Rivista Anarchica Online





“Non c'è pace senza giustizia”

Il nome di George Floyd, ucciso da un poliziotto a Minneapolis, si aggiunge al lungo elenco di arresti di afroamericani finiti in tragedia. Dalle proteste, che hanno sfidato il coprifuoco e le violenze della polizia, sono nate proposte e progetti concreti. Come CHAZ, la comune di Seattle.


Gli squadristi li hai richiamati
Gli antifascisti li hai messi in galera
(Nuto Revelli e altri, La Badoglieide, 1944)

Giù in piazza una donna ha afferrato il megafono e ha cominciato a scandire la cantilena di questi tempi agitati: “Non c'è pace senza giustizia”1, subito seguita dal coro degli altri, attorno a lei. Le voci arrivano forti quassù, fanno vibrare i vetri del salotto. Il piccolo corteo si rimette in moto al ritmo dello slogan, indifferente alla dozzina di macchine della polizia che seguono dappresso. Facciamo in tempo a scendere e accodarci, non possiamo farne a meno, c'è solo la strada su cui contare; in casa ti allontani dalla vita, dalla lotta, dal dolore, com'è stato in questi mesi di pandemia.

New York (USA), Frederick Douglass Circle, nei pressi di Harlem -
Manifestazione Black Lives Matter

Alla caccia di pretesti

Il Presidente, invece, resta chiuso nel suo fortino. Osserva il giardino da dietro i vetri appannati della sala ovale e compone con rabbia l'ennesimo tweet. Minaccia. Chiede a gran voce che ordine e legalità vengano ristabiliti, ma è vittima inconsapevole delle sue stesse contraddizioni: appena poche settimane prima fomentava i cittadini a ribellarsi contro le chiusure decise dai governatori per arginare l'epidemia; esaltava come liberatori l'accozzaglia di esagitati che manifestavano in armi occupando gli atri dei palazzi del potere, senza che la polizia intervenisse a disperdere gli assembramenti o almeno a sequestrare mitra e fucili.
Una tarda serata di inizio giugno mi sono addormentato col coprifuoco. Dopo giorni di strepiti vitali, quella notte regnava una calma inquietante, oppressiva, un silenzio mai sentito nemmeno durante la serrata della pandemia. Per una settimana intera sono stato costretto in casa dalle otto di sera2, intrappolato dall'autorità costituita in questo soffocante appartamento con le finestre affacciate proprio sulla piazza dedicata a un grande intellettuale afroamericano che dedicò la vita alla lotta per la libertà3. La polizia pattugliava, transitando lungo la rotatoria, e mi pareva una volgare contraddizione: la stessa autorità responsabile dei fatti che avevano portato al coprifuoco era messa a guardia della sua esecuzione. Eppure i pericolosi erano loro, che avevano ucciso, malmenato, terrorizzato; loro semmai avrebbero dovuto restare al chiuso.
Il coprifuoco è stata la prima vera novità in tutta questa storia. Negli avvenimenti che avevano portato a quel drastico provvedimento, invece, non c'era nulla di nuovo: la morte di George Floyd, a Minneapolis, per mano della polizia, non è andata che ad aggiungersi al lungo elenco degli arresti di afroamericani finiti in tragedia e già non è più l'ultima, già si aggira per gli Stati Uniti lo spettro di Rayshard Brooks, ventisettenne nero assassinato dalla polizia ad Atlanta, in Georgia, con due colpi alla schiena.
Floyd era stato fermato per aver tentato di pagare una consumazione con una banconota contraffatta; Brooks, che forse aveva bevuto un po' troppo, era stato trovato addormentato nel suo veicolo nel drive-in di un fast food. Sono morti per futili motivi, in un paese dove la polizia scava nelle minuzie del codice penale a caccia di pretesti per arrestare e schedare la povera gente.

Qui e nelle foto seguenti: New York (USA), Frederick Douglass Circle, nei pressi di Harlem -
Alcuni momenti delle manifestazioni Black Lives Matter organizzate lo scorso giugno

Novanta omicidi al mese

Ordine e legalità”, twitta e tuona il Presidente, e invoca l'esercito per sedare i rivoltosi. Taccia di codardia chi si inginocchia in pubblico per ricordare la morte di Floyd, ma poi guarda solitario le pareti di cemento del suo bunker privato, nella Casa Bianca, diventato la zattera di un naufrago. Accusa la galassia antifascista di soffiare sul fuoco della ribellione e minaccia di mettere tutti nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Non era mai accaduto che un presidente attaccasse gli antifascisti.
Per ammazzare Floyd ci sono voluti quasi 9 minuti, un'eternità. Il suo torturatore, inginocchiato sul collo della vittima, teneva una mano in tasca e guardava con espressione beffarda i passanti che lo imploravano di smetterla. Mi chiedo cosa gli passasse per la testa durante tutto quel tempo e se ascoltasse con soddisfazione le flebili implorazioni dell'uomo disteso sotto di lui. Parole sfuggite in un soffio, denuncia involontaria della follia umana. Qualcuno le ha trascritte come fossero una poesia. Qualcun altro le ha fatte volare nel cielo di New York, proprio sopra alla Statua della Libertà.
Ogni mese negli USA muoiono in media novanta cittadini per mano della polizia. Pochi giorni prima era toccato a Breonna Taylor, ventiseienne afroamericana del Kentucky, operatrice sanitaria crivellata di colpi nella sua abitazione, scambiata per la casa di uno spacciatore.
A New York la morte di Floyd ha subito fatto riaffiorare il ricordo di Eric Garner, morto nel luglio 2014, anche lui ucciso dalla polizia con una tecnica di soffocamento. Accusato di vendere sigarette senza permesso, Garner spirò su un marciapiede di questa civile e moderna metropoli dopo aver pronunciato per undici volte le stesse parole sfuggite dalla bocca di Floyd: “I can't breathe”, non riesco a respirare. Cinque mesi più tardi l'archiviazione dell'inchiesta fece esplodere la protesta. Gli slogan che oggi ritmano il passo dei cortei sono gli stessi di allora e non servirono a fare giustizia, anzi, l'assassino ha continuato per anni a pattugliare le strade su quei SUV sui cui campeggia, come per ironia, il motto della polizia di New York: “Cortesia, professionalità, rispetto“. Gli stessi veicoli con cui, il due giugno, è stato travolto di proposito un corteo, mettendo in pericolo la vita di decine di manifestanti.
Nella mia testa il coprifuoco è roba da regime. È pur vero che ci sono state vetrine rotte e negozi saccheggiati. Alle volte sono stati i manifestanti, pieni di sacro furore; più spesso è stata opera di provocatori o di comuni malintenzionati che ne hanno approfittato. In ogni caso alcune violenze sono state alimentate dalla risposta brutale delle forze dell'ordine alle prime, sacrosante proteste di cittadini indignati. Scioccanti filmati postati in rete mostrano pestaggi violentissimi, arresti immotivati e brutali, pacifici manifestanti presi letteralmente d'assalto. Non si ha notizia invece di poliziotti feriti: la violenza contro le persone è venuta tutta dai corpi di polizia, che qui rassomigliano ormai sempre di più ad eserciti di mercenari armati fino ai denti, vestigia del passato attrezzati con le armi del futuro, corpi totalmente esteanei al tessuto sociale e civile delle città che presidiano.
Ho provato la rabbia di vivere col coprifuoco nel Cile fascista di Pinochet e mai avrei immaginato di rivivere la stessa umiliazione, oltre trent'anni dopo, migliaia di miglia a nord di Santiago, nella città dove la Statua della Libertà abbraccia il mondo.
Nemmeno nei giorni più duri della pandemia, quando a New York si moriva come mosche e anche l'aria sembrava appestata, nemmeno allora è stato imposto di chiudersi dentro casa. Negozi serrati, scuole chiuse, mascherine, distanziamento: tutto questo è stato fatto, ma non c'è mai stata la proibizione di uscire, passeggiare, correre, andare nei parchi, incontrarsi con gli amici.
Stay home, save lives (stai a casa, salva delle vite) è stato un appello, mai un'imposizione. Non il Covid-19, ma i negozi saccheggiati hanno fatto la differenza, suggerendo che salvaguardare la proprietà privata fosse più necessario che salvare vite. Oltre diecimila americani sono stati denunciati per violazione del coprifuoco, molti di più sono stati ricacciati nelle loro case con violenza, malmenati, spintonati, irrorati con spray urticanti o dispersi coi lacrimogeni.
Con stupore ho scoperto che amici e conoscenti ritenevano il provvedimento opportuno e non si erano sentiti privati di quella libertà che pure sbandierano con orgoglio. Ma sono anche stato testimone ammirato di tanti atti spontanei di disubbidienza civile, di gente, pacifica ma determinata, che usciva di casa proprio alle otto di sera, decisa a opporsi al sopruso, e per quanto i poliziotti si dessero da fare per identificare e sgomberare, molti non hanno desistito.
A distanza di tempo dai fatti la protesta non cessa e la piazza, che guardavo malinconicamente dalla finestra nei giorni della prigionia, è diventata uno dei tanti punti di riferimento, meta di cortei provenienti da ogni dove e luogo di concentramento per altre manifestazioni dirette verso il centro. La statua di Frederick Douglass è divenuto luogo di comizi improvvisati e dal suo piedistallo si dibattono idee e si lanciano proposte. Dopo mesi in isolamento, attenti a evitare passanti come fossero untori, in tanti siamo tornati a cercare la vicinanza dei corpi e degli intenti, pronti anche a rischiare il contagio per combattere un'infezione più grande. Per fortuna l'indignazione non trova confine nei colori della pelle e prevale un senso di umana fratellanza: si cammina, si urla, ci si inginocchia tutti assieme e chiunque si aggreghi è benvenuto.

Abolire la polizia

Non si era mai visto un Presidente che nei momenti di crisi se ne stesse rintanato nella Casa Bianca. Voleva un muro e ha finito per costruirselo tutto attorno. Da quel rifugio esce di rado. Quando l'epidemia qui aveva già mietuto centomila vite e lui, di tutti quei morti, non sapeva che farne, se n'è andato a giocare a golf. Più tardi, mentre per le strade infuriava la protesta, è uscito ancora, per raggiungere una chiesetta nei pressi e farsi filmare con la Bibbia in mano. Prima però ha fatto disperdere i manifestanti con lacrimogeni e pallottole di gomma. Infamia da codardo per un po' di propaganda elettorale malriuscita.
Molte analisi tendono a mettere in evidenza il carattere antirazzista delle proteste nate dall'omicidio di George Floyd, ma queste sono in realtà presto mutate in qualcosa di molto più complesso e articolato. Non si tratta più solo di chiedere giustizia, o contestare il razzismo diffuso fra le forze dell'ordine: si sta affermando il rifiuto totale del ruolo che le forze di polizia rivestono nella società, e si consolida la convinzione che una polizia riformata non servirebbe, perché il problema non potrebbe mai rappresentare la soluzione. Nasce così, ancora confuso ed embrionale, il progetto abolizionista, che immagina la sostituzione dei corpi di polizia con qualcosa di nuovo e di diverso. Si pensa alla sicurezza non più come controllo e oppressione, ma come opportunità di sviluppo comunitario.
Con queste idee nuove in testa non solo si marcia, ma anche si progetta, si propone, si sperimenta. Obiettivo immediato è il taglio dei generosi finanziamenti elargiti annualmente alle forze di polizia per destinare i fondi così ricavati a progetti comunitari. È un impegno che radica la lotta a livello locale, perché negli USA i corpi di polizia sono finanziati dai bilanci comunali4. Sindaci e consiglieri sono messi alle strette e nascono le prime proposte concrete, qua e là già si provvede alle ricollocazioni di bilancio. È questa oggi la grande novità del movimento che sta prendendo piede: dalla rabbia alla progettualità.
Anche l'ACLU, l'Unione Americana per le Libertà Civili, che da un secolo vigila sui diritti costituzionali, propone ora di smantellare i corpi di polizia così come li conosciamo oggi e investire nello sviluppo delle comunità povere e marginali.
Sull'altro lato della barricata i potenti sindacati di polizia, finanziatori di lobby e di losche congreghe, stanno affilando le armi e si preparano a reagire. È difficile dire come andrà a finire.
Qualcuno ha scritto che George Floyd non è morto solo di razzismo ma anche di coronavirus e di disperazione. Non sapremo mai se Floyd fosse o meno consapevole di star facendo acquisti con una banconota falsa, ma le cronache raccontano che a causa della pandemia aveva perso lavoro e assistenza medica e che all'autopsia è risultato positivo al Covid-19. Sappiamo che gli afroamericani sono arrivati stremati al mese di giugno, perché l'epidemia ha colpito fra loro in modo particolarmente feroce e le statistiche confermano che è fra gli afroamericani che si conta, in proporzione, la maggioranza dei morti. Gli afroamericani sono spesso i più poveri, vivono in ambienti più affollati, hanno patologie che li espongono a un rischio maggiore. Sono anche quelli che, più di altri, hanno perso il lavoro o, se non l'hanno perso, non hanno potuto godere del privilegio di stare a casa, sicuri e stipendiati, e sono stati invece costretti a spostarsi su mezzi di trasporto affollati e a lavorare senza sufficienti protezioni in ambienti pericolosi e malsani, perché forza lavoro considerata indispensabile: impiegati nelle industrie, nel settore agroalimentare, nella distribuzione, nei supermercati e nei magazzini delle merci che gli americani, in questi mesi, hanno ordinato massicciamente online.

CHAZ, un laboratorio di ricerca libertaria

Il presidente ha trascinato nella disputa anche gli anarchici. Li ha voluti portare all'onore della cronaca distinguendoli dagli altri antifascisti, additandoli come un pericolo maggiore. Ha definito “anarchici pericolosi” e “terroristi” anche i giovani di Seattle, quelli che, senza usare violenza, hanno “liberato” il centro storico di quella città.
Seattle è una città portuale non troppo lontana dal confine col Canada, poggiata su un istmo della costa nord occidentale. Un luogo malinconico e piovoso che pare fuori da ogni rotta, eppure una ventina d'anni fa assurse agli onori della cronaca mondiale grazie alla prima grande protesta antiglobalizzazione, che vide gli attivisti locali riuscire a bloccare i lavori del G8, deridendo la polizia. Oggi quella città è tornata a far parlare di sé, mettendo una luce in cima al colle che ospita il suo Campidoglio. La polizia ha battuto in ritirata da quei quartieri e i manifestanti li hanno fatti propri. È nata così CHAZ, la Zona Autonoma di Capitol Hill, laboratorio di ricerca libertaria, esperimento sociale in cui manifestanti e residenti lavorano e si divertono assieme, criticando il capitalismo, dibattendo sul futuro e sperimentando nuove forme di convivenza e socializzazione ai tempi del coronavirus.
Il Presidente ha ordinato di ristabilire la legalità, ma per ora nessuno lo ha ascoltato e del resto la legalità non si sa più cosa sia, visto che il sindaco stesso ha difeso l'esperimento e il diritto costituzionale dei suoi concittadini ad organizzarsi ed esprimersi. La polizia è rimasta dunque acquartierata e freme, disorientata: non potendo usare la forza non sa che altro fare.
CHAZ è solo un giovane esperimento ed è prematuro tirare le somme, ma potrebbe diventare contagioso: già a Nashville e altrove si progetta qualcosa di simile e se dovesse accadere il futuro sarebbe se non altro meno prevedibile.
Qualcuno sostiene che dai tempi del Vietnam non si vedeva negli USA un movimento così massiccio e prolifico. È difficile oggi dire se potrà consolidarsi e assumere la forza necessaria per imporre un cambiamento, ma certo è che l'America è giunta a un bivio e gli occhi del mondo intero le sono puntati addosso.
Una mattina mi sono alzato che il coprifuoco era finito. Mi è tornato allora alla mente un giorno brumoso di tanti anni fa, quando mi lasciai alle spalle una Santiago sotto assedio, coi militari che davano la caccia agli oppositori. Calpestando il pavimento del Jumbo che da lì a poco avrebbe rullato sulla pista per riportarmi a casa, già mi sentii in territorio libero e ricominciai a respirare, come un esule che scappa verso la libertà. Così mi sento oggi a New York, calpestando il selciato liberato dall'ordine di starsene quieti a casa.
Dovunque mi aggiri per la città mi capita di imbattermi in piccole manifestazioni e ad ogni piè sospinto ne sento l'eco provenire da ogni dove. La protesta non si è fermata ed è il presidente a restare pateticamente rinchiuso nel suo bunker.

Santo Barezini

  1. “No Justice, no peace”, lo slogan più gridato dal movimento di protesta nato a maggio 2020 dalla morte di George Floyd a Minneapolis, nel Minnesota.
  2. L'orario di inizio del coprifuoco è variato da una città all'altra. Le 20 a New York, le 19 nella capitale federale, addirittura le 18 a Filadelfia, con la gente che correva a casa dal lavoro e non aveva tempo di fermarsi a comprare qualcosa da mangiare.
  3. Frederick Douglass (1817-1895).
  4. Nel 2017 la spesa totale per tutte le polizie degli USA è stata di circa 115 miliardi dollari. Per il Dipartimento di Polizia di New York nel 2020 il Comune ha stanziato quasi 6 miliardi di dollari.