Rivista Anarchica Online


società

Il futuro che verrà

di Andrea Papi

In questo momento di transizione, proviamo a immaginare un mondo diverso. Lasciandoci alle spalle sfruttamento, inquinamento, ingiustizia e autoritarismo.


Tremo quando sento parlare di “ritorno alla normalità”. Per le mie orecchie è come una minaccia. Questa agognata normalità di cui si straparla è un concetto terribile, al limite dell'antiumanismo. Sarebbe per caso quella del mondo che ha generato il coronavirus da cui si è fatto sconvolgere? Beh, in cuor mio spero allora che non torni affatto, perché nel suo protrarsi c'è ben poco di desiderabile e accettabile.
Rischia di essere interminabile l'elenco delle storture umane, morali, politiche, economiche e quant'altro di cui è pieno il contesto-mondo, per ora in sosta forzata. Da tempo inenarrabile le stiamo vivendo tutte, ne siamo forzosamente avvolti e c'è ben poco da salvare. Volendo esprimere un auspicio, sarebbe uno status da abbandonare, per trasformarlo a un punto tale che ciò che lo dovrebbe sostituire ci indurrebbe a dimenticarne l'esperienza. Qualcosa di simile a come quando evochiamo le epoche che chiamiamo preistoriche, per cui possiamo solo supporre cosa vi succedeva perché non ne abbiamo più memoria.
Si desidera di tornare a vivere “normalmente” oppressi come prima da profonde ingiustizie sociali?
Da decenni il ricatto di trovare lavoro aumenta di giorno in giorno, in una situazione diffusa per cui chi lavora guadagna sempre meno, lavorando però sempre di più. Siccome ad ogni latitudine del globo vige il presupposto esistenziale che per aver diritto alla sopravvivenza ci si deve “guadagnare il pane col sudore della fronte”, come recita la Bibbia, chi non riesce a trovare nessun introito di fatto è condannato all'indigenza e perde il diritto alla vita. A tale scopo si è inventato il cosiddetto “diritto al lavoro”, favorendo l'avanzare di una condizione generalizzata per cui è sempre più difficile trovarlo. Si è così lasciato ampio spazio a contingenze sempre più ingiuste e brutali di sfruttamenti e schiavismo.

Quale normalità?

Come si può desiderare di continuare a intossicare l'ambiente circostante come “normalmente” si è abituati a fare? A causa soprattutto delle incessanti azioni antropiche, da parecchi decenni si stanno alterando e mettendo in pericolo le condizioni degli habitat terrestri, che di conseguenza si trovano in uno stato di progressivo deperimento. Questo modo di vivere, pericoloso e deleterio per noi stessi e per ogni altra specie vivente, è costantemente causa di massicce dosi di inquinamento che genera una progressiva distruzione dei fondamenti che permettono il perpetuarsi delle forme-vita. Per un tale scellerato modo di stare al mondo la specie umana contribuisce consapevolmente a rendere sempre più invivibile il contesto che la accoglie. Invece di contribuire a renderlo ancora più accogliente, come volendo si potrebbe fare, sciaguratamente continua ad essere inesorabilmente distruttiva.
Come si può inoltre continuare a desiderare di ritrovarsi sottoposti alla devastante azione dei mercati finanziari globali? Mentre il virus pandemico in tutto il mondo falcidia esseri umani e costringe a bloccare commerci e produzioni di merci, la speculazione finanziaria contribuisce ad aggravare ulteriormente la crisi economica epocale che ne consegue. Da secoli sappiamo che è una terrificante “spada di Damocle”. Rimpolpa e coltiva il baratro delle disuguaglianze che determinano gli enormi stati di indigenza, miseria e povertà da cui il mondo è perennemente afflitto e da cui non riesce ad emanciparsi. A cosa serve se non a rimpinguare le enormi ricchezze di chi è già ampiamente ricchissimo e gode di ogni agio, a discapito di chi poco o nulla possiede?
È questa la famosa e irrinunciabile “normalità” a cui aspireremmo di tornare? Un'aspirazione indice di qualcosa di malato che, ben più dei virus, rischia di ammorbare il divenire del genere umano e del contesto circostante che continua a deturpare. Sono sempre più convinto che sarebbe ora di dire basta e por fine a questa follia plurimillenaria, che imperterrita continua a perpetuarsi al di là di ogni contingenza e situazione.
Il coronavirus ci ha costretto ad accettare di piombare in una crisi economica e politica profonda. Qualcuno pensa che sia anche una crisi sistemica. Che il vecchio sistema di poteri, quello a cui eravamo abituati, mostri parecchie crepe mi sembra evidente, ma più ci penso e più mi si rafforza la convinzione che, invece di subire la crisi, ci sia il rischio che alla fin fine si trovi rafforzato seppur assumendo una forma diversa. Per capirci, chiariamo cosa si possa intendere per crisi sistemica.
Siccome un sistema, qualsiasi esso sia, corrisponde sostanzialmente a una stretta connessione di più elementi in un tutto organico funzionalmente unitario, per parlare di crisi ci si dovrebbe riferire a un crollo dello stesso, una vera debacle che lo mina alle fondamenta. Mi sembra invece che ciò che si sta prospettando corrisponda molto di più a un riassestamento, un riassetto in gran parte nuovo, una ridefinizione più efficiente per necessità di migliorare la propria funzionalità. In altre parole, attraverso la sua insita capacità di riuscire duttile, il sistema sta usufruendo degli stimoli di questa crisi causata dalla pandemia per riuscire a diventare più efficiente e funzionale ai propri scopi. E noi sappiamo che il suo scopo fondamentale è il mantenimento della sua supremazia, del potere incondizionato di cui gode esteso su tutto il resto.
Non mi sembra infatti che ciò che si sta prospettando faccia supporre che il diritto alla vita diventerà elemento fondante e prioritario di un nuovo modo di concepire le convivenze civili. Ci sarà, forse, un superamento delle logiche di lavoro, ormai logore, che ci hanno accompagnato fin qui, ma per raggiungere maggiore efficienza e funzionalità nello sfruttamento dello stesso. Non verranno neppure abbandonati intenti e azioni di intervento sulla natura a favore dei profitti e dello sfruttamento sistematico delle risorse. Senz'altro qualche cosina in tal senso è destinata a cambiare, dal momento che gli stravolgimenti climatici, il depauperamento sistematico delle risorse e la metodicità tossica degli inquinamenti con cui si impestano i contesti ambientali, stanno superando i livelli di guardia e sono diventati controproducenti.

Una società sana

Una società un minimo sana si porrebbe seriamente il problema di come attuare una radicale inversione di marcia, tale da permetterle di cominciare a guarire dai profondi mali endemici che la ammorbano e la espongono a terrificanti crisi di vario tipo.
Per esempio, davanti alla necessità di riprendersi economicamente dopo essersi dovuta fermare a causa della pandemia, senz'altro bloccherebbe tout-court gli interventi speculativi, per impedire allo strapotere della finanza di continuare, direttamente e indirettamente, a “dettare legge” su modalità applicative e scelte operative del rinnovamento non più rimandabile che si sta delineando. In un momento come questo, in cui le sostanzialità finanziarie crollano in tutto il mondo per mancanza di produzioni, di guadagni e di profitti, servirebbe una redistribuzione in chiave solidale dei capitali, degli investimenti e del lavoro, non certamente la speculazione che, per l'insita avidità della sua natura, invece di contribuire ad uscirne sguazza nelle crisi traendone vantaggi personali per pochissimi.
Una società un minimo sana progetterebbe seriamente, molto seriamente, di convertire totalmente le produzioni, sia industriali sia di qualsiasi altro tipo, in chiave di completa sostenibilità ambientale, in modo da por fine alle emissioni inquinanti, ai disboscamenti, al massacro sistematico delle biodiversità. Lo spettacolo di questi giorni di “chiusura in casa anticoronavirus”, per cui molte acque sono tornate inaspettatamente limpide e gli animali circolano tranquillamente e festosamente per le strade deserte, dovrebbe farci capire che è possibile bloccare il massacro che stiamo perpetrando. Dovrebbe soprattutto essere auspicabile e voluto.
Una società un minimo sana sposterebbe il baricentro delle proprie scelte verso l'organizzazione di concreti e cospicui investimenti di solidarietà sociale. Assicurerebbe la sussistenza e farebbe uscire tutti dalla miseria e dalla povertà. Ridistribuirebbe ricchezze e benefici attraverso un'equa ripartizione nel nome di un pieno riconoscimento del diritto alla vita per tutti, annullando l'attuale innaturale imposizione di trovarsi un lavoro per essere sfruttati a profitto di benestanti a cui non importa nulla di chi sta peggio.

Andrea Papi
www.libertandreapapi.it