Rivista Anarchica Online
Ricordando
Cassola
di Mauro Suttora / Paolo Finzi
Fosse stato solo
uno "scrittore di grido", avrebbe avuto i suoi bravi
funerali di stato, come il catto-comunista Guttuso. Ma Carlo Cassola
ha speso gli ultimi anni della sua vita per combattere contro il
militarismo. Il potere non gliel'ha perdonato. Noi, che pure ci
trovammo anche in forte dissenso con lui, lo ricordiamo proprio per
questo suo forte impegno. Ecco le
testimonianze di Mauro Suttora (che di Cassola fu stretto
collaboratore) e di un nostro redattore (che 10 anni fa intervistò
Cassola all'inizio del suo impegno disarmista).
Un libero
pensatore
Ho incontrato Carlo
Cassola per la prima volta nel 1978 a Trieste, dove frequentavo
l'università. Tenne una conferenza sul disarmo unilaterale nella
sala più lussuosa della città, piena zeppa di signore in pelliccia
e di "bel mondo". Al suo fianco sedeva il direttore del
quotidiano locale "Il Piccolo", che allora faceva parte
della Rizzoli, la casa editrice che pubblicava i libri di Cassola.
Claudio Venza e altri anarchici del gruppo Germinal distribuirono un
volantino di protesta, ricordando le censure che "Il Piccolo"
effettuava ai danni delle marce e di ogni altra iniziativa
antimilitarista. Rimproverarono a Cassola di aver accettato l'invito
a parlare in quella sede. Cassola rispose a
Venza che lui avrebbe accettato di propagandare il disarmo
unilaterale di fronte a qualsiasi uditorio: "Il problema è
urgente, se gli stati non disarmano si rischia la fine del mondo".
La stessa logica "ecumenica" apparentemente spregiudicata e
invece soltanto pragmatica (unità sugli obiettivi concreti, non
sulle astratte ideologie), lo condusse a fondare la Lega per il
Disarmo Unilaterale (LDU), di cui sono stato segretario nazionale
nell'82 e nell'83, gli anni caldi del pacifismo di Comiso. Cassola sperava che
attorno all'obiettivo del disarmo si riunissero tutti i pacifisti di
tutte le tendenze: anarchici, radicali, cristiani, comunisti,
nonviolenti. Così purtroppo non è avvenuto: la LDU arrivò a
qualche migliaio di iscritti, ma tutti continuarono ad operare nei
propri gruppi di appartenenza, spesso di dimensioni così ridotte da
risultare inefficaci. Fu così facile per il PCI, nel 1981,
egemonizzare il nascente movimento contro i missili a Comiso,
condurlo al disastro e poi alla scomparsa nel 1984. Se invece gli
antimilitaristi (anarchici compresi) avessero perso un po' meno tempo
a litigare tra loro, non si sarebbe mancata l'occasione d'oro di far
nascere un movimento pacifista indipendente e forte, come l'IKV in
Olanda o il CND in Gran Bretagna. Ai funerali di
Cassola non è andato neanche un rappresentante della Rizzoli, che
grazie ai suoi libri ha guadagnato miliardi. Il giorno della sua
morte molti giornalisti lo hanno confuso con il Cassola senatore del
PSI. Nessun giornale (neanche "l'Unità") ha ricordato con
qualche serietà il suo impegno antimilitarista, che lo ha assorbito
negli ultimi 12 anni della sua vita. Che differenza con i funerali di
stato di Guttuso. Rileggendo i suoi
fulminanti articoli sul "Corriere della Sera", apparsi dal 1974
al 1978 (interrotti dall'arrivo della P2) e i suoi vivacissimi
libretti sul disarmo unilaterale (Ultima frontiera, Il gigante cieco,
Rivoluzione disarmista... tutti nella BUR Rizzoli) si viene colpiti
dall'assoluta logicità del suo argomentare. Privo di ogni retorica,
male così comune tra i pacifisti. Denso di riferimenti storici, ai
quali Cassola attingeva con pienezza grazie alla sua vasta cultura.
Soprattutto, senza quelle schifose edulcorazioni delle proprie idee
radicali per renderle più appetibili al grande pubblico, vizio dei
politici di professione di ogni epoca. Conversando con
Cassola, o leggendo i suoi libri (esercizio che consiglio caldamente
a tutti) si provava il brivido tipico che si ha di fronte ad ogni
libero pensatore, che affronta ogni problema senza pregiudizi. Un pregiudizio,
naturalmente, Cassola l'aveva: era contro il militarismo e gli
eserciti. Non li considerava causati dallo stato (come dicono gli
anarchici), dall'imperialismo (comunisti) o dalla cattiveria
dell'uomo (cristiani): l'esercito per Cassola è "causa sui",
causa di se stesso. Abolite gli eserciti e abolirete le guerre. Le
analisi ormai scientifiche che sono state condotte sui "complessi
militari-industriali" di tutto il mondo confermano la sua tesi. Mi permetto di
concludere con un appello pragmatico, seguendo appunto lo stile di
Cassola: quest'anno, a maggio, fate l'obiezione di coscienza alle
spese militari. L'obiezione fiscale, lanciata dalla LDU nell'82
insieme agli altri movimenti nonviolenti, rimane oggi in Italia la
maniera più semplice e concreta di opporsi al militarismo. E di
continuare l'opera di Cassola.
Mauro Suttora
Il dissenso tra
noi
Impegnatosi
recentemente nella lotta contro gli eserciti ed il militarismo,
Cassola propone come primo obiettivo l'abolizione unilaterale
dell'esercito italiano - L'evoluzione del suo pensiero in senso
libertario - Dall'antimilitarismo all'antistatalismo: un passaggio
inevitabile che Cassola non ha ancora saputo compiere - Importanza e
limiti del suo contributo alla lotta contro gli eserciti. Un po'
lungo, forse, ma ancor oggi sottoscrivibile ci pare il sommarietto
che mettemmo a completamento del titolo Antimilitarismo e potere
statale dell'intervista con Carlo Cassola, pubblicata su "A"
(giugno/luglio 1977).
Avevamo letto Il
gigante cieco e Ultima frontiera, usciti a pochi mesi di
distanza l'uno dall'altro. Ci avevano colpito, per l'impeto con cui
vi si affrontava una tematica alla quale siamo sempre stati
particolarmente sensibili (l'antimilitarismo), per il carattere
aperto, onesto, emotivamente coinvolto del suo argomentare, per la
tensione etica che li sottendeva. Ma c'erano anche punti - non pochi
- che non ci convincevano. Su alcuni, poi, il dissenso ci appariva
netto. Gli telefonammo e, alla fine, riuscimmo a fissare un
appuntamento nella hall di un albergo, nel centro di Parma, qualche
ora prima di una sua conferenza. Era la primavera di dieci anni fa. La lunga
chiacchierata, poi riassunta nel testo pubblicato sulla rivista,
toccò innanzitutto la questione della lotta contro il militarismo e
gli eserciti. La battaglia, chiaramente, ci accomunava, ma abbagliato
dall'importanza della posta in gioco (la salvezza dell'umanità) e
dall'urgenza della vittoria (se no, ripeteva Cassola, tra due o tre
decenni al massimo il mondo sarà finito), a nostro avviso non
coglieva alcune questioni fondamentali - quali il nesso inscindibile
tra autorità e violenza, potere e forze armate - che non debbono
essere trascurate. Per comprendere, per lottare efficacemente, per
vincere. Già, la vittoria. Per ottenerla, o
meglio sperando di ottenerla, Cassola era disposto a venire a patti
con il diavolo. In una sua conferenza a Milano, alla libreria Utopia,
arrivò a sostenere che si sarebbe accordato anche con Hitler, se
questo gli fosse parso utile nella battaglia per il disarmo.
Insorgemmo, polemizzammo. Non era questione
astratta di antifascismo (Cassola, d'altronde, era stato attivo
militante del Partito d'Azione mentre tanti intellettuali
super-antifascisti post '45 lustravano le scarpe al duce), ma
indicava - per paradossale che la sua tesi fosse - la pericolosa
unilateralità della sua impostazione. La sua evoluzione in senso
libertario si era fermata. Il dissenso tra noi rimase: a proposito
dei rapporti con le istituzioni, con i partiti (Cassola accettò di
candidarsi nelle liste di Democrazia Proletaria), con i movimenti,
oltre che sul piano teorico e analitico. Cassola continuò
la sua battaglia, sempre più isolato anche perché sul piano pratico
indisponibile a quei "patteggiamenti" che pure,
paradossalmente o meno, teorizzava. Voleva l'unità delle sinistre,
anzi l'unità di tutte le forze disponibili all'antimilitarismo. Ma
le sinistre, i partiti, le forze su cui contava puntavano e puntano
al potere. Non potevano e non possono essere antimilitaristi. Se non,
a volte, a parole. Non è un caso che
a ricordarlo siamo rimasti davvero in pochi: citiamo qui Umanità
Nova, che ha pubblicato in prima pagina un appassionato ricordo
di Cassola, firmato da Leonardo Di Giorgio. A ricordare il Cassola
più vero, intendiamo non quello macchina-che-fa-libri,
scrittore-di-grido. Se si fosse limitato a ricoprire quel ruolo,
avrebbe avuto anche lui i suoi bravi funerali di stato. La sua ruvida
intransigenza disarmista gli ha risparmiato quell'ultimo oltraggio,
da quelle autorità e da quella lobby editoriale che non gli hanno
perdonato il suo impegno e lo hanno bollato come "utopista"
e "anarchico".
Paolo Finzi
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