Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 154
aprile 1988


Rivista Anarchica Online

Il pelo, non il vizio
di Carlo Oliva

Tra i tanti fantasmi che s'aggirano, un po' spaesati, nel nostro gramo panorama ideologico, uno dei più flessibili, probabilmente, è quello della cosiddetta "Dottrina Sociale della Chiesa" (cattolica). Enciclica dopo enciclica, enunciazione dopo enunciazione, dalla Rerum Novarum alla Quadragesimo Anno, dalla Populorum Progressio alla recente Sollicitudo Rei Socialis di papa Wojtyla, le formulazioni che i pontefici e i loro collaboratori hanno saputo esprimere in merito non sono mai riuscite ad emozionare nessuno.
La cosa, del resto, è abbastanza normale. Attraverso quei tipici documenti ufficiali che sono le encicliche, la chiesa parla come istituzione tra le istituzioni, come entità terrena solidamente radicata in una rete di interessi e di equilibri che il suo ceto di governo, dal papa in giù, non ha alcuna propensione a turbare. Deve dar voce agli umili e tenere in conto i potenti, perché del consenso e della non ostilità di entrambi si alimenta.
Non è detto, naturalmente, che un cattolico debba essere moderato per definizione. Può benissimo essere progressista, o reazionario, magari a prezzo di qualche contraddizione ideologica, che qui non ci può interessare. Parlo di singoli, o di gruppi: non della chiesa nel suo complesso, la cui posizione, su queste colonne, si può ovviamente dare per scontata. Ma supponiamo tutti che da un documento ufficiale non ci potremo aspettare che moderazione, e le argomentazioni ispirate al principio dell'aurea mediocritas, del colpo al cerchio e di quello alla botte, per quanti pregi possano avere, restano irrimediabilmente noiose.
Difatti, non si può certo dire che il papa non faccia notizia, ma appena un mese dopo la pubblicazione dell'ultimo dei documenti che ho citato, il coro dei commenti e delle lodi, delle pacate critiche e delle analisi incensatorie, si è già spento. È difficile sfuggire alla impressione che non sarà certo il ricordo della Sollicitudo Rei Socialis a segnare il posto che questo pontificato avrà, se lo avrà, nella storia. Altre saranno (e sono) le sue glorie e, dal nostro punto di vista, le sue infamie.
Che cosa dice, in definitiva, Sua Santità? Nelle parti I e II, che il documento dedicato al problema dal suo venerato predecessore era proprio bello (e difficilmente avrebbe potuto dire che era una boiata pazzesca). Nella parte III si spiega che, peraltro, il contesto di oggi non è lo stesso di allora (tò!), che esiste ancora, e s'è allargato, il fossato tra il Nord sviluppato e il Sud in via di sviluppo e che alle differenze dei sistemi economici si sommano quelle dei valori culturali, per cui il problema è proprio grave. I popoli del sud , anzi sono afflitti da analfabetismo, da "incapacità di partecipare alla costruzione della propria Nazione" (?), da diverse forme di sfruttamento e da discriminazioni di ogni tipo , tra cui odiosissima quella razziale.

Slalom dell'ovvietà
Giusto, certo, ma questo era per il cerchio. Adesso tocca alla botte: non dimentichiamo che "nel mondo di oggi tra gli altri diritti viene spesso soffocato il diritto di iniziativa economica", il che, in nome di una pretesa eguaglianza, produce un dannoso livellamento verso il basso. Nessun gruppo sociale, "per esempio un partito" ha diritto di usurpare il ruolo di guida unica, e le forme di povertà sono molte e diverse, e il divieto di costituire un sindacato impoverisce la persona umana "altrettanto se non maggiormente dalla privazione dei beni materiali".
Ancora una volta, niente da eccepire: figuriamoci. Tanto più che il tutto (tocca di nuovo al cerchio) va addebitato alla responsabilità delle Nazioni da sviluppare e all'esistenza di "meccanismi economici, finanziari e sociali, i quali, azionati dai paesi più sviluppati, favoriscono gli interessi di chi li manovra e rendono più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di povertà degli altri". E neanche al Nord le cose vanno benissimo: disoccupazione, crisi degli alloggi, eccetera.
A livello mondiale, poi, (cerchio e botte insieme), ci sono due blocchi contrapposti, ciascuno dei quali "nasconde dentro di sé a suo modo la tendenza all'imperialismo, come si dice comunemente". Onde produzione di armi e commercio delle medesime, "il pericolo tremendo, universalmente riconosciuto, rappresentato dalle armi atomiche", milioni e milioni di rifugiati, la piaga del terrorismo, e guai ancora peggiori, se pure non correlati, quali la caduta del tasso di natalità e le campagne antidemografiche. Per fortuna che è dovunque più viva la preoccupazione del rispetto dei diritti umani, con la preoccupazione concomitante per la pace, e la consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili e la necessità di rispettare l'integrità e i ritmi della natura.
Insomma, una specie di slalom dell'ovvietà, verso un traguardo altrettanto ovvio, l'affermazione per cui l'autentico sviluppo umano, che non è né sottosviluppo né supersviluppo, non si riduce ai dati economici, ma va misurato secondo "il parametro interiore della natura specifica dell'uomo", sulla quale, come sappiamo, il papa ha le sue brave opinioni, e che comporta una dimensione morale (parte IV) e la connessa indicazione operativa per cui "una lettura teologica dei problemi moderni" suggerisce lo strumento e l'impegno della solidarietà (parte V). Che è appunto da sempre lo strumento ideologico mediante il quale la chiesa cerca di esorcizzare lo spettro della lotta di classe, e, più in generale, della rivoluzione, obiettivo in nome del quale non risparmia ai potenti gli inviti a una certa moderazione, senza formalizzarsi troppo se non li vede accolti praticamente mai.

Acritico conformismo
Di fronte a testi del genere si resta, di solito, un filino imbarazzati. Si ha l'impressione che sottoporli ad una adeguata analisi distruttiva sia un atto, in un certo senso, indecoroso, degno di un maramaldo. Facile, troppo facile, sarebbe denunciare il semplicismo delle singole tesi e proposizioni, e ancora più facile sarebbe negarne la buona fede, appellandosi alla storia della chiesa e a quella del suo attuale pastore, rinfacciandogli, per dirne un paio, le benedizioni a Pinochet o la facilità con cui giunge sempre a qualche accomodamento con i regimi che più la sua stessa storia personale dovrebbe spingerlo ad aborrire. Ma perché, in fondo?
Chi, come me, ha pratica di insegnamento tende a vedere nella "lettera enciclica" l'equivalente, con le ovvie differenze formali e quantitative, di quei temi di "cultura generale" sui problemi del nostro tempo, cui s'aggrappano con sicuro istinto gli studenti desiderosi d'evitare le analisi del canto tale della "Divina Commedia" o quelle del rapporto tra la poesia del Foscolo e la Rivoluzione Francese. Come in quelli, ogni frase è accettabile in sé, e ogni affermazione andrebbe in sé rifiutata, in quanto espressione di una insopportabile communis opinio, manifestazione di acritico conformismo, al di là (o al di qua) dei più lodevoli contenuti. Chi può negare che la pace sia preferibile alla guerra, che la natura va rispettata, che i diritti civili sono fondamentali per tutti? E chi non si irrita vedendo tali affermazioni, su cui l'umanità ha speso tanta parte di sé, ridotte a luoghi comuni?
In realtà, questi testi vogliono essere documenti politici, ma non hanno la caratteristica essenziale di un documento politico, quella che lo può rendere uno strumento utilizzabile nella battaglia delle idee. Non hanno la capacità di schierarsi, non permettono di schierarsi. Nella Sollecitudo Rei Socialis ce n'è per tutti: potranno attingervi, e citarla, tutti, da Reagan a Gorbaciov, dai neo liberisti ai teologi della rivoluzione. Il che non significa che la chiesa cattolica non sappia e voglia schierarsi, che non sia di fatto schierata, dalla parte che ben sappiamo. Significa che non intende dichiararlo in un documento ufficiale. Ma questa è storia vecchia.