rispetto a Germinal è Usmis, il cui
sottotitolo (in friulano) recita: riviste per nuove culture furlane
e planetarie. Come i precedenti, anche questo numero si caratterizza
per una veste editoriale eccezionalmente curata da tutti i punti di
vista, compreso quello della traduzione in italiano (disponibile in
un apposito supplemento allegato ad Usmis) degli articoli (la
maggioranza) scritti in friulano. Riportiamo qui un ampio
stralcio dell'editoriale "Noi siamo bianchi, ma la nostra
lingua è nera", che ci pare dia il segno della
sensibilità che anima i promotori di Usmis. Qualcosa si
muove, qualcosa rimane fermo. Avevamo denunciato, nel primo
editoriale, una doppia esclusione: quella di una sensibilità
friulana nel campo della creatività e quella di una
sensibilità innovativa dei friulanisti, ma anche di quelli
che hanno una mentalità politicista. A quasi un anno
dall'inizio del nostro progetto, facendo un bilancio, abbiamo avuto
la conferma dell'esistenza in Friuli di una situazione molto viva di
individualità, di gruppi che sono sensibili alle
problematiche che abbiamo cercato di proporre. Questo ci ha
provato che chi ha a che fare con la creatività, l'arte e i
nuovi linguaggi è più disponibile a capire le
dinamiche legate alle lingue, alle culture, alla questione friulana
e anche a tener conto di tutto ciò nel proprio lavoro. Invece
abbiamo registrato un disinteresse, ma anche un pregiudizio, una
preclusione di tanti friulanisti autonomisti, ed anche di certe
frange dell'area antagonista e degli operatori culturali, per
qualsiasi discorso che allarghi l'orizzonte, che comprenda una
nuova sensibilità e per quegli stimoli che provengono da
fuori del loro campo di azione, della loro identità
sclerotizzata. Perché un'identità così intensa
rischia di essere paranoica. Forse non è un caso che certi
friulanisti latitanti da tutto quello che c'è d'importante a
livello culturale e teorico, hanno abbracciato invece la causa
leghista che è una scelta di chiusura, di blocco e di
reazione. Il nostro progetto, all'incontrario, era quello di
mettere in divenire l'idea della friulanità, della questione
friulana e delle minoranze con concetti nuovi, facendo movimento,
fondendo questo con tutto quello che c'è di più
stimolante e sperimentale nelle arti, nella scienza, nella
filosofia. Partire dalla nostra identità per trovare una più
alta intensità. Rifiutare questa maniera di porre i
problemi non può che far cadere nel suo contrario, ossia
nelle pericolose posizioni iperpolitiche. Se c'è, come c'è,
una cultura friulana da conoscere, da valorizzare, da salvare, son
in tanti che dicono di farlo, noi crediamo che non sia abbastanza.
La cultura per noi deve essere anche creata e inventata. Una
nuova cultura friulana e planetaria, perché non si può
negare che si va preparando una nuova era per il mondo, a causa
delle nuove tecnologie e linguaggi. Se le culture minoritarie, o
meglio minorizzate, sapranno adoperare questi strumenti in maniera
critica e se questi funzioneranno non per omologare, per schiacciare
le differenze, si creeranno le condizioni per una più grande
libertà per tutti. È anche cosi che la cultura
friulana si fa planetaria, come noi vorremmo per Usmis, premendo il
piede sull'acceleratore dei processi culturali, perché del
Friuli non si salverà niente se non sarà capace, da
subito, di immaginare e di mettere in pratica un suo essere nel
futuro e nel presagio. E' così che Usmis ha interessato molte
persone e realtà fuori del Friuli. L'invito a partecipare al
Festival A.V.E. in Olanda, assieme alle più grintose
esperienze europee, è stato il miglior riconoscimento del
nostro tentativo di creare delle connessioni tra il futuro e la
nostra scheggia di cultura, fra la nostra lingua e i nuovi
linguaggi. Se siamo riusciti a pensare qualcosa di originale
adoperando concetti rubati da più parti è perché
abbiamo usato il friulano, abbiamo scritto in friulano, come dice
Deleuze abbiamo fatto della nostra lingua il nostro intercessore.
Il riflettere sulla nostra lingua ci ha permesso di pensare anche
sulle problematiche legate ai diversi tipi di linguaggio, e
arrivando a mettere tutto ciò in connessione a noi pare di
aver posto il friulano in un divenire. La lingua friulana non deve
essere fossilizzata nelle istituzioni ma deve respirare dove si
produce creatività e vita: nell'arte, nella ricerca,
nell'informazione, nella critica sociale. Contro quelli che pensano
che il futuro del friulano e del Friuli sia in un
uso "maggioritario", di potere, della nostra lingua
(nei tribunali, nella burocrazia, nel Palazzo) proponiamo un uso
"minoritario", che non vuol dire minore, del friulano,
ossia come lingua di resistenza di un popolo e non di lingua
dominante (...). La terza pubblicazione di cui ci occupiamo è
una nostra vecchia conoscenza: Il portavoce, "la voce
dei poveri, la voce degli emarginati", n. 64 datato "novembre
1991". Nell'editoriale la redazione informa che il Gruppo
Amico si è costituito in Associazione prendendo il nome
"Gruppo per l'autogestione" e volendo compiere nella
scelta del nome stesso una scelta di azione precisa: la forma
dell'autogestione come proposta di risposta pratica ai problemi
della vita quotidiana (...). E proprio sotto il titolo
"Briciole di storia autogestita" la redazione pubblica
questo pezzo,che ci piace ripubblicare integralmente, limitandoci a
sottolineare che ancora una volta da ambiti storicamente estranei
all'anarchismo giungono testimonianze concrete di segno
libertario. In pochissimi anni sono venuti a mancare quasi
tutti i protagonisti della storia iniziale del gruppo AMICO, del
cosiddetto nucleo di Via Garibaldi 5: Luigino Massasso, Mafalda
Sacco, Piero Frassetto, Barbara Toio, Salvatore D'Amico, Piero
Mulattieri. Tutte le scommesse impossibili partirono da questo
gruppo iniziale: personalità differenti, spesso in contrasto,
che tentarono comunque di modificare le regole del gioco: povertà
= assistenzialismo dall'alto. (...) La chiave di lettura storica
rimane una sola, su cui continuiamo ad insistere: il protagonismo
degli "oppressi", dei poveri, degli emarginati; la rottura
dello schema assistente - assistito, operatore/utente. Uno schema
duro a morire, vecchio come il mondo! Questo gruppo di persone trovò
lo stimolo e la forza di prendere in mano la propria situazione di
emarginazione e di povertà con un obiettivo: uscirne fuori
nel modo che questo tipo di società vorrebbe (= essere tutti
persone "normali") ma in un modo proprio, autonomo,
"diverso". E partirono dal presupposto che la risoluzione
dei problemi doveva essere una risposta collettiva ai problemi di
tutti, rifiutando quella logica assistenzialistica che passa nel
concetto base "Il tuo problema lo risolvo io".
E' da qui che nascono le assemblee e le riunioni con gli assessori
ai servizi sociali, i progetti di lavoro autogestito, il
moltiplicarsi di spazi di incontro e di aggregazione. Esperienze
"fortissime", che diedero voce e storia ai senza voce e ai
senza storia, ai condannati all'assistenzialismo travestito di
solidarietà. Esperienze che permearono tutti i progetti
successivi: dalle Cooperative al punto incontro, dall'Università
Popolare allo sviluppo del commercio equo e solidale con gli
oppressi del Sud del mondo. Esperienze fatte di rabbia, di
sconfitte, di isolamento politico-sociale, ma che diedero i loro
frutti. Due anni fa abbiamo sottoscritto in centinaia la richiesta
di intestare due vie del centro storico di Asti a Luigino Massasso e
Pia Oddone, due pilastri di quel nucleo storico di lotta contro
l'assistenzialismo e tutte le forme di oppressione - che pagarono
con la propria vita questa loro scelta. Quelle due vie le vogliamo
come segno storico, come testimonianza di chi lottò per dare
storia ai senza storia, come ricordo di quelle esperienze
incancellabili. Molti di loro sono morti, tutti sono morti
poverissimi sepolti nella terra in quella parte dei cimiteri dove si
sotterrano i poveri con la dicitura dei nomi scritta frettolosamente
con un pennarello su di un pezzo di cartone. Persone fuori gioco,
fuori logica dominante, fastidiosi nei in una società che non
ammette l'esistenza del "diverso" e dell'imprevedibile
(non previsto, non calcolato, non programmato e programmabile) che
mettono in discussione il tutto "sotto controllo", il
famoso controllo sociale: quella logica che permette ad una
minoranza di gestire la totalità delle ricchezze planetarie,
che getta nella povertà assoluta, cronica, irreversibile, la
maggioranza dell'umanità. Il protagonismo dei poveri dà
fastidio: è definito demagogico (cattiva e falsa
democrazia!), improduttivo, confusionario. Ma la realtà è
una sola: fa paura perché scardina la cultura, il modo di
pensare e di vivere, rovescia la logica e la regola del gioco che
all'inizio dell'articolo dicevamo, in una parola sovverte il
millenario stato sociale fatto di oppressi e di oppressori, di
assistenti e assistiti; combatte il tarlo culturale che si fonda
sul rapporto tra chi dà e chi riceve con la certezza ("è
sempre stato cosi da che mondo è mondo") che saranno
sempre gli stessi a dare e sempre gli stessi
a ricevere; a ricevere educazione (cultura di serie A e
sottoculture "barbare"), a ricevere "nobili"
gesti di assistenza solidaristica (vestiti usati, tecnologie fuori
moda, pesticidi fuori legge), a ricevere insegnamenti su come
bisogna vivere al mondo. Ribaltare questa logica in un rapporto
tra persone che donano e ricevono e altre che donano e ricevono in
un rapporto reciproco, è la sintesi delle proposte di quel
gruppo iniziale dei primi anni Ottanta. Una sfida raccolta da
altri e che oggi vive nel faticoso ma concreto cammino di decine di
progetti di lavoro, di aggregazione, di festa autogestiti. I
cammini per costruire la storia dei senza storia diventano punto di
riferimento per gli oppressi del pianeta, uniti nel creare
attraverso il metodo della partecipazione, dell'autogestione, della
nonviolenza, della solidarietà autentica, condizioni di vita
a dimensione della persona. Cammini che si incontrano e diventano
comune forza per cambiare la "regola del gioco" - per
cambiare la vita - per diventare uomini e donne a pieno titolo.
Germinal, n
.57, dicembre 1991, pagg. 32, lire 3.000, indirizzo: Germinal, via
Mazzini 11, 34100 Trieste, telefono (040) 368096 (martedì e
venerdì, h. 18-20).
Usmis, inverno
1991, pagg. 56, lire 7.000, indirizzo: Usmis, vie Slataper 20,
33050 Cjasteons di Strade (Ud), telefono (0432) 768962; versamenti
sul c.c.p. 12052338 intestato a La Patrie du Friul-Usmis, cas.
post. 72, 33100 Udin.
Il portavoce,
n. 64, novembre 1991, pagg. 22, prezzo non precisato, abbonamento
annuo ordinario lire 15.000 (disoccupati, studenti, pensionati, lire
10.000); versamenti sul c.c.p. 10530145 intestato a Il portavoce,
via Cotti Ceres 12, 14100 Asti (che è anche l'indirizzo);
telefono (0141) 436384.