Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 115
dicembre 1983 - gennaio 1984


Rivista Anarchica Online

Gli ultimi mohicani
di Patrizio Biagi

La coda è lunga e avanza lentamente. Con un amico sto facendo la fila, per poter acquistare la tessera che mi permetterà di vedere una rassegna di films dal recente festival di Venezia.
Ad un certo punto il mio amico, ex FGCI., ex Servire il Popolo, ex AO, ex DP e ora «cane sciolto», dice: «L'altra sera ero a una cena di ex-combattenti... ». La mia risata sarcastica lo interrompe: «Adesso vi definite così?» «Certo» riprende con una certa autoironia. «Ci sono gli ex-combattenti delle guerre mondiali e ci sono gli ex-combattenti della 'guerra' del '68. Ma, ti stavo dicendo che ero a questa cena e a un certo punto qualcuno ha posto la domanda: 'Come si definisce ciascuno di noi oggi?' E c'era chi si definiva 'marxista critico', chi 'libertario'... » «Chi liberal...» ironizzo, suscitando la sua ilarità.
«E tu» mi domanda a questo punto «come ti definisci?». Lo guardo, sconcertato da una simile domanda e gli rispondo: «Lo sai qual è la mia 'parrocchia' e quindi sai come mi definisco». «E' una parrocchia un po' insulsa però!» «Bah! Nel grande oceano di insulsaggine che ci circonda...» concludo, con intenzione.
La nostra piccola schermaglia finisce qui, mentre prendiamo a parlare di altri argomenti. In seguito, però, la conversazione mi torna alla mente e tra gli altri pensieri fanno capolino alcune considerazioni su reduci, riflusso e altre questioni.
Provo quasi un sentimento di tenerezza nei confronti di questi 'ex', forse perché un tempo li ho mitizzati oltremodo, ora, invece, vedendoli così acquiescenti e inseriti, mi viene da scrollare tristemente il capo.
Nel chiuso della mia stanza mi scioglievo in ammirazione per costoro: «Loro sì che c'hanno i coglioni», stereotipo idiota per definire le persone in gamba o ritenute tali. E mentre arrancavo faticosamente sulla strada della mia evoluzione politico-personale, tentando di migliorarmi e di scrollarmi di dosso i miei luoghi comuni e le mie paure (operazione tuttora in corso), vedevo molti sfrecciarmi al fianco come meteore e scomparire all'orizzonte, lasciandomi indietro anni luce. Gli stessi che poi, nel mio lento procedere, ritrovavo e ritrovo seduti e scoppiati a lato della strada.
A parte coloro che, credendosi i più 'rivoluzionari' di tutti, hanno scelto quella che sembrava una scorciatoia, distruggendo la propria e le altrui vite, tentando poi di rifarsi una 'verginità' facendo gli infami e i baciaculo di quel famoso 'stato borghese' che 'si abbatte e non si cambia' (Peci docet), gli altri hanno cercato di trovarsi il loro 'posto al sole', magari facendo i galoppini sindacali, i quadri di partito, i manager d'industria o gli eurodeputati.
La rivoluzione dietro l'angolo.
Forse ci si era sbagliati di angolo e diventava troppo impegnativo mettersi a cercare il prossimo angolo e poi magari arrivati lì, ci si sarebbe accorti che bisognava cercare un nuovo angolo e per giunta la scuola era finita, quindi a mare le cagate, rimbocchiamoci le maniche e pensiamo a far carriera. Ed eccoli, dopo una giornata passata a correre dietro al capoufficio (non si sa mai!!), tornare a casa, faccia grigia, da moglie e figli che hanno facce più grigie di loro, sentendosi magari arrivati e realizzati.
Li si può ritrovare ai concerti di Guccini, vestiti ancora in stile 'freak', unica cosa rimastagli dei 'gloriosi' tempi andati. Sorridono nel vederti, in fondo gli ricordi il loro passato, ma il sorriso è anche di scherno. Ora loro si sentono 'cresciuti', sono 'realisti', magari ti lanciano una battuta che nelle intenzioni vorrebbe essere ironica, ma in realtà risulta penosa come loro: «Toh! esistete ancora?» Ti verrebbe voglia di rispondere: «Sì, esistiamo ancora!! Solo gli 'zombies' come voi non esistono più», ma poi lasci perdere, a che servirebbe. E, tristemente, osservi queste larve di ex'rivoluzionari' allontanarsi.
Rivoluzionari! Altro stereotipo che, usato e abusato in mille occasioni e sempre a sproposito, vorrebbe dire tutto, ma in realtà non dice niente. Secondo il mio modo di vedere, si è rivoluzionari quando si è inseriti in un processo rivoluzionario e non quando si sogna di fare la rivoluzione. Come epitaffio per questi reduci, si potrebbero usare le parole di quella canzone di Jannacci: «...e io c 'ho la macchina, c'ho un bel mestiere ... c'ho la casa al terzo piano ... » (magari in uno stabile di via Dogana) «...cosa interessa a me della mia libertà ... » (e di quella altrui!).
Accanto a questi reduci di sessantottesca memoria, esiste un altro tipo di reduce: quello che ha fatto il '77- '78-'79 e che dall'ottanta in poi si è 'fatto' e basta.
Un amico, che faceva riferimento alla cosiddetta area dell'autonomia, per provocarmi, diceva spesso: «Voi siete solo capaci di farvi seghe mentali nei circoli». A parte il fatto che la differenza tra il farsi seghe mentali nei circoli e farsi seghe mentali con una P38 in mano, sta solo nella diversa tragicità delle due cose, si è vista la fine miserabile che hanno fatto in seguito molti di questi 'ultralottaioli'. Infatti, finita l'autoeccitazione, il mio 'censore', come molti altri, è finito piuttosto squallidamente, passando le sue giornate a intercalare qualche 'canna' alle numerose 'piste' di coca che regolarmente 'sniffa'.
Non pensate che stia facendo del moralismo filisteo: ognuno è libero di fare ciò che vuole e di vivere come più gli aggrada, con l'unica discriminante di non rompere i coglioni agli altri. Qualcuno forse potrebbe tirare l'errata conclusione che, visto che non ho vissuto direttamente questi due periodi, provo un senso di astio e di invidia nei confronti di chi li ha vissuti.
Salvando quello che di buono hanno prodotto questi due periodi della nostra storia, non provo nessun rammarico per non averli vissuti. Se avessi la possibilità di tornare indietro nel tempo, il mio temperamento romantico mi porterebbe a farmi impiombare come una quaglia dai versagliesi, sulle barricate della Comune, piuttosto che a farmi aprire il cranio a manganellate dai celerini.
«...parrocchia un po' insulsa...», questa frase rieccheggia nella mia mente. No, non siamo insulsi, abbiamo mille difetti, ma non siamo insulsi. Certo, molte volte emaniamo un odore stantio, rimastichiamo cose trite e ritrite, siamo obsoleti: ma non insulsi. Dovremmo essere antiideologici ma il più delle volte ragioniamo in modo schematico, dovremmo essere contro le chiese ma abbiamo in noi lo stesso spirito missionario, convertire e sacrificarsi per l'Idea (ma l'anarchia è libertà non l'idea di libertà), dovremmo essere antireligiosi, antidogmatici, contro tutti i simboli e invece siamo fideisti, guardiamo con sospetto il diverso da noi e amiamo adornarci con i simboli e con i 'sacri' colori dell'anarchia.
Ci attacchiamo al petto, come fossero medaglie di qualche campagna militare, le nostre brave patacche, magari con l'aria di voler dire: «Chi non ha la patacca è solo una volgare imitazione» (parafrasi della demenziale pubblicità di una banana, distribuita sul mercato internazionale dalla tristemente famosa United Fruit, quella che, assieme all'ITT e ad altri 'trust' nordamericani, sovvenzionò il golpe del boia Pinochet).
Non sto proponendo la distruzione dei nostri simboli. Nel gran puttanaio delle manifestazioni pubbliche, la nostra bandiera lancia un chiaro messaggio: «Ci siamo anche noi: ma non siamo con voi».
Ma l'anarchia è, prima di tutto, una filosofia di vita, una tensione continua a modificarsi, a crescere e a migliorarsi, non è, quindi, solo una cosa di 'testa' ma anche una cosa di 'cuore'. Non si può essere anarchici perché ci si veste in un determinato modo o perché si hanno addosso certi simboli, quando poi si è morti dentro.
Ma nonostante tutti i nostri orpelli che ci fanno assomigliare al circo Barnum, siamo rimasti tra i pochi ancora in piedi. Non vogliamo finire come quelli che si sono adagiati mollemente sugli allori: «Noi abbiamo fatto il '68», quasi a volerci dire che loro sono a posto con la coscienza.
Ed è per non cedere alla disperazione e alla desolazione che ci circondano che, forse con un po' di retorica ma senza alcun trionfalismo, ci ritorna alla mente quella esortazione nata in una dolce e lontana primaverafrancese: «...continuons le combat!».