Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 135
marzo 1986


Rivista Anarchica Online

La strada infinita
di Antonio Lombardo

Tanti anni di politica fallimentare del tenitorio hanno portato, tra l'altro, ad ingabbiare l'Italia in un reticolo d'asfalto. A chi è giovato il feticcio-auto. È urgente affrontare il problema e mobilitarsi prima che lo sfascio sia completo.

In Italia su 210 mila chilometri di aree non urbanizzate sono presenti 316 mila chilometri di strade, vale a dire oltre un chilometro e mezzo di nastro d'asfalto per chilometro quadrato: una percentuale che colloca il nostro paese in testa alla classifica mondiale tra le nazioni con più elevata estensione di rete viaria. Ma l'Anas - l'ente nazionale preposto alla gestione delle strade - fa osservare che, se si tiene conto del dato ricavato dal rapporto tra il totale dei chilometri di strade e il numero di abitanti l'Italia (con il suo indice del 5 ,2) è al penultimo posto nell'ambito della Comunità Europea e che, pertanto, l'ampliamento della rete stradale sarebbe indispensabile nonostante attualmente essa sia costituita da un reticolo fittissimo le cui maglie misurano mediamente 600 metri e stringono l'intero paese in una gabbia d'asfalto.
Tale primato, esaminato nella giusta chiave di lettura, non può essere certo considerato come un fatto positivo, poiché rappresenta l'aspetto deteriore di tanti anni di politica fallimentare del territorio e dei piani di trasporto ispirata a criteri per niente razionali e finalizzata esclusivamente al soddisfacimento degli interessi economici delle grandi case automobilistiche, dei petrolieri e delle varie imprese di costruzioni. La realizzazione di infrastrutture stradali ed autostradali voluta dai pianificatori che, dagli anni '50 in poi, hanno gestito il settore delle comunicazioni terrestri è sempre stata lo strumento efficace per l'avvio di processi di sviluppo forzatamente contrastanti con gli effettivi bisogni sociali e ha comportato costi altissimi.
Gli oneri derivanti da questo tipo di scelta non riguardano solo gli investimenti di enormi quantità di capitali pubblici, ma anche i danni arrecati ai valori ambientali e al già precario equilibrio idrogeologico per l'impatto determinato dalla presenza di opere la cui imponenza fa a pugni con gli specifici caratteri morfologici del territorio: un territorio la cui superficie è al 35% montuosa ed al 41% collinare, mentre per il 20% è interessata da fattori naturali di predisposizione a fenomeni di alterazione e di dissesto (frane, alluvioni, erosione superficiale) e per il 50% a rischio sismico.
Ai costi materiali vanno poi aggiunti quelli dovuti all'elevato indice di mortalità per incidenti stradali, valutati dalle statistiche ufficiali per il 1984 in 7.164 morti. Questo dato, se confrontato con quello di 9.511 morti del 1974, lascerebbe intuire un'inversione di tendenza del fenomeno, ma poiché le statistiche tengono conto solo dei decessi avvenuti entro il settimo giorno dall'incidente, e non forniscono alcuna indicazione sui casi di mortalità sopraggiunti dopo tale termine (per il miglioramento delle tecniche di rianimazione e dei servizi di pronto soccorso), in realtà il numero reale dei morti si mantiene costantemente intorno ai 15.000 l'anno. Questa è una delle ovvie conseguenze delle condizioni di rischio determinate dall'eccessivo sviluppo della motorizzazione, che ha portato le nostre strade a dover accogliere un parco macchine di 24 milioni di veicoli, di cui 2 milioni di mezzi pesanti liberi di circolare senza alcuna limitazione a discapito dell'utenza stradale ordinaria.
Il fatto di aver preferito il trasporto delle merci su gomma anziché su ferrovia (72% dei trasporti di cose e 90% delle mobilità di persone) - contrariamente a quanto avviene nei paesi esteri ad alto tenore di industrializzazione, dove il rapporto è esattamente l'opposto - oltre a fattori di insicurezza ha determinato un enorme spreco energetico e diseconomie, nonché l'accelerata usura del patrimonio stradale e la sempre maggiore immissione nell'habitat di enormi quantità di agenti inquinanti. Basti pensare che nel 1973 le merci trasportate su rotaia erano state di 56.258.000 tonnellate, mentre nel 1982 sono state di 49.289.000 tonnellate. E ciò nonostante l'aumento dei traffici commerciali.
In campo energetico i consumi relativi ai trasporti, aggiornati al 1982, danno per quelli su ferrovia 4.956.000 Kwh (equivalenti a 3.304.000 tonnellate di gasolio), mentre per i trasporti stradali danno 11.368.000 tonnellate di benzina e 9.460.000 di gasolio.
Per il prossimo futuro le previsioni dei piani di intervento della viabilità non sono certamente rassicuranti, visto che il governo ha stanziato la bellezza di 57.000 miliardi di lire per l'ampliamento della rete autostradale - la terza in ordine di importanza mondiale dopo USA e Germania Federale. Ciò costituisce una minaccia per la conservazione delle ultime zone ancora intatte e di parchi di notevole interesse paesaggistico o naturalistico.
Sempre nell'ambito di questo piano aberrante, con un finanziamento dell'ordine di 2.500 miliardi, si inserisce il progetto per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, opera assurda che significherà ulteriore sperpero di denaro e che sarà dl impossibile realizzazione visti i caratteri geologici e sismici dell'area interessata.
Ancora una volta lo stato che uccide, che disamministra, e che asseconda le mire della mafia e delle multinazionali ha mani libere di imporre, con il sostegno della cultura di regime, scelte improduttive destinate ad incrementare l'immagine di questo falso benessere in cui è immersa la società. Cerchiamo di impedirlo, finché siamo in tempo, finché ancora ci sarà qualcosa da salvare.


Sul ponte di Messina

Il Titanic aveva una stazza lorda di 46.328 tonnellate; misurava 268,83 metri di lunghezza e la larghezza massima era di 28 metri. La propulsione era data da motori a quadrupla espansione che azionavano le eliche laterali e da una turbina a bassa pressione che azionava l'elica centrale. Tutto quanto concerneva la nave era su scala gigantesca. Le caldaie, per esempio, erano così grandi "che vi sarebbe potuto passare all'interno due tram a due piani". L'ancora centrale pesava più di 15 tonnellate. L'enorme timone pesava più di 100 tonnellate ed era molto più lungo di un campo di cricket, l'elica centrale pesava 22 tonnellate, e ognuna di quelle laterali 38 tonnellate.
Il Titanic era il risultato della grande esperienza di una delle più importanti società armatoriali e di uno dei cantieri navali tra i più scientificamente agguerriti del mondo. Rappresentava tutto ciò che preveggenza e conoscenza potevano escogitare per renderlo immune da qualunque disastro.
Non a caso mi è venuto in mente leggendo del ponte sullo stretto di Messina. Si farà. Non sono d'accordo, innanzitutto perché è pretestuoso e demagogico affermare che il ponte servirà ai siciliani, quando sarebbe più utile potenziare e rendere più confortevole il trasporto ferroviario aereo e navale, risanare i centri storici dotandoli di reti idriche e fognarie efficienti, salvaguardare i beni culturali e le coste favorendo il turismo su un'isola non soffocata dal traffico. Forse gli interessi mafiosi si ridurrebbero se si orientasse tale spesa su necessità primarie? Ma questo è il segreto di Pulcinella.
Già lo chiamano il ponte dei miracoli: i progettisti garantiscono che resisterà ai terremoti più violenti, all'impatto di un Jumbo, a raffiche di vento da 300 chilometri all'ora. L'odore di miracolo mi mette all'erta così come ogni tentativo di circoscrivere la natura. Non voglio contraddire questi luminari su un piano tecnico. Mi irrita la loro certezza. E di fronte a tale certezza sottesa da un calcolo probabilistico che connette un elevato numero di variabili, migliaia di dati fagocitati dai computer, simulazioni in laboratorio e necessariamente approssimazioni, mi blocco, punto i piedi, mi ammanto di un medievale oscurantismo o forse mi illumino d'innata diffidenza nei confronti di una crescita mascherata da un progresso suicida.
Ma non fraintendetemi: il ponte, vanto del governo che lo vuole, si ergerà sullo stretto sfidando testate nucleari e radioattività; non è un suo possibile crollo che mi spaventa o scandalizza. San Francisco è in bilico su una voragine, ma non per questo smettono di costruirvi grattacieli.
Mi irrita questa sicurezza diffusa alla gente, la stessa sicurezza già radicata in ogni uomo che ci vuole padroni di una natura di cui possiamo solo essere parte.
La perdita del Titanic fu sicuramente un esempio tipico di orgoglio presuntuoso e arroganza. Il nuovo transatlantico era il più grande, il più sontuoso, il più splendido bastimento che avesse preso il mare. Un trionfo del cervello e della mano dell'uomo. Il vanto della Marina Mercantile Britannica, la nave "che Dio stesso non avrebbe potuto colare a picco".
Ogni anello nella catena di circostanze che condussero alla sua distruzione era, in un modo o nell'altro, attribuibile all'aver trascurato di tenere conto di questo fatto fondamentale: alcune antiche lezioni del mare erano state dimenticate e bisognava di nuovo impararle. Così disse il mare.

Massimo



A bolo 'bolo invece

Ecco invece una possibilità (ma basterebbe mettere in moto l'immaginazione per trovarne molte altre) di "pensare" anche il problema delle reti stradali in modo diverso. Ecco come l'anonimo autore di "Bolo Bolo" - una moderna utopia planetaria, purtroppo pubblicata solo in tedesco (P.M., Bolo 'Bolo, Verlag Paranoia City, Zurigo 1985) e francese - ha immaginato un nuovo assetto dei trasporti, delle strade, delle comunicazioni.
"Il sistema Bolo Bolo di trasporti e viaggi tende a eliminare i trasporti di massa, i movimenti pendolari e il turismo. La vita e il lavoro non sono più dispersi sul territorio. I mezzi di trasporto sono utilizzati soprattutto da chi ama viaggiare - poiché viaggiare è un piacere insostituibile - ma nella vita quotidiana la maggior parte delle attività si svolgono nelle rispettive comunità o quartieri per cui gli spostamenti si effettuano a piedi. Il quartiere è attrezzato per i pedoni con molti passaggi, ponti, arcate, colonnati, verande, logge, sentieri, piazze; poiché il traffico automobilistico è quasi inesistente i semafori non sono più necessari e quindi diminuiscono le cause dello stress. La bicicletta è il mezzo di trasporto ideale fino ai limiti della contea e per questo sono predisposte piste ciclabili ovunque. Nelle zone di montagna d'inverno gli ski possono sostituire la bicicletta. In campagna o in montagna gli animali possono essere utilissimi per i trasporti poiché il loro foraggio cresce ai bordi delle strade, ma i cavalli e muli possono essere utilizzati anche in città, soprattutto per trasporti da una abitazione all'altra o dal quartiere alla propria base agricola (...) Ma anche le biciclette, attrezzate con carrelli, possono servire per piccoli trasporti (...)
Il sistema stradale (che richiede una notevole quantità di lavoro di manutenzione e di materiale d'importazione) è ridotto ad una sola strada per ogni comunità. La maggior parte delle strade preesistenti sono state ridotte ad una sola corsia poiché il traffico automobilistico è lento e senza importanza: qualche camion (con motore a vapore, a biogas, a legna, a benzina), qualche autobus, ambulanze o vetture particolari per trasporti speciali.
Di alcune autostrade si sono conservati tratti di 200 chilometri che sono usati come piste da corsa: chi ama la velocità o il rischio può scegliere una vettura nei parchi-macchine situati ai due estremi dei tronconi (...) Per le lunghe distanze le contee e le regioni dispongono di una rete ferroviaria (a vapore, elettricità, carbone) lenta, poco frequente, e con fermate in tutte le stazioni, mentre chiatte e navi percorrono le acque e le coste (...)
A dispetto della relativa lentezza del traffico gli scambi planetari sono più intensi e generalizzati di quanto non fossero precedentemente, cioè al tempo del turismo di massa. Ora il turismo è stato rovesciato (...) e il pianeta è un vero museo antropologico in cui tutti vanno a trovare tutti".