Rivista Anarchica Online





Roberto Saviano e George Floyd

Caro Saviano,
le scrivo perché se uno dei miei studenti avesse presentato, alla fine del corso, un lavoro simile al suo articolo dal suggestivo titolo Tra le gang di New York, mi sarei arrabbiata moltissimo. Non sono sofisticati studiosi, i miei allievi, ma semplici matricole di un corso di laurea in Mediazione Linguistica e Culturale: niente a che fare con lei, insomma. E neanch'io sono una straordinaria esperta di storia afroamericana. Lavoro solo da qualche anno su questi temi e ne ragiono con i miei studenti. E, pensi un po', ho sviluppato alcuni consigli che ho persino la pretesa possano servirle, la prossima volta, a fare un mestiere che somigli di più, secondo una desueta deontologia, a quello del giornalista.
Dunque ecco qua il consiglio numero 1: una sensazione (su una vicenda, un testo, una situazione, uno sviluppo politico, etc.) è, appunto, una sensazione. Per diventare un'analisi dei fatti, bisogna che essa sia seguita da una seria documentazione. Altrimenti resta la spiegazione per esteso di un'emozione individuale. Ora, io non so se abbia scelto lei il titolo del suo pezzo (davvero infelice per l'immaginario cinematografico che evoca), ma di sicuro ha scritto lei che “Alla maggior parte di coloro che entrano a rubare non frega nulla dell'innocente nero ammazzato sotto il ginocchio di un poliziotto, non importa nulla della situazione dei ghetti, vuole solo fregarsi il televisore: ed è proprio così”. Se ne ha le prove, le esponga; se non le ha, mi creda, non riesco a capire come possa permettersi di liquidare l'intera storia dei neri negli Stati Uniti riducendo la loro rabbia a questo “desiderio di essere cool” (parole sue). E attenzione: non mi accusi di eccesso di condiscendenza nei confronti dei neri, che sono esseri umani, e dunque diversificati. Sto parlando di Storia, e del modo in cui un susseguirsi ininterrotto di violazioni eroda l'idea che possa esservi una forma di convivenza civile, almeno finché non cambiano radicalmente alcune regole, prima tra quelle che riguardano i servizi di polizia negli Stati Uniti.
E a proposito di polizia, ecco il consiglio numero 2: occorre evitare di essere insipientemente contraddittori. Lei parla di polizia. Poi parla di violenze della polizia. Poi parla di polizia ben addestrata ai tempi della Mano Nera (ma anche lì, la inviterei a dare un'occhiata a quel che succedeva in molte stazioni di polizia e come funzionava il sistema di corruzione degli agenti anche allora) e infine parla di terrore in cui vive la polizia per poi concludere in gloria con i poliziotti che si inginocchiano. Le confesso che non sono riuscita a trovare ombra di coerenza in tutti questi ragionamenti. Pare di più la strategia del “colpo al cerchio e colpo alla botte” che è l'errore capitale per qualunque studente si appresti a sostenere il mio esame. Vale anche per i giornalisti: si prende una posizione e ci si assume la responsabilità di averla presa. Altrimenti si sta zitti. Responsabilità vera o silenzio, e niente fuffa.

Condanna senza appello

La responsabilità, appunto: e qui si arriva al consiglio numero 3. Assumersi la responsabilità del proprio punto di vista non significa pontificare dall'altezza incommensurabile del proprio ruolo di intellettuale. Lei condanna senza appello – come “filosofia” – le posizioni di chi suggerisce che saccheggi e distruzioni possano essere l'onda lunga della rabbia per una disparità troppo a lungo protratta tra la condizione dei bianchi e quella dei neri, considerando anche che il tempo, le lotte pacifiste, le rivendicazioni quiete e legali (che, intendiamoci, non sono mai finite) hanno modificato la condizione dei neri in modo esiziale. James Baldwin lo aveva detto già anni fa: la prossima volta, il fuoco. E lo sa perché? Provi a indovinare. Forse perché – come lei stesso osa riferire – “No loots no news”. E appunto. Lei fa il giornalista e lo scrittore. Allora com'è questa storia? Si sente di negare che di condizione dei neri si stia parlando ora mentre era parecchio, ma proprio parecchio, che non se ne parlava? Lei quando ne ha parlato l'ultima volta? Ed era in occasione di una richiesta equilibrata e pacifica, giusto?
Avrei altri consigli, caro Saviano, ma questi mi sembrano già tantissimi. Io non sono nessuno, ma mi spiaceva privarla delle indicazioni che persino i miei studenti hanno. Lo avrei trovato iniquo, e non voglio discriminarla.

Nicoletta Vallorani