Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 145
aprile 1987


Rivista Anarchica Online

Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

Diamanda Galas

La Mute Records è un'etichetta indipendente inglese che, pur avendo trovato buona fortuna commerciale tramite prodotti di facile consumo, ha sempre dimostrato un interesse costante ed una certa predisposizione per la divulgazione di materiali musicalmente impegnati, a volte difficili se non addirittura francamente impossibili. È così che nel suo catalogo, assieme al pop elettronico e danzereccio dei Depèche Mode, veri campioni delle classifiche di vendita, si possono trovare anche dei lavori di ardua accessibilità come “Easy listening for the hard of hearing” di Frank Tovey e Boyd Rice, o le trasgressioni sonore a colpi di forbici, scratch, furti e campionatore di Mark Stewart & the Mama. Una delle più recenti pubblicazioni della Mute che rientra in questa seconda e più attraente categoria è “The Masque of the Red Death”, un'opera presentata all'Ars Electronica Festival di Linz in Austria la scorsa estate dalla vocalist e performer DIAMANDA GALAS.
Si tratta di due dischi pubblicati in tempi e confezioni separate: due diversi titoli, forse per sottolineare le diverse strutture delle due parti dell'opera, una esclusivamente vocale, l'altra in cui alla voce si intrecciano le tastiere, manipolate abilmente dalla stessa Diamanda.
"The Divine Punishment" contiene la prima parte, e rappresenta efficacemente lo "state of the art" raggiunto da quella che è stata definita da un giornale americano "the possessed performer": la voce di Diamanda Galas raggiunge vette altissime e dà nuovo significato alla parola "libertà".
È impalpabile ed al tempo stesso inquietante l'interpretazione che Diamanda Galas dà di alcuni passi della Bibbia, conferendo ad essi un inaudito spessore, profondità, luce propria, al ritmo di un respiro sempre più affannoso e sinistro. Indubbiamente il brano più sconcertante è "Sono l'Antichristo", scritto dalla Galas e recitato in lingua italiana, che suona come una tremenda maledizione alle orecchie dell'ascoltatore preso alla sprovvista. In "Saint of the Pit" co-prodotto da Gareth Jones, ex Pop Group, è contenuta la seconda parte.
Dalla Bibbia si passa alle emozioni della poesia francese: Charles Baudelaire, E.J. Corbiere e Gérard Nerval, coi loro versi carichi di suggestione ed inquietudine.
Entrambi i dischi sono di reperibilità discreta, specialmente nei negozi che sono soliti trattare produzioni indipendenti.

John Zorn

Altro splendido lavoro è quello dell'improvvisatore JOHN ZORN, che in "The Big Gundown" ultimo suo album, si cimenta addirittura con la rielaborazione delle musiche da film di Ennio Morricone.
Con la partecipazione di artisti del calibro di Fred Frith (Skeleton Crew), Anton Fier (Golden Palominos), Bill Laswell (Material), Arto Lindsay (Ambitious Lovers), Bill Frisell, Robert Quine, Toots Thielemans, Vernon Reid ed almeno venti altri, il che vale a dire il meglio dell'avanguardia musicale di New York City, John Zorn ha realizzato un autentico capolavoro. Speriamo non sia destinato a restare patrimonio di pochi come tutti i suoi lavori precedenti, tutte opere geniali e forse un po' troppo avanti rispetto ai tempi. "Questo è un disco che ha delle idee fresche, buone ed intelligenti" - afferma lo stesso Ennio Morricone nella presentazione/benedizione di questo disco - "È una realizzazione di alto livello, un lavoro eseguito da un maestro di grande fantasia e creatività. Le mie idee sono state realizzate (...) in una maniera attiva, ricreando e reinventando ciò che avevo fatto in precedenza per i film. Molti avevano fatto delle versioni delle mie musiche, ma mai nessuno in questo modo...".
Come giocando con un puzzle dalle mille tessere, John Zorn ha distrutto e ricomposto una dozzina di musiche famose, ristrutturandole in modo che, ad esempio, "C'era una volta il West" di John Zorn una volta tanto non è "C'era una volta il West" di Ennio Morricone solamente perché compositore, arrangiatore e casa discografica si sono messi d'accordo per affermarlo.
In poche parole, e mi ripeto, un capolavoro: a musiche di una innegabile importanza "storica" è abbinata una grande quantità di intelligenza e freschezza. L'album è edito dalla piccola Icon, una indie-label di New York City specializzata in musica improvvisata e d'avanguardia che, visto il particolare carattere di questa iniziativa, è stata aiutata nella distribuzione dalla potente Nonesuch, affiliata alla Warner Bros.
Per informazioni sulle altre realizzazioni della Icon, rivolgetevi al New Music Distribution Service al 500 di Broadway, New York City, New York 10012, Stati Uniti d'America includendo un paio di IRC (da richiedere in posta) per la risposta.

Golden Palominos

Restiamo a New York City per parlare del terzo ed ancora eccezionale album dei GOLDEN PALOMINOS di Anton Fier. Il titolo è "Blast of silence". Dopo aver tracciato una traiettoria velocissima nel mondo dell'improvvisazione più intransigente con il primo ed omonimo album del 1983, i Golden Palominos hanno trovato la loro "missione": infondere nuova vita al pop americano. Non si tratta però di un'opera di neocolonialismo, quanto di un'operazione di salvataggio culturale.
Il secondo album del gruppo, edito lo scorso anno ed intitolato "Visions of excess", era stato salutato con gioia da una folta schiera di aficionados ed era addirittura riuscito ad intravvedere delle discrete posizioni nelle classifiche.
Se "Vision of excess" rappresentava un viaggio brillante nel migliore fm-oriented style del decennio passato (tappa migliore la celebre "Omaha" dei Moby Grape, con Michael Stipe dei REM come gradito ospite al canto), questo "Blast of silence" fa letteralmente gridare al miracolo. I Golden Palominos hanno resuscitato un genere musicale che era ormai dato per spacciato.
Se non credete alla reincarnazione, come potete spiegare allora "I've been the one" e "Brides of Jesus" targate inequivocabilmente 1987, quando i Little Feat e soprattutto Lowell George sono morti e sepolti da tempo? In questo album grande eccitazione, grandi sospiri di sollievo, grandi nomi: Sneaky Pete Kleinow, Peter Blegvad, Nicky Skopelitis, T-Bone Burnette, Carla Bley e, in "Something else is working harder", il vecchio Jack Bruce che, sempre in tema di cadaveri eccellenti, canta come se i Cream oggi si potessero proprio toccare con un dito.
Il disco è edito da Celluloid, e tra le pieghe dei solchi nasconde anche la voce di Dennis Hopper. Che sia solo una casualità?

Loft

Per concludere, vorrei segnalare l'attività del LOFT, poliedrico centro di studi e di riproduzione di musica d'avanguardia con sede a Monaco, in Germania.
Ai Loft si incontrano gli addetti ai lavori e gli appassionati frequentatori delle strade più sotterranee e sconosciute dell'avanguardia musicale, e non solo tedesca.
Il programma del Loft denota una spiccata predilezione per l'inusuale e l'eccentrico: seminari di studi su Erik Satie, concerti di personal computer, sculture elettroniche e macchinari producimusica inverosimili.
La lista dettagliata viene pubblicata ogni mese.
Un anticipo delle attività future comprende l'Edgard Varese Event (2 e 3 maggio), un workshop sull'uso alternativo della voce (12-14 giugno), un festival internazionale in luglio, un altro in agosto ed un terzo, più articolato, in novembre.
The Loft, Kirchenstr. 24, D-8000 Munchen, West Germany.