Rivista Anarchica Online


Bruno Misefari

L'anarchico di Calabria

a cura di Gerry Ferrara
con scritti di Gerry Ferrara, Antonio Orlando, Alfonso Failla

Bruno Misefari, militante e figura di primo piano dell'antifascismo calabrese, è stato ricordato lo scorso gennaio in un incontro pubblico a Cittanova (Rc), nella sua provincia di nascita. Pubblichiamo qui una presentazione della genesi dell'incontro, la relazione di uno storico e il ricordo che un suo compagno di militanza e di confino scrisse oltre mezzo secolo fa.



Acqua e Anarchia

di Gerry Ferrara

Relazioni, musica, testimonianze, arte, anarchia e altro ancora in una due giorni tra ricordi antifascisti, grande amore, difesa della natura, vino e...

L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.
Bruno Misefari

Una storia di Acqua e Anarchia, quell'Acqua che in tutti i sud del mondo “ingorga gli anfratti” del malaffare e “si ritira e risale” a monte del capitalismo nordico-mafioso e spietato che alleva i pezzenti a padroni perché sono la guardia migliore, sono guardie da sempre, ma non li vedi a guardare dall'alto (Cesare Basile).
Il filo rosso (nero) tesse da sempre le trame e l'ordito delle storie sfilacciate dal potere e mi conduce a una fontana mutilata nel suo gorgo con un tappo a deturpare la sua dignità e a reciderne il flusso... che di Acqua si compra, non si beve!
E mi ritrovo nei sentieri onirici e rilevatori della tradizione popolare, dove i cantori contemporanei, i “musici delle terre di passo”, esortano a configurare il tema dell'Acqua nell'imprescindibile opportunità, per ogni viandante, di incontrare una fontana, in qualsiasi borgo esso arrivi, il cui sgorgare diventa oasi di pace e accoglienza.

Naturale approdo alla bellezza e all'amore

E dunque, il filo anarchico che ci conduce fuori dalla labirintica e allarmistica idiozia sociale che stiamo vivendo, mi riporta al viaggio compiuto nelle terre di passo calabro-grecaniche dove ho (ri)incontrato il musico Mimmo Morello, portatore sano di tradizione popolare seminata nei solchi del presente, che mi “impone” (nell'accezione fertile del termine) di viandare tra le creuze di Palizzi (Rc) perché a guardare questa strada dall'alto non si vedono polvere e ossa, le terrazze cavano gli occhi, i cortili ti prendono il fiato (Cesare Basile) e mi lascia, ansimante di emozioni, come un mulo ad una fonte. Che di Acqua c'è bisogno.
Ma la fonte, la fontana in questo caso, è mutilata, anestetizzata, deturpata, appunto, privata del suo vitale gorgo che all'origine era stato pensato come il naturale approdo alla bellezza e all'amore dell'Acqua stessa verso gli uomini senza altre strane deviazioni, che se anche il fiume le potesse avere, andrebbe sempre al mare (Giorgio Gaber). Una fontana di memoria e impegno per l'anarchico di Calabria Bruno Misefari voluta fortemente da Pia Zanolli, sua compagna di vita e di pensiero, negli anni '60, a circa 30 anni dalla morte di Bruno.
Un atto d'amore e di lotta, sul confine di Acqua e Anarchia. Una fontana metaforicamente (e non solo) epilogo e punto nevralgico della rete idrica di Palizzi, pensata e progettata proprio dall'ingegnere, dal filosofo, ma soprattutto dal pensatore con l'ostinazione del sentimento, dall'anarchico Misefari, un secolo fa... e mai attuata!
Anarchia, Acqua... le vene delle terre calabre sono ricche di Acqua da sempre, non si capisce questo fenomeno di salto dell'Acqua, di questo “vajont” che prorompe a valle per soddisfare gli interessi mafio-turistici e lascia le fonti, le case e le comunità prive di vita. Chissà cosa direbbe oggi il poeta e scrittore Furio Sbarnemi; d'altra parte a guardare questa strada dall'alto non lo vedi il mestiere dei servi chiusi nelle botteghe a forgiare il ricatto delle democrazie, inchiodare le bare, tatuare i presagi di un piano regolatore (Cesare Basile). Bruno Misefari aveva da sempre disertato il pensiero guardato dall'alto. Bruno scriveva: “La patria è la terra natia... e questa terra, co' suoi mari e co' suoi colli non ha trovato un cantuccio per me, un solo cantuccio! Essa non è mia, è di altri: dei parassiti sociali.”

Due giorni di incontri

E dunque, proprio grazie alla passione e alla volontà dell'aspromontano Mimmo Morello di ri-vedere Misefari oggi e insieme ad alcuni disertori non contagiati dal pensiero di massa, ho vissuto, a gennaio scorso, due giornate ricche di “anticorpi sociali” a Villa Academy, nella piana degli ulivi di Cittanova, luogo del pensiero e dell'approdo dove si coniuga il territorio e le sue specificità con l'arte, la cultura, la storia delle genti e l'impegno civile. A tessere in modo raffinato e impeccabile le trame delle due giornate di studio e approfondimento sulla figura e sul pensiero di Misefari è stato Nino Cannatà, che ha reso possibile, anche grazie alla presenza di uomini e donne arrivati dalle terre calabre e siciliane, un atto dovuto e concreto per provare a tracciare il profilo alto, e urgente da attualizzare, di Bruno Misefari per cercare la “chiave” che riapra l'Acqua alla sua fonte a Palizzi ma soprattutto riapra il gorgo dentro di noi.
Due giorni di incontri, approfondimento, narrazione e dibattito per/con Bruno, scandito dai canti di terra e di Acqua, di festa e di lotta, dei Suonatori Libertari Calabresi Gerardo Vespucci e Felice Campora che hanno dipinto le tele dei cantastorie con “U patrùnu dà terra mia, m'ha parràtu dà democrazia...” e “Quannu vene l'Anarchia”. Con loro, cantori e cantore del Misefari pensiero, sono diventati a loro volta tele per la storia di Bruno.
Tra questi, lo storico e saggista Antonio Orlando, profondo conoscitore dell'anarchismo calabrese, che ci ha fatto dono del suo scritto realizzato per l'incontro e che di seguito pubblichiamo.
Resta, di quelle giornate, anche il dolce torpore, conseguenza dell'inestinguibile vino di Palizzi (e dei suoi Catoi, le vecchie cantine), dono prezioso e generoso di Nino Altomonte che insieme a Nino Inuso hanno sancito il brindisi per (con) Bruno Misefari “Mo che simu a' frutta a Calabria, a nostra terra, ndavi bisognu i tutti!”
Che di Acqua si tratta... non fosse altro perché, come scrive Denise Mammone, (una delle “voci” dell'incontro), “bisogna riaprire le cantine dove, proprio accanto ai nostri demoni, restiamo umani.” O, come sostiene lo stesso Orlando “Bruno avrebbe gradito molto. L'impegno è stato assunto; adesso tocca a noi mantenerlo in nome della sua umanità, della sua gentilezza e della utopia”.
Grazie Bruno, che ci permetti di ritrovarci nel “catoio” della vita.

Gerry Ferrara


La locandina dell'incontro organizzato a Cittanova (Rc) lo scorso gennaio


Falco ribelle

di Antonio Orlando

La vita avventurosa e complessa di un calabrese profondamente legato alla propria terra e al contempo cittadino del mondo.

Delineare sinteticamente la figura di Bruno Misefari, l'anarchico di Calabria com'è universalmente conosciuto, nato a Palizzi, comune del basso Jonio reggino, il 17 gennaio 1892 in una modesta famiglia, ma ben inserita nel contesto sociale, non è impresa né facile né semplice. Presentare Misefari significa riproporre le sue idee antimilitariste, la forza delle sue azioni politiche, la potenza dei suoi scritti, le molteplici attività professionali e imprenditoriali, le (per l'epoca) geniali intuizioni (il progetto del ponte sullo Stretto nel 1930, per esempio) e la freschezza della sua poetica, dolce, raffinata e forte al tempo stesso.
Rendere conto in pochi minuti della biografia e del pensiero di Misefari, giornalista, scrittore, poeta, matematico e ingegnere, rispettando lo spirito di questa iniziativa, vuol dire mettere in evidenza le molteplici sfaccettature di una personalità multiforme cercando di far emergere gli aspetti più salienti della breve, ma intensissima vita di un anarchico sui generis. A grandi pennellate, perciò, tenterò di disegnare, come in un quadro impressionista, i momenti più significativi di una vita sempre vissuta sul filo della coerenza, dell'impegno, della dedizione e dell'amore per l'Idea e per un'unica donna, Pia Zanolli, conosciuta durante l'esilio svizzero.

Contro il militarismo

L'impegno contro la guerra, a cominciare da quella libica del 1911, che gli costò, neppure maggiorenne, una condanna al carcere, proseguito poi con il rifiuto di imbracciare le armi e la diserzione nella Grande Guerra, è il filo rosso che attraversa l'intera giovinezza di Bruno e che lo fa precocemente maturare consentendogli di aderire con piena consapevolezza all'anarchismo.
Risultato di quell'esperienza è Diario di un disertore, pubblicato con lo pseudonimo di Furio Sbarnemi, potente denuncia dei guasti provocati dal militarismo e dalla sua cultura della sopraffazione, dell'odio e della morte.
L'esilio in Svizzera, a Zurigo, permette al giovane calabrese di aprirsi a una realtà europea in cui tutte le contraddizioni della società capitalistica si presentano nella loro forma più accentuata e più evidente proprio negli anni in cui la guerra imperialistica, la crisi dell'Internazionale socialista, la Rivoluzione d'ottobre e i fermenti e le speranze che questa suscita, sembrano minarne le basi ed aprire nuove speranze verso una società nuova e libertaria.
In quel contesto, quando la rivoluzione mondiale sembra alle porte (Misefari nel 1919, perseguitato dalla polizia elvetica, si rifugia a Stoccarda, dove conosce Clara Zetkin) l'ideale libertario si rafforza, si fortifica, si vivifica, si arricchisce di esperienze che possono trovare spazio e adattamento anche sulla scena italiana.
Le sue innegabili doti oratorie, affabulatorie, sarebbe il caso di dire, e la sua capacità di trascinare con il fascino della parola chiunque lo ascolti gli permettono immediatamente di emergere tra i militanti anarchici tanto da destare l'attenzione di un Malatesta, di un Fabbri, di un Binazzi, di un Paolo Schicchi che su di lui ripongono tutta la fiducia sulla possibilità di allargare, grazie al dispiegarsi dell'azione di Bruno, le attività del movimento nel Meridione.

“Pane e libertà”

Nasce da questa convinzione la nomina a segretario della Camera del Lavoro di Taranto e l'incarico di condurre le trattative per la soluzione della vertenza che oppone gli operai delle industrie Tosi, un gruppo meccanico insediatosi nei cantieri navali, alla dirigenza della fabbrica, sostenuta in questo ottuso arroccamento da tutte le autorità locali, compresa la Prefettura. Alla fine Bruno, dopo un serrato confronto, riuscirà a spuntare un aumento di salario e qualche miglioramento delle condizioni di lavoro, ma si rende conto che per consolidare i rapporti con le masse e fare proselitismo, è diventato indispensabile dotarsi di strumenti di comunicazione e di informazione anche a livello locale.
Da queste riflessioni viene fuori il progetto, elaborato con Roberto Elia, appena rientrato, anzi, se vogliamo essere precisi, “deportato” dagli Usa dove era stato ingiustamente incarcerato e torturato dalla polizia americana, di pubblicare un giornale anarchico in grado di avere una diffusione su tutto il territorio regionale. Era pronto anche il titolo: “Pane e libertà – organo per la diffusione dell'ideale anarchico in Calabria”. Il progetto, per tante ragioni fallisce, ma, anche se molto ridimensionato, si concretizza, due anni dopo, nella pubblicazione, insieme con Nino Malara e Nino Napolitano, ne “L'amico del popolo”, giornale reggino, a diffusione più circoscritta, ma molto battagliero, capace di recar fastidio tanto da obbligare il Prefetto a chiuderlo d'imperio dopo appena cinque numeri.

Il confino a Ponza

Con la prematura scomparsa di Elia, viene fuori la proposta, caldeggiata da Schicchi, da Cannone e da Napolitano, ma condivisa anche da Malatesta e Fabbri, di inviare Bruno in America sia per sottrarlo alle persecuzioni dei fascisti sia perché con la sua calda parola possa infondere nuovo vigore ad un movimento che la durissima repressione poliziesca ha disarticolato e disperso. Anche questo progetto non si realizzerà e, probabilmente, lo stesso Bruno non aveva voglia di abbandonare la sua terra in mano ai nuovi padroni, almeno non prima di aver combattuto fino in fondo la sua battaglia.
In effetti, conseguita la laurea in ingegneria, Bruno vuol mettere le sue conoscenze e le sue capacità a servizio della sua terra cercando di raggiungere, con altri mezzi e con altri metodi, gli stessi obiettivi che si riproponeva con l'attività politica. Il riscatto della Calabria deve avvenire per opera dei calabresi e non per mezzo di interventi esterni, calati dall'alto e attuati con uno strumentale spirito messianico al solo scopo di mantenere la regione in una perenne condizione di servilismo.
I progetti e le attività imprenditoriali di Misefari vengono, purtroppo, risucchiati dentro una spirale di complotti, di montature, di macchinazioni orditi ad arte, con la malcelata complicità dei fascisti, da speculatori e faccendieri assoldati dalle industrie concorrenti, per bloccare qualunque iniziativa e proposta l'ingegnere stesse elaborando. La condanna a due anni di confino, comminatagli nel 1930, appare da un lato una vendetta postuma e dall'altro il modo più elegantemente ignobile di sbarazzarsi di un pericoloso, intelligente e intraprendente oppositore in grado di combattere il fascismo non solo sul piano politico, ma anche su un terreno, quello professionale e del lavoro, che i caporioni del regime considerano di propria esclusiva competenza, ritenendosi liberi di organizzare e sviluppare i propri traffici.
I due anni di confino a Ponza, dove ha modo di incontrare e rivedere centinaia di oppositori e antifascisti di varie tendenze (tra l'altro stringe amicizia con Domizio Torreggiani, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, ma anche con Amadeo Bordiga) seppure non fiaccano lo spirito indomito di Bruno, minano la sua salute e a distanza di pochi mesi si manifesta un implacabile tumore che nel 1936 lo porterà alla morte ad appena 44 anni.
“Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi.” La più autentica lezione che Misefari ci lascia è proprio questa.

Antonio Orlando


Roma, 1967 - Con Pia Zanolli Misefari


Sempre con il sorriso sulle labbra

di Alfonso Failla

Così un suo compagno di confino e di idee, siciliano, ricorda il calabrese Bruno Misefari recensendo (nel 1967) su “Umanità Nova” il libro L'anachico di Calabria curato dalla sua compagna Pia Zanolli. Ne emerge una vita avventurosa.

“Un volume come questo di Pia Zanolli Misèfari a volerlo iscrivere all'anagrafe letteraria finisce con lo scapitarci. Infatti, immediatamente, su di esso verrebbe fuori una discussione sui generi: romanzo, biografia, autobiografia? Secondariamente un'altra discussione sulla lingua e ancora una sui suoi antecedenti: Ma a chi servirebbe? Pia Zanolli Misèfari non crediamo abbia voluto scrivere questo suo libro (“L'anarchico di Calabria”, Pia Zanolli Misefari, pagg. 279, lire 1.800, Ed. Lerici, Milano) per rispondere, come si dice, a una vocazione; ma per compiere le implicazioni psicologiche che lo determinano. Non a caso il libro si apre con una lettera al suo compagno scomparso. Leggerlo potrà servire a molti, soprattutto agli studiosi del movimento libertario. Ci sembra che esso però finirà con trovare il suo vero pubblico fra i giovani, che vi scopriranno non poche delle loro inquietudini. Fra quei giovani che tornano a cantare i vecchi “stornelli d'esilio”: “La nostra patria è il mondo intero, nostro credo la libertà...”; che vogliono ignorare Stati e regimi, che vanno a Firenze a spalare il fango e preferiscono la chitarra al fucile. Bruno Miséfari, in fondo, era uno di loro, col loro entusiasmo, le loro inquietudini e le loro rivolte. Ecco: un anarchico calabrese. Un ribelle nato da una terra ribelle, eretica, martoriata”.
Con queste considerazioni si apre il libro bello ed interessante che l'editore Lerici ha il merito di avere pubblicato nei giorni scorsi. Fanno parte della ottima prefazione che Pietro A. Buttitta, continuando la sua non “mancata” occasione, ha scritto aggiungendo all'entusiasmo libertario dei suoi anni di adolescenza la rivendicazione dell'importanza dell'anarchismo che egli vede convalidata tra i giovani, oggi.

Quel grande amore

Questa biografia di Bruno Misèfari non poteva scriverla altra persona che non fosse la sua compagna, la nostra compagna Pia. Ad essa dunque il merito principale dell'opera che nello sfondo del suo grande ed intramontabile amore per il suo Bruno ricorda ai vecchi e fa conoscere ai giovani l'ambiente in cui nacquero e si svolsero le lotte sociali del primo quarantennio del nostro secolo, dalla guerra per la conquista di Tripoli alla prima guerra mondiale ed al fascismo. Il filone ininterrotto della vita di Bruno Misèfari, osservatore critico, non conformista conseguente e generoso fin dai suoi primi anni di vita; ribelle generoso, rivoluzionario cosciente dall'adolescenza in poi fino al suo rifiuto di partecipare alla guerra, nel 1915-18, conduce il lettore in ambienti diversi in Italia, in Svizzera, dove vedrà che Bruno Misèfari non è isolato nella sua ribellione al militarismo e la biografia del nostro diventa tentativo – che speriamo sarà validamente ripreso – di storia delle lotte anarchiche di quegli anni. Con il “disertore” Misèfari, a ricordo anche delle centinaia di anarchici fucilati per il loro rifiuto di “fare la guerra” per arricchire il capitalismo, incontriamo molti compagni: Mario Mantovani, Ghezzi, Arrigoni, eccetera.
Il grande amore di Bruno e Pia, che nel libro è ricordato nelle lettere dei due innamorati, fa vibrare il lettore con intensità di poesia, ma lo tiene sempre avvinto nella realtà della lotta contro le ingiustizie sociali, contro la guerra, contro il fascismo, rievocando un'epoca non mai abbastanza conosciuta dalle giovani generazioni. Ed in ciò la biografia di Bruno Misèfari è molto efficace. Le forze conservatrici interessate, come sempre, alla guerra e all'oppressione dei lavoratori sfruttati, Mussolini socialista ed antimilitarista passato in campo nemico, le lotte dei lavoratori contro l'ingordigia padronale, sono viste nel libro attraverso la vita di un uomo, di un militante che, pure attanagliato dalla necessità della vita di famiglia è sempre pronto al richiamo della lotta in prima fila, come vediamo nelle pagine che rievocano la grande lotta dei metallurgici tarantini del cantiere Tosi, risolta quando Bruno ebbe dalla Camera del lavoro sindacalista (dell'Unione Sindacale Italiana) di Taranto l'incarico di prenderne la guida. L'attività del nostro negli anni dal 1921 al 1925, la sua intensa partecipazione all'agitazione per la liberazione di Sacco e Vanzetti, i suoi giri di conferenze a Napoli, in Calabria e nelle Puglie, gli fanno perdere tempo prezioso per il conseguimento della laurea di ingegnere e permettergli la indipendenza necessaria per un maggiore impegno nella lotta stessa.
Dalle pagine della biografia sembrerebbe che Bruno fosse preso, in certi momenti dai suoi problemi privati. Ad un certo punto leggiamo che nei primi mesi del 1924 è a Roma. Dalle lettere conosciamo soltanto che è preoccupato di cose riguardanti ancora il suo processo per diserzione, la sua iscrizione alla facoltà di filosofia, ecc. Pia, la sua compagna, ed oggi la sua biografa registra (pag. 194) l'annunzio della pubblicazione de L'Amico del popolo apparso su Pensiero e Volontà, la rivista che allora pubblicava Errico Malatesta a Roma, il 15 novembre 1924. Che cosa era successo? Durante quei mesi Misèfari aveva esaminato a lungo insieme ad Errico Malatesta la situazione venutasi a creare dopo l'avvento della dittatura fascista. Le nostre pubblicazioni e le nostre attività erano state ridotte in grandissima parte dalle persecuzioni contro gli anarchici che nella lotta contro lo squadrismo fascista non avevano fatto economie.
Era necessario riprendere la lotta, continuare, anche nelle nuove precarie condizioni. Bruno Misèfari mette da parte i suoi problemi privati: insieme a Nino Malara, Roberto Elia, il compagno deportato dagli Stati Uniti, calabrese anche lui, e ad altri compagni fonda L'Amico del popolo che esce il 14 dicembre del 1924 a Reggio Calabria. Il primo articolo è di Bruno Misèfari: “chi sono e cosa vogliono gli anarchici”. È uno scritto sempre valido, in cui la ragione ed il cuore si fondono per spingere alla lotta in un momento in cui la libertà agonizza in Italia ed i più si preparano a “vivere in pace” col regime.

Nella lotta per l'anarchia

L'Amico del popolo avrà breve vita. Sarà soppresso dopo quattro numeri. Ma il suo seme germoglierà, darà vita. Bruno Misèfari, come gli altri compagni, affronterà e subirà le persecuzioni, anche nella sua vita privata, di un regime fondato sulla sopraffazione e sull'arbitrio, ma continuerà sempre, anche in carcere ed al confino, sempre col sorriso sulle labbra, la fermezza e la serenità dei forti, a lottare e cospirare per l'avvento di una società migliore che egli così annunziava su L'Amico del popolo: “Così la società anarchica non si realizza spogliando i ricchi e vestendo i poveri, come i nemici del popolo vanno dicendo.
Nella società anarchica non ci saranno né ricchi né poveri né servi: ci saranno invece solamente uomini, che sono fratelli tra loro, che si amano, che si aiutano a vicenda, che cantano insieme l'inno gioioso alla vita, la quale sarà pienamente goduta.
Non più bimbi scalzi e laceri scarnificati dalla fame; non più vecchi cadenti privi di mezzi di assistenza e di casa; non più donne che vendono l'amore; non più uomini che rubano, che tradiscono, che compiono delitti; non più guerre all'esterno e all'interno delle nazioni, non più umori ed infelicità domestiche. Nella società anarchica sarà dato il massimo di garanzia dei mezzi di vita ai fanciulli, ai vecchi ed a tutti coloro che non possono procurarseli. Le frontiere saranno abolite.
All'odio sarà sostituito l'amore, alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca del proprio benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, all'oppressione la liberà alla menzogna religiosa la verità”.
Di Bruno Misèfari, primo progettista del ponte sullo stretto di Messina da Punta Pezzo, oggi in via di realizzazione come annunziato dalla TV, scopritore dei primi giacimenti di quarzo in Italia, pioniere dell'industrializzazione meridionale in Calabria, delle sue lotte contro i monopoli che durante il fascismo stroncano tutti i tentativi, nel Sud e nelle isole, di costruire impianti concorrenti, delle vicende che portarono Bruno al confino ed al tribunale speciale, della dolorosa fine del nostro compagno, è bene leggere direttamente nella biografia della buona Pia, materiata di pagine sublimi di bellezza effettiva che invitano i giovani ad emulare i lottatori di ieri ed i vecchi militanti a scuotersi ed attivizzarsi sempre più nella lotta per l'anarchia.

Alfonso Failla

originariamente apparso in “Umanità Nova”, 22 aprile 1967 con il titolo L'anarchico di Calabria



Alfonso Failla (Siracusa 1906-Carrara 1986) è stato una delle figure più prestigiose del movimento anarchico di lingua italiana di questo secolo. Avvicinatosi giovanissimo all'anarchismo si impegna nella lotta contro il montante regime fascista. Più volte arrestato e sottoposto a provvedimenti restrittivi, nel 1930 viene spedito al confino ove rimane - salvo una breve parentesi di libertà vigilata a Siracusa nel '39 - fino all'estate del '43.

Dopo l'evasione in massa dal campo di Renicci d'Anghiari partecipa alla Resistenza principalmente in Toscana, Liguria e Lombardia. Nel dopoguerra è tra gli organizzatori della Federazione Anarchica Italiana redattore e direttore responsabile del settimanale Umanità Nova attivo nell'Unione Sindacale Italiana. Tiene centinaia di conferenze, dibattiti e comizi, l'ultimo dei quali a Pisa dopo l'assassinio di Franco Serantini.
Dal giugno del '72, per ragioni di salute è costretto a interrompere l'attività pubblica.

Questo volume (pp. 366 + XXIV, € 12,90) è suddiviso in tre sezioni. Nella prima sono raccolte carte di polizia e documenti relativi al periodo '22-'43 tratti dal dossier Failla al Casellario Politico Centrale. Nella seconda sono raccolti gran parte degli articoli da lui scritti nel secondo dopoguerra. Nella terza sezione sono raccolte testimonianze della sua attività.

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