Rivista Anarchica Online





Salute pubblica/Responsabilità e virtù del dissenso

Nel 1965 Don Milani rispose ai cappellani militari toscani che avevano sottoscritto un comunicato contro l'obiezione di coscienza. Nel suo scritto, Don Milani metteva in dubbio il valore dell'obbedienza ad ogni costo.
Ritengo che in epoca di Covid-19 il tema vada riproposto con particolare intensità in merito alla chiusura indefinita delle scuole, all'avvio delle lezioni online, il confinamento dei minori nelle case. Quando un virus scappa al controllo sanitario, restano poche scelte: quarantena, isolamento, chiusura delle attività non necessarie (mi risulta però che le fabbriche di armi abbiano continuato a lavorare...) alla sopravvivenza delle persone.
Queste le restrizioni “civili” – immagino che ce ne siano anche di meno civili, ma a queste non siamo giunti, anche se per un attimo ho pensato, e non solo io, che si arrivasse a cataste di morti in fosse comuni e, perché no, all'abbattimento in strada di qualche presunto “untore” e, fra l'altro, il terrorismo psicologico al quale siamo stati sottoposti in particolare in prossimità del 4 maggio, non è stato molto diverso dall'invito esplicito alla delazione del vicino...
La chiusura delle scuole appartiene al campo della scelta civile o incivile? Me lo chiedo sia come genitore di 3 figli in età scolastica, che come psicoterapeuta che ha in cura circa una dozzina di bambini e ragazzi dai 5 ai 15 anni.
La chiusura delle scuole è stata una scelta emergenziale inevitabile, utile per impedire gli assembramenti dei genitori, dei nonni, il traffico, e quant'altro. Ma poteva essere gestita diversamente, naturalmente non nel migliore dei mondi possibili, ma almeno in questa nostra realtà?
Forse no, ma il punto non è questo.
Ai minori, quale spiegazione è stata data, quale grado coinvolgimento nella scelta è stato attuato? La priorità è stata riassunta nello slogan che ci perseguita dalla crisi economica del 2008: “Non lasceremo nessuno indietro”, come se chi ci governa non sapesse – e forse non lo sa davvero, ma in questo caso si tratta di colpevole incompetenza – che l'Italia è un paese ad alto tasso di disomogeneità, persino all'interno del medesimo condominio.
All'insegna di questo slogan, ci si è buttati collettivamente a capofitto nell'avvio della scuola online, scaraventata dentro le famiglie, in alcune delle quali probabilmente era in corso un dramma ben peggiore – senz'altro qui in Lombardia – come la malattia di nonni e non infrequentemente di genitori, perdita del lavoro, preoccupazioni crescenti.
L'importante è stato andare avanti comunque, seguire i programmi, partendo però da un equivoco di fondo: la scuola a casa non è sostitutiva della scuola in classe, ma alternativa. E un'alternativa da usare con estrema delicatezza. Lo sottolineo perché, riaccogliendo in studio nel mese di aprile e di inizio maggio quasi tutti i miei piccoli e meno piccoli pazienti, ho trovato spaesamento, mutismo, paura e senso di colpa.
Paura per il contagio, paura generata e amplificata dalla pessima qualità dell'informazione di massa, vera tortura emotiva, confusiva, altamente strategica nell'esercitare il controllo dei comportamenti dei cittadini – nei più, la confusione e l'incertezza, per non dire del doppio vincolo di messaggi contradditori, generano il blocco delle azioni e in pochi l'impulso al rischio e alla ribellione di fronte alle restrizioni.
Soltanto ora si sente qualcuno dire che “la scuola è un diritto dei bambini” – l'Ordine degli Psicologi lombardo non ha espresso alcun dissenso, nessuna critica in merito, si è limitato a fornire indicazioni su come svolgere le terapie online, i supporti via telefono...
Insomma, obbedienza senza dissenso, e mi pare che le mascherine, metaforicamente, siano dispositivi di protezione da una parte, di autocensura dall'altra.
Ai bambini, bisognava risparmiare tutto questo, piuttosto che trasformarli in ulteriore fetta di mercato del disagio psichico. Non è stato fatto nulla, anzi. Come spesso accade nelle società opulente ma ingiuste, ricche ma generatrici di miseria, gli “improduttivi” vengono sacrificati: gli anziani nelle RSA, i bambini ai quali viene imposto di imparare comunque stando a casa.
Vedremo l'effetto di tutto questo non tanto a settembre ma negli anni futuri, auspicando che i “professionisti” abbiano il coraggio civile di pensare meno al mercato del disagio e più alla costruzione, meglio, ricostruzione di una società giusta ed equa.
“Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini, né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto” – Don Milani.
Nel nostro caso attuale, obbediamo perché responsabilmente riconosciamo la priorità della salute pubblica, ma proprio perché responsabili, esercitiamo la virtù del dissenso.

Marco Oberti
Bergamo

Società globale/Le armi del dominio tecnologico

Oggi, l'anno 2020 in cui scrivo, è già stato ribattezzato l'anno della pandemia da coronavirus, l'anno dell'emergenza sanitaria globale, della chiusura e del distanziamento sociale, l'anno in cui le tecnologie comunicative digitali hanno preso il posto dei rapporti umani diretti. Proprio questo processo storico che ormai da almeno due decenni ci sta portando verso la progressiva sostituzione della realtà vissuta con un suo surrogato, denominato infatti realtà virtuale, merita gli approfondimenti del caso, correndo il rischio che gli stessi possano venire sminuiti, censurati, o irrisi, data l'attuale pervasività e mitizzazione del così detto “progresso umano”.
La tecnologia è neutra, tutto dipende da come la si usa. Quante volte me lo sono sentito ripetere, come una frase fatta, un'ovvietà assoluta, quasi un pater nostrum, un mantra. A dire il vero lo si diceva già alla fine della seconda guerra mondiale, come a placare i drammatici, orridi dubbi emersi dopo Hiroshima e Nagasaki. La scissione nucleare era una epocale scoperta scientifica, di per sé né buona né cattiva, appunto neutra, in quanto poteva essere utile anche a scopi civili, come la salute collettiva e il miglioramento delle condizioni di vita. Benché anche al di fuori dell'utilizzo militare ci siano stati i disastri di Three Mile Island (USA) Chernobyl (URSS-Ukraina) e Fukushima (Giappone) e soprattutto l'irrisolto e, forse, irrisolvibile problema delle scorie radioattive, poco ha comunque inciso sul mito di una scienza (e della sua applicazione tecnologica) neutrale, che ancora ci portiamo sulle spalle e nella testa. Questa presunta imparzialità del mezzo ci permette di amare i suoi bonus e dimenticare o, ancor peggio, nascondere i suoi crimini. Ovvero non sappiamo e abbiamo paura di rinunciare ai suoi vantaggi e alle sue lusinghe, al punto da rimuovere il male che ci arreca. E se il Luddismo, sul finire del Settecento, si proponeva la distruzione delle macchine che rubavano il lavoro umano artigianale, oggi siamo talmente pervasi da macchinari estremamente più sofisticati e precisi che perfino i nostri appelli per un mondo meno meccanico e più naturale non possono che passare dalla tastiera di un computer. Ci hanno incastrato? O ci siamo incastrati da soli?
Facciamo un altro salto indietro nella Storia, al Sedicesimo secolo dello scorso millennio, quando Etienne De La Boétie, filosofo, poeta e umanista (1530-1563) pubblicava il suo La servitù volontaria. La Boétie lanciava la sua accusa agli uomini e ai popoli, rei di non ricercare la libertà ma d'essere più inclini alla servitù: “Chi vi domina in tal misura ha soltanto due occhi, ha soltanto due mani, ha soltanto un corpo, e non ha nulla in più dell'ultimo uomo del grande e infinito numero delle vostre città, tranne il privilegio che voi gli concedete per distruggervi. Dove mai prenderebbe i tanti occhi con cui vi spia, se non foste voi a fornirglieli? Come disporrebbe mai di tante mani per colpirvi, se non le prendesse da voi? (...) Cosa potrebbe mai farvi, se voi non foste ricettatori del bandito che vi deruba, complici dell'assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?”
Dando ascolto a La Boétie dovremmo convenire che ci siamo incastrati da soli. Questo vale naturalmente in linea di principio, ma possiamo convenire sul fatto che i sudditi, ovvero la stragrande maggioranza delle persone, vantino delle attenuanti, in questo surreale e fantasmagorico processo che li vede imputati di tradimento verso se stessi. Queste attenuanti si situano, in larga misura, nell'area dell'educazione, dell'informazione, della pubblicità: in una parola, della cultura.

La pretesa neutralità del mezzo

Nei primi due decenni del terzo millennio si è verificata un'accelerazione senza precedenti dell'intrusione della tecnologia digitale nella vita delle persone, proprio mentre l'apporto della filosofia perdeva spazio, con la crisi delle ideologie socialiste e, più in generale, delle istanze laiche e umaniste. Anche le religioni perdevano buona parte del loro impatto spirituale ed esistenziale, per ridursi a consuetudine di riti e dogmi. Solo le religioni più secolarizzate e politiche, come nel caso dell'Islam radicalizzato, potevano crescere. Le tecnologie promettevano ipotetici paradisi a portata di mano e un narcisismo consumistico pronto ad usurpare non solo il misticismo religioso, ma anche il materialismo comunista, nonché l'idealismo liberale. Non è certo un caso che il Partito Comunista Cinese sia diventato l'archetipo di una nuova società capitalista ad alto controllo tecnologico del popolo. Addirittura un esempio per tutti su come ci si deve muovere davanti a una pandemia. Uno dei numerosi paradossi della Storia, se si pensa alle origini, autogestionarie e libertarie, degli ideali comunistici. D'altra parte lo diceva in modo preveggente Aldus Huxley nel Mondo Nuovo e nel Ritorno al mondo nuovo, nei terribili anni Trenta e Quaranta del secolo passato: davanti ad un progresso scientifico e tecnologico gestito dal potere di pochi, dovremo riprendere a lottare per le libertà fondamentali. Perché sempre più si creano nuove discriminazioni fra chi può accedere ad opportunità e servizi attraverso le reti telematiche e chi non può avervi accesso, per motivi economici, culturali, o molto raramente di scelta personale. Gli Stati dotati di costituzioni democratiche non legiferano in materia, aspettando che la consuetudine detti le proprie regole, cioè che i pesci abbocchino all'amo, o che i servi, illusi e invasati, accolgano le nuove sbarre come un privilegio.
Internet, la rete che ci permette di metterci in comunicazione a distanza in istantanea, non è neutra: è stata costruita già a cavallo tra gli anni Cinquanta e i Sessanta del Novecento da scienziati al servizio del Pentagono, per scopi militari. Ciò nonostante, per molti anni e più o meno fino ad oggi, c'è stato un gran fiorire di illusorie neo-ideologie che ne cantavano e cantano la presunta natura democratica, o perfino libertaria. Oggi sempre più persone sanno degli enormi profitti che le grandi aziende planetarie che gestiscono il web incamerano, grazie alla cessione dei nostri diritti sulla privatezza della nostra sfera personale.
Allora diciamolo chiaro: la pretesa neutralità del mezzo è, ripensando Macchiavelli, solo la ricetta per inquinare il fine. Dobbiamo smetterla, nel pensiero politico e nel pensiero lato, di rimanere nell'astratto. Il detto “dipende come si usa” non vale più, non è concreto e sembra sempre più una scusa. Nessuna scelta è davvero neutra e le nuove tecnologie sembrano fatte apposta per sancire il nostro allontanamento dall'equilibrio naturale, da noi stessi alterato. Questo, secondo il mio sentire, è il punto fondamentale. La scienza ha perso il suo primigenio scopo: l'osservazione, la conoscenza di quello che c'è, per giungere alla manipolazione e all'alterazione della natura. È quindi sostanzialmente, eccetto poche mosche bianche, orientata a sostenere l'economia della depredazione delle risorse, a distruggere equilibri vitali per l'ecosistema. La sua neutralità è un assioma astratto, antistorico. Ancor di più le tecnologie, in quanto applicazione delle scoperte scientifiche sulla vita quotidiana che, entrate come qualcosa in più per noi, si stanno rivelando il cavallo di Troia per la definitiva manipolazione delle menti e delle emozioni dei sudditi. Il rischio più grande della pandemia da coronavirus è quello che i poteri economici forti cerchino di dare una maggiore stretta sul controllo della popolazione, approfittando dell'emergenza e dello stato eccezionale. Il fatto che una grande maggioranza degli umani sulla Terra, come i servi de La Boétie, abbia dato di volta in volta il loro ok, o il loro “mi piace” alle nuove tecnologie, favorisce sicuramente questo progetto, molto e molto più che orwelliano, di controllo planetario.
Qualunque tecnica, compresa quella della scrittura, ha i suoi scotti sociali ed ecologici da pagare. Gli Scribi erano una casta a sé nell'antico Egitto e, nel Medioevo, tanto a lungo la scrittura amanuense restò riservata a pochi e così in seguito fu la Chiesa e poche caste laiche ad averne il monopolio. Oggi che, bene o male, quasi tutti al mondo sanno scrivere il proprio nome e cognome e qualche riga c'era bisogno di creare nuovi codici tecnologici, per ricominciare a creare distanza fra i potenti e i sudditi. Ma poiché questi ultimi, o almeno una parte di loro, non fossero portati ad opporsi come davanti ad una oppressione, hanno fatto in modo che potesse piacergli. Così negli anni Novanta sono passato anch'io (tardivo e renitente) dalla macchina da scrivere alla tastiera del computer. Così quando l'avevano già fatto quasi tutti ho preso anch'io, come per costrizione sociale, il telefono cellulare. Nel 2018 mi hanno regalato lo smartphone, un ospite ingombrante, con i suoi gruppi whatsapp, con cui conflittualmente convivo. Poi addirittura come insegnante, pur essendomi opposto per due anni al registro elettronico, mi sono trovato costretto per motivi squisitamente umanitari, ad usare il computer di casa e le piattaforme sulla rete per mantenere un contatto non tanto educativo, quanto affettivo con i bambini. Eppure c'è già chi sulla Didattica a distanza sta lucrando e vorrebbe continuare e accelerare.
Così continueranno a dire che la tecnologia è progresso e che sta a noi, i servi volontari, la facoltà di usarla bene. E se metti in evidenza che il così detto progresso non ha modificato granché i rapporti fra le persone e fra i popoli, basati in modo strutturale sulla violenza, la sopraffazione, lo sfruttamento, la segregazione, ti risponderanno che questo dipende solo dagli uomini e non dagli strumenti che si sono dati. Come se questi ultimi non fossero frutto di scelte storiche, dettate dai rapporti sociali gerarchici e dalla cultura del distanziamento dell'uomo dai processi naturali e della predazione dell'ambiente della Terra. Ci spieghino altrimenti come mai il progresso si sia concentrato sulla violenza. Che qualcosa di buono sia poi arrivato, come migliori cure per certe malattie, maggiori capacità di conservazione degli alimenti, facilitazione e velocizzazione degli spostamenti, alcune comodità, non pregiudica l'indirizzo generale del progresso tecnico-scientifico, oggi più che mai in mano al potere di pochi. Anzi, sono molto spesso gli stessi aspetti positivi e desiderabili a farci digerire tutti gli altri, contribuendo alla mitizzazione di tutto quanto appaia “innovativo”.
Il problema non è quindi come usare le tecnologie a disposizione, bensì quello di scegliere solo le tecnologie appropriate ad una convivenza pacifica e creativa fra gli esseri, nel contesto imprescindibile degli ecosistemi in cui vivono. Ma la massificazione dei consumi, attraverso la pubblicità e l'emulazione, rendono sempre più difficili, perfino rischiose, le scelte individuali contro corrente, contrastate e censurate non solo dai vertici del sistema di dominio, ma in primo luogo da quanti (una larga maggioranza della popolazione) ne hanno introiettato i principi e le consuetudini.
Ciò nonostante e per quanto su esposto, le istanze di cambiamento strutturale delle società umane verso un equilibrio vitale e una equivalenza solidale non possono che passare attraverso le scelte degli individui e, ancor più, dalla libera associazione degli stessi. Solo così si potranno smitizzare gli idoli della modernità e ripudiare le tecnologie invasive e predatorie, privilegiando quelle dolci, sostenibili e direttamente controllabili.

Carlo Bellisai
Capoterra (Ca)









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