Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 177
novembre 1990


Rivista Anarchica Online

Sulla burocrazia
di Cosimo Scarinzi

Guy Fargette, il compagno a cui ho fatto l'intervista seguente, anima la rivista "Les mauvais jours finiront..." (c/o Librairie L'Herbe Rouge, l bis, Rue d'Alesis, 75104 Parigi) che, negli ultimi numeri ha pubblicato una serie di testi assai interessanti sull'Unione Sovietica (alcuni di questi testi, uno sulla situazione generale sino alla primavera del 1990 ed uno sullo sciopero dei minatori, sono stati pubblicati sul quaderno "Bagliori dall'est" a cura del Centro Studi "Piero Ferrero" di Torino).
Non è uno specialista, un sovietologo di professione, ma ha un interesse militante per la situazione dell'est. Quest'attenzione è, in Francia, meno singolare di quanto lo sarebbe in Italia. I legami fra la Francia e i paesi slavi, in particolare la Polonia, sono importanti, e datano almeno al secolo scorso per quel che riguarda i movimenti di opposizione politica e sociale. E', quindi, presente l'idea che i cambiamenti all'est possono anticipare ed influenzare modificazioni nella stessa situazione nazionale. Grazie alla conoscenza del russo, ha potuto seguire regolarmente la stampa ufficiale sovietica che, soprattutto negli ultimi anni, ha caratteristiche di discreta apertura e, nello stesso tempo, quella dell'emigrazione in Francia e, parzialmente, quella dell'opposizione russa in patria.
Questo lavoro, oltre al confronto con i compagni, lo ha portato a mettere in discussione l'attitudine dominante in molti ambienti della sinistra antiburocratica che consiste nel cercare nei fatti sovietici, e non solo in quelli, la semplice conferma di precedenti certezze. L'intervista è stata fatta nel giugno di quest'anno e corretta per quel che riguarda alcuni dettagli ad ottobre dallo stesso Guy. Si tratta, come è evidente, di una riflessione generale sulla situazione russa, sulla natura della burocrazia sovietica e dei movimenti di opposizione più che di una cronaca degli eventi che si sono svolti nell'ultimo periodo.
Vorrei, ora, segnalare alcuni dei caratteri della ricerca di questo compagno che sono parsi interessanti a me e ad altri compagni e che ci ha spinto, fra l'altro, a organizzare a Torino una discussione pubblica con la presenza dello stesso autore. La prima considerazione che emerge dalla lettura è, a mio parere, che c'è uno sforzo serio di ragionare in grande, cioè di ragionare sulla storia, sui cambiamenti generali a cui assistiamo e che ci coinvolgono. Ora, la possibilità e l'esigenza di pensare il cambiamento storico è favorita dal fatto che la crisi dell'Unione Sovietica, la fine degli equilibri mondiali dentro cui la nostra generazione è vissuta determinano una situazione e un'accelerazione dei processi storici per cui non funziona più la paradossale logica che faceva sì che la critica dell'ordine esistente potesse riconoscere come proprio limite l'immodificabilità dell'ordine internazionale.
La vecchia Europa non è al riparo da cambiamenti traumatici che noi possiamo giudicare positivi o negativi ma che non potremo, con ogni probabilità, evitare. La crisi dell'Est, dunque, può essere la base di una crisi dell'Ovest così come l'abbiamo conosciuto finora. La crisi dell'Unione Sovietica, poi, rende necessario ragionare meglio sugli strumenti teorici utilizzati per comprendere e criticare il blocco "socialista". Proprio il carattere rapido e, complessivamente, non violento del cambiamento in atto era, a mio parere, difficilmente prevedibile. La riflessione del compagno sui caratteri e sui limiti del potere burocratico, sul suo interno modificarsi, sui suoi rapporti con la società è, da questo punto di vista assai utile. E', poi, importante lo sforzo di porre in rapporto questione ambientale, questione nazionale e questione sociale nelle diverse aree dell'impero sovietico e nel loro intrecciarsi nel tempo.
In particolare, per quel che riguarda la questione ambientale, Guy Fargette è spinto a un'attenzione particolare dal suo impegno contro il potere nucleare che caratterizza la Francia. La questione più delicata, come sempre, è quella delle prospettive dei movimenti di opposizione. Nelle repubbliche allogene sembra inevitabile la tendenza alla formazione di stati nazionali non necessariamente preferibili a quello sovietico. In Russia, Ucraina, Bielorussia si sta sviluppando un nuovo ed importante movimento operaio che si rifà, in parte, all'esperienza della prima Solidarnosc e che, comunque, sta sperimentando delle vie di azione nella crisi della società.
Cosa possa nascere da quest'assieme di pressioni è difficile ad ipotizzarsi anche perché saranno necessari anni perché ciò che va succedendo giunga ad un nuovo equilibrio. È, comunque, importante avere il massimo di informazioni e di riflessioni in merito e, soprattutto, quanto più è possibile dei materiali non filtrati dai poteri occidentali ed orientali. A questo fine, ritengo che l'intervista come molti altri materiati sia decisamente utile e possa costituire la base di un più approfondito confronto.

Cosimo - Penso che sarebbe interessante parlare di quelle che, secondo te, sono le cause profonde del cambiamento a cui stiamo assistendo in Russia e nei paesi dell'Europa dell'est. Mi riferisco alle cause politiche, sociali, economiche.

Guy - Evidentemente si deve tenere conto della complessità della situazione che si va sviluppando. Io ritengo che una delle cause fondamentali di ciò che sta avvenendo sia la questione dello scontro per il primato in quanto potenza. Intendo dire che il regime sovietico, a un certo punto, ha compreso che stava per perdere la corsa per il ruolo di potenza mondiale di prima grandezza mentre era sembrato che fosse in grado di vincerla nel corso degli anni '70. Questa è la principale ragione di ciò che sta avvenendo ed è ciò che ha determinato che la classe dominante in Unione Sovietica abbia completamente cambiato attitudine rispetto al passato. Essa ha compreso che era necessario domandare la cooperazione della popolazione ma ciò che non ha compreso è il fatto che, a partire dal momento in cui avesse rilassato la durezza del regime, si sarebbero prodotti numerosi sviluppi della situazione fuori dal suo controllo. Da buona burocrazia, essa ha completamente sottovalutato le reazioni del corpo sociale.

Cosimo - Puoi sviluppare l'ipotesi secondo cui è la lotta per il primato con le potenze occidentali la causa scatenante di ciò che sta avvenendo? In secondo luogo: cosa impedisce alla burocrazia di conoscere la società che domina?

Guy -La questione della rivalità fra le potenze è sin troppo nota. Conosciamo la storia della corsa agli armamenti così come conosciamo i conflitti indiretti che opponevano Stati Uniti ed Unione Sovietica. Un aspetto di questa vicenda, di cui si parla fra gli oppositori in Unione Sovietica, che può essere poco significativo ma comunque interessante, è che uno dei fattori scatenanti della situazione attuale è stato il momento in cui i dirigenti sovietici hanno capito che il Giappone cominciava ad avere una potenza economica comparabile a quella dell'Unione Sovietica in termini di prodotto nazionale lordo, di calcolo economico astratto. Ciò voleva dire che la Russia, in un certo lasso di tempo, sarebbe andata verso una marginalizzazione dato che, sommando gli Stati Uniti, Giappone ed Europa occidentale, l'Unione Sovietica, al confronto, appariva piuttosto debole malgrado la posizione geopolitica favorevole. Questo è l'aspetto internazionale del problema del primato in quanto potenza. C'era, evidentemente, l'aspetto interno, cioè il fatto che la ricerca della potenza esterna compensava le tensioni interne ed era una maniera di deviare le contraddizioni e di conviverci mentre si aggravavano. Quest'aspetto del problema è legato alla seconda domanda e cioè a come la burocrazia abbia potuto sottovalutare l'azione della società.
Io penso che una burocrazia tragga la sua forza dal fatto che la società è impotente. Di conseguenza la burocrazia è costretta ad accecarsi da sola su ciò che è la società. Ciò significa pensare che la società non esiste spontaneamente, che ha bisogno di essere organizzata, che il soggetto dell'organizzazione è la burocrazia stessa. Un approccio del genere alla valutazione della società ha delle implicazioni molto complicate dato che la burocrazia non si pensa come classe separata e pretende di non esistere. Si pensa come fosse il settore organizzato ed organizzatore della società.
Di conseguenza, quando la burocrazia cambia di orientamento, essa è convinta, senza nemmeno sentire il bisogno di riflettere in merito, che il resto della società la seguirà. Dunque essa è stata presa di sorpresa dai movimenti nazionali e, ancora più, da quelli sociali che hanno rilevato che la società, per quanto fosse stata disorganizzata sotto il totalitarismo, era riuscita a mantenere, malgrado tutto, qualcosa di solido e che, a partire da questo punto d'appoggio, era sulla via di ricostruire una sua autonomia nei confronti dello stato.

Cosimo - Sarebbe interessante riflettere sul modello d'azione che utilizza la burocrazia sovietica sul piano internazionale.

Guy - Si può dire che essa abbia fatto un ragionamento abbastanza semplice. La burocrazia sovietica, rendendosi conto di essere sulla via di perdere nel confronto internazionale, ha avuto una sorta di reazione elementare: bisogna dividere gli avversari troppo potenti, si deve giocare sulle loro contraddizioni. E' una vecchia teoria che si può far risalire allo stesso Lenin, quando voleva giocare sulle contraddizioni fra l'imperialismo inglese e quello americano. I bolscevichi erano arrivati anche a credere che un giorno ci sarebbe stata una guerra fra l'imperialismo inglese e quello americano. E' una vecchia storia.
L'idea dell'attuale burocrazia sovietica era quella di rafforzare la divisione fra Europa occidentale e Stati Uniti. Il governo dell'Unione Sovietica ha pensato che sarebbe bastato mostrarsi amabile con l'Europa per accrescere i disaccordi che ci sono, che sono reali, fra Europa e Stati Uniti. Si può rilevare in tutta la discussione sul disarmo quest'orientamento di base. D'altro canto c'è un altro fattore che gioca e che è abbastanza stupefacente e che va contro ciò che afferma la propaganda occidentale.
Si deve considerare che gli Stati Uniti non sono affatto quei tranquilli vincitori di cui si parla e che anch'essi hanno bisogno di un accordo con l'unione Sovietica dato che anch'essi sono sfiancati dallo sforzo militare. Sono, questo è evidente, meno sfiancati di quanto lo sia l'Unione Sovietica ma, quando si vede che tutto il deficit del bilancio USA è equivalente alle spese militari e si conosce lo stato delle infrastrutture, delle città, dei servizi sociali negli USA, ci si rende conto che anche gli Stati Uniti non possono più reggere una lotta per il primato come prima e che, dunque, hanno anch'essi bisogno, sino ad un certo punto, di un accordo con l'Unione Sovietica. Questa è una logica che interferisce con quella precedentemente descritta e su questo punto l'Unione Sovietica è abbastanza forte per fare delle concessioni.
Quindi, a mio parere, l'Unione Sovietica cerca di favorire la contrapposizione fra Europa e Stati Uniti e, d'altro canto ha aperto un confronto con gli Stati Uniti che potrebbe essere così raffigurato: siamo noi i signori del mondo e non ci conviene lasciare troppo spazio agli europei. Questa logica di divisione non oppone solo l'Europa agli USA ma anche gli USA all'Europa.

Cosimo - Se anche questa politica funzionasse a livello generale, c'è il fatto che nei paesi dell'Europa centrale il controllo sovietico non esiste più e che, dunque, la potenza sovietica è stata radicalmente ridimensionata.

Guy - Ciò che si deve ricordare è che la perestrojka non ha avuto che un solo tipo di successo e cioè quello nel campo della politica internazionale. La perestrojka che ha funzionato nei confronti dell'occidente, è stata verosimilmente preparata dal KGB. Tutto era minuziosamente stabilito in funzione dei media occidentali e c'è stata una vera e propria operazione di seduzione nei confronti dei politici e dei giornalisti occidentali, operazione che ha funzionato bene sino all'estate del 1989.
Gorbaciov e la sua equipe si sono presentati come dei riformatori umanisti, capaci di trasformare in maniera calma e controllata la situazione. Va detto, poi, che gli occidentali si sono mostrati molto compiacenti nei confronti di Gorbaciov. Quello che è difficile da valutare è perché il governo sovietico, a partire dall'autunno del 1989, abbia abbandonato il controllo sui paesi dell'Europa centrale in un momento in cui, in questi paesi, la perestrojka era completamente bloccata. Non si capisce del tutto perché Gorbaciov lasci sviluppare il movimento, per esempio, in quella che era la Germania orientale ed in Cecoslovacchia. In Polonia ed in Ungheria aveva già lasciato fare ma le cose non andavano troppo veloci. Si può dire che il Cremlino sia intervenuto per bloccare le forze della repressione a Berlino e a Praga. Questa scelta ha aperto la breccia in cui si sono precipitate le reazioni del corpo sociale e ha privato le burocrazie locali di ogni forza e legittimità.
Si possono fare delle ipotesi. Io ho l'impressione che, anche su questo punto, la burocrazia abbia commesso un errore di calcolo, ritenendo di aprire ulteriormente all'occidente con la liberalizzazione. Ciò che la burocrazia non aveva affatto previsto era il fattore nazionale che è stato tanto impetuoso da portare allo sprofondamento del regime, ad esempio, in Germania orientale ed in Cecoslovacchia. Questo non era previsto e, a partire da ciò, hanno cercato di barcamenarsi tra i fatti come potevano, senza fare delle repressioni aperte che avrebbero guastato l'attuale immagine dell'Unione Sovietica in occidente. Hanno evitato la repressione su grande scala ma non sono riusciti a fare nulla di alternativo. Si può dire che, a partire dall'autunno del 1989, tutta la politica estera della perestrojka sia andata in fallimento ed era il solo aspetto della perestrojka che sembrava ben riuscito.

Cosimo - Mi sembra, però, che fosse prevedibile che, rilasciando la pressione su paesi come la Polonia, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e, a maggior ragione, la Germania orientale, le burocrazie locali sarebbero crollate. Un esito del genere era ancor più logico se si considera il peso economico della Germania Federale.

Guy - A cose fatte, si può dire che è così. Prima era meno chiaro. Io credo, comunque, che si debba tener conto dell'autoaccecamento dei burocrati sovietici che hanno i mezzi per mettere in moto alcune dinamiche ma, poi, non possono più controllarle e ne sono completamente scavalcati.
Ciò che hanno fatto nell'Europa centrale, nell'autunno del 1989, si inscrive in una logica che li caratterizzava già in precedenza. Non si trattava solo di dividere il campo occidentale ma anche di dividere l'Europa riaprendo la questione tedesca e ci sono effettivamente molte possibilità che la Germania unita esiti fra l'Europa dell'est e quella dell'ovest e che cerchi di giocare un ruolo indipendente. Bisogna considerare che la Germania è il solo stato occidentale che abbia un'effettiva politica verso l'est, che abbia investito enormemente all'est. Di conseguenza i sovietici contavano su questo fatto. Io credo che sia assolutamente così.
C'è stato, però, il fatto che la dissoluzione del blocco dell'est è stata talmente rapida che i sovietici non l'hanno controllata. Questo non vuol dire che non sia riuscito l'obiettivo della divisione dell'Europa. Nel giro di qualche anno lo verificheremo.
C'è, inoltre, da considerare, per quali motivi i sovietici volevano una liberalizzazione nei paesi del Patto di Varsavia. Io credo che siano gli stessi che spiegano la liberalizzazione nei paesi baltici.
In sostanza, vogliono dei paesi che formino una sorta di vetrina, di pompa per i crediti e le tecnologie occidentali. Essi hanno creduto che l'occidente si sarebbe precipitato ad investire. A mio parere, hanno molto esagerato ed ora ci si accorge che l'occidente è molto più prudente di quanto loro speravano. Ciò deriva, senza dubbio, dall'esperienza fatta con l'America Latina. L'occidente non presta più dei capitali in quella maniera. All'inizio degli anni '70, l'occidente aveva dei capitali eccedenti di cui non sapeva che fare ed ha offerto dei crediti enormi all'America Latina senza garanzie, facendo una specie di fuga in avanti. Qual'è il risultato oggi? Quei paesi non sono riusciti a svilupparsi, si indebitano sempre di più e le banche non recuperano i loro capitali. Nei fatti, saranno gli stati occidentali che rimborseranno le banche ed è probabile, i banchieri occidentali lo dicono apertamente, che non vogliono ripetere quest'esperienza con i paesi dell'Est, tanto più che l'esempio polacco è già molto negativo.

Cosimo - Per quel che ne so, i paesi dell'Est e la Russia, in particolare, hanno fama di essere buoni pagatori.

Guy - L'avevano, La situazione sta cambiando. L'Unione Sovietica comincia ad avere delle difficoltà ad onorare i suoi debiti ed è stata costretta a vendere dell'oro sui mercati internazionali per poter fare fronte a dei pagamenti immediati.

Cosimo- Cosa si può dire degli investimenti occidentali negli ultimi anni nei paesi dell'Est ed, in particolare, in Unione Sovietica?

Guy - Al momento non è gran cosa, si esagera molto. Rispetto ai bisogni dell'Est non si tratta di capitali rilevanti. L'occidente non si assume rischi, non si fida. Questo non vuol dire che non investa. L'occidente cerca di investire, vorrebbe investire ma, al momento, ha molti dubbi sul futuro. Ci sono, a questo proposito, due scuole di pensiero in occidente.
Ad esempio, molti banchieri tedeschi dicono che si deve aiutare l'Est in ogni caso perché altrimenti ci sarà un'esplosione sociale e politica.
E' la stessa cosa che può dire, per fare un altro esempio, Kuron. Egli, in una recente intervista, ha spiegato che in Polonia tutto è sul punto di crollare così come tutto può crollare in Cecoslovacchia, nei paesi baltici ecc. e l'incendio potrebbe diffondersi. E' qualcosa di abbastanza interessante. Egli ha detto: voi occidentali siete ricchi ma potete perdere molto in fretta le vostra ricchezza. Se l'incendio comincia qui, si estenderà in tutto il pianeta. Ha detto ciò, testualmente. Era un discorso apocalittico, come quello di qualcuno che vede arrivare un dramma e non è creduto dall'occidente.
È vero che l'occidente è completamente inerte da un certo numero di anni, le trasformazioni ed i movimenti sociali sono rallentati, la capacità di innovazione sembra gelata e si può dire che la storia, in Europa, torni dall'est e torna un po' costretta e forzata e ciò può dare sicuramente dei risultati disastrosi.
L'altra scuola di pensiero dice: abbiamo visto quali risultati dia una politica avventata già nel caso dell'America Latina. Dei paesi che non sono passati ad uno stadio di produzione moderna non possono essere aiutati e, di conseguenza, è necessario che quei paesi riescano a modernizzarsi da soli, poi faremo investimenti.
Questo è un dibattito che attraversa tutti i gruppi dirigenti, tutti i governi occidentali . La posizione statunitense è quella più lontana da quella tedesca e punta sull'attesa o, in ogni caso, puntava sull'attesa sino all'autunno del 1989. Oggi, e la cosa è interessante, gli USA hanno cambiato completamente discorso dopo la liberalizzazione nell'Europa centrale. Si sono detti che Gorbaciov è la soluzione meno cattiva e che, se perderà il potere, non è prevedibile cosa avverrà. In sostanza gli USA stanno assumendo una posizione non dissimile da quella tradizionale della Germania.

Cosimo - Col termine "aiutare" ti riferisci alla concessione di prestiti senza troppe garanzie?

Guy - Vuol dire anche annullare i debiti esistenti come quelli della Polonia e della Repubblica Democratica Tedesca. Perché si possa ripartire su delle basi sane, bisogna annullare i debiti. E' per questo che gli occidentali esitano molto, è come investire a fondo perduto.

Cosimo - Non sono possibili degli investimenti occidentali non nel sistema industriale ma in proprietà fondiarie, catene di alberghi, di ristoranti, di negozi? Iniziative del genere, con tutti i loro limiti, attrarrebbero importanti capitali nei paesi post-comunisti. Per quel che riguarda l'Unione Sovietica, sappiamo che loro vorrebbero degli investimenti nel settore industriale per poter vendere in occidente e che gli occidentali, al contrario, vogliono entrare sul mercato russo. Tuttavia degli investimenti come quelli che ipotizzavo prima e che, in misura ridotta, già ci sono potrebbero essere interessanti per i capitalisti occidentali e, contemporaneamente, per i gruppi dominanti dell'est.

Guy - Io credo che cerchino, con molto impegno, dai due lati, di trovare ciò che potrebbe essere utile ad entrambi ma il problema è sia geopolitico che sociale. Gli stati dell'est hanno cercato di vendere parte del patrimonio nazionale all'estero, C'è, però, un imperialismo da accettare, c'è il problema dell'accordo della popolazione su tutto ciò. C'è da vedere se la gente è disposta a lavorare molto restando nella miseria ancora per molti anni. Entrano in gioco dei fattori che vanno completamente oltre il calcolo economico, sono delle questioni sociali e politiche. Al momento attuale, la sola prospettiva che hanno di fronte i lavoratori dell'est è quella di cumulare i difetti dell'est con quelli dell'ovest. Lavorare molto, subire un'alienazione molto forte e, per di più, avere un livello dei consumi mediocre a causa delle strutture produttive e sociali. Questo è un problema comune anche per i gruppi dirigenti dell'est e dell'ovest ma non è più un problema economico.

Cosimo - Non è possibile immaginare un processo di cambiamento a diverse velocità per i diversi settori della società? Non potrebbero convivere industrie che lavorano per l'esportazione, a più elevati ritmi di lavoro e salari e industrie protette dallo stato che lavorano su mercati locali? In fondo, un modello del genere funziona già in occidente. Penso, per fare solo un esempio, al fatto che l'industria russa degli armamenti è di buona qualità.

Guy - Qui entra in ballo il problema nazionale grande russo. Nell'industria militare sovietica, c'era una sorta di immaginario sociale comune che rafforzava una situazione già privilegiata di operai, tecnici ecc...Non si tratta solo di problemi di salari. Le persone avevano l'impressione di sapere a quale fine lavoravano. È una cosa importante e che oggi non può essere riproposta negli stessi termini.
Possiamo immaginare cosa farebbe l'occidente se fosse intelligente , razionale e ne avesse i mezzi. Dovrebbe effettivamente investire nei settori strategici, attendere i profitti, non essere impaziente e sperare che ciò possa servire per mettere in moto la situazione. In effetti, ci si trova di fronte al classico problema dello sviluppo nei paesi che sono industrialmente in ritardo. L'occidente non è mai riuscito a determinare uno sviluppo nel terzo mondo. I paesi dell'est non sono il terzo mondo, ma l'occidente saprà agire in modo nuovo? Saprà evitare di cercare di sfruttare le risorse dell'est alla massima velocità?

Cosimo - Si può fare un paragone con il terzo mondo ma solo sino ad un certo punto. C'è all'est un livello di formazione della forza lavoro, dei servizi sociali, di sviluppo della stessa industria che, con tutti i limiti che ben conosciamo, non è totalmente degradato. Non è possibile un intervento del capitale occidentale meno traumatico di quello che si verifica nel terzo mondo?

Guy - Io non credo. Per il momento ritengo che gli avvenimenti non evolvano in tal senso. Non c'è nessuna impossibilità, in linea di principio, che ciò avvenga, ma credo che, per il momento, non si vada in questa direzione.

Cosimo - Tu usavi prima il concetto di società quando parlavi della burocrazia anzi lo opponevi proprio a quello di burocrazia. L'uso di un concetto del genere pone dei problemi teorici generali e nello stesso tempo dei problemi di analisi storica e di lettura empirica della situazione. Quando si usa il concetto di società, in genere, lo si lega alla divisione sociale del lavoro, al fatto che forme comunitarie di vita e di produzione siano state, per l'essenziale, dissolte e riorganizzate intorno alla divisione sociale del lavoro di tipo capitalistico. Dunque, in qualche modo, si può dire che la nozione di società non è separata dall'attività produttiva, è ad essa legata strettamente. Quando si dice che la società si oppone alla burocrazia, sarebbe interessante vedere su che basi si fondi questa opposizione e cosa definiamo come società. In occidente è evidente la differenza fra ceto politico, apparato amministrativo dello stato e società nel suo complesso. La società, in buona sostanza, è la società civile borghese. Nel caso russo i rapporti fra stato e cittadini sono diversi e, dunque, lo stesso concetto di società va ridefinito.

Guy - La tua domanda rimanda alla questione della natura sociale della burocrazia. Perché un potere burocratico come quello che conosciamo è nato in Russia, si è strutturato in uno specifico regime, è giunto a forme totalitarie?
C'è anche la questione del perché gli stessi regimi occidentali sono burocratizzati se li compariamo, per esempio, al XIX secolo. È, ovviamente, un'altra forma di burocratizzazione.
Io credo che non si possa ridurre la società alla semplice divisione del lavoro. In ciò, non condivido le idee di Marx, le idee nate nel XIX secolo, quando si è scoperta l'importanza della produzione. Evidentemente la produzione è enormemente importante non foss'altro perché se un gruppo umano non può mangiare e sopravvivere non c'è società.
Ma è avvenuto che si è ridotta tutta la dimensione dei rapporti sociali alla produzione, considerandola la chiave per comprendere il divenire umano. Io credo che il fenomeno della burocrazia rimetta in discussione questa concezione ed è per questo che ha tanto sorpreso il movimento operaio.
Un'altra maniera di porre le cose consiste nel dire che una società capitalistica pura è impossibile. Una società che riducesse effettivamente i lavoratori a capitale variabile si autodistruggerebbe. Pertanto, è necessario che dei meccanismi collettivi intervengano per correggere il capitalismo, per correggerne gli effetti più autodistruttivi.
Ciò non era troppo visibile nel XIX secolo dato che la produzione capitalistica non dominava tutta la società. A partire dal momento in cui è dominante, si pone un problema di coesione della società stessa e bisogna risolverlo in qualche maniera. Questo problema è stato risolto, bene o male, in maniera diversa a seconda dei diversi contesti. In un certo senso lo stesso nazionalsocialismo è stato una risposta a quest'esigenza, una risposta evidentemente catastrofica ma sempre una risposta.
La burocrazia sovietica, a mio parere, è un'altra risposta. Si potrebbe dire, meglio, che la burocrazia è un fenomeno generale che ha preso varie forme. Il fatto è che sono apparsi nella società dei settori che si occupano di organizzarla, unificarla, limitare gli aspetti più distruttivi del modo di produzione capitalistico.
Pervengono più o meno bene a questo obiettivo, basti pensare all'inquinamento come prova dell'impotenza della burocrazia, ma alla fine c'è un certo numero di problemi che sono stati attenuati. In occidente si può dire che le politiche keynesiane non hanno veramente risolto una serie di contraddizioni ma, almeno, le hanno rese abbastanza manovrabili perché la società possa mantenersi coesa.
Io credo che all'Est la burocrazia, a causa di precise circostanze storiche, a causa della prima guerra mondiale, dello sprofondamento della società agraria zarista e della contemporanea presenza di un settore urbano/industriale molto sviluppato e di un proletariato molto politicizzato ed anche di un partito come quello bolscevico, ha tentato di dare una coesione molto particolare, molto volontarista alla società.
È su questo terreno che il marxismo ha giocato un ruolo, anche se non era un ruolo del tutto previsto. Il marxismo è servito come coscienza ad un tentativo di rimodellare i rapporti sociali nell'idea che questo rimodellamento fosse possibile, facile, desiderabile, inevitabile e che importassero poco i mezzi, che importasse poco chi era l'organizzatore di questo rimodellamento. Io penso che questa sia una parziale risposta a ciò che tu dici. I gruppi umani organizzati in stati/nazioni, e mi rendo conto che il concetto di stato/nazione pone dei problemi per quel che riguarda l'Unione Sovietica, non sono riducibili alla maniera in cui producono e si riproducono.
Dunque, la burocrazia, è un fenomeno storico che non è affatto interamente fondato sulla produzione ma che trova nella produzione stessa un punto di appoggio estremamente forte a causa della moderna divisione del lavoro. C'è l'organizzazione tecnica della produzione e del lavoro, c'è la coesione dei gruppi umani nel settore industriale ma non solo per quel che riguarda l'attività produttiva, c'è tutto il problema della riproduzione della società in queste condizioni che esige anch'esso una sorta di forza cosciente della società o di una parte della società. C'è stato il fattore decisivo per questo secolo e cioè la sconfitta del movimento operaio nei primi anni del '900. Cosa voleva il movimento operaio? Voleva riorganizzare coscientemente i rapporti sociali sulla base della produzione, in uno spirito di razionalizzazione dei rapporti umani e di abolizione e superamento dello sfruttamento e del dominio. Il movimento operaio è stato vinto, in circostanze impreviste, e ancora oggi viviamo le conseguenze di quella disfatta.
Tornando alla situazione in Unione Sovietica, si può dire che la burocrazia si comporta, si vede, si pensa, si vuole come il settore organizzato ed organizzatore della società ma non vi riesce che a condizione di polverizzare regolarmente i rapporti sociali. Il fenomeno del totalitarismo, da questo punto di vista, è illuminante. La burocrazia sovietica, insomma, non è un semplice prodotto della struttura produttiva che domina ma esiste al di fuori del processo produttivo e provoca una serie di rovesciamenti e sommovimenti della società, polverizza i corpi sociali che hanno una coerenza loro propria e crea le basi per un certo tipo di sviluppo industriale che va, poi, a favorire ancora di più il suo radicamento sociale. La burocrazia, la cosa per certi versi può sembrare strana, è una classe che si crea da sola in quanto classe.
C'è tutto un processo di continua evoluzione mentre la burocrazia stessa è, in realtà, una classe sempre refrattaria all'evoluzione. Si determina, così, una sorta di enigma storico. Tutti i regimi burocratici nella storia sono stati dei regimi piuttosto inerti mentre la burocrazia moderna, quella di questo secolo, deve esistere in un sistema in continuo mutamento. Questa è, senza dubbio, una delle ragioni dell'enigma della storia di questo secolo come verifichiamo col fenomeno del totalitarismo. Questo stesso fenomeno si è esaurito. Nel giro di due generazioni ha cominciato ad entrare in crisi. Una crisi molto lenta che si può far risalire, in Unione Sovietica, alla morte di Stalin.
Il totalitarismo comincia ad entrare in crisi lentamente e, poi, in maniera sempre più grave, per una ragione molto semplice: la burocrazia cessa, pian piano, di polverizzare la società. Essa cessa di credere che sta creando un mondo nuovo, cessa di credere che è possibile fare quello che si vuole. Insomma, diventa lassista. Ciò non avviene per caso, c'è in questo processo un preciso interesse, perché essa stessa ha dovuto constatare che quando la società veniva polverizzata, si rendeva necessario, ogni tanto, polverizzare interi settori della stessa burocrazia. C'è sempre da considerare che la burocrazia pretende di non esistere come classe separata e questo le crea dei problemi che la borghesia non ha.
Un processo come quello appena descritto ha una certa logica, sul lungo periodo, nell'arco, al minimo, dei venti/trent'anni. Si può dire che, a partire dal momento in cui la burocrazia ha cessato di distruggere le strutture della società, la società stessa ha cominciato a tessere dei nuovi sistemi di relazioni, con delle coerenze sotterranee, dei sentimenti collettivi che sfuggono alla manipolazione burocratica e passano per dei canali informali.
Questo fenomeno si manifesta anche, per certi versi, con il risorgere del nazionalismo. Il nazionalismo può essere visto come il ritorno di uno spirito collettivo comune, che rompe con il passato, che si oppone alla barbarie burocratica. Il nazionalismo è, evidentemente, un fenomeno molto forte in tutti i paesi non russi dell'Unione Sovietica. Il nazionalismo ha tutta una sua dimensione sociale nel senso delle classi sociali ma anche nel senso di una collettività con un senso di distanza, separatezza rispetto al regime.
Un altro aspetto da considerare sono i canali informali che si sviluppano nelle varie società, compresa quella russa, e che sono strumenti di opposizione, da un punto di vista di classe, ai padroni della società. Ciò che è sicuro oggi è che il movimento operaio è molto più sviluppato nei paesi dell'est che non in occidente. Abbiamo visto Solidarnosc in Polonia, in Russia stiamo probabilmente per vedere la nascita di grandi organizzazioni operaie in seguito agli scioperi dei minatori dell'anno scorso. Là c'è la percezione che ci siano i "loro" ed i "noi", sempre la vecchia storia che, in quei paesi, è molto chiara perché mancano diversioni ideologiche oggi che il carapace ideologico del regime è in decomposizione e non esiste più.
Dunque c'è tutta una rianimazione del tessuto sociale e non è un caso che i gruppi di opposizione che si sono creati nel clima della perestrojka hanno teso a definirsi con un aggettivo molto semplice e cioè come gruppi informali. La difesa di un monumento storico, di un parco, di un lago o il rifiuto delle centrali nucleari, la stessa difesa degli interessi dei lavoratori o delle varie culture nazionali hanno determinato la nascita di una serie di gruppi con l'"informalità" come carattere comune.
Certo appaiono degli interessi di classe nel senso più immediato del termine. Le cooperative, ad esempio non si definiscono come gruppi informali e non credo sia un caso. Sono, infatti, percepite come attività di profittatori e certo non come un mezzo per risolvere seriamente le attuali difficoltà negli approvvigionamenti e nei servizi.
E' certo che le tre sorgenti molto generali dello scontento che giocano tutte contro il regime (questione nazionale, sociale ed ambientale) hanno la stessa origine. Per esempio, in Armenia, le prime rivendicazioni sono partite sul terreno ecologico e, poi, si sono spostate su quello nazionale e prendono una grande dimensione. Fenomeni simili si danno in molte altre situazioni, in Lituania e negli altri paesi baltici, in Ucraina, ecc.
La ragione di ciò, evidentemente, è che una burocrazia che dominava tutto e pretendeva di fare tutto, si trova di fronte alle conseguenze della propria stessa ideologia. Pretendeva di fare tutto, dunque è responsabile di tutto. Se piove, è responsabile della pioggia. Ciò è caricaturale ma io credo che sia la logica del regime stesso che porta ad una situazione in cui la burocrazia finisce per essere accusata di tutto.
La burocrazia, ha pertanto, un problema colossale. Essa pretendeva di non esistere come corpo separato ma nei fatti, non esisteva apertamente solo perché non c'erano altri corpi sociali organizzati nella società. A partire dal momento che questi corpi sociali appaiono, non solo è messa sotto accusa nell'assieme ma, per di più, perde la sua coesione interna, si divide, diviene incapace di reagire in maniera coerente. Dunque, più la società si rende attiva più la burocrazia perde le sue forze.

Cosimo - Non c'è, secondo te, la possibilità di un'articolazione in diversi settori della burocrazia e di un confronto fra questi stessi settori?

Guy - Si potrebbe rispondere a questa domanda ricordando che il regime burocratico è caratterizzato da fenomeni di clientelismo. Lo verifichiamo, in qualche modo, nei movimenti nazionali. Ad esempio, la burocrazia nazionale armena, si batte contro il potere centrale moscovita ed è in rapporto col movimento nazionale. Vi è, ovviamente, il vertice delle burocrazie locali che è sovietizzato e che ha perso ogni legittimità ma, per tornare al caso armeno, si deve tener conto del fatto che sembra che (nella prima fase del movimento nazionale) gli scioperi fossero organizzati dall'apparato intermedio di fabbrica. Sulle questioni ecologiche è più difficile che si diano fenomeni del genere. Non credo che si producano manipolazioni di settori della burocrazia nei movimenti. I movimenti ecologisti sono tanto vari e differenti fra di loro che hanno un problema di unificazione.
Restano le questioni sociali, in particolare dove non è in gioco la questione nazionale come nella repubblica russa . La grande maggioranza della classe operaia è russa, questo non bisogna dimenticarlo. Questo è vero anche nei paesi baltici in cui gran parte degli operai è russa o russofona come gli ucraini o i bielorussi.
Sulla questione sociale si aprono delle possibilità imprevedibili. Può accadere che una parte della burocrazia riesca a recuperare il movimento e la protesta operaia. E la principale questione non risolta e, a mio parere, è su questa questione che si deciderà lo sbocco degli avvenimenti attuali. Se ci sarà un recupero, potremo assistere in un domani, alla nascita di un imperialismo grande-russo estremamente pericoloso. Al contrario, se questo recupero fallisce, assisteremo a delle sollevazioni popolari.

Cosimo - In questa situazione che ruolo, secondo te, gioca l'esercito?

Guy - Tutto lo strato alto, quello che conta, dell'esercito è russo. L'esercito è decisamente contestato in tutte le repubbliche non russe al punto che in Armenia, in Georgia, in Lituania, nelle altre repubbliche non russe e persino in Ucraina c'è un rifiuto di massa del servizio militare. L'esercito non osa punire i coscritti che non si presentano quando sono richiamati, un fatto stupefacente. D'altro canto la coesione dell'esercito, degli ufficiali, delle truppe speciali, dipende dall'elemento russo e gli ufficiali russi sono molto nazionalisti.
La questione è che l'esercito è diventato il perno del regime a partire dalla fine degli anni '70. Non c'era che l'esercito che funzionasse bene. Quest'esercito deve aver considerato con favore le riforme di Gorbaciov, almeno all'inizio, non tanto per i metodi quanto per i fini, per la volontà di rigenerare la potenza dell'Unione Sovietica. Ma, a mio avviso, l'esercito sta per trovarsi di fronte a dei problemi interni colossali dato che subisce i contraccolpi della divisione della burocrazia.
L'esercito è il corpo burocratico per eccellenza. Tutti gli eserciti nella storia sono sempre stati la prima burocrazia. Oggi il problema è se nell'esercito vi sarà una sorta di contraccolpo autoritario o se si andrà verso una sorta di deliquescenza, almeno temporanea, dello stesso esercito.

Cosimo - Esiste in Unione Sovietica o all'interno della burocrazia o su altre basi uno strato di speculatori, di individui che hanno risorse e potere tali da permettere loro di diventare una sorta di media borghesia indipendente? C'è chi sostiene che, in fondo, il sistema sovietico ha sempre funzionato grazie all'esistenza di questo strato di mediatori, di uomini d'affari clandestini o semiclandestini. Su questa base non potrebbe sorgere una sorta di borghesia magari sotto la protezione dello stato?

Guy - È una vecchia ipotesi che nella società russo/sovietica potesse rinascere una borghesia capace di riprendere il potere e di determinare una restaurazione capitalistica. Ne parlava, ad esempio Trotzki cinquant'anni addietro. Io non ci credo troppo. I problemi sociali sarebbero enormi, già le attuali cooperative hanno provocato delle resistenze molto importanti. Una cosa che non viene affatto detta in occidente è che una delle rivendicazioni del movimento dei minatori dell'anno scorso era la chiusura delle cooperative. È un dato interessante anche perché va contro il tono trionfale della propaganda occidentale e la sua pretesa di una vittoria del capitalismo contro il comunismo e, a mio parere, chi vince non è affatto un capitalismo "neoclassico" come viene presentato nei discorsi degli anni '80.
Io direi che lo scontro è, piuttosto, fra una burocrazia articolata all' occidentale e una burocrazia totalitaria che ha visto il suo fallimento all'est. La vera domanda è se questa burocrazia che era sino ad oggi monolitica, sarà capace di riarticolarsi e di conservare il potere in nuove forze.
Non credo che dei settori di commercianti, di neokulacki, ecc. siano capaci di avere una potenza sociale sufficiente per vincere. Una loro vittoria sarebbe simile alla rivoluzione antifeudale, alla formazione di una borghesia che, trascinando con sé le plebi urbane, abbatte una feudalità.
Ci sono, evidentemente, dei tratti comuni fra burocrazia e ceti feudali ma io non credo che questo paragone possa essere spinto troppo oltre. Un'ipotesi più interessante sta nel riconoscere che in occidente opera una pianificazione con molteplici centri. Lo stato delega una quota di pianificazione alle imprese che devono prevedere, sul medio termine, i propri investimenti, orientamenti, approvvigionamenti, mutamenti, ecc. E, dunque, all'est il problema è quello di creare uno strato di dirigenti moderni a cui si possa delegare la pianificazione o, almeno, parte della pianificazione.
Per il momento, io ho dei dubbi anche sulle possibilità di una simile evoluzione. Non è, a mio parere, una questione di modelli astratti di società ma di come andranno i fatti. Al momento sembra che i burocrati di tipo sovietico siano incapaci di passare a questo stadio anche se ne sentono il bisogno.
C'è un esempio che vale la pena di citare da questo punto di vista ed è quello della Cina. I capitalisti cinesi non sono diventati degli imprenditori, malgrado dieci anni di riforme. Sono diventati una feudalità finanziaria ed industriale ma non degli imprenditori.
Nella situazione attuale è difficile valutare come le cose possano evolvere e quale settore della popolazione potrebbe prendere la direzione degli avvenimenti. Io non credo che si possa sviluppare una media borghesia di piccoli imprenditori con un reale potere sociale. Essa è talmente poco legittimata fra la popolazione, almeno fra quella russa, che non può mobilitare le masse all'assalto del regime.
Perché vi sia una burocrazia d'impresa capace di autoriformarsi sul modello occidentale, ciò che è decisivo è la riforma economica. Se esistesse una tendenza importante verso l'autorigenerazione della burocrazia,la riforma economica dovrebbe essere molto avanzata. Ciò che, al contrario, vediamo è che le riforme sono continuamente bloccate. Viene annunciato ogni sei mesi un nuovo piano "straordinario" che, dopo due settimane, si sgonfia.
Si potrebbe dire che o il regime arriva a trovare una certa coerenza a partire dai suoi settori centrali, e non si vede come sarebbe possibile senza repressione ed un'eventuale fuga in avanti nel confronto di forze a livello internazionale con esiti imprevedibili, o, al contrario, vi sarà una continuazione dell'attuale decomposizione con l'irruzione di movimenti sociali sempre più aperti.
Dire che vi saranno degli importanti movimenti sociali non vuol certo dire che si prepara una rivoluzione anche perché c'è un altro problema che è un po' l'aspetto oscuro della situazione, ed è reso ancora più oscuro dalla propaganda occidentale, e consiste nel fatto che i movimenti sociali non hanno un obiettivo preciso, non sanno darsi un progetto. Sanno molto bene cosa non vogliono, e in primo luogo, non vogliono il regime attuale. Ma quando si tratta di pensare cosa fare c'è una confusione gigantesca.
Ci sono, per esempio, delle correnti che si dicono anarchiche e che vorrebbero un mercato senza stato, una cosa che non si è mai vista. È solo un esempio, fra tanti, del grado di confusione attuale. Questa confusione è, credo, l'unica cosa che può salvare il regime. La gente nella repubblica russa non sa cosa fare. Ovviamente, nei paesi allogeni la gente sa cosa vuole e cioè lo stato/nazione. Per quel che riguarda l'Ucraina la situazione è più complessa dato che è più integrata nella struttura russo/sovietica ed altrettanto, se non di più, si può dire della Bielorussa. Altrove c'è una tradizione che porta alla richiesta dello stato nazionale. Ciò ricorda la decolonizzazione degli scorsi decenni con tutte le ambiguità che conosciamo. Comunque, per il solo fatto che la gente ha l'impressione di sapere che fare, i movimenti non sono più semplicemente un moltiplicarsi di gruppi e di agitazioni.
Di fronte a queste diverse pressioni di fondo, il regime è sempre più simile ad una facciata che sprofonda.