A
volte l'abito fa il monaco. Viene da pensarlo guardando la copertina
del n. 113 (ottobre 1983), in cui i due giovani
rappresentati si caratterizzano esclusivamente tramite il loro
abbigliamento: un punk e un militante anarchico, diciamo così,
più “tradizionale”. Entrambi anarchici, forse
con qualche problema di comunicazione tra di loro – se
si interpretano i fonemi loro attribuiti, limitati alle prime
due vocali della lingua italiana. La riproduzione della copertina,
qui accanto, aiuta a capire.
All'interno, una lunga intervista firmata da un redattore ma
in realtà realizzata nel corso di una chiacchierata collettiva,
all'interno del Virus, lo spazio occupato a Milano, in via Correggio,
uno dei luoghi più noti e frequentati del mondo alternativo
europeo di quegli anni. Un nome che oggi ha ben altra “consistenza”
e che allora indicava la volontà di “contagiare”
la società del benessere, della normalità e del
perbenismo con le idee e le pratiche di chi sceglieva di stare
ai margini e contro.
“Erano presenti i punx anarchici del Virus – si
legge nella presentazione del numero – ma anche altre/i
punx anarchici provenienti dalla Lombardia, dal Piemonte, dalla
Liguria, dall'Emilia, dalla Toscana.” E in effetti la
chiacchierata, lo scambio di opinioni, il giro all'interno degli
spazi collettivi del Virus, le ore trascorse insieme, testimoniano
la volontà di comprendersi a partire da una comune identificazione
con la parola “anarchia” e al contempo dalla coscienza
delle mille possibilità di declinarla – che è
sempre stata e permane una ricchezza e un pregio del nostro
movimento, al contempo una causa, spesso, di difficoltà
di relazioni e di convivenza.
Vanno (ri)lette, queste pagine di “A”, alla luce
di quell'epoca, successiva al '68 e al '77, già tutta
dentro e “contro” gli anni del craxismo, della famosa
Milano da bere. E anche della sensibilità di persone,
gruppi, collettivi che si interfacciavano con stili violenti
e pratiche nonviolente, animalismo e antimilitarismo e tanta
musica – europea e mondiale – vissuta come travolgente
e sovversiva, dalla pratica del “pogare” (il loro
stile molto “fisico” di dimenare i corpi) ai testi
dei Crass: un loro disegno campeggerà più avanti
in una copertina assolutamente punk di “A”.
In un box di una pagina all'interno, viene pubblicata una forte
dichiarazione di “obiezione totale” al servizio
militare e al militarismo di Adriano Belingheri, punk anarchico
del Virus. Sono gli anni in cui nasce “Senzapatria”,
giornale antimilitarista anarchico e libertario, voce di critica
forte e puntuale al militarismo. Gli anni di Comiso e delle
lotte – non solo lì, in Sicilia – contro
gli apparati “difensivi” militari. Un grande fermento
che su “A”, pubblicazione diversa dalle fanzine
dei punx, trova espressione, attenzione, confronto. Una bella
pagina.
Interessante – se n'è riparlato recentemente su
“A” – un'analisi critica della figura e del
pensiero dell'indiano Gandhi, sviluppata da Monica Giorgi, alla
luce di un possibile confronto, in parte, con l'anarchismo.
“A Gandhi è mancato – conclude Giorgi –
quella che nell'anarchismo è dimensione determinante
e fondamentale: l'irriducibile affermazione della libertà
individuale contro la prepotenza storica e quotidiana delle
forme istituzionali.”
Alcuni altri temi presenti sul numero: la situazione delle lotte
operaie (ne riferisce il Nucleo anarchico di Cesano Maderno,
a nord di Milano); i rischi di guerra dopo l'abbattimento di
un aereo coreano (Maria Teresa Romiti, redattrice), la situazione
delle donne (“Quanti cammelli vale una donna?” si
chiede Tiziana Ferrero, stretta collaboratrice), alcune ultime
uscite dell'editoria anarchica internazionale, la situazione
(e i golpe) in America Latina, cinema, arte, cinque lettere
e altro ancora.
Come parte storica, segnaliamo le dieci pagine sulla figura
e l'opera dell'anarchico romagnolo Armando Borghi, con scritti
di Gianpiero Landi, Maurizio Antonoli e Nico Berti. Anche questo,
un tema recentemente riproposto sulle nostre pagine. 37 anni
dopo, appunto.
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