Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 164
maggio 1989


Rivista Anarchica Online

Fare e dis/fare l'arte
di Antonio Schiavon

Ancora un volta, con il numero 4/88 della rivista Volontà dal titolo "Dis/fare l'arte", ci troviamo a riflettere attorno all'arte, forse perché siamo convinti che "in ogni artista ci sia un anarchico, almeno all'inizio della sua attività" (Szeeman).
Dell'arte come libertari siamo chiamati anche ad osservare le implicazioni col potere: l'atto creativo, che è "metodo di meditazione e... via verso la conoscenza" cioè ancora "attività indispensabile per la ricerca della libertà" (Lebel), è contrastato dal potere sin dal suo nascere. Lo stimolo artistico, che è genuinamente "eversivo", viene compresso in primis dal sistema educativo: quando il bimbo usa totalmente i mezzi comunicativi vede che l'attesa degli educatori è rivolta eminentemente ai segni "verbali", così "l'esigenza umana" della creazione-comunicazione viene ad atrofizzarsi (Read).
Ma ancor più vasto è il ruolo dell'industria culturale che impiega l'intellettuale "apologeta del sistema", il critico, che deve rendere possibile il mutevole mercato artistico (Schwarz), e il funzionario (secondo Baj colui che colloca l'arte in una funzione "arredatrice", facendola diventare "corruttrice dell'ambiente" e "glorificazione dell'effimero") ad ideare mode e a mettere a punto musei.
Il museo è l'istituzione congelante per antonomasia, pensiamo che il governo franchista voleva acquistare "Guernica" di Picasso, secondo Ragon, che se fosse stata collocata al centro del museo di Madrid avrebbe perso ogni pregnanza accusatoria della dittatura spagnola.
Il potere non si fonda più sulla violenza ma sulla "cultura universale" e la "comunicazione mediatica" reagisce rapidamente alle "esigenze del sistema": "il modello comunicazionale" è "imposto dal potere" (Le Bot).
Ecco allora il secondo punto su cui il "creatore anarchico" deve fissare la sua attenzione: in che modo può continuare a produrre senza venir fagocitato né dal mercante e neppure dall'autorità? Le ipotesi avanzate da questo numero di "Volontà," sembrano essere due: scegliere la "clandestinità" o operare in "quei cunicoli di utopia sotto tutti i Beaubourg".
A sostenere il recupero di tutte le forme d'arte popolari sono, forte della sua esperienza della "Bottega dell'arte", artisti come Carriòn che descrive l'esperienza dell'antiaccademia di Montevideo (operante dal 1960 alla chiusura imposta dalla dittatura militare nel 1974) dove si è scoperta "la bellezza del quotidiano" intervenendo "contro il grigio integrale della vita della gente comune e della nostra".
Sostenitore della clandestinità è Harloff, che descrive la sua esperienza di "pittura come alchimia" e il suo lavoro come "terapia, ripetizione, scoperta e possesso".
Ma aldilà della diversità di opinioni sulla collocazione dell'artista ci si ritrova tutti all'interno dei fenomeni delle avanguardie storiche: dalle esperienze del Die Brücke ai primi futuristi, senza scordarsi dei dadaisti ("presto o tardi, rinasce sempre il Dada" scrive Lebel).
Altro terreno su cui sono accostabili gli interventi di questo numero è il rimarcare la peculiare differenziazione della concezione estetica anarchica rispetto a quella cattolica o marxista: secondo noi l'arte deve essere creazione individuale, non specchio del contingente, l'opera nasce dall'artista non dalle dinamiche storiche complessive. Questo è uno dei fattori che non rende possibile un avvicinamento tra la posizione estetica libertaria e la concezione autoritaria (sia marxista sia reazionaria) dell'arte come propaganda.
L'atto creativo, in secondo luogo, lo vediamo sorgere da un processo di autoaffermazione, da un desiderio di capirsi e capire, per cambiare.
Ma parlando d'arte rischiamo di correre il rischio grossolano di considerare solo la pittura o le altre produzioni "quotate in borsa" senza renderci conto che per non museificarci "l'unica chance è fare della vita un'opera d'arte": sarà quella che più ameremo e che nessun mercante potrà "stimare".