Rivista Anarchica Online





Carcere e ingiustizia/ Due casi (tra tanti)

Se sei innocente, peggio per te

Leggo che per alcuni addetti ai lavori, la media di 1.000 innocenti in custodia cautelare ogni anno rappresentano un dato fisiologico. Non sono per nulla d'accordo, neppure quando questo possa servire a lottare contro qualsiasi tipo di criminalità. Senza contare che un innocente in carcere fa danni enormi alla credibilità della giustizia, perché l'innocente ha parenti e amici e tutti poi perdono fiducia nello Stato di diritto.
Nei miei 28 anni di carcere ho conosciuto tanti detenuti colpevoli di essere innocenti, alcuni pure condannati alla pena dell'ergastolo.
Uno di questi, condannato per la strage di via d'Amelio, dove è morto il giudice Borsellino, grazie alle rivelazioni di un altro pentito che lo scagionava, era stato liberato dal carcere di Spoleto, dopo tanti anni. Mi ricordo che prima di uscire era passato a salutarmi. Sedici anni prima eravamo nella stessa stanza del carcere dell'Asinara (l'Isola del Diavolo, come la chiamavamo noi prigionieri) sottoposti al regime di tortura del 41 bis. L'avevo visto entrare che era un ragazzino, con i capelli neri come il carbone e con il sorriso sempre stampato sulle labbra. E mi ricordo che l'ho visto uscire anziano, senza nessun sorriso e con tutti i capelli bianchi. Ricordo che, sapendo dei miei studi universitari di giurisprudenza, un giorno mi aveva chiesto di fargli una richiesta di permesso premio. Dopo un paio di mesi il magistrato di sorveglianza gli aveva risposto in questo modo: (...) Si dichiara inammissibile la richiesta perché il detenuto è stato condannato per reati esclusi da qualsiasi beneficio penitenziario se non collabora con la giustizia (...).
Lui venne nella mia cella e mi chiese cosa volessero dire quelle parole ed io gli risposi in maniera semplice, come ormai facevo da anni con tutti gli ergastolani ostativi:
Vuole dire che sei destinato a morire in carcere se non metti in cella un altro al posto tuo.
Dalla sua espressione del viso notai che forse non aveva capito il concetto e allora glielo spiegai ancora meglio:
Lo vuoi capire o no? Per uscire devi confessare i reati e fare i nomi di altri e farli condannare, solo facendo arrestare loro potrai uscire tu.
Mi ricordo che per un attimo mi aveva guardato con i suoi occhi da lupo bastonato, poi li aveva abbassati e mi rispose: Carmelo, io per uscire farei qualsiasi cosa, ma sono innocente e quindi come faccio a confessare un reato che non ho mai commesso?
Incredulo gli replicai:
Abbi pazienza, non è che non ti voglio credere, ma in carcere tutti dicono che sono innocenti.
Lui mi guardò per un lungo istante, quasi con vergogna, poi sbottò:
Carmelo, ma io sono innocente davvero.
Rassegnato, scrollai le spalle e gli risposi:
Mi dispiace, ma non posso fare nulla! Purtroppo se sei innocente è peggio per te.
Mi ricordo che quando ci siamo salutati e abbracciati, gli avevo augurato di tentare di rifarsi una vita, quella poca che la giustizia italiana, seguendo il pensiero filosofico che il fine giustifica i mezzi, gli aveva lasciato.

Rosa Zagari, prigioniera e malata

Spesso in carcere fanno più male le sofferenze che vediamo che quelle che subiamo.
(dal libro Angelo SenzaDio di Carmelo Musumeci, distribuito da Amazon)

Mi ha colpito la dichiarazione della senatrice Liliana Segre, in visita al carcere di San Vittore: “Dai detenuti gli unici gesti di umanità prima della deportazione”, e ho pensato a Rosa Zagari, prigioniera dei “buoni”, che rischia la paralisi, dopo una caduta in carcere che le ha provocato fratture. È stata condannata in primo grado a otto anni, perché non darle la possibilità di curarsi fuori? Probabilmente perché non è una persona importante, forse perché ha parenti pregiudicati o forse, semplicemente, chi amministra la giustizia non si può permettere di avere un cuore al posto del codice.
Fino a che punto può arrivare la giustizia degli uomini per tutelare i suoi cittadini? Può arrivare, per esempio, ad accanirsi contro una prigioniera, malata, stanca e depressa (le è appena mancata la madre). Io credo di no, credo che una democrazia che usi mezzi disumani sia una democrazia malata. Non ho mai visto nessun delinquente cambiare per effetto di trattamenti disumani e degradanti, e un Paese che li usa, comunque, fosse anche per fermare i fenomeni criminali, degrada se stesso.
Il giuramento di Ippocrate dice: “Medico, ricordati che il malato non è una cosa, o un mezzo, ma un fine, un valore”. Invece in carcere il malato detenuto/detenuta è un malato sfortunato/sfortunata.
Quando una persona in libertà è malata spesso, non sempre, l'ambiente in cui vive rispetta il suo stato, nel senso che la si cura e di norma almeno può essere sicura di ricevere attenzione dalla propria famiglia. Invece guai al paziente in carcere, la richiesta di attenzione genera disprezzo. Il prigioniero/prigioniera malato/malata non gode della pur minima protezione, persino gli si fa una colpa della sua malattia. Alla prima occasione, al minimo lamento e tentativo di conforto, per un motivo normalmente di nessuna importanza, la malattia gli viene rinfacciata come una colpa e lui/lei viene additato come simulatore. E qualunque disturbo possa lamentare, non gli si crede. Purtroppo il detenuto/detenuta malato/malata è come un cieco a cui si rimprovera di non vedere.
Lancio un appello affinché a Rosa Zagari sia data la possibilità di curarsi in una struttura esterna al carcere, perché a mio parere non è così necessario che continui a stare in carcere in queste condizioni. E inoltre una giustizia umana è la migliore delle medicine, sia per i cattivi che per i buoni.

Carmelo Musumeci