Bruno Misefari
L'anarchico di Calabria
a cura di Gerry Ferrara con scritti di Gerry Ferrara, Antonio Orlando, Alfonso Failla
Bruno Misefari, militante e figura di primo piano dell'antifascismo calabrese, è stato ricordato lo scorso gennaio in un incontro pubblico a Cittanova (Rc), nella sua provincia di nascita. Pubblichiamo qui una presentazione della genesi dell'incontro, la relazione di uno storico e il ricordo che un suo compagno di militanza e di confino scrisse oltre mezzo secolo fa.
Acqua e Anarchia
di Gerry Ferrara
Relazioni, musica, testimonianze, arte, anarchia
e altro ancora in una due giorni tra ricordi antifascisti, grande
amore, difesa della natura, vino e...
L'anarchismo è una tendenza naturale,
che si trova nella critica delle organizzazioni gerarchiche
e delle concezioni autoritarie e nel movimento progressivo dell'umanità
e perciò non può essere una utopia.
Bruno Misefari
Una storia di Acqua e Anarchia, quell'Acqua che in tutti i sud
del mondo “ingorga gli anfratti” del malaffare e
“si ritira e risale” a monte del capitalismo nordico-mafioso
e spietato che alleva i pezzenti a padroni perché
sono la guardia migliore, sono guardie da sempre, ma non li
vedi a guardare dall'alto (Cesare Basile).
Il filo rosso (nero) tesse da sempre le trame e l'ordito delle
storie sfilacciate dal potere e mi conduce a una fontana mutilata
nel suo gorgo con un tappo a deturpare la sua dignità
e a reciderne il flusso... che di Acqua si compra, non
si beve!
E mi ritrovo nei sentieri onirici e rilevatori della tradizione
popolare, dove i cantori contemporanei, i “musici delle
terre di passo”, esortano a configurare il tema dell'Acqua
nell'imprescindibile opportunità, per ogni viandante,
di incontrare una fontana, in qualsiasi borgo esso arrivi, il
cui sgorgare diventa oasi di pace e accoglienza.
Naturale approdo alla bellezza e all'amore
E dunque, il filo anarchico che ci conduce fuori dalla labirintica
e allarmistica idiozia sociale che stiamo vivendo, mi riporta
al viaggio compiuto nelle terre di passo calabro-grecaniche
dove ho (ri)incontrato il musico Mimmo Morello, portatore sano
di tradizione popolare seminata nei solchi del presente, che
mi “impone” (nell'accezione fertile del termine)
di viandare tra le creuze di Palizzi (Rc) perché a
guardare questa strada dall'alto non si vedono polvere e ossa,
le terrazze cavano gli occhi, i cortili ti prendono il fiato
(Cesare Basile) e mi lascia, ansimante di emozioni, come un
mulo ad una fonte. Che di Acqua c'è bisogno.
Ma la fonte, la fontana in questo caso, è mutilata, anestetizzata,
deturpata, appunto, privata del suo vitale gorgo che all'origine
era stato pensato come il naturale approdo alla bellezza e all'amore
dell'Acqua stessa verso gli uomini senza altre strane deviazioni,
che se anche il fiume le potesse avere, andrebbe sempre al mare
(Giorgio Gaber). Una fontana di memoria e impegno per l'anarchico
di Calabria Bruno Misefari voluta fortemente da Pia Zanolli,
sua compagna di vita e di pensiero, negli anni '60, a circa
30 anni dalla morte di Bruno.
Un atto d'amore e di lotta, sul confine di Acqua e Anarchia.
Una fontana metaforicamente (e non solo) epilogo e punto nevralgico
della rete idrica di Palizzi, pensata e progettata proprio dall'ingegnere,
dal filosofo, ma soprattutto dal pensatore con l'ostinazione
del sentimento, dall'anarchico Misefari, un secolo fa... e mai
attuata!
Anarchia, Acqua... le vene delle terre calabre sono ricche
di Acqua da sempre, non si capisce questo fenomeno di salto
dell'Acqua, di questo “vajont” che prorompe a valle
per soddisfare gli interessi mafio-turistici e lascia le fonti,
le case e le comunità prive di vita. Chissà cosa
direbbe oggi il poeta e scrittore Furio Sbarnemi; d'altra parte
a guardare questa strada dall'alto non lo vedi il mestiere
dei servi chiusi nelle botteghe a forgiare il ricatto delle
democrazie, inchiodare le bare, tatuare i presagi di un piano
regolatore (Cesare Basile). Bruno Misefari aveva da sempre
disertato il pensiero guardato dall'alto. Bruno scriveva: “La
patria è la terra natia... e questa terra, co' suoi
mari e co' suoi colli non ha trovato un cantuccio per me, un
solo cantuccio! Essa non è mia, è di altri: dei
parassiti sociali.”
Due giorni di incontri
E dunque, proprio grazie alla passione e alla volontà
dell'aspromontano Mimmo Morello di ri-vedere Misefari oggi e
insieme ad alcuni disertori non contagiati dal pensiero di massa,
ho vissuto, a gennaio scorso, due giornate ricche di “anticorpi
sociali” a Villa Academy, nella piana degli ulivi di Cittanova,
luogo del pensiero e dell'approdo dove si coniuga il territorio
e le sue specificità con l'arte, la cultura, la storia
delle genti e l'impegno civile. A tessere in modo raffinato
e impeccabile le trame delle due giornate di studio e approfondimento
sulla figura e sul pensiero di Misefari è stato Nino
Cannatà, che ha reso possibile, anche grazie alla presenza
di uomini e donne arrivati dalle terre calabre e siciliane,
un atto dovuto e concreto per provare a tracciare il profilo
alto, e urgente da attualizzare, di Bruno Misefari per cercare
la “chiave” che riapra l'Acqua alla sua fonte a
Palizzi ma soprattutto riapra il gorgo dentro di noi.
Due giorni di incontri, approfondimento, narrazione e dibattito
per/con Bruno, scandito dai canti di terra e di Acqua, di festa
e di lotta, dei Suonatori Libertari Calabresi Gerardo Vespucci
e Felice Campora che hanno dipinto le tele dei cantastorie con
“U patrùnu dà terra mia, m'ha parràtu
dà democrazia...” e “Quannu vene l'Anarchia”.
Con loro, cantori e cantore del Misefari pensiero, sono diventati
a loro volta tele per la storia di Bruno.
Tra questi, lo storico e saggista Antonio Orlando, profondo
conoscitore dell'anarchismo calabrese, che ci ha fatto dono
del suo scritto realizzato per l'incontro e che di seguito pubblichiamo.
Resta, di quelle giornate, anche il dolce torpore, conseguenza
dell'inestinguibile vino di Palizzi (e dei suoi Catoi, le vecchie
cantine), dono prezioso e generoso di Nino Altomonte che insieme
a Nino Inuso hanno sancito il brindisi per (con) Bruno Misefari
“Mo che simu a' frutta a Calabria, a nostra terra, ndavi
bisognu i tutti!”
Che di Acqua si tratta... non fosse altro perché,
come scrive Denise Mammone, (una delle “voci” dell'incontro),
“bisogna riaprire le cantine dove, proprio accanto ai
nostri demoni, restiamo umani.” O, come sostiene lo stesso
Orlando “Bruno avrebbe gradito molto. L'impegno è
stato assunto; adesso tocca a noi mantenerlo in nome della sua
umanità, della sua gentilezza e della utopia”.
Grazie Bruno, che ci permetti di ritrovarci nel “catoio”
della vita.
Gerry Ferrara
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La locandina dell'incontro organizzato a Cittanova (Rc) lo scorso gennaio |
Falco ribelle
di Antonio Orlando
La vita avventurosa e complessa di un calabrese
profondamente legato alla propria terra e al contempo cittadino
del mondo.
Delineare sinteticamente la figura di Bruno Misefari, l'anarchico
di Calabria com'è universalmente conosciuto, nato a Palizzi,
comune del basso Jonio reggino, il 17 gennaio 1892 in una modesta
famiglia, ma ben inserita nel contesto sociale, non è
impresa né facile né semplice. Presentare Misefari
significa riproporre le sue idee antimilitariste, la forza delle
sue azioni politiche, la potenza dei suoi scritti, le molteplici
attività professionali e imprenditoriali, le (per l'epoca)
geniali intuizioni (il progetto del ponte sullo Stretto nel
1930, per esempio) e la freschezza della sua poetica, dolce,
raffinata e forte al tempo stesso.
Rendere conto in pochi minuti della biografia e del pensiero
di Misefari, giornalista, scrittore, poeta, matematico e ingegnere,
rispettando lo spirito di questa iniziativa, vuol dire mettere
in evidenza le molteplici sfaccettature di una personalità
multiforme cercando di far emergere gli aspetti più salienti
della breve, ma intensissima vita di un anarchico sui generis.
A grandi pennellate, perciò, tenterò di disegnare,
come in un quadro impressionista, i momenti più significativi
di una vita sempre vissuta sul filo della coerenza, dell'impegno,
della dedizione e dell'amore per l'Idea e per un'unica donna,
Pia Zanolli, conosciuta durante l'esilio svizzero.
Contro il militarismo
L'impegno contro la guerra, a cominciare da quella libica del
1911, che gli costò, neppure maggiorenne, una condanna
al carcere, proseguito poi con il rifiuto di imbracciare le
armi e la diserzione nella Grande Guerra, è il filo rosso
che attraversa l'intera giovinezza di Bruno e che lo fa precocemente
maturare consentendogli di aderire con piena consapevolezza
all'anarchismo.
Risultato di quell'esperienza è Diario di un disertore,
pubblicato con lo pseudonimo di Furio Sbarnemi, potente denuncia
dei guasti provocati dal militarismo e dalla sua cultura della
sopraffazione, dell'odio e della morte.
L'esilio in Svizzera, a Zurigo, permette al giovane calabrese
di aprirsi a una realtà europea in cui tutte le contraddizioni
della società capitalistica si presentano nella loro
forma più accentuata e più evidente proprio negli
anni in cui la guerra imperialistica, la crisi dell'Internazionale
socialista, la Rivoluzione d'ottobre e i fermenti e le speranze
che questa suscita, sembrano minarne le basi ed aprire nuove
speranze verso una società nuova e libertaria.
In quel contesto, quando la rivoluzione mondiale sembra alle
porte (Misefari nel 1919, perseguitato dalla polizia elvetica,
si rifugia a Stoccarda, dove conosce Clara Zetkin) l'ideale
libertario si rafforza, si fortifica, si vivifica, si arricchisce
di esperienze che possono trovare spazio e adattamento anche
sulla scena italiana.
Le sue innegabili doti oratorie, affabulatorie, sarebbe il caso
di dire, e la sua capacità di trascinare con il fascino
della parola chiunque lo ascolti gli permettono immediatamente
di emergere tra i militanti anarchici tanto da destare l'attenzione
di un Malatesta, di un Fabbri, di un Binazzi, di un Paolo Schicchi
che su di lui ripongono tutta la fiducia sulla possibilità
di allargare, grazie al dispiegarsi dell'azione di Bruno, le
attività del movimento nel Meridione.
“Pane e libertà”
Nasce da questa convinzione la nomina a segretario della Camera
del Lavoro di Taranto e l'incarico di condurre le trattative
per la soluzione della vertenza che oppone gli operai delle
industrie Tosi, un gruppo meccanico insediatosi nei cantieri
navali, alla dirigenza della fabbrica, sostenuta in questo ottuso
arroccamento da tutte le autorità locali, compresa la
Prefettura. Alla fine Bruno, dopo un serrato confronto, riuscirà
a spuntare un aumento di salario e qualche miglioramento delle
condizioni di lavoro, ma si rende conto che per consolidare
i rapporti con le masse e fare proselitismo, è diventato
indispensabile dotarsi di strumenti di comunicazione e di informazione
anche a livello locale.
Da queste riflessioni viene fuori il progetto, elaborato con
Roberto Elia, appena rientrato, anzi, se vogliamo essere precisi,
“deportato” dagli Usa dove era stato ingiustamente
incarcerato e torturato dalla polizia americana, di pubblicare
un giornale anarchico in grado di avere una diffusione su tutto
il territorio regionale. Era pronto anche il titolo: “Pane
e libertà – organo per la diffusione dell'ideale
anarchico in Calabria”. Il progetto, per tante ragioni
fallisce, ma, anche se molto ridimensionato, si concretizza,
due anni dopo, nella pubblicazione, insieme con Nino Malara
e Nino Napolitano, ne “L'amico del popolo”, giornale
reggino, a diffusione più circoscritta, ma molto battagliero,
capace di recar fastidio tanto da obbligare il Prefetto a chiuderlo
d'imperio dopo appena cinque numeri.
Il confino a Ponza
Con la prematura scomparsa di Elia, viene fuori la proposta,
caldeggiata da Schicchi, da Cannone e da Napolitano, ma condivisa
anche da Malatesta e Fabbri, di inviare Bruno in America sia
per sottrarlo alle persecuzioni dei fascisti sia perché
con la sua calda parola possa infondere nuovo vigore ad un movimento
che la durissima repressione poliziesca ha disarticolato e disperso.
Anche questo progetto non si realizzerà e, probabilmente,
lo stesso Bruno non aveva voglia di abbandonare la sua terra
in mano ai nuovi padroni, almeno non prima di aver combattuto
fino in fondo la sua battaglia.
In effetti, conseguita la laurea in ingegneria, Bruno vuol mettere
le sue conoscenze e le sue capacità a servizio della
sua terra cercando di raggiungere, con altri mezzi e con altri
metodi, gli stessi obiettivi che si riproponeva con l'attività
politica. Il riscatto della Calabria deve avvenire per opera
dei calabresi e non per mezzo di interventi esterni, calati
dall'alto e attuati con uno strumentale spirito messianico al
solo scopo di mantenere la regione in una perenne condizione
di servilismo.
I progetti e le attività imprenditoriali di Misefari
vengono, purtroppo, risucchiati dentro una spirale di complotti,
di montature, di macchinazioni orditi ad arte, con la malcelata
complicità dei fascisti, da speculatori e faccendieri
assoldati dalle industrie concorrenti, per bloccare qualunque
iniziativa e proposta l'ingegnere stesse elaborando. La condanna
a due anni di confino, comminatagli nel 1930, appare da un lato
una vendetta postuma e dall'altro il modo più elegantemente
ignobile di sbarazzarsi di un pericoloso, intelligente e intraprendente
oppositore in grado di combattere il fascismo non solo sul piano
politico, ma anche su un terreno, quello professionale e del
lavoro, che i caporioni del regime considerano di propria esclusiva
competenza, ritenendosi liberi di organizzare e sviluppare i
propri traffici.
I due anni di confino a Ponza, dove ha modo di incontrare e
rivedere centinaia di oppositori e antifascisti di varie tendenze
(tra l'altro stringe amicizia con Domizio Torreggiani, Gran
Maestro del Grande Oriente d'Italia, ma anche con Amadeo Bordiga)
seppure non fiaccano lo spirito indomito di Bruno, minano la
sua salute e a distanza di pochi mesi si manifesta un implacabile
tumore che nel 1936 lo porterà alla morte ad appena 44
anni.
“Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere
sicuri di aver rivoluzionato noi stessi.” La più
autentica lezione che Misefari ci lascia è proprio questa.
Antonio Orlando
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Roma, 1967 - Con Pia Zanolli Misefari |
Sempre con il sorriso sulle labbra
di Alfonso Failla
Così un suo compagno di confino e di idee,
siciliano, ricorda il calabrese Bruno Misefari recensendo (nel
1967) su “Umanità Nova” il libro L'anachico
di Calabria curato dalla sua compagna Pia Zanolli. Ne emerge
una vita avventurosa.
“Un volume come questo di Pia Zanolli Misèfari
a volerlo iscrivere all'anagrafe letteraria finisce con lo scapitarci.
Infatti, immediatamente, su di esso verrebbe fuori una discussione
sui generi: romanzo, biografia, autobiografia? Secondariamente
un'altra discussione sulla lingua e ancora una sui suoi antecedenti:
Ma a chi servirebbe? Pia Zanolli Misèfari non crediamo
abbia voluto scrivere questo suo libro (“L'anarchico di
Calabria”, Pia Zanolli Misefari, pagg. 279, lire 1.800,
Ed. Lerici, Milano) per rispondere, come si dice, a una vocazione;
ma per compiere le implicazioni psicologiche che lo determinano.
Non a caso il libro si apre con una lettera al suo compagno
scomparso. Leggerlo potrà servire a molti, soprattutto
agli studiosi del movimento libertario. Ci sembra che esso però
finirà con trovare il suo vero pubblico fra i giovani,
che vi scopriranno non poche delle loro inquietudini. Fra quei
giovani che tornano a cantare i vecchi “stornelli d'esilio”:
“La nostra patria è il mondo intero, nostro credo
la libertà...”; che vogliono ignorare Stati e regimi,
che vanno a Firenze a spalare il fango e preferiscono la chitarra
al fucile. Bruno Miséfari, in fondo, era uno di loro,
col loro entusiasmo, le loro inquietudini e le loro rivolte.
Ecco: un anarchico calabrese. Un ribelle nato da una terra ribelle,
eretica, martoriata”.
Con queste considerazioni si apre il libro bello ed interessante
che l'editore Lerici ha il merito di avere pubblicato nei giorni
scorsi. Fanno parte della ottima prefazione che Pietro A. Buttitta,
continuando la sua non “mancata” occasione, ha scritto
aggiungendo all'entusiasmo libertario dei suoi anni di adolescenza
la rivendicazione dell'importanza dell'anarchismo che egli vede
convalidata tra i giovani, oggi.
Quel grande amore
Questa biografia di Bruno Misèfari non poteva scriverla
altra persona che non fosse la sua compagna, la nostra compagna
Pia. Ad essa dunque il merito principale dell'opera che nello
sfondo del suo grande ed intramontabile amore per il suo Bruno
ricorda ai vecchi e fa conoscere ai giovani l'ambiente in cui
nacquero e si svolsero le lotte sociali del primo quarantennio
del nostro secolo, dalla guerra per la conquista di Tripoli
alla prima guerra mondiale ed al fascismo. Il filone ininterrotto
della vita di Bruno Misèfari, osservatore critico, non
conformista conseguente e generoso fin dai suoi primi anni di
vita; ribelle generoso, rivoluzionario cosciente dall'adolescenza
in poi fino al suo rifiuto di partecipare alla guerra, nel 1915-18,
conduce il lettore in ambienti diversi in Italia, in Svizzera,
dove vedrà che Bruno Misèfari non è isolato
nella sua ribellione al militarismo e la biografia del nostro
diventa tentativo – che speriamo sarà validamente
ripreso – di storia delle lotte anarchiche di quegli anni.
Con il “disertore” Misèfari, a ricordo anche
delle centinaia di anarchici fucilati per il loro rifiuto di
“fare la guerra” per arricchire il capitalismo,
incontriamo molti compagni: Mario Mantovani, Ghezzi, Arrigoni,
eccetera.
Il grande amore di Bruno e Pia, che nel libro è ricordato
nelle lettere dei due innamorati, fa vibrare il lettore con
intensità di poesia, ma lo tiene sempre avvinto nella
realtà della lotta contro le ingiustizie sociali, contro
la guerra, contro il fascismo, rievocando un'epoca non mai abbastanza
conosciuta dalle giovani generazioni. Ed in ciò la biografia
di Bruno Misèfari è molto efficace. Le forze conservatrici
interessate, come sempre, alla guerra e all'oppressione dei
lavoratori sfruttati, Mussolini socialista ed antimilitarista
passato in campo nemico, le lotte dei lavoratori contro l'ingordigia
padronale, sono viste nel libro attraverso la vita di un uomo,
di un militante che, pure attanagliato dalla necessità
della vita di famiglia è sempre pronto al richiamo della
lotta in prima fila, come vediamo nelle pagine che rievocano
la grande lotta dei metallurgici tarantini del cantiere Tosi,
risolta quando Bruno ebbe dalla Camera del lavoro sindacalista
(dell'Unione Sindacale Italiana) di Taranto l'incarico di prenderne
la guida. L'attività del nostro negli anni dal 1921 al
1925, la sua intensa partecipazione all'agitazione per la liberazione
di Sacco e Vanzetti, i suoi giri di conferenze a Napoli, in
Calabria e nelle Puglie, gli fanno perdere tempo prezioso per
il conseguimento della laurea di ingegnere e permettergli la
indipendenza necessaria per un maggiore impegno nella lotta
stessa.
Dalle pagine della biografia sembrerebbe che Bruno fosse preso,
in certi momenti dai suoi problemi privati. Ad un certo punto
leggiamo che nei primi mesi del 1924 è a Roma. Dalle
lettere conosciamo soltanto che è preoccupato di cose
riguardanti ancora il suo processo per diserzione, la sua iscrizione
alla facoltà di filosofia, ecc. Pia, la sua compagna,
ed oggi la sua biografa registra (pag. 194) l'annunzio della
pubblicazione de L'Amico del popolo apparso su Pensiero
e Volontà, la rivista che allora pubblicava Errico
Malatesta a Roma, il 15 novembre 1924. Che cosa era successo?
Durante quei mesi Misèfari aveva esaminato a lungo insieme
ad Errico Malatesta la situazione venutasi a creare dopo l'avvento
della dittatura fascista. Le nostre pubblicazioni e le nostre
attività erano state ridotte in grandissima parte dalle
persecuzioni contro gli anarchici che nella lotta contro lo
squadrismo fascista non avevano fatto economie.
Era necessario riprendere la lotta, continuare, anche nelle
nuove precarie condizioni. Bruno Misèfari mette da parte
i suoi problemi privati: insieme a Nino Malara, Roberto Elia,
il compagno deportato dagli Stati Uniti, calabrese anche lui,
e ad altri compagni fonda L'Amico del popolo che esce
il 14 dicembre del 1924 a Reggio Calabria. Il primo articolo
è di Bruno Misèfari: “chi sono e cosa vogliono
gli anarchici”. È uno scritto sempre valido, in
cui la ragione ed il cuore si fondono per spingere alla lotta
in un momento in cui la libertà agonizza in Italia ed
i più si preparano a “vivere in pace” col
regime.
Nella lotta per l'anarchia
L'Amico del popolo avrà breve vita. Sarà
soppresso dopo quattro numeri. Ma il suo seme germoglierà,
darà vita. Bruno Misèfari, come gli altri compagni,
affronterà e subirà le persecuzioni, anche nella
sua vita privata, di un regime fondato sulla sopraffazione e
sull'arbitrio, ma continuerà sempre, anche in carcere
ed al confino, sempre col sorriso sulle labbra, la fermezza
e la serenità dei forti, a lottare e cospirare per l'avvento
di una società migliore che egli così annunziava
su L'Amico del popolo: “Così la società
anarchica non si realizza spogliando i ricchi e vestendo i poveri,
come i nemici del popolo vanno dicendo.
Nella società anarchica non ci saranno né ricchi
né poveri né servi: ci saranno invece solamente
uomini, che sono fratelli tra loro, che si amano, che si aiutano
a vicenda, che cantano insieme l'inno gioioso alla vita, la
quale sarà pienamente goduta.
Non più bimbi scalzi e laceri scarnificati dalla fame;
non più vecchi cadenti privi di mezzi di assistenza e
di casa; non più donne che vendono l'amore; non più
uomini che rubano, che tradiscono, che compiono delitti; non
più guerre all'esterno e all'interno delle nazioni, non
più umori ed infelicità domestiche. Nella società
anarchica sarà dato il massimo di garanzia dei mezzi
di vita ai fanciulli, ai vecchi ed a tutti coloro che non possono
procurarseli. Le frontiere saranno abolite.
All'odio sarà sostituito l'amore, alla concorrenza la
solidarietà, alla ricerca del proprio benessere la cooperazione
fraterna per il benessere di tutti, all'oppressione la liberà
alla menzogna religiosa la verità”.
Di Bruno Misèfari, primo progettista del ponte sullo
stretto di Messina da Punta Pezzo, oggi in via di realizzazione
come annunziato dalla TV, scopritore dei primi giacimenti di
quarzo in Italia, pioniere dell'industrializzazione meridionale
in Calabria, delle sue lotte contro i monopoli che durante il
fascismo stroncano tutti i tentativi, nel Sud e nelle isole,
di costruire impianti concorrenti, delle vicende che portarono
Bruno al confino ed al tribunale speciale, della dolorosa fine
del nostro compagno, è bene leggere direttamente nella
biografia della buona Pia, materiata di pagine sublimi di bellezza
effettiva che invitano i giovani ad emulare i lottatori di ieri
ed i vecchi militanti a scuotersi ed attivizzarsi sempre più
nella lotta per l'anarchia.
Alfonso Failla
originariamente apparso in “Umanità Nova”,
22 aprile 1967 con il titolo L'anarchico di Calabria
Alfonso
Failla (Siracusa 1906-Carrara 1986) è
stato una delle figure più prestigiose del movimento
anarchico di lingua italiana di questo secolo. Avvicinatosi
giovanissimo all'anarchismo si impegna nella lotta contro
il montante regime fascista. Più volte arrestato
e sottoposto a provvedimenti restrittivi, nel 1930 viene
spedito al confino ove rimane - salvo una breve parentesi
di libertà vigilata a Siracusa nel '39 - fino all'estate
del '43.
Dopo l'evasione in massa dal campo di Renicci d'Anghiari
partecipa alla Resistenza principalmente in Toscana, Liguria
e Lombardia. Nel dopoguerra è tra gli organizzatori
della Federazione Anarchica Italiana redattore e direttore
responsabile del settimanale Umanità Nova attivo
nell'Unione Sindacale Italiana. Tiene centinaia di conferenze,
dibattiti e comizi, l'ultimo dei quali a Pisa dopo l'assassinio
di Franco Serantini.
Dal giugno del '72, per ragioni di salute è costretto
a interrompere l'attività pubblica.
Questo volume (pp. 366 + XXIV, € 12,90) è
suddiviso in tre sezioni. Nella prima sono raccolte carte
di polizia e documenti relativi al periodo '22-'43 tratti
dal dossier Failla al Casellario Politico Centrale. Nella
seconda sono raccolti gran parte degli articoli da lui
scritti nel secondo dopoguerra. Nella terza sezione sono
raccolte testimonianze della sua attività.
Per informazioni e richieste:
info@sicilialibertaria.it
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