Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 170
febbraio 1990


Rivista Anarchica Online

Vicolo cieco
di Paolo Finzi

"Il socialismo di stato ha portato la rivoluzione in un vicolo cieco. Il socialismo deve essere anarchico". Così recitava il testo di un manifesto del '68. Gli avvenimenti dell'Europa Orientale ne costituiscono un'ulteriore conferma. Il tentativo di auto-riciclaggio dei partiti comunisti. Prosegue la nostra sottoscrizione straordinaria per sostenere la ripresa anarchica all'Est.

Ma l'avete visto l'ambasciatore rumeno in Italia, intervistato dal TG2 poche ore dopo la notizia dell'avvenuta esecuzione di Ceausescu? Lui, proprio lui che fino a qualche giorno prima di sicuro aveva alle spalle della sua scrivania la foto del Conducator, lui che fino a qualche giorno prima era a capo di una centrale di schedatura e di spionaggio ai danni dei suoi compatrioti residenti all'estero, come istituzionalmente è qualsiasi ambasciata (tanto più se di un regime poliziesco e persecutorio qual era quello comunista rumeno). Con il candore di una verginella manzoniana, l'ambasciatore dichiarava di sentirsi un uomo finalmente libero, di essere fiero di poter rappresentare a testa alta il nuovo potere democratico insediatosi a Bucarest, ecc...
Sia chiaro. Non abbiamo niente di personale contro questo ambasciatore, non ricordiamo nemmeno come si chiama, né la cosa ci interessa. Come lui, decine di altri ambasciatori dei regimi dell'Est europeo saranno fieramente rimasti al loro posto, "fedelmente" servi del nuovo potere.
Se abbiamo voluto citarlo, è solo perché dietro la sua serena faccia tosta intravediamo il dato di fondo delle recenti vicende che hanno sconvolto l'Europa comunista. Questo dato - che ai più appare scontato, irrilevante - è la continuità del potere, dello stato.

Come in Italia nel '45
Il Palazzo non è mai rimasto senza inquilini, a Varsavia come a Bucarest, a Budapest come a Praga. È proprio sul Palazzo che si è concentrata la spasmodica attenzione dei mass-media occidentali, attentissimi a cogliere qualsiasi segnale proveniente dalle "nuove" classi dirigenti. Le virgolette, peraltro, sono d'obbligo, dal momento che le vecchie classi dirigenti comuniste, in parte spazzate via dall'ondata di rinnovamento che si è progressivamente andata estendendo praticamente a tutta l'Europa orientale, in parte hanno tentato (non senza successo, pare, almeno finora) a "riciclarsi""presentandosi come una componente indispensabile per il "rinnovamento", la "perestrojka", ecc...
L'ambasciatore rumeno a Roma non è che il rappresentante (scelto da noi) di quella sterminata classe di burocrati di ogni ordine e grado, di funzionari dello Stato e del Partito, dei "fedeli servitori del Potere", che - appunto - in quanto tali, ritengono loro compito e loro missione il restare comunque abbarbicati al Potere, qualunque esso sia. È la classica "fedeltà" dei carabinieri italiani, "nei secoli fedeli" a chiunque comandi: alla monarchia come alla repubblica, al fascismo come alla democrazia.
Quanto sta accadendo in questi mesi all'Est richiama alla mente mille altre "transizioni" da un regime all'altro, ovunque nel mondo. A noi, in particolare, ricorda l'Italia del '45, quando un apparato statale fascistizzato e fascista dalla punta ai piedi si riscoprì, dopo il 25 aprile, antifascista e democratico. Più che con considerazioni morali o moralistiche sull'opportunismo della gente ed in particolare della burocrazia, ci pare più fecondo analizzare questi fenomeni partendo dalla legge (quasi fisica) dell'immanenza del Potere.
Ciò premesso, resta il fatto - tutt'altro che irrilevante - che in quasi tutti i Paesi dell'Est, da decenni compressi da cupe dittature e da partiti unici, si respira oggi un'aria diversa, ricca di fermenti e di speranze di libertà, di voglia di incontrarsi, di fare, di sperimentare. In poche parole, si respira. Situazioni che per decenni sono apparse bloccate, immobili e immodificabili sia dall'interno che dall'esterno, improvvisamente si sono sbloccate. I simboli dei vecchi regimi, le sedi del partito unico (comunista), gli slogan di regime ad ogni angolo, i noiosissimi mass-media di regime, le sfilate dei pionieri plaudenti, tutto quanto rappresenta il passato regime comunista è stato spazzato via, dalla rabbia popolare prima ancora che dai decreti dei nuovi governanti.
Con il senno di poi - ne accennavamo sullo scorso numero - gli specialisti, gli opinionisti, i politologi e gli altri gazzettieri del nostro regime tentano di convincerci che non poteva che succedere così, che in realtà si era previsto che, ecc. ecc. .La realtà, invece, è che i recenti fatti dell'Est europeo hanno colto in gran parte tutti di sorpresa.
E già solo questa sorpresa "disturba" i potenti, tutti i potenti - compresi i nostri democratici. Il fatto che nemmeno decenni di totalitarismo statale e di martellante lavaggio delle coscienze abbiano potuto estirpare dalla gente l'istinto della rivolta, e che questa poi sappia svilupparsi a macchia d'olio, saltando frontiere e cavalli di frisia, non può non preoccupare chi comunque occupa il Palazzo.
In fondo, è Potere anche quello democratico. È Stato anche questo "nostro" democratico. E la rivolta - come ci ricorda anche il troppo commemorato '68 - non è necessariamente appannaggio esclusivo dei Paesi comunisti e "cattivi".
Ma c'è un altro aspetto che ci preme sottolineare. Ci riferiamo al ruolo svolto da quegli individui, da quei piccoli gruppi che hanno saputo opporre il loro fermo "NO" ai regimi dittatoriali, che - senza retorica - hanno voluto contrapporre al Potere ed alle lusinghe di cui sempre si circonda la dignità della loro obiezione di coscienza. Questa piccola minoranza ha pagato prezzi altissimi, ovunque e sempre. Ha conosciuto carcere ed esilio, disoccupazione e pestaggi, gulag e confino. Di questa minoranza, di questa infima minoranza, gli anarchici sono stati una componente, tanto misconosciuta quanto dignitosamente presente.
È, questa anarchica, un'opposizione che si sviluppa già dalla rivoluzione del '17 in Russia, quando la nuova classe dirigente bolscevica di Lenin e Trotzki iniziò quella politica di vero e proprio sterminio di qualsiasi opposizione, che poi fu perfezionata e portata a definitivo compimento da Stalin e (al di fuori dell'URSS) dai partiti comunisti della Terza Internazionale. Un'opposizione in carne ed ossa, quella anarchica al bolscevismo, che sorgeva istintiva dalle ingiustizie e dalle contraddizioni del nuovo potere sedicente socialista e comunista, ma che aveva anche alle spalle decenni di pensiero anarchico, di riflessioni sul Potere, di dibattito e di polemiche con il pensiero marxista.

Le lucide previsioni di Bakunin
È infatti nel dibattito che oppose la corrente libertaria e quella autoritaria in seno alla Prima Internazionale a cavallo tra gli anni '60 e gli anni '70 dello scorso secolo, che si possono ritrovare le ragioni di fondo dell'insanabile contrasto che ha contrapposto e tutt'oggi contrappone le concezioni stataliste del socialismo (da quella primigenia marxista, alle successive tendenze bolscevica, staliniana, socialdemocratica, ecc.) a quella libertaria rappresentata principalmente dagli anarchici. Ci basta, in questa sede, richiamare la lucida analisi, sviluppata dall'anarchico russo Mikhail Bakunin, della "proposta" marxiana della conquista del Potere e dello Stato da parte dei rappresentanti della classe operaia. Nel corso di un'accesissima polemica, che con il tempo andò sempre più esasperandosi assumendo anche connotazioni personalistiche e comunque inaccettabili, Marx e Bakunin delinearono con chiarezza il proprio pensiero. E le pagine che Bakunin, soprattutto in Stato e anarchia, scrisse per mettere in guardia il movimento rivoluzionario dalla terribile prospettiva di uno Stato forte, in mano ad una burocrazia sedicente comunista e rivoluzionaria, mantengono intatta la loro validità.
Nei numeri di "A" di questo inizio di decennio intendiamo dar spazio a questa critica teorica al marxismo e, successivamente, al leninismo, che del centralismo e dell'autoritarismo marxista è stato la traduzione teorica e soprattutto pratica in seno alla rivoluzione russa del '17. In questo contesto si colloca la ripubblicazione, a pag. 10, del lucido saggio di Nico Berti (sotto lo pseudonimo di Mirko Roberti) di analisi e di critica del leninismo - originariamente apparso sul n.68 (ottobre 1978).
Tra le immense responsabilità che si sono assunti i partiti comunisti, laddove hanno conquistato il Potere ed anche laddove si sono "limitati" a fiancheggiare i primi, la più grave è forse quella di aver assestato un colpo durissimo al socialismo, al comunismo, insomma a tutte quelle parole e quei filoni di pensiero che alle origini erano sinonimi di redenzione delle plebi - come si diceva allora -, di emancipazione del proletariato, di speranza concreta in un nuovo mondo, più giusto, ecc. ecc.
I comunisti non solo hanno dato il loro nome a regimi totalitari in cui - secondo le previsioni di oltre mezzo secolo prima di Bakunin - una ristretta classe di burocrati e di intellettuali "rossi" ha sfruttato il proletariato in nome del proletariato, ma hanno anche sistematicamente combattuto, calunniato ed annientato qualsiasi forma di dissenso, interna o esterna alla tradizione culturale marxista. Non solo gli anarchici, ma anche i comunisti consigliari, a volte i trotzkisti, altre correnti del socialismo autogestionario e federalista sono state cancellate dalla storia - o quasi. Il monopolio dell'alternativa al capitalismo l'hanno tenuto per sé.
Ed è logico, terribilmente logico, che ora che i loro regimi crollino o comunque si modifichino radicalmente, la loro sconfitta venga considerata una sconfitta di qualsiasi rivoluzione socialista e comunista, la loro fine venga "spacciata" - soprattutto dai mass-media occidentali - come la fine del comunismo e di qualsiasi ipotesi rivoluzionaria.
"Il socialismo di stato ha portato la rivoluzione in un vicolo cieco. Il socialismo deve essere anarchico". Così si affermava in un bel manifesto anarchico del '68. Noi la pensiamo ancora così. Ed il crollo dei regimi "comunisti" dell'Est ci pare proprio il fondo di quel vicolo cieco.

Anarchici oggi
In questo contesto, la sottoscrizione a favore degli anarchici dell'Europa orientale, che abbiamo lanciato sullo scorso numero e per la quale ci stanno giungendo i primi contributi, assume un significato particolarmente importante, per il nostro movimento di lingua italiana. Non si tratta solo di sostenere i nostri "fratelli" dell'Est (la parola "compagni", usata per decenni dai regimi comunisti al potere, è rigorosamente bandita dagli anarchici di quei paesi, non senza ragione), sull'onda della generale emotività per quel che accade là.
Nel momento in cui la fine del comunismo reale sembra far convogliare nel capitalismo e nella democrazia (magari nella sua versione socialdemocratica, nominalmente "socialista") le energie, le speranze e la voglia di libertà di tanta parte della gente, dei giovani, delle donne di quei Paesi, si tratta di andare - ancora una volta - controcorrente, di impegnarsi per tenere aperta la speranza, la riflessione, l'attenzione verso tutti quei fermenti di segno libertario, autogestionario, anticentralistico ed antiautoritario che sicuramente il consolidarsi dei nuovi Poteri provocherà. E chi più degli anarchici, con il loro patrimonio di pensiero e di lotte (nonostante errori ed ingenuità), può essere considerato sicuro punto di riferimento per questi fermenti libertari, per questa voglia di libertà e di utopia che non vuole morire?