Rivista Anarchica Online
La strada
infinita
di Antonio Lombardo
Tanti anni di
politica fallimentare del tenitorio hanno portato, tra l'altro, ad
ingabbiare l'Italia in un reticolo d'asfalto. A chi è giovato il
feticcio-auto. È urgente affrontare il problema e mobilitarsi prima
che lo sfascio sia completo.
In Italia su 210
mila chilometri di aree non urbanizzate sono presenti 316 mila
chilometri di strade, vale a dire oltre un chilometro e mezzo di
nastro d'asfalto per chilometro quadrato: una percentuale che colloca
il nostro paese in testa alla classifica mondiale tra le nazioni con
più elevata estensione di rete viaria. Ma l'Anas - l'ente nazionale
preposto alla gestione delle strade - fa osservare che, se si tiene
conto del dato ricavato dal rapporto tra il totale dei chilometri di
strade e il numero di abitanti l'Italia (con il suo indice del 5 ,2)
è al penultimo posto nell'ambito della Comunità Europea e che,
pertanto, l'ampliamento della rete stradale sarebbe indispensabile
nonostante attualmente essa sia costituita da un reticolo fittissimo
le cui maglie misurano mediamente 600 metri e stringono l'intero
paese in una gabbia d'asfalto. Tale primato,
esaminato nella giusta chiave di lettura, non può essere certo
considerato come un fatto positivo, poiché rappresenta l'aspetto
deteriore di tanti anni di politica fallimentare del territorio e dei
piani di trasporto ispirata a criteri per niente razionali e
finalizzata esclusivamente al soddisfacimento degli interessi
economici delle grandi case automobilistiche, dei petrolieri e delle
varie imprese di costruzioni. La realizzazione di infrastrutture
stradali ed autostradali voluta dai pianificatori che, dagli anni '50
in poi, hanno gestito il settore delle comunicazioni terrestri è
sempre stata lo strumento efficace per l'avvio di processi di
sviluppo forzatamente contrastanti con gli effettivi bisogni sociali
e ha comportato costi altissimi. Gli oneri derivanti
da questo tipo di scelta non riguardano solo gli investimenti di
enormi quantità di capitali pubblici, ma anche i danni arrecati ai
valori ambientali e al già precario equilibrio idrogeologico per
l'impatto determinato dalla presenza di opere la cui imponenza fa a
pugni con gli specifici caratteri morfologici del territorio: un
territorio la cui superficie è al 35% montuosa ed al 41% collinare,
mentre per il 20% è interessata da fattori naturali di
predisposizione a fenomeni di alterazione e di dissesto (frane,
alluvioni, erosione superficiale) e per il 50% a rischio sismico. Ai costi materiali
vanno poi aggiunti quelli dovuti all'elevato indice di mortalità per
incidenti stradali, valutati dalle statistiche ufficiali per il 1984
in 7.164 morti. Questo dato, se confrontato con quello di 9.511 morti
del 1974, lascerebbe intuire un'inversione di tendenza del fenomeno,
ma poiché le statistiche tengono conto solo dei decessi avvenuti
entro il settimo giorno dall'incidente, e non forniscono alcuna
indicazione sui casi di mortalità sopraggiunti dopo tale termine
(per il miglioramento delle tecniche di rianimazione e dei servizi di
pronto soccorso), in realtà il numero reale dei morti si mantiene
costantemente intorno ai 15.000 l'anno. Questa è una delle ovvie
conseguenze delle condizioni di rischio determinate dall'eccessivo
sviluppo della motorizzazione, che ha portato le nostre strade a
dover accogliere un parco macchine di 24 milioni di veicoli, di cui 2
milioni di mezzi pesanti liberi di circolare senza alcuna limitazione
a discapito dell'utenza stradale ordinaria. Il fatto di aver
preferito il trasporto delle merci su gomma anziché su ferrovia (72%
dei trasporti di cose e 90% delle mobilità di persone) -
contrariamente a quanto avviene nei paesi esteri ad alto tenore di
industrializzazione, dove il rapporto è esattamente l'opposto -
oltre a fattori di insicurezza ha determinato un enorme spreco
energetico e diseconomie, nonché l'accelerata usura del patrimonio
stradale e la sempre maggiore immissione nell'habitat di enormi
quantità di agenti inquinanti. Basti pensare che nel 1973 le merci
trasportate su rotaia erano state di 56.258.000 tonnellate, mentre
nel 1982 sono state di 49.289.000 tonnellate. E ciò nonostante
l'aumento dei traffici commerciali. In campo energetico
i consumi relativi ai trasporti, aggiornati al 1982, danno per quelli
su ferrovia 4.956.000 Kwh (equivalenti a 3.304.000 tonnellate di
gasolio), mentre per i trasporti stradali danno 11.368.000 tonnellate
di benzina e 9.460.000 di gasolio. Per il prossimo
futuro le previsioni dei piani di intervento della viabilità non
sono certamente rassicuranti, visto che il governo ha stanziato la
bellezza di 57.000 miliardi di lire per l'ampliamento della rete
autostradale - la terza in ordine di importanza mondiale dopo USA e
Germania Federale. Ciò costituisce una minaccia per la conservazione
delle ultime zone ancora intatte e di parchi di notevole interesse
paesaggistico o naturalistico. Sempre nell'ambito
di questo piano aberrante, con un finanziamento dell'ordine di 2.500
miliardi, si inserisce il progetto per la costruzione del ponte sullo
stretto di Messina, opera assurda che significherà ulteriore
sperpero di denaro e che sarà dl impossibile realizzazione visti i
caratteri geologici e sismici dell'area interessata. Ancora una volta lo
stato che uccide, che disamministra, e che asseconda le mire della
mafia e delle multinazionali ha mani libere di imporre, con il
sostegno della cultura di regime, scelte improduttive destinate ad
incrementare l'immagine di questo falso benessere in cui è immersa
la società. Cerchiamo di impedirlo, finché siamo in tempo, finché
ancora ci sarà qualcosa da salvare.
Sul ponte di
Messina
Il Titanic aveva una
stazza lorda di 46.328 tonnellate; misurava 268,83 metri di lunghezza
e la larghezza massima era di 28 metri. La propulsione era data da
motori a quadrupla espansione che azionavano le eliche laterali e da
una turbina a bassa pressione che azionava l'elica centrale. Tutto
quanto concerneva la nave era su scala gigantesca. Le caldaie, per
esempio, erano così grandi "che vi sarebbe potuto passare
all'interno due tram a due piani". L'ancora centrale pesava più di
15 tonnellate. L'enorme timone pesava più di 100 tonnellate ed era
molto più lungo di un campo di cricket, l'elica centrale pesava 22
tonnellate, e ognuna di quelle laterali 38 tonnellate. Il Titanic era il
risultato della grande esperienza di una delle più importanti
società armatoriali e di uno dei cantieri navali tra i più
scientificamente agguerriti del mondo. Rappresentava tutto ciò che
preveggenza e conoscenza potevano escogitare per renderlo immune da
qualunque disastro. Non a caso mi è
venuto in mente leggendo del ponte sullo stretto di Messina. Si farà.
Non sono d'accordo, innanzitutto perché è pretestuoso e demagogico
affermare che il ponte servirà ai siciliani, quando sarebbe più
utile potenziare e rendere più confortevole il trasporto ferroviario
aereo e navale, risanare i centri storici dotandoli di reti idriche e
fognarie efficienti, salvaguardare i beni culturali e le coste
favorendo il turismo su un'isola non soffocata dal traffico. Forse
gli interessi mafiosi si ridurrebbero se si orientasse tale spesa su
necessità primarie? Ma questo è il segreto di Pulcinella. Già lo chiamano il
ponte dei miracoli: i progettisti garantiscono che resisterà ai
terremoti più violenti, all'impatto di un Jumbo, a raffiche di vento
da 300 chilometri all'ora. L'odore di miracolo mi mette all'erta così
come ogni tentativo di circoscrivere la natura. Non voglio
contraddire questi luminari su un piano tecnico. Mi irrita la loro
certezza. E di fronte a tale certezza sottesa da un calcolo
probabilistico che connette un elevato numero di variabili, migliaia
di dati fagocitati dai computer, simulazioni in laboratorio e
necessariamente approssimazioni, mi blocco, punto i piedi, mi ammanto
di un medievale oscurantismo o forse mi illumino d'innata diffidenza
nei confronti di una crescita mascherata da un progresso suicida. Ma non
fraintendetemi: il ponte, vanto del governo che lo vuole, si ergerà
sullo stretto sfidando testate nucleari e radioattività; non è un
suo possibile crollo che mi spaventa o scandalizza. San Francisco è
in bilico su una voragine, ma non per questo smettono di costruirvi
grattacieli. Mi irrita questa
sicurezza diffusa alla gente, la stessa sicurezza già radicata in
ogni uomo che ci vuole padroni di una natura di cui possiamo solo
essere parte. La perdita del
Titanic fu sicuramente un esempio tipico di orgoglio presuntuoso e
arroganza. Il nuovo transatlantico era il più grande, il più
sontuoso, il più splendido bastimento che avesse preso il mare. Un
trionfo del cervello e della mano dell'uomo. Il vanto della Marina
Mercantile Britannica, la nave "che Dio stesso non avrebbe potuto
colare a picco". Ogni anello nella
catena di circostanze che condussero alla sua distruzione era, in un
modo o nell'altro, attribuibile all'aver trascurato di tenere conto
di questo fatto fondamentale: alcune antiche lezioni del mare erano
state dimenticate e bisognava di nuovo impararle. Così disse il
mare.
Massimo
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A bolo 'bolo
invece
Ecco invece una
possibilità (ma basterebbe mettere in moto l'immaginazione per
trovarne molte altre) di "pensare" anche il problema delle reti
stradali in modo diverso. Ecco come l'anonimo autore di "Bolo Bolo"
- una moderna utopia planetaria, purtroppo pubblicata solo in tedesco
(P.M., Bolo 'Bolo, Verlag Paranoia City, Zurigo 1985) e francese -
ha immaginato un nuovo assetto dei trasporti, delle strade, delle
comunicazioni. "Il sistema Bolo
Bolo di trasporti e viaggi tende a eliminare i trasporti di massa, i
movimenti pendolari e il turismo. La vita e il lavoro non sono più
dispersi sul territorio. I mezzi di trasporto sono utilizzati
soprattutto da chi ama viaggiare - poiché viaggiare è un piacere
insostituibile - ma nella vita quotidiana la maggior parte delle
attività si svolgono nelle rispettive comunità o quartieri per cui
gli spostamenti si effettuano a piedi. Il quartiere è attrezzato per
i pedoni con molti passaggi, ponti, arcate, colonnati, verande,
logge, sentieri, piazze; poiché il traffico automobilistico è quasi
inesistente i semafori non sono più necessari e quindi diminuiscono
le cause dello stress. La bicicletta è il mezzo di trasporto ideale
fino ai limiti della contea e per questo sono predisposte piste
ciclabili ovunque. Nelle zone di montagna d'inverno gli ski possono
sostituire la bicicletta. In campagna o in montagna gli animali
possono essere utilissimi per i trasporti poiché il loro foraggio
cresce ai bordi delle strade, ma i cavalli e muli possono essere
utilizzati anche in città, soprattutto per trasporti da una
abitazione all'altra o dal quartiere alla propria base agricola (...)
Ma anche le biciclette, attrezzate con carrelli, possono servire per
piccoli trasporti (...) Il sistema stradale
(che richiede una notevole quantità di lavoro di manutenzione e di
materiale d'importazione) è ridotto ad una sola strada per ogni
comunità. La maggior parte delle strade preesistenti sono state
ridotte ad una sola corsia poiché il traffico automobilistico è
lento e senza importanza: qualche camion (con motore a vapore, a
biogas, a legna, a benzina), qualche autobus, ambulanze o vetture
particolari per trasporti speciali. Di alcune
autostrade si sono conservati tratti di 200 chilometri che sono usati
come piste da corsa: chi ama la velocità o il rischio può scegliere
una vettura nei parchi-macchine situati ai due estremi dei tronconi
(...) Per le lunghe distanze le contee e le regioni dispongono di una
rete ferroviaria (a vapore, elettricità, carbone) lenta, poco
frequente, e con fermate in tutte le stazioni, mentre chiatte e navi
percorrono le acque e le coste (...) A dispetto della
relativa lentezza del traffico gli scambi planetari sono più intensi
e generalizzati di quanto non fossero precedentemente, cioè al tempo
del turismo di massa. Ora il turismo è stato rovesciato (...) e il
pianeta è un vero museo antropologico in cui tutti vanno a trovare
tutti".
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