Rivista Anarchica Online
Sulla burocrazia
di Cosimo Scarinzi
Guy Fargette, il
compagno a cui ho fatto l'intervista seguente, anima la rivista "Les
mauvais jours finiront..." (c/o Librairie L'Herbe Rouge, l bis,
Rue d'Alesis, 75104 Parigi) che, negli ultimi numeri ha pubblicato
una serie di testi assai interessanti sull'Unione Sovietica (alcuni
di questi testi, uno sulla situazione generale sino alla primavera
del 1990 ed uno sullo sciopero dei minatori, sono stati pubblicati
sul quaderno "Bagliori dall'est" a cura del Centro Studi
"Piero Ferrero" di Torino). Non è uno
specialista, un sovietologo di professione, ma ha un interesse
militante per la situazione dell'est. Quest'attenzione è, in
Francia, meno singolare di quanto lo sarebbe in Italia. I legami fra
la Francia e i paesi slavi, in particolare la Polonia, sono
importanti, e datano almeno al secolo scorso per quel che riguarda i
movimenti di opposizione politica e sociale. E', quindi, presente
l'idea che i cambiamenti all'est possono anticipare ed influenzare
modificazioni nella stessa situazione nazionale. Grazie alla
conoscenza del russo, ha potuto seguire regolarmente la stampa
ufficiale sovietica che, soprattutto negli ultimi anni, ha
caratteristiche di discreta apertura e, nello stesso tempo, quella
dell'emigrazione in Francia e, parzialmente, quella dell'opposizione
russa in patria. Questo lavoro,
oltre al confronto con i compagni, lo ha portato a mettere in
discussione l'attitudine dominante in molti ambienti della sinistra
antiburocratica che consiste nel cercare nei fatti sovietici, e non
solo in quelli, la semplice conferma di precedenti certezze.
L'intervista è stata fatta nel giugno di quest'anno e
corretta per quel che riguarda alcuni dettagli ad ottobre dallo
stesso Guy. Si tratta, come è evidente, di una riflessione
generale sulla situazione russa, sulla natura della burocrazia
sovietica e dei movimenti di opposizione più che di una
cronaca degli eventi che si sono svolti nell'ultimo periodo. Vorrei, ora,
segnalare alcuni dei caratteri della ricerca di questo compagno che
sono parsi interessanti a me e ad altri compagni e che ci ha spinto,
fra l'altro, a organizzare a Torino una discussione pubblica con la
presenza dello stesso autore. La prima considerazione che emerge
dalla lettura è, a mio parere, che c'è uno sforzo
serio di ragionare in grande, cioè di ragionare sulla
storia, sui cambiamenti generali a cui assistiamo e che ci
coinvolgono. Ora, la possibilità e l'esigenza di pensare il
cambiamento storico è favorita dal fatto che la crisi
dell'Unione Sovietica, la fine degli equilibri mondiali dentro cui
la nostra generazione è vissuta determinano una situazione e
un'accelerazione dei processi storici per cui non funziona più
la paradossale logica che faceva sì che la critica
dell'ordine esistente potesse riconoscere come proprio limite
l'immodificabilità dell'ordine internazionale. La vecchia Europa
non è al riparo da cambiamenti traumatici che noi possiamo
giudicare positivi o negativi ma che non potremo, con ogni
probabilità, evitare. La crisi dell'Est, dunque, può
essere la base di una crisi dell'Ovest così come l'abbiamo
conosciuto finora. La crisi dell'Unione Sovietica, poi, rende
necessario ragionare meglio sugli strumenti teorici utilizzati per
comprendere e criticare il blocco "socialista". Proprio il
carattere rapido e, complessivamente, non violento del cambiamento
in atto era, a mio parere, difficilmente prevedibile. La riflessione
del compagno sui caratteri e sui limiti del potere burocratico, sul
suo interno modificarsi, sui suoi rapporti con la società è,
da questo punto di vista assai utile. E', poi, importante lo sforzo
di porre in rapporto questione ambientale, questione nazionale e
questione sociale nelle diverse aree dell'impero sovietico e nel
loro intrecciarsi nel tempo. In particolare, per
quel che riguarda la questione ambientale, Guy Fargette è
spinto a un'attenzione particolare dal suo impegno contro il potere
nucleare che caratterizza la Francia. La questione più
delicata, come sempre, è quella delle prospettive dei
movimenti di opposizione. Nelle repubbliche allogene sembra
inevitabile la tendenza alla formazione di stati nazionali non
necessariamente preferibili a quello sovietico. In Russia, Ucraina,
Bielorussia si sta sviluppando un nuovo ed importante movimento
operaio che si rifà, in parte, all'esperienza della prima
Solidarnosc e che, comunque, sta sperimentando delle vie di azione
nella crisi della società. Cosa possa nascere
da quest'assieme di pressioni è difficile ad ipotizzarsi
anche perché saranno necessari anni perché ciò
che va succedendo giunga ad un nuovo equilibrio. È, comunque,
importante avere il massimo di informazioni e di riflessioni in
merito e, soprattutto, quanto più è possibile dei
materiali non filtrati dai poteri occidentali ed orientali. A questo
fine, ritengo che l'intervista come molti altri materiati sia
decisamente utile e possa costituire la base di un più
approfondito confronto.
Cosimo -
Penso che sarebbe interessante parlare di quelle che, secondo te,
sono le cause profonde del cambiamento a cui stiamo assistendo in
Russia e nei paesi dell'Europa dell'est. Mi riferisco alle cause
politiche, sociali, economiche.
Guy -
Evidentemente si deve tenere conto della complessità della
situazione che si va sviluppando. Io ritengo che una delle cause
fondamentali di ciò che sta avvenendo sia la questione dello
scontro per il primato in quanto potenza. Intendo dire che il regime
sovietico, a un certo punto, ha compreso che stava per perdere la
corsa per il ruolo di potenza mondiale di prima grandezza mentre era
sembrato che fosse in grado di vincerla nel corso degli anni '70.
Questa è la principale ragione di ciò che sta
avvenendo ed è ciò che ha determinato che la classe
dominante in Unione Sovietica abbia completamente cambiato
attitudine rispetto al passato. Essa ha compreso che era necessario
domandare la cooperazione della popolazione ma ciò che non ha
compreso è il fatto che, a partire dal momento in cui avesse
rilassato la durezza del regime, si sarebbero prodotti numerosi
sviluppi della situazione fuori dal suo controllo. Da buona
burocrazia, essa ha completamente sottovalutato le reazioni del
corpo sociale.
Cosimo -
Puoi sviluppare l'ipotesi secondo cui è la lotta per il
primato con le potenze occidentali la causa scatenante di ciò
che sta avvenendo? In secondo luogo: cosa impedisce alla burocrazia
di conoscere la società che domina?
Guy -La
questione della rivalità fra le potenze è sin troppo
nota. Conosciamo la storia della corsa agli armamenti così
come conosciamo i conflitti indiretti che opponevano Stati Uniti ed
Unione Sovietica. Un aspetto di questa vicenda, di cui si parla fra
gli oppositori in Unione Sovietica, che può essere poco
significativo ma comunque interessante, è che uno dei fattori
scatenanti della situazione attuale è stato il momento in cui
i dirigenti sovietici hanno capito che il Giappone cominciava ad
avere una potenza economica comparabile a quella dell'Unione
Sovietica in termini di prodotto nazionale lordo, di calcolo
economico astratto. Ciò voleva dire che la Russia, in un
certo lasso di tempo, sarebbe andata verso una marginalizzazione
dato che, sommando gli Stati Uniti, Giappone ed Europa occidentale,
l'Unione Sovietica, al confronto, appariva piuttosto debole malgrado
la posizione geopolitica favorevole. Questo è l'aspetto
internazionale del problema del primato in quanto potenza. C'era,
evidentemente, l'aspetto interno, cioè il fatto che la
ricerca della potenza esterna compensava le tensioni interne ed era
una maniera di deviare le contraddizioni e di conviverci mentre si
aggravavano. Quest'aspetto del problema è legato alla seconda
domanda e cioè a come la burocrazia abbia potuto
sottovalutare l'azione della società. Io penso che una
burocrazia tragga la sua forza dal fatto che la società è
impotente. Di conseguenza la burocrazia è costretta ad
accecarsi da sola su ciò che è la società. Ciò
significa pensare che la società non esiste spontaneamente,
che ha bisogno di essere organizzata, che il soggetto
dell'organizzazione è la burocrazia stessa. Un approccio del
genere alla valutazione della società ha delle implicazioni
molto complicate dato che la burocrazia non si pensa come classe
separata e pretende di non esistere. Si pensa come fosse il settore
organizzato ed organizzatore della società. Di conseguenza, quando
la burocrazia cambia di orientamento, essa è convinta, senza
nemmeno sentire il bisogno di riflettere in merito, che il resto
della società la seguirà. Dunque essa è stata
presa di sorpresa dai movimenti nazionali e, ancora più, da
quelli sociali che hanno rilevato che la società, per quanto
fosse stata disorganizzata sotto il totalitarismo, era riuscita a
mantenere, malgrado tutto, qualcosa di solido e che, a partire da
questo punto d'appoggio, era sulla via di ricostruire una sua
autonomia nei confronti dello stato.
Cosimo -
Sarebbe interessante riflettere sul modello d'azione che utilizza la
burocrazia sovietica sul piano internazionale.
Guy - Si può
dire che essa abbia fatto un ragionamento abbastanza semplice. La
burocrazia sovietica, rendendosi conto di essere sulla via di
perdere nel confronto internazionale, ha avuto una sorta di reazione
elementare: bisogna dividere gli avversari troppo potenti, si deve
giocare sulle loro contraddizioni. E' una vecchia teoria che si può
far risalire allo stesso Lenin, quando voleva giocare sulle
contraddizioni fra l'imperialismo inglese e quello americano. I
bolscevichi erano arrivati anche a credere che un giorno ci sarebbe
stata una guerra fra l'imperialismo inglese e quello americano. E'
una vecchia storia. L'idea dell'attuale
burocrazia sovietica era quella di rafforzare la divisione fra
Europa occidentale e Stati Uniti. Il governo dell'Unione Sovietica
ha pensato che sarebbe bastato mostrarsi amabile con l'Europa per
accrescere i disaccordi che ci sono, che sono reali, fra Europa e
Stati Uniti. Si può rilevare in tutta la discussione sul
disarmo quest'orientamento di base. D'altro canto c'è un
altro fattore che gioca e che è abbastanza stupefacente e che
va contro ciò che afferma la propaganda occidentale. Si deve considerare
che gli Stati Uniti non sono affatto quei tranquilli vincitori di
cui si parla e che anch'essi hanno bisogno di un accordo con
l'unione Sovietica dato che anch'essi sono sfiancati dallo sforzo
militare. Sono, questo è evidente, meno sfiancati di quanto
lo sia l'Unione Sovietica ma, quando si vede che tutto il deficit
del bilancio USA è equivalente alle spese militari e si
conosce lo stato delle infrastrutture, delle città, dei
servizi sociali negli USA, ci si rende conto che anche gli Stati
Uniti non possono più reggere una lotta per il primato come
prima e che, dunque, hanno anch'essi bisogno, sino ad un certo
punto, di un accordo con l'Unione Sovietica. Questa è una
logica che interferisce con quella precedentemente descritta e su
questo punto l'Unione Sovietica è abbastanza forte per fare
delle concessioni. Quindi, a mio parere,
l'Unione Sovietica cerca di favorire la contrapposizione fra Europa
e Stati Uniti e, d'altro canto ha aperto un confronto con gli Stati
Uniti che potrebbe essere così raffigurato: siamo noi i
signori del mondo e non ci conviene lasciare troppo spazio agli
europei. Questa logica di divisione non oppone solo l'Europa agli
USA ma anche gli USA all'Europa.
Cosimo - Se
anche questa politica funzionasse a livello generale, c'è il
fatto che nei paesi dell'Europa centrale il controllo sovietico non
esiste più e che, dunque, la potenza sovietica è stata
radicalmente ridimensionata.
Guy - Ciò
che si deve ricordare è che la perestrojka non ha avuto che
un solo tipo di successo e cioè quello nel campo della
politica internazionale. La perestrojka che ha funzionato nei confronti
dell'occidente, è stata verosimilmente preparata dal KGB.
Tutto era minuziosamente stabilito in funzione dei media occidentali
e c'è stata una vera e propria operazione di seduzione nei
confronti dei politici e dei giornalisti occidentali, operazione che
ha funzionato bene sino all'estate del 1989. Gorbaciov e la sua
equipe si sono presentati come dei riformatori umanisti, capaci di
trasformare in maniera calma e controllata la situazione. Va detto,
poi, che gli occidentali si sono mostrati molto compiacenti nei
confronti di Gorbaciov. Quello che è difficile da valutare è
perché il governo sovietico, a partire dall'autunno del 1989,
abbia abbandonato il controllo sui paesi dell'Europa centrale in un
momento in cui, in questi paesi, la perestrojka era completamente
bloccata. Non si capisce del tutto perché Gorbaciov lasci
sviluppare il movimento, per esempio, in quella che era la Germania
orientale ed in Cecoslovacchia. In Polonia ed in Ungheria aveva già
lasciato fare ma le cose non andavano troppo veloci. Si può
dire che il Cremlino sia intervenuto per bloccare le forze della
repressione a Berlino e a Praga. Questa scelta ha aperto la breccia
in cui si sono precipitate le reazioni del corpo sociale e ha
privato le burocrazie locali di ogni forza e legittimità. Si possono fare delle
ipotesi. Io ho l'impressione che, anche su questo punto, la
burocrazia abbia commesso un errore di calcolo, ritenendo di aprire
ulteriormente all'occidente con la liberalizzazione. Ciò che
la burocrazia non aveva affatto previsto era il fattore nazionale
che è stato tanto impetuoso da portare allo sprofondamento
del regime, ad esempio, in Germania orientale ed in Cecoslovacchia.
Questo non era previsto e, a partire da ciò, hanno cercato di
barcamenarsi tra i fatti come potevano, senza fare delle repressioni
aperte che avrebbero guastato l'attuale immagine dell'Unione
Sovietica in occidente. Hanno evitato la repressione su grande scala
ma non sono riusciti a fare nulla di alternativo. Si può dire
che, a partire dall'autunno del 1989, tutta la politica estera della
perestrojka sia andata in fallimento ed era il solo aspetto della
perestrojka che sembrava ben riuscito.
Cosimo - Mi
sembra, però, che fosse prevedibile che, rilasciando la
pressione su paesi come la Polonia, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e,
a maggior ragione, la Germania orientale, le burocrazie locali
sarebbero crollate. Un esito del genere era ancor più logico
se si considera il peso economico della Germania Federale.
Guy - A cose
fatte, si può dire che è così. Prima era meno
chiaro. Io credo, comunque, che si debba tener conto
dell'autoaccecamento dei burocrati sovietici che hanno i mezzi per
mettere in moto alcune dinamiche ma, poi, non possono più
controllarle e ne sono completamente scavalcati. Ciò che hanno
fatto nell'Europa centrale, nell'autunno del 1989, si inscrive in
una logica che li caratterizzava già in precedenza. Non si
trattava solo di dividere il campo occidentale ma anche di dividere
l'Europa riaprendo la questione tedesca e ci sono effettivamente
molte possibilità che la Germania unita esiti fra l'Europa
dell'est e quella dell'ovest e che cerchi di giocare un ruolo
indipendente. Bisogna considerare che la Germania è il solo
stato occidentale che abbia un'effettiva politica verso l'est, che
abbia investito enormemente all'est. Di conseguenza i sovietici
contavano su questo fatto. Io credo che sia assolutamente così.
C'è stato,
però, il fatto che la dissoluzione del blocco dell'est è
stata talmente rapida che i sovietici non l'hanno controllata.
Questo non vuol dire che non sia riuscito l'obiettivo della
divisione dell'Europa. Nel giro di qualche anno lo verificheremo. C'è, inoltre,
da considerare, per quali motivi i sovietici volevano una
liberalizzazione nei paesi del Patto di Varsavia. Io credo che siano
gli stessi che spiegano la liberalizzazione nei paesi baltici. In sostanza, vogliono
dei paesi che formino una sorta di vetrina, di pompa per i crediti e
le tecnologie occidentali. Essi hanno creduto che l'occidente si
sarebbe precipitato ad investire. A mio parere, hanno molto
esagerato ed ora ci si accorge che l'occidente è molto più
prudente di quanto loro speravano. Ciò deriva, senza dubbio,
dall'esperienza fatta con l'America Latina. L'occidente non presta
più dei capitali in quella maniera. All'inizio degli anni
'70, l'occidente aveva dei capitali eccedenti di cui non sapeva che
fare ed ha offerto dei crediti enormi all'America Latina senza
garanzie, facendo una specie di fuga in avanti. Qual'è il
risultato oggi? Quei paesi non sono riusciti a svilupparsi, si
indebitano sempre di più e le banche non recuperano i loro
capitali. Nei fatti, saranno gli stati occidentali che rimborseranno
le banche ed è probabile, i banchieri occidentali lo dicono
apertamente, che non vogliono ripetere quest'esperienza con i paesi
dell'Est, tanto più che l'esempio polacco è già
molto negativo.
Cosimo - Per
quel che ne so, i paesi dell'Est e la Russia, in particolare, hanno
fama di essere buoni pagatori.
Guy -
L'avevano, La situazione sta cambiando. L'Unione Sovietica comincia
ad avere delle difficoltà ad onorare i suoi debiti ed è
stata costretta a vendere dell'oro sui mercati internazionali per
poter fare fronte a dei pagamenti immediati.
Cosimo- Cosa
si può dire degli investimenti occidentali negli ultimi anni
nei paesi dell'Est ed, in particolare, in Unione Sovietica?
Guy - Al
momento non è gran cosa, si esagera molto. Rispetto ai
bisogni dell'Est non si tratta di capitali rilevanti. L'occidente
non si assume rischi, non si fida. Questo non vuol dire che non
investa. L'occidente cerca di investire, vorrebbe investire ma, al
momento, ha molti dubbi sul futuro. Ci sono, a questo proposito, due
scuole di pensiero in occidente. Ad esempio, molti
banchieri tedeschi dicono che si deve aiutare l'Est in ogni caso
perché altrimenti ci sarà un'esplosione sociale e
politica. E' la stessa cosa che
può dire, per fare un altro esempio, Kuron. Egli, in una
recente intervista, ha spiegato che in Polonia tutto è sul
punto di crollare così come tutto può crollare in
Cecoslovacchia, nei paesi baltici ecc. e l'incendio potrebbe
diffondersi. E' qualcosa di abbastanza interessante. Egli ha detto:
voi occidentali siete ricchi ma potete perdere molto in fretta le
vostra ricchezza. Se l'incendio comincia qui, si estenderà in
tutto il pianeta. Ha detto ciò, testualmente. Era un discorso
apocalittico, come quello di qualcuno che vede arrivare un dramma e
non è creduto dall'occidente. È vero che
l'occidente è completamente inerte da un certo numero di
anni, le trasformazioni ed i movimenti sociali sono rallentati, la
capacità di innovazione sembra gelata e si può dire
che la storia, in Europa, torni dall'est e torna un po' costretta e
forzata e ciò può dare sicuramente dei risultati
disastrosi. L'altra scuola di
pensiero dice: abbiamo visto quali risultati dia una politica
avventata già nel caso dell'America Latina. Dei paesi che non
sono passati ad uno stadio di produzione moderna non possono essere
aiutati e, di conseguenza, è necessario che quei paesi
riescano a modernizzarsi da soli, poi faremo investimenti. Questo è un
dibattito che attraversa tutti i gruppi dirigenti, tutti i governi
occidentali . La posizione statunitense è quella più
lontana da quella tedesca e punta sull'attesa o, in ogni caso,
puntava sull'attesa sino all'autunno del 1989. Oggi, e la cosa è
interessante, gli USA hanno cambiato completamente discorso dopo la
liberalizzazione nell'Europa centrale. Si sono detti che Gorbaciov è
la soluzione meno cattiva e che, se perderà il potere, non è
prevedibile cosa avverrà. In sostanza gli USA stanno
assumendo una posizione non dissimile da quella tradizionale della
Germania.
Cosimo
- Col termine "aiutare" ti riferisci alla concessione di
prestiti senza troppe garanzie?
Guy - Vuol dire
anche annullare i debiti esistenti come quelli della Polonia e della
Repubblica Democratica Tedesca. Perché si possa ripartire su
delle basi sane, bisogna annullare i debiti. E' per questo che gli
occidentali esitano molto, è come investire a fondo perduto.
Cosimo
- Non sono possibili degli investimenti occidentali non nel sistema
industriale ma in proprietà fondiarie, catene di alberghi, di
ristoranti, di negozi? Iniziative del genere, con tutti i loro
limiti, attrarrebbero importanti capitali nei paesi post-comunisti.
Per quel che riguarda l'Unione Sovietica, sappiamo che loro
vorrebbero degli investimenti nel settore industriale per poter
vendere in occidente e che gli occidentali, al contrario, vogliono
entrare sul mercato russo. Tuttavia degli investimenti come quelli
che ipotizzavo prima e che, in misura ridotta, già ci sono
potrebbero essere interessanti per i capitalisti occidentali e,
contemporaneamente, per i gruppi dominanti dell'est.
Guy - Io credo
che cerchino, con molto impegno, dai due lati, di trovare ciò
che potrebbe essere utile ad entrambi ma il problema è sia
geopolitico che sociale. Gli stati dell'est hanno cercato di vendere
parte del patrimonio nazionale all'estero, C'è, però,
un imperialismo da accettare, c'è il problema dell'accordo
della popolazione su tutto ciò. C'è da vedere se la
gente è disposta a lavorare molto restando nella miseria
ancora per molti anni. Entrano in gioco dei fattori che vanno
completamente oltre il calcolo economico, sono delle questioni
sociali e politiche. Al momento attuale, la sola prospettiva che
hanno di fronte i lavoratori dell'est è quella di cumulare i
difetti dell'est con quelli dell'ovest. Lavorare molto, subire
un'alienazione molto forte e, per di più, avere un livello
dei consumi mediocre a causa delle strutture produttive e sociali.
Questo è un problema comune anche per i gruppi dirigenti
dell'est e dell'ovest ma non è più un problema
economico.
Cosimo
- Non è possibile immaginare un processo di cambiamento a
diverse velocità per i diversi settori della società?
Non potrebbero convivere industrie che lavorano per l'esportazione,
a più elevati ritmi di lavoro e salari e industrie protette
dallo stato che lavorano su mercati locali? In fondo, un modello del
genere funziona già in occidente. Penso, per fare solo un
esempio, al fatto che l'industria russa degli armamenti è di
buona qualità.
Guy - Qui entra
in ballo il problema nazionale grande russo. Nell'industria militare
sovietica, c'era una sorta di immaginario sociale comune che
rafforzava una situazione già privilegiata di operai, tecnici
ecc...Non si tratta solo di problemi di salari. Le persone avevano
l'impressione di sapere a quale fine lavoravano. È una cosa
importante e che oggi non può essere riproposta negli stessi
termini. Possiamo immaginare
cosa farebbe l'occidente se fosse intelligente , razionale e ne
avesse i mezzi. Dovrebbe effettivamente investire nei settori
strategici, attendere i profitti, non essere impaziente e sperare
che ciò possa servire per mettere in moto la situazione. In
effetti, ci si trova di fronte al classico problema dello sviluppo
nei paesi che sono industrialmente in ritardo. L'occidente non è
mai riuscito a determinare uno sviluppo nel terzo mondo. I paesi
dell'est non sono il terzo mondo, ma l'occidente saprà agire
in modo nuovo? Saprà evitare di cercare di sfruttare le
risorse dell'est alla massima velocità?
Cosimo - Si
può fare un paragone con il terzo mondo ma solo sino ad un
certo punto. C'è all'est un livello di formazione della forza
lavoro, dei servizi sociali, di sviluppo della stessa industria che,
con tutti i limiti che ben conosciamo, non è totalmente
degradato. Non è possibile un intervento del capitale
occidentale meno traumatico di quello che si verifica nel terzo
mondo?
Guy - Io non
credo. Per il momento ritengo che gli avvenimenti non evolvano in
tal senso. Non c'è nessuna impossibilità, in linea di
principio, che ciò avvenga, ma credo che, per il momento, non
si vada in questa direzione.
Cosimo
- Tu usavi prima il concetto di società quando parlavi della
burocrazia anzi lo opponevi proprio a quello di burocrazia. L'uso di un concetto
del genere pone dei problemi teorici generali e nello stesso tempo
dei problemi di analisi storica e di lettura empirica della
situazione. Quando si usa il concetto di società, in genere,
lo si lega alla divisione sociale del lavoro, al fatto che forme
comunitarie di vita e di produzione siano state, per l'essenziale,
dissolte e riorganizzate intorno alla divisione sociale del lavoro
di tipo capitalistico. Dunque, in qualche modo, si può dire
che la nozione di società non è separata dall'attività
produttiva, è ad essa legata strettamente. Quando si dice che
la società si oppone alla burocrazia, sarebbe interessante
vedere su che basi si fondi questa opposizione e cosa definiamo come
società. In occidente è evidente la differenza fra
ceto politico, apparato amministrativo dello stato e società
nel suo complesso. La società, in buona sostanza, è la
società civile borghese. Nel caso russo i rapporti fra stato
e cittadini sono diversi e, dunque, lo stesso concetto di società
va ridefinito.
Guy - La tua
domanda rimanda alla questione della natura sociale della
burocrazia. Perché un potere burocratico come quello che
conosciamo è nato in Russia, si è strutturato in uno
specifico regime, è giunto a forme totalitarie? C'è anche la
questione del perché gli stessi regimi occidentali sono
burocratizzati se li compariamo, per esempio, al XIX secolo. È,
ovviamente, un'altra forma di burocratizzazione. Io credo che non si
possa ridurre la società alla semplice divisione del lavoro.
In ciò, non condivido le idee di Marx, le idee nate nel XIX
secolo, quando si è scoperta l'importanza della produzione.
Evidentemente la produzione è enormemente importante non
foss'altro perché se un gruppo umano non può mangiare
e sopravvivere non c'è società. Ma è avvenuto
che si è ridotta tutta la dimensione dei rapporti sociali
alla produzione, considerandola la chiave per comprendere il
divenire umano. Io credo che il
fenomeno della burocrazia rimetta in discussione questa concezione
ed è per questo che ha tanto sorpreso il movimento operaio. Un'altra maniera di
porre le cose consiste nel dire che una società capitalistica
pura è impossibile. Una società che riducesse
effettivamente i lavoratori a capitale variabile si
autodistruggerebbe. Pertanto, è necessario che dei meccanismi
collettivi intervengano per correggere il capitalismo, per
correggerne gli effetti più autodistruttivi. Ciò non era
troppo visibile nel XIX secolo dato che la produzione capitalistica
non dominava tutta la società. A partire dal momento in cui è
dominante, si pone un problema di coesione della società
stessa e bisogna risolverlo in qualche maniera. Questo problema è
stato risolto, bene o male, in maniera diversa a seconda dei diversi
contesti. In un certo senso lo stesso nazionalsocialismo è
stato una risposta a quest'esigenza, una risposta evidentemente
catastrofica ma sempre una risposta. La burocrazia
sovietica, a mio parere, è un'altra risposta. Si potrebbe
dire, meglio, che la burocrazia è un fenomeno generale che ha
preso varie forme. Il fatto è che sono apparsi nella società
dei settori che si occupano di organizzarla, unificarla, limitare
gli aspetti più distruttivi del modo di produzione
capitalistico. Pervengono più
o meno bene a questo obiettivo, basti pensare all'inquinamento come
prova dell'impotenza della burocrazia, ma alla fine c'è un
certo numero di problemi che sono stati attenuati. In occidente si
può dire che le politiche keynesiane non hanno veramente
risolto una serie di contraddizioni ma, almeno, le hanno rese
abbastanza manovrabili perché la società possa
mantenersi coesa. Io credo che all'Est
la burocrazia, a causa di precise circostanze storiche, a causa
della prima guerra mondiale, dello sprofondamento della società
agraria zarista e della contemporanea presenza di un settore
urbano/industriale molto sviluppato e di un proletariato molto
politicizzato ed anche di un partito come quello bolscevico, ha
tentato di dare una coesione molto particolare, molto volontarista
alla società. È su questo
terreno che il marxismo ha giocato un ruolo, anche se non era un
ruolo del tutto previsto. Il marxismo è servito come
coscienza ad un tentativo di rimodellare i rapporti sociali
nell'idea che questo rimodellamento fosse possibile, facile,
desiderabile, inevitabile e che importassero poco i mezzi, che
importasse poco chi era l'organizzatore di questo rimodellamento. Io
penso che questa sia una parziale risposta a ciò che tu dici.
I gruppi umani organizzati in stati/nazioni, e mi rendo conto che il
concetto di stato/nazione pone dei problemi per quel che riguarda
l'Unione Sovietica, non sono riducibili alla maniera in cui
producono e si riproducono. Dunque, la burocrazia,
è un fenomeno storico che non è affatto interamente
fondato sulla produzione ma che trova nella produzione stessa un
punto di appoggio estremamente forte a causa della moderna divisione
del lavoro. C'è
l'organizzazione tecnica della produzione e del lavoro, c'è
la coesione dei gruppi umani nel settore industriale ma non solo per
quel che riguarda l'attività produttiva, c'è tutto il
problema della riproduzione della società in queste
condizioni che esige anch'esso una sorta di forza cosciente della
società o di una parte della società. C'è stato
il fattore decisivo per questo secolo e cioè la sconfitta del
movimento operaio nei primi anni del '900. Cosa voleva il movimento
operaio? Voleva riorganizzare coscientemente i rapporti sociali
sulla base della produzione, in uno spirito di razionalizzazione dei
rapporti umani e di abolizione e superamento dello sfruttamento e
del dominio. Il movimento operaio è stato vinto, in
circostanze impreviste, e ancora oggi viviamo le conseguenze di
quella disfatta. Tornando alla
situazione in Unione Sovietica, si può dire che la burocrazia
si comporta, si vede, si pensa, si vuole come il settore organizzato
ed organizzatore della società ma non vi riesce che a
condizione di polverizzare regolarmente i rapporti sociali. Il
fenomeno del totalitarismo, da questo punto di vista, è
illuminante. La burocrazia sovietica, insomma, non è un
semplice prodotto della struttura produttiva che domina ma esiste al
di fuori del processo produttivo e provoca una serie di
rovesciamenti e sommovimenti della società, polverizza i
corpi sociali che hanno una coerenza loro propria e crea le basi per
un certo tipo di sviluppo industriale che va, poi, a favorire ancora
di più il suo radicamento sociale. La burocrazia, la cosa per
certi versi può sembrare strana, è una classe che si
crea da sola in quanto classe. C'è tutto un
processo di continua evoluzione mentre la burocrazia stessa è,
in realtà, una classe sempre refrattaria all'evoluzione. Si
determina, così, una sorta di enigma storico. Tutti i regimi
burocratici nella storia sono stati dei regimi piuttosto inerti
mentre la burocrazia moderna, quella di questo secolo, deve esistere
in un sistema in continuo mutamento. Questa è, senza dubbio,
una delle ragioni dell'enigma della storia di questo secolo come
verifichiamo col fenomeno del totalitarismo. Questo stesso fenomeno
si è esaurito. Nel giro di due generazioni ha cominciato ad
entrare in crisi. Una crisi molto lenta che si può far
risalire, in Unione Sovietica, alla morte di Stalin. Il totalitarismo
comincia ad entrare in crisi lentamente e, poi, in maniera sempre
più grave, per una ragione molto semplice: la burocrazia
cessa, pian piano, di polverizzare la società. Essa cessa di
credere che sta creando un mondo nuovo, cessa di credere che è
possibile fare quello che si vuole. Insomma, diventa lassista. Ciò
non avviene per caso, c'è in questo processo un preciso
interesse, perché essa stessa ha dovuto constatare che quando
la società veniva polverizzata, si rendeva necessario, ogni
tanto, polverizzare interi settori della stessa burocrazia. C'è
sempre da considerare che la burocrazia pretende di non esistere
come classe separata e questo le crea dei problemi che la borghesia
non ha. Un processo come
quello appena descritto ha una certa logica, sul lungo periodo,
nell'arco, al minimo, dei venti/trent'anni. Si può dire che,
a partire dal momento in cui la burocrazia ha cessato di distruggere
le strutture della società, la società stessa ha
cominciato a tessere dei nuovi sistemi di relazioni, con delle
coerenze sotterranee, dei sentimenti collettivi che sfuggono alla
manipolazione burocratica e passano per dei canali informali. Questo fenomeno si
manifesta anche, per certi versi, con il risorgere del nazionalismo.
Il nazionalismo può essere visto come il ritorno di uno
spirito collettivo comune, che rompe con il passato, che si oppone
alla barbarie burocratica. Il nazionalismo è, evidentemente,
un fenomeno molto forte in tutti i paesi non russi dell'Unione
Sovietica. Il nazionalismo ha tutta una sua dimensione sociale nel
senso delle classi sociali ma anche nel senso di una collettività
con un senso di distanza, separatezza rispetto al regime. Un altro aspetto da
considerare sono i canali informali che si sviluppano nelle varie
società, compresa quella russa, e che sono strumenti di
opposizione, da un punto di vista di classe, ai padroni della
società. Ciò che è sicuro oggi è che il
movimento operaio è molto più sviluppato nei paesi
dell'est che non in occidente. Abbiamo visto Solidarnosc in Polonia,
in Russia stiamo probabilmente per vedere la nascita di grandi
organizzazioni operaie in seguito agli scioperi dei minatori
dell'anno scorso. Là c'è la percezione che ci siano i
"loro" ed i "noi", sempre la vecchia storia che,
in quei paesi, è molto chiara perché mancano
diversioni ideologiche oggi che il carapace ideologico del regime è
in decomposizione e non esiste più. Dunque c'è
tutta una rianimazione del tessuto sociale e non è un caso
che i gruppi di opposizione che si sono creati nel clima della
perestrojka hanno teso a definirsi con un aggettivo molto semplice e
cioè come gruppi informali. La difesa di un monumento
storico, di un parco, di un lago o il rifiuto delle centrali
nucleari, la stessa difesa degli interessi dei lavoratori o delle
varie culture nazionali hanno determinato la nascita di una serie di
gruppi con l'"informalità" come carattere comune. Certo appaiono degli
interessi di classe nel senso più immediato del termine. Le
cooperative, ad esempio non si definiscono come gruppi informali e
non credo sia un caso. Sono, infatti, percepite come attività
di profittatori e certo non come un mezzo per risolvere seriamente
le attuali difficoltà negli approvvigionamenti e nei servizi.
E' certo che le tre
sorgenti molto generali dello scontento che giocano tutte contro il
regime (questione nazionale, sociale ed ambientale) hanno la stessa
origine. Per esempio, in Armenia, le prime rivendicazioni sono
partite sul terreno ecologico e, poi, si sono spostate su quello
nazionale e prendono una grande dimensione. Fenomeni simili si danno
in molte altre situazioni, in Lituania e negli altri paesi baltici,
in Ucraina, ecc. La ragione di ciò,
evidentemente, è che una burocrazia che dominava tutto e
pretendeva di fare tutto, si trova di fronte alle conseguenze della
propria stessa ideologia. Pretendeva di fare
tutto, dunque è responsabile di tutto. Se piove, è
responsabile della pioggia. Ciò è caricaturale ma io
credo che sia la logica del regime stesso che porta ad una
situazione in cui la burocrazia finisce per essere accusata di
tutto. La burocrazia, ha
pertanto, un problema colossale. Essa pretendeva di non esistere
come corpo separato ma nei fatti, non esisteva apertamente solo
perché non c'erano altri corpi sociali organizzati nella
società. A partire dal momento che questi corpi sociali
appaiono, non solo è messa sotto accusa nell'assieme ma, per
di più, perde la sua coesione interna, si divide, diviene
incapace di reagire in maniera coerente. Dunque, più la
società si rende attiva più la burocrazia perde le sue
forze.
Cosimo - Non
c'è, secondo te, la possibilità di un'articolazione in
diversi settori della burocrazia e di un confronto fra questi stessi
settori?
Guy - Si
potrebbe rispondere a questa domanda ricordando che il regime
burocratico è caratterizzato da fenomeni di clientelismo. Lo
verifichiamo, in qualche modo, nei movimenti nazionali. Ad esempio,
la burocrazia nazionale armena, si batte contro il potere centrale
moscovita ed è in rapporto col movimento nazionale. Vi è,
ovviamente, il vertice delle burocrazie locali che è
sovietizzato e che ha perso ogni legittimità ma, per tornare
al caso armeno, si deve tener conto del fatto che sembra che (nella
prima fase del movimento nazionale) gli scioperi fossero organizzati
dall'apparato intermedio di fabbrica. Sulle questioni ecologiche è
più difficile che si diano fenomeni del genere. Non credo che
si producano manipolazioni di settori della burocrazia nei
movimenti. I movimenti ecologisti sono tanto vari e differenti fra
di loro che hanno un problema di unificazione. Restano le questioni
sociali, in particolare dove non è in gioco la questione
nazionale come nella repubblica russa . La grande maggioranza della
classe operaia è russa, questo non bisogna dimenticarlo.
Questo è vero anche nei paesi baltici in cui gran parte degli
operai è russa o russofona come gli ucraini o i bielorussi. Sulla questione
sociale si aprono delle possibilità imprevedibili. Può
accadere che una parte della burocrazia riesca a recuperare il
movimento e la protesta operaia. E la principale questione non
risolta e, a mio parere, è su questa questione che si
deciderà lo sbocco degli avvenimenti attuali. Se ci sarà
un recupero, potremo assistere in un domani, alla nascita di un
imperialismo grande-russo estremamente pericoloso. Al contrario, se
questo recupero fallisce, assisteremo a delle sollevazioni popolari.
Cosimo - In
questa situazione che ruolo, secondo te, gioca l'esercito?
Guy - Tutto lo
strato alto, quello che conta, dell'esercito è russo.
L'esercito è decisamente contestato in tutte le repubbliche
non russe al punto che in Armenia, in Georgia, in Lituania, nelle
altre repubbliche non russe e persino in Ucraina c'è un
rifiuto di massa del servizio militare. L'esercito non osa punire i
coscritti che non si presentano quando sono richiamati, un fatto
stupefacente. D'altro canto la coesione dell'esercito, degli
ufficiali, delle truppe speciali, dipende dall'elemento russo e gli
ufficiali russi sono molto nazionalisti. La questione è
che l'esercito è diventato il perno del regime a partire
dalla fine degli anni '70. Non c'era che l'esercito che funzionasse
bene. Quest'esercito deve
aver considerato con favore le riforme di Gorbaciov, almeno
all'inizio, non tanto per i metodi quanto per i fini, per la volontà
di rigenerare la potenza dell'Unione Sovietica. Ma, a mio avviso,
l'esercito sta per trovarsi di fronte a dei problemi interni
colossali dato che subisce i contraccolpi della divisione della
burocrazia. L'esercito è il
corpo burocratico per eccellenza. Tutti gli eserciti nella storia
sono sempre stati la prima burocrazia. Oggi il problema è se
nell'esercito vi sarà una sorta di contraccolpo autoritario o
se si andrà verso una sorta di deliquescenza, almeno
temporanea, dello stesso esercito.
Cosimo -
Esiste in Unione Sovietica o all'interno della burocrazia o su altre
basi uno strato di speculatori, di individui che hanno risorse e
potere tali da permettere loro di diventare una sorta di media
borghesia indipendente? C'è chi sostiene che, in fondo, il
sistema sovietico ha sempre funzionato grazie all'esistenza di
questo strato di mediatori, di uomini d'affari clandestini o
semiclandestini. Su questa base non potrebbe sorgere una sorta di
borghesia magari sotto la protezione dello stato?
Guy - È
una vecchia ipotesi che nella società russo/sovietica potesse
rinascere una borghesia capace di riprendere il potere e di
determinare una restaurazione capitalistica. Ne parlava, ad esempio
Trotzki cinquant'anni addietro. Io non ci credo troppo. I problemi
sociali sarebbero enormi, già le attuali cooperative hanno
provocato delle resistenze molto importanti. Una cosa che non viene
affatto detta in occidente è che una delle rivendicazioni del
movimento dei minatori dell'anno scorso era la chiusura delle
cooperative. È un dato interessante anche perché va
contro il tono trionfale della propaganda occidentale e la sua
pretesa di una vittoria del capitalismo contro il comunismo e, a mio
parere, chi vince non è affatto un capitalismo "neoclassico"
come viene presentato nei discorsi degli anni '80. Io direi che lo
scontro è, piuttosto, fra una burocrazia articolata all'
occidentale e una burocrazia totalitaria che ha visto il suo
fallimento all'est. La vera domanda è se questa burocrazia
che era sino ad oggi monolitica, sarà capace di riarticolarsi
e di conservare il potere in nuove forze. Non credo che dei
settori di commercianti, di neokulacki, ecc. siano capaci di avere
una potenza sociale sufficiente per vincere. Una loro vittoria
sarebbe simile alla rivoluzione antifeudale, alla formazione di una
borghesia che, trascinando con sé le plebi urbane, abbatte
una feudalità. Ci sono,
evidentemente, dei tratti comuni fra burocrazia e ceti feudali ma io
non credo che questo paragone possa essere spinto troppo oltre. Un'ipotesi più
interessante sta nel riconoscere che in occidente opera una
pianificazione con molteplici centri. Lo stato delega una quota di
pianificazione alle imprese che devono prevedere, sul medio termine,
i propri investimenti, orientamenti, approvvigionamenti, mutamenti,
ecc. E, dunque, all'est il
problema è quello di creare uno strato di dirigenti moderni a
cui si possa delegare la pianificazione o, almeno, parte della
pianificazione. Per il momento, io ho
dei dubbi anche sulle possibilità di una simile evoluzione.
Non è, a mio parere, una questione di modelli astratti di
società ma di come andranno i fatti. Al momento sembra che i
burocrati di tipo sovietico siano incapaci di passare a questo
stadio anche se ne sentono il bisogno. C'è un esempio
che vale la pena di citare da questo punto di vista ed è
quello della Cina. I capitalisti cinesi non sono diventati degli
imprenditori, malgrado dieci anni di riforme. Sono diventati una
feudalità finanziaria ed industriale ma non degli
imprenditori. Nella situazione
attuale è difficile valutare come le cose possano evolvere e
quale settore della popolazione potrebbe prendere la direzione degli
avvenimenti. Io non credo che si possa sviluppare una media
borghesia di piccoli imprenditori con un reale potere sociale. Essa
è talmente poco legittimata fra la popolazione, almeno fra
quella russa, che non può mobilitare le masse all'assalto del
regime. Perché vi sia
una burocrazia d'impresa capace di autoriformarsi sul modello
occidentale, ciò che è decisivo è la riforma
economica. Se esistesse una tendenza importante verso
l'autorigenerazione della burocrazia,la riforma economica dovrebbe
essere molto avanzata. Ciò che, al contrario, vediamo è
che le riforme sono continuamente bloccate. Viene annunciato ogni
sei mesi un nuovo piano "straordinario" che, dopo due
settimane, si sgonfia. Si potrebbe dire che o
il regime arriva a trovare una certa coerenza a partire dai suoi
settori centrali, e non si vede come sarebbe possibile senza
repressione ed un'eventuale fuga in avanti nel confronto di forze a
livello internazionale con esiti imprevedibili, o, al contrario, vi
sarà una continuazione dell'attuale decomposizione con
l'irruzione di movimenti sociali sempre più aperti. Dire che vi saranno
degli importanti movimenti sociali non vuol certo dire che si
prepara una rivoluzione anche perché c'è un altro
problema che è un po' l'aspetto oscuro della situazione, ed è
reso ancora più oscuro dalla propaganda occidentale, e
consiste nel fatto che i movimenti sociali non hanno un obiettivo
preciso, non sanno darsi un progetto. Sanno molto bene cosa non
vogliono, e in primo luogo, non vogliono il regime attuale. Ma
quando si tratta di pensare cosa fare c'è una confusione
gigantesca. Ci sono, per esempio,
delle correnti che si dicono anarchiche e che vorrebbero un mercato
senza stato, una cosa che non si è mai vista. È solo
un esempio, fra tanti, del grado di confusione attuale. Questa confusione è,
credo, l'unica cosa che può salvare il regime. La gente nella
repubblica russa non sa cosa fare. Ovviamente, nei paesi allogeni la
gente sa cosa vuole e cioè lo stato/nazione. Per quel che
riguarda l'Ucraina la situazione è più complessa dato
che è più integrata nella struttura russo/sovietica ed
altrettanto, se non di più, si può dire della
Bielorussa. Altrove c'è una tradizione che porta alla
richiesta dello stato nazionale. Ciò ricorda la
decolonizzazione degli scorsi decenni con tutte le ambiguità
che conosciamo. Comunque, per il solo fatto che la gente ha
l'impressione di sapere che fare, i movimenti non sono più
semplicemente un moltiplicarsi di gruppi e di agitazioni. Di fronte a queste
diverse pressioni di fondo, il regime è sempre più
simile ad una facciata che sprofonda.
|