Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 153
marzo 1988


Rivista Anarchica Online

Non solo in America
di Floriana Lipparini

I "custodi della terra" sono giunti in volo dal Canada, dalle foreste ecuadoriane, dal nord dell'Argentina, dal mitico Ovest, dall'Amazzonia, dalle montagne della Colombia. Erano Irochesi, erano Kolla, erano Cree, Mohawk, Shuar, Krenak, Kogi, Mapuche, Kuna, Aguaruna e Yanohama. Donne e uomini, giovani e anziani, di pelle chiara e di pelle scura, vestiti all'indiana oppure all'occidentale, hanno parlato a noi "uomini bianchi" a noi " fratelli minori", come poeticamente ha detto Ramon Gil Barros, un Kogi della Sierra Nevada.
Ognuno di loro è portavoce di un popolo, di una lotta; ognuno ha incarichi di responsabilità in seno alle associazioni indie che si stanno organizzando in mezzo a mille pericoli per il diritto alla vita e all'autodeterminazione; qualcuno è addirittura un potente capo; e su tutti torreggiava l'alta, imponente figura di Wallace Black Elk, uomo di medicina, nipote del leggendario Alce Nero.
Si sono riuniti per la prima volta in Europa su iniziativa del "Centro studi Luigi Negro", in un convegno intitolato appunto "Urihi. Incontro con la civiltà dei custodi della terra" tenutosi a Milano il 13 e 14 febbraio. Perché "Urihi"? In lingua yanomani significa "terra" la grande madre terra a cui tutti gli indios sono legati da un profondo rapporto di rispetto e amore. Quella terra che l'uomo bianco sta distruggendo e che gli indios vogliono invece difendere: è venuto il momento - dicono i libri sacri - di insegnare al fratellino minore che deve fermarsi, che deve imparare proprio da quelle culture che per secoli ha tentato di distruggere.
Ma non è solo una battaglia "ecologista" che li ha condotti da noi. Sono anche venuti a dirci che abbiamo molti debiti nei loro confronti e in qualche modo è giunta l'ora di pagarli. Ci chiedono di appoggiarli in uno storico "rovesciamento": non la scoperta dell'America va celebrata nel '92, ma la scoperta della cultura india, miracolosamente sopravvissuta allo sterminio colonialista, ma sempre più in pericolo.
Cominciato praticamente nel momento stesso in cui Cristoforo Colombo mise piede a terra nelle Antille, il genocidio delle etnie amerindie non si è ancora fermato. Quali sono le minacce che ora gravano su questi popoli già decimati? È un lungo elenco: deforestazione, desertificazione, urbanizzazione forzata, sfruttamento intensivo del sottosuolo, macroprogetti industriali...
Insomma, il modello produttivo occidentale, totalmente estraneo allo spirito amerindio, È questo il nuovo tipo di sterminio: non sempre uccide fisicamente come facevano i conquistadores, però riesce ad annientare anche più nel profondo.
Se in passato l'incontro con i bianchi scatenò negli organismi degli indios l'esplosione di malattie mortali a cui erano impreparati, ora il confronto con quello che definiscono il nostro "individualismo egoista" sta sgretolando alla radice il tessuto base della loro convivenza, sta cancellando la loro diversità, la loro unità di gente, il loro senso collettivo. Cos'è un popolo, difatti, quando è privato delle tradizioni, della lingua, della cultura? Perdere l'identità, per un popolo, è come per un individuo perdere la vita: questo ci sono venuti a dire gli indios con il loro stupendo linguaggio ricco di immagini e di sentimenti, a volte purtroppo banalizzato dalle non sempre felici traduzioni. Anche se il convegno ha dato troppo spazio ai soliti interventi degli esperti - in questo caso antropologi e responsabili di varie associazioni "di appoggio" da Mani Tese a Survival International - mancando quindi in parte l'occasione preziosa di far parlare il più possibile gli amerindi, un rapporto diretto con gli indios si è tuttavia creato, per la prima volta in Europa.
I rappresentanti dei più antichi popoli della terra ci hanno chiamato in causa: tu, uomo bianco, hanno detto, puoi e devi fermare il nuovo genocidio. Puoi boicottare le multinazionali che progettano strade e dighe; puoi far pressione sul tuo governo affinché controlli in ogni sede l'applicazione dei trattati e la destinazione degli aiuti economici; puoi organizzare comitati di solidarietà e commissioni permanenti di indagine "sul campo". Ma, soprattutto, puoi creare una rete di informazioni non filtrata dalle grandi agenzie affinché in tutto il mondo si dica finalmente la verità sulla situazione degli indios. E su questa richiesta si sono mobilitate le associazioni aderenti al convegno per dar immediatamente vita a un gruppo di lavoro, con molto entusiasmo e una gran voglia di "fare". Insomma, un incontro straordinario, un evento probabilmente storico.
Purtroppo, però, forse per problemi di tempo, sono rimasti in ombra nodi centrali come la scelta del modello di sviluppo su cui probabilmente i capi indios non sono ancora d'accordo (tecnologia "occidentale" gestita dagli indios o valorizzazione della loro economia tradizionale?), il ruolo della cooperazione internazionale (quale tipo di aiuto, quale solidarietà?), l'ambigua presenza dei religiosi (tramite non di rado degli interessi di governi e multinazionali), e molti altri che lo spazio non consente ora di citare. Che dire poi della totale assenza di riflessioni sul nostro personale "diverso"? Il genocidio delle culture "altre" è cominciato proprio qui, in Europa, da Roma caput mundi. Una quantità di etnie cancellate, una moltitudine di lingue tagliate in Italia, in Francia, in Spagna, in Inghilterra..
Perché allora non imparare a conoscere e amare anche le nostre minoranze? È così che comincia il vero rispetto dell'altro, al di là dell'emozione e della partecipazione che innegabilmente il grande fascino della cultura amerindia suscita in noi europei, ormai tanto lontani dalle radici.