Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 126
marzo 1985


Rivista Anarchica Online

Cari Tecchio e Ottoni, nemmeno io sono d'accordo con voi

Il titolo del servizio: "Partiti civili arrivati totali", pubblicato sul numero scorso della rivista, contiene un equivoco: gli intervistati non sono obiettori totali, anche se sono stati condannati a 12 mesi. Può sembrare una sottolineatura insignificante, ma invece è determinante per capire quanto dice Giancarlo a proposito della sua esperienza carceraria e dell'obiezione di coscienza in generale.
Giancarlo crede nella validità dell'obiezione totale solo a livello concettuale e quindi subisce passivamente la condizione attuale: magari vive in modo attivo quella di detenuto aspirante al servizio civile, con residue speranze che gli venga ancora accettata la relativa domanda, ma non è obiettore totale e dalla sua posizione non può cogliere gli aspetti positivi di questa forma di lotta.
Non li può cogliere perché è enorme la differenza fra chi, come me, ha rifiutato il servizio militare e civile con la convinzione della validità etica e politica di un gesto e chi, come lui, si trova improvvisamente a scoprire la faccia repressiva dello Stato, che fra i suoi codici ha anche una legge che consente di fare il servizio civile. Così l'esperienza che io ho affrontato e che lui subisce diventa "una stupida esperienza", mattonate sui coglioni, un anno inutile, nel migliore dei casi un gesto da eroi (e si sa che costoro hanno sempre avuto, giustamente, fama di imbecilli fra gli anarchici).
Non è diverso solo l'approccio alla lotta ma più in generale alla vita. Per Giancarlo c'era la fiducia/speranza che il militare fosse un problema che si sarebbe risolto da sé in qualche modo ed è diventato una realtà bruciante solo al momento della galera. Per me fu una realtà a 17 anni quando mi scoprii anarchico e decisi di trasferire questo modo di essere ideale alla vita concreta. Processo iniziato con una serie di azioni di rottura che ritenevo inevitabili: rifiuto della scuola, del militare come servizio di leva, della famiglia, del lavoro salariato, in una parola rifiuto dello Stato.
Non è una scelta facile, e ancora meno la scelta del male minore. È il voler vivere l'anarchia oggi in ogni azione, è il voler vivere liberi con la personale convinzione che la rivoluzione è innanzitutto questo.
Già, c'è però un piccolo problema: sulla strada di ogni rivoluzionario, di ogni uomo che si vuole libero c'è sempre stata la galera. Sembra fatta apposta!! È qui che si deve fare la scelta prima ancora che davanti a singole situazioni di lotta. Definirsi, proporsi, muoversi come anarchici significa, io credo, accettare il rischio, l'eventualità del carcere, della repressione più o meno feroce a seconda dei periodi storici.
Relativamente al servizio militare, bisogna decidere individualmente che atteggiamento tenere: o si accetta la teoria del male minore, lasciandosi passare addosso questa imposizione statale e allora la coscienza, l'orgoglio, l'indole personale ci consentono vari livelli di possibilità: fare "i numeri" alla visita ed in caserma, che vuol dire farsi passare per pazzi, drogati, omosessuali o che altro ancora; fare la domanda per il servizio civile sperando che gli "addetti" siano così buoni da accettarla; andare soldato cercando in qualche modo di imboscarsi, ammalarsi, ecc..., ovviamente facendo la "lotta in caserma" (che meriterebbe tutto un discorso a parte). Oppure c'è un'altra strada: fare di questo appuntamento un'occasione di lotta anarchica (dal momento che ci definiamo anarchici), non nascondendoci ma affrontando un'istituzione, che sembra incrollabile, su un terreno a noi favorevole.
Io cerco ogni giorno di strappare nuovi spazi di libertà ed un "sì", sotto qualunque forma fosse, al richiamo della cartolina era per me una sconfitta.
Il rifiuto deciso, completo, senza compromessi all'imposizione statale del servizio militare è l'azione coerente con quella nuova dimensione etica di cui, come anarchici, siamo portatori. Coerenza. Ma non la coerenza fine a se stessa, dogmatica, accecante, che ci porta a picchiare la testa contro il muro per assurda fedeltà ad un progetto ideale, concettuale. Un progetto teorico deve confrontarsi costantemente con la situazione storica, pratica ed attuale.
Trovo che non abbia molto senso dire "l'obiezione totale mi trova totalmente d'accordo a livello concettuale". A mio avviso una teoria non è valida di per sé ma nella misura in cui è proponibile come azione. Ho parlato all'inizio di validità etica e politica dell'obiezione totale (a proposito, ci vorrebbe un compagno con un po' di fantasia che trovi un termine adeguato per sostituire questa brutta definizione).
La validità politica, che del resto prescinde anche dall'essere anarchici e può interessare anche ogni convinto
antimilitarista non parolaio che vuole, come primo passo verso l'abolizione dell'esercito, l'abolizione del servizio di leva in nome della libertà individuale a decidere autonomamente di se stessi, è riassumibile in questi termini:
1) è una lotta non recuperabile in quanto implica una forte coscienza individuale (al contrario del servizio civile dove per gran parte delle domande è solo un atto formale e burocratico), non limitata al periodo di leva, ma che esce dagli schemi del sistema. Quindi un momento che cresca su questo terreno non può andare ad impantanarsi su leggi contenitore, perché, ottenuto un qualsiasi risultato, ha in sé la possibilità e le energie per inventare nuove situazioni di lotta. Possibilità negata a pacifismi vaghi che una volta caduti su un appuntamento di lotta (vedi installazione dei missili Nato) non hanno avuto la forza (né potevano averla dato che le premesse la precludevano) di riprendersi. Non è certo stata la brutalità repressiva dello stato ad affossare il Movimento per la Pace, ma la sua stessa impostazione istituzionale e legalitaria conteneva i germi dell'assopimento una volta smaltito per alcuni l'entusiasmo, per altri la Paura.
2) Denuncia la vera natura dell'esercito che non resta corpo separato, ma momento spettacolarmente culminante di una società militarizzata dai pori della pelle fino alle più interne budella. Un antimilitarismo che non vuole arenarsi su contraddizioni ingenue o posizioni demagogiche deve cogliere questo aspetto ed agire di conseguenza.
3) La repressione militare toglie la maschera allo stato che si veste di democrazia e pluralismo ma che deve ricorrere alle sbarre delle galere. E l'obiettore totale è certamente un prigioniero scomodo, che non si può gestire facilmente di fronte all'opinione pubblica, poiché viene duramente punito solo per le sue idee, la sua voce di libertà. Significativo è il tombale silenzio che i mass-media stendono sulla questione, non credo casualmente.
Se è vero che come anarchici abbiamo sempre riconosciuto il legame viscerale fra l'esercito e lo stato, se è vero che siamo ribelli e rivoluzionari perché ci vogliamo liberi ed auspichiamo una società senza stato, allora dobbiamo smetterla di chiamare "eroi" gli insubordinati e di dire che costoro scelgono la galera. Il carcere non piace a nessuno e tantomeno lo si sceglie: è solo la conseguenza di una lotta. Più un gesto, un'azione, una voce è pericolosa, dirompente perché colpisce gli organi vitali più le possibilità di finir dentro aumentano. Io non pretendo che ogni compagno alla sua ora faccia l'obiezione totale perché si possa dire anarchico e nemmeno diminuisce la mia stima per lui. Però mi sento offeso quando anarchici parlano di eroismo o di martirio o di scelta della galera.
Ognuno segua la strada che più ritiene opportuna o percorribile per le sue gambe ma con la consapevolezza dei propri limiti e senza chiamare rosso quel che è bianco. Sulle pagine di questa rivista è stata più volte puntualizzata la critica che gli anarchici muovono al servizio civile e non voglio ripetere ora cose che dovrei scrivere con la carta carbone per rispondere a Giancarlo a proposito dei fantomatici "spazi" di intervento col servizio civile (c'è addirittura chi trova spazi all'interno delle caserme...). E la risposta al fatto che il servizio civile non farebbe parte dell'organizzazione militare viene dalla condizione stessa di Giancarlo, ristretto in carcere militare, per l'appunto.
Secondo Ottoni "il servizio civile è uno spazio istituzionale non concesso ma conquistato dalla lotta e dal dolore degli obiettori che ci hanno preceduto, sta a noi utilizzarlo e stravolgerlo per i nostri fini e contro di loro". Io dico che non è stata una conquista, ma una sconfitta: un'invenzione del potere per recuperare, istituzionalizzandola, una lotta che si faceva insidiosa. Ed è stato il servizio civile ad utilizzare e stravolgere gli obiettori: il giro di vite imposto recentemente dal Ministero della Difesa è stato possibile perché il realismo della controparte ha portato a concentrarsi su obiettivi non scelti ma imposti. L'organizzazione statale moderna non è nata ieri e nemmeno si sta incertamente assestando. Viene da lontano, è solida, ramificata, cementa sempre più il suo dominio sull'uomo. Ed è terribile perché ha impregnato di sé tutta la società. È assurdo pensare di trovare fra le istituzioni spazi di libertà, ci sono solo spazi che risucchiano ed annientano.
Giancarlo (e gli altri nella stessa condizione) stanno sicuramente passando un brutto momento a causa della durezza del carcere militare, ma anche del fatto che non erano preparati psicologicamente al tutto. Si pensava ad una breve sosta, com'era ormai routine, ed ora la prospettiva di fare 12 mesi dentro trova completamente disarmati, senza la carica che sorregge l'obiettore totale.
Hanno bisogno di solidarietà. Bisogna rompere l'isolamento delle sbarre scrivendo ed inviando soldi (servono anche là...). Ma la solidarietà migliore è il rilancio dell'azione antimilitarista, l'impegno in prima persona, il dialogo, il dibattito, il confronto fra noi. Non credo alle grandi unioni/ammucchiate fra "tutte le componenti". Sono aperto al dibattito senza settarismi e presunzioni ma mi sembra che l'unico incontro possa essere sul terreno dell'azione diretta, della conquista della libertà, al di fuori delle istituzioni. Ma le istituzioni del movimento pacifista non hanno mai affrontato il nodo fondamentale della natura statale dell'esercito e dei meccanismi di potere. Censurano gli obiettori totali sui loro organi di informazione e quando sono trascinati sull'argomento si sciacquano la bocca con la fatidica parola "solidarietà, solidarietà... Amen". Non si occupano del problema carcere se non ora che ci sono quelli con le domande respinte ed osano stupirsene. Il carcere non esiste solo quando siamo dentro noi: esiste prima ed esiste dopo. Ed è giunta l'ora per molti (anche fra anarchici) di aprire gli occhi: l'obiezione totale non è una testimonianza per i posteri o un ammirevole eroismo. È un'indicazione precisa di lotta, uno sputo in faccia ai militari ed un invito ai rivoluzionari perché il rifiuto coordinato, di massa oserei dire, mette logicamente in crisi le strutture repressive con possibili risultati che lascio immaginare e costruire.
Forse due o tre anarchici all'anno in galera non intaccano l'apparato militar/statale, anche se servono a tener sveglie le coscienze ancora non affossate. Ma se l'obiezione totale rimane un fatto individuale non è perché tale la vogliono i suoi attuatori, bensì perché non viene raccolta e sostenuta. Un'azione di massa deve essere una somma di azioni individuali e perché diventi tale bisogna lasciare ai chierichetti le frasi di cortesia e la solidarietà "ideale". Certo dobbiamo uscire da slogan che troppo spesso rimangono fumosi discorsi. Servono fatti: propagandare ed appoggiare gli obiettori dentro e fuori il carcere, invitare alla diserzione, manifestare davanti alle carceri militari, bloccare ed impedire fisicamente azioni militari, e via di questo passo. Queste sono indicazioni precise, possibilità di intervento ma bisogna pagare un certo prezzo... Siamo disposti?

Mauro Zanoni (Carrara)