Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 170
febbraio 1990


Rivista Anarchica Online

Anarchici e rivoluzione russa

Caro Antonio Donno, leggo su "A" 168 il tuo Guerra inutile? Non è però del tema centrale del tuo intervento che voglio parlare. Mi fermo alla tua frase sull'ambiguità con cui l'anarchismo europeo avrebbe valutato la rivoluzione bolscevica, al suo - scrivi - essere rimasto "imbrigliato negli articoli di fede del totalitarismo marxista". Non è il caso, in questa sede, di fare lunghe dissertazioni. Mi sembra però giusto che i lettori di una rivista anarchica (siano anarchici o no) non si vedano agitare dinanzi agli occhi lo spauracchio di un anarchismo pieno di ambiguità nei confronti del bolscevismo. Fissiamo allora alcuni punti.
In Italia, ad esempio, in occasione del congresso dell'Unione Anarchica Italiana del 1° - 4 luglio 1920, Virgilio Mazzoni tenne una relazione sulla III Internazionale, dichiarando apertamente di ravvisare nell'Internazionale moscovita "la lunga mano della vecchia Internazionale marxista, engelsiana, lassalliana che si veste a nuovo", prospettando il pericolo di una "nuova dominazione comunista autoritaria" e invitando i compagni a rifondare l'Internazionale anarchica.
La maggioranza dei congressisti, Malatesta e Fabbri in testa, si dichiararono d'accordo. Solo un piccolo gruppo, di cui facevano parte Borghi e Garino, per citare i più noti, conservò un atteggiamento possibilista nei confronti di una adesione alla III Internazionale (non a caso Borghi, il 22 luglio, partiva per la Russia, anche se con delega dell'USI). E ciò prima, poco prima, del II congresso dell'Internazionale comunista, cioè prima dei famosi 21 punti.
Certo, allora, di quello che avveniva in Russia si sapeva poco. Il 24 aprile, su "Umanità nova", Malatesta si domandava: "Che cosa è questa, che a noi pare mitica, Terza Internazionale, che trae prestigio dal fatto di essere stata annunziata dalla Russia in rivoluzione, ma che è ancora circondata dalla nebbia della leggenda?". In ogni caso, se alcuni giornali, come "L'Avvenire anarchico" di Pisa si pronunciavano criticamente, la maggior parte degli anarchici stava in posizione di attesa, ma senza ambiguità, vagliando con estrema lucidità le poche informazioni.
Se ambiguità c'era, era tutta da parte bolscevica, o di quegli anarchici, ad esempio Victor Serge, passati al bolscevismo. Ambigui erano i messaggi con cui Zinov'ev cercava di blandire gli anarchici stranieri, in funzione antiriformista, solleticando (potremmo dire) la loro vanità di rivoluzionari. Molte illusioni, se non tutte, si erano già dissolte prima di Kronstadt. Basta leggere "Le Libertaire" per rendersene conto. Dal dicembre del 1920, soprattutto dopo le lettere di Lepetit, tragicamente scomparso sulla via del ritorno dalla Russia, "Le Libertaire" attacca, quasi ad ogni numero, la dittatura del proletariato e critica spesso Victor Serge. Nel gennaio del 192l pubblica, con il titolo Des documents. En voilà, un appello dell'Ufficio esecutivo anarcosindacalista (si tratta di foto del testo originale manoscritto, in francese), di cui faceva parte Maksimov, per fare anche in questo caso un nome conosciuto, nel quale si parla di "dittatura di un partito" e si invitano i compagni francesi, o stranieri comunque, a non fare lo stesso errore. Nello stesso tempo però veniva richiesta solidarietà per la rivoluzione e non si rimpiangeva certo Kerenskij. L'appello, dell'agosto del '20, aveva impiegato parecchi mesi per giungere in Francia. Sempre nel gennaio "Le Libertaire" pubblica un altro vecchio appello, della Croce nera anarchica russa, in favore dei compagni in galera. Potrei citare poi le proteste della Goldman e di Berkman dell'estate del '20. E così via.
Certo vi furono anarchici che accettarono, magari in via transitoria, diventata poi definitiva, la dittatura del proletariato. Erich Muhsam, ad esempio, tentò un'impossibile sintesi Lenin-Bakunin (entrò anche nel '19 nel KPD, ma vi restò per poco), prontamente controbattuto da Pierre Ramus che, agli inizi del '20, scriveva: "nel bolscevismo non c'è un solo principio essenziale di vere idee socialiste rivoluzionarie di liberazione" ("Erkenntnis und Befreiung"). Alcuni anarchici russi collaborarono: Novomirskij, Sandomirskij, Shatov e furono poi spazzati dalle purghe. Ma il movimento anarchico europeo, nel suo complesso, si schierò molto presto contro il bolscevismo. Tuttavia, credo che tu sappia benissimo queste cose. Tu, ma non tutti i lettori di A. E allora, qual è il problema? Il fatto che gli anarchici, comunque appoggiarono (e fecero) la rivoluzione e le furono fedeli anche quando si accorsero della piega che prendevano gli avvenimenti? Ma poteva, in quegli anni, un rivoluzionario (anarchico o meno) sottrarsi al fascino della rivoluzione, all'entusiasmo e, perché no, all'illusione? Gli anarchici non rinnegarono mai la rivoluzione russa. Solo la ritennero tradita nei suoi presupposti libertari dal bolscevismo. Probabilmente sbagliarono, attribuendole caratteristiche che non aveva. E comunque non abbiamo controprove. Ma è certo che allora tutti i rivoluzionari, di qualunque tendenza, videro nella rivoluzione russa quello che volevano vedere. Almeno fino al '20-'21. Ma avrebbe potuto essere altrimenti?
In ogni caso, non mi pare proprio che gli anarchici fossero "imbrigliati negli articoli di fede del totalitarismo marxista". Innanzi tutto perché il movimento anarchico non era un blocco unico, ma presentava molte sfaccettature.
Secondariamente, perché un ampio filone, quello che si rifaceva a Malatesta, era piuttosto critico sul mito del proletariato e del mito della coscienza di classe. "Non esistono dunque le classi, nel senso proprio del termine, perché non esistono interessi di classe", aveva detto Malatesta nel 1907, al congresso di Amsterdam. Se vogliamo ben più forte era il mito della coscienza di classe in molti leader riformisti (nei sindacalisti soprattutto).
Gli operai "coscienti" erano quelli che pagavano le quote sindacali, che sottostavano alla disciplina dell'organizzazione, che non scioperavano inutilmente e senza autorizzazione, che partecipavano alla vita della sezione, leggevano i giusti libri, ecc. Gli "incoscienti" erano naturalmente i disorganizzati, o gli anarchici o i sindacalisti rivoluzionari, quelli che, come scriveva Verzi, segretario della FIOM, non conoscevano "il segreto" dell'evoluzione proletaria, né sapevano muoversi in sintonia con il passo della storia, all'interno della "marcia fatale verso futuri migliori destini" (è sempre Verzi).
Ti concedo di più sul mito della violenza rivoluzionaria, che, però, a mio parere non è riconducibile tout court a quello che tu chiami il totalitarismo marxista, ma vanta altri illustri precedenti. Altri miti, forse, avevano una maggior presa sugli anarchici. Non dimentichiamoci però che essi si muovevano nell'ambito della cultura socialista - il che ovviamente non vuol dire marxista - e non, salvo rare eccezioni, in quello della cultura liberale.
Non voglio entrare nel merito delle tue successive affermazioni. Solo mi stupisce l'uso, da parte di uno storico sensibile come te, del termine antistorico. Quando i socialisti e gli anarchici italiani (seppur con diverse gradazioni) si opposero alla guerra nel 1914-15, l'accusa a loro rivolta dagli interventisti di sinistra era, in definitiva, di voler stare fuori dalla storia. La Francia democratica e rivoluzionaria era aggredita, il Belgio martire (il che per altro era vero), gli imperi centrali autoritari e militaristi non volevano battersi per quella che sarebbe stata l'ultima guerra. E dopo ci sarebbe stata la repubblica, la rivoluzione, ecc. I risultati li conosciamo: la rivoluzione russa, il fascismo, il nazismo. Pensa a Contro-passato prossimo di Morselli. Il tunnel sotto le Alpi, l'invasione dell'Italia, la fine precoce della guerra, gli Stati Uniti d'Europa, Rathenau pronunciato Ratenò, Lenin in partenza per l'America. Peccato sia solo un romanzo.
Ma pensa al povero antifascista confinato, che ne so, a Ponza, a Ventotene, negli anni del maggior consenso del fascismo, quando era difficile ipotizzarne la caduta; pensa a Malatesta, a Turati, morti nei primi anni Trenta. Come si saranno sentiti antistorici. Il buon Arsinov si sentiva tanto antistorico che tornò in Russia nel 1930 e lì scomparve in una purga.
Banalizzo, lo so. Ma questa faccenda dei ragionamenti antistorici non mi va giù. Posso anche condividere alcune tue valutazioni. Anch'io preferisco la vittoria del liberalismo occidentale, ma penso di avere il diritto di dire che preferisco il male minore. E continuo a domandarmi che cosa bisogna fare per non essere antistorici. Bisogna ottenere una "vittoria storica, inequivocabile'? E se è la "barbarie totalitaria" a vincere, come ha già vinto in passato per lunghi periodi, il libertario o anche solo il liberale che cos'è? E soprattutto, chi giudica?
Ricordiamoci la sicurezza con cui i fascisti dicevano di essere "nella" storia. O l'alterigia culturale con i cui i dotti marxisti, fossero riformisti o rivoluzionari, convinti di interpretare la storia, guardavano gli anarchici. Quando la sinistra italiana, compresa buona parte del PSI, si nutriva del mito dell'URSS, gli anarchici di certi miti si erano già sbarazzati da un pezzo.
Ti ricordi, e chiudo, quando Gramsci, nel 1920, scriveva che gli anarchici avrebbero dovuto diventare "più liberi spiritualmente", in breve non essere più anarchici?
Un caro saluto

Maurizio Antonioli (Milano)