Rivista Anarchica Online


società e ambiente

Sopravvivenza di individui, non di greggi

di Adriano Paolella

Dall'emergenza sanitaria alla riduzione del “peso” ambientale della specie. E una domanda: perché la crisi ambientale non è mai stata avvertita come un'emergenza?


Le condizioni della natura sono migliorate a seguito del fermo imposto dall'emergenza virus. L'aria è più respirabile, le acque dei fiumi e del mare più limpide, la vegetazione si sviluppa in città, gli animali si avvicinano agli insediamenti, si sente odore di mangiare, rumori di voci e anche profumi di fiori.
I dati scientifici confermano questa percezione. La velocità con cui ciò è avvenuto è inaspettata: ridotta la “pressione” antropica, la natura ha respirato. Certo non si è placato il riscaldamento globale, né i suoli sono meno inquinati, ma il miglioramento è tangibile.
L'emergenza sanitaria ha sospeso l'azione dell'uomo consentendo il miglioramento della situazione ambientale e al contempo ha evidenziato alcuni profondi limiti del modello economico e sociale praticato: i singoli paesi non hanno, in ragione della convenienza a concentrare le produzioni e mobilitare le merci, una struttura produttiva atta ad affrontare in tempi ridotti le situazioni di rischio per la collettività; l'economia privata è incapace di risolvere problemi comuni e abbandonare la ricerca di profitti anche in situazione di estrema emergenza (come del resto è sempre avvenuto nel corso delle guerre); il mercato globale, fondato sulla precarietà del lavoro, sul sommerso diffuso, sulla produzione e vendita dell'inutile, è estremamente labile; il rischio è molto superiore nelle aree urbane dove concentrazione della popolazione, elevata mobilità, dipendenza dall'approvvigionamento di risorse complicano la gestione dell'emergenza.

Il ruolo centrale delle comunità

Questi limiti mostrano la fragilità del sistema e sembrano confermare le critiche elaborate dall'ambientalismo al modello consumistico globale: la necessità di una maggiore autonomia economica delle comunità, l'importanza dell'uso diretto delle risorse, della gestione anche locale della produzione, l'ineludibilità di un ridimensionamento del profitto cieco e pericoloso per l'ambiente e le comunità, l'opportunità di modalità insediative conformate sulla qualità delle vita e l'accessibilità delle risorse.
L'emergenza ha inoltre palesato l'incapacità di autogoverno di alcuni territori dove i più miopi interessi economici, sostenuti come tradizione da una confusa quanto rumorosa destra, hanno stimolato e sostenuto comportamenti mentecatti e permeato così profondamente la comunità da impedirle di opporsi all'avvio di quella che è stata una tragedia collettiva.
Questa incapacità mostra come la carenza di conoscenza dei problemi, di strumentazioni critiche e di consapevolezza possa fare perdere di vista l'interesse comune; e ciò costituisce un segnale negativo per affrontare la questione ambientale che, come noto, è questione comune.
Al contempo però c'è anche da evidenziare come gli abitanti di molti altri territori, una volta informati, abbiano cambiato i propri comportamenti; e questo è un segnale interessante per affrontare la questione ambientale.

Già esistono soluzioni praticabili

In estrema sintesi l'emergenza ha dimostrato, oltre alla delicatezza del modello economico e sociale vigente, che si possono migliorare le condizioni dell'ambiente (risultato collaterale ottenuto senza averlo perseguito) e che la specie umana ne ha la capacità.
Altro dato da considerare è che per la pandemia è stato possibile praticare delle misure di contenimento fondate sulla sensazione individuale del pericolo per la propria salute e sulla certezza di un rischio collettivo. Ma secondo Greenpeace sono 4 milioni e mezzo l'anno le morti premature addebitabili all'inquinamento, secondo la rivista “Le Scienze”, nel 2015 sono state 790.000 in Europa e 8.800.000 nel mondo; vi sono quindi altri rischi, in questo caso di origine antropica, per la salute della popolazione mondiale, per la rimozione dei quali, diversamente dal coronavirus, già esistono soluzioni praticabili.
Ci si domanda come mai l'inquinamento e suoi effetti sulla salute umana non siano percepiti come emergenziali: forse perché i dati non sono riconosciuti dagli stati che, per mantenere immutati interessi e vantaggi consolidati, tendono a non mettere in diretta relazione inquinamento e morti; forse perché il danno sulla salute prodotto dall'inquinamento è più facilmente gestibile dagli abbienti che attutiscono il rischio vivendo lontano dalle aree più inquinate, in ambienti artificialmente sanificati, avendo accesso a una migliore sanità, mentre il virus non fa differenza tra “alta e bassa gente”; forse per la ridotta capacità di coloro che sono critici col modello economico globale di mettere sotto pressione la società per il riconoscimento dell'emergenza ambientale. Forse.
Certo è che appare strano che un rischio per la salute umana così concreto e diffuso quale quello dell'inquinamento non riesca ad essere adeguatamente considerato.

Garantire il benessere, con meno problemi ambientali

Infine altra riflessione può essere sviluppata sulla differenza tra autolimitazione (o condivisione di una limitazione) e riduzione delle libertà. Per ridurre il “peso” ambientale della specie sono necessarie delle limitazioni: il Pianeta ha risorse limitate e, dato che consumiamo più di quanto sia disponibile, è necessario ridurre consumi di energia e risorse attraverso un'azione che, per quanto ne dicano i liberisti, non può essere considerata una limitazione delle libertà, quando consapevole e condivisa.
Quanto emerso negli ultimi due mesi di crisi sanitaria, pur considerando che per placare i mutamenti climatici sono necessari tempi più lunghi e strategie diverse, può fornire elementi utili alla riflessione. La diffusa capacità a modificare i comportamenti, seppure in una situazione emergenziale, mostra che chi non ha capacità di modificarsi è il sistema economico globale piuttosto che le persone.
Se si trattasse l'emergenza ambientale con lo stesso impegno utilizzato per l'emergenza sanitaria non ci sarebbe bisogno di sospensioni complete delle attività, né di peggioramenti delle condizioni di vita: tra il non uscire di casa e lo spostarsi inopinatamente per il mondo, tra il non muoversi e il fare centinaia di migliaia di chilometri l'anno con un suv, tra il non comprare nulla di non strettamente necessario e il dilapidare soldi e risorse per acquisti inutili ci sono comportamenti che, riducendo il peso ambientale, garantiscono un benessere.
Non c'è bisogno di sacrifici, ma di un'intelligenza (di specie) simile a quella che abbiamo visto contrastare interessi forti in tutto il Pianeta, mostrando come la specie sia molto interessata alla sua sopravvivenza non solo come gregge, ma come individui.

Adriano Paolella