Rivista Anarchica Online






Gianni Siviero, il rigore di un poeta

Gianni Siviero è forse l'outsider più significativo e indispensabile dell'epoca d'oro della canzone d'autore italiana. La sua vita è un romanzo politico e neorealista, sin dai tempi in cui si è ritrovato fra i principali animatori delle notti di Brera a cavallo del '68: «Molti di quei locali li ho aperti io, proprio nel senso che più di una volta mi trovavo a lavorarci il giorno come muratore, poi la sera ci cantavo. Considera che all'epoca non c'era musica da nessuna parte, e così i locali facevano delle vere e proprie scritture alla buona, non per un concerto (detesto questo termine pomposo) ma per l'intera serata, dove un po' cantavo, un po' accompagnavo i frequentatori abituali, ciascuno dei quali aveva il suo repertorio. Nella zona delle osterie dei navigli, per esempio, Gianni Merda (per distinguerlo da me... però a lui era andata male col soprannome) praticava un repertorio popolare più becero.
Io cantavo canti anarchici, traditional del folk americano, e poi ci infilavo qualche canzone mia, ricordo che feci esordire fra gli altri Ivan Graziani. La nostra era una Brera leggermente diversa, benché confinante con quella di Bianciardi e di Uliano Lucas che c'erano già un po' prima, e che però ogni tanto venivano a lumarci, a darci un'occhiata. Io finii anche per vivere in una sorta di garage in via San Carpoforo che un amico mi aveva aiutato a trasformare in un monolocale molto bohème. Una volta vi ospitai un gruppo di musicisti genovesi che non sapeva dove dormire. Io suonavo la notte, poi andavo a scaricare cassette ai mercati generali, torno e trovo la mia casa vuota degli ospiti e di tutto quello che loro si erano portati via. Mi sono fatto prestare una scure dal mio vicino di casa, un pittore che si faceva chiamare Velasquez, e ho fatto a pezzi ogni cosa. Per me era il segnale che un'epoca era finita.»

Milano, 1974 - Gianni Siviero durante
l'occupazione della Palazzina Liberty
foto di www.giannisiviero.it

La Palazzina Liberty

Gianni Siviero si è sempre definito un anarchico e, con un gruppo di quattro, cinque amici, interagì col servizio d'ordine del Movimento studentesco per negoziare una collaborazione: «Mi sembrava assurdo che ci si dovesse picchiare fra di noi, quando i nemici erano ben altri, ma fu un modo anche per intrecciare relazioni fra musicisti.»
Nello stesso spirito partecipa all'occupazione della Palazzina liberty insieme a Dario Fo «che poi era un'occupazione sui generis, perché le chiavi a Dario le aveva passate il sindaco. Io conoscevo il luogo, dove qualche anno prima sorgevano i Mercati generali, appunto perché andavo ogni tanto a lavorarci come facchino a giornata, ricordo bene la fatica che mi ha distrutto i tendini e il mastello del “grigio-verde”, una mistura diabolica di pessima grappa e menta, dalla quale pescavamo per combattere l'umido dell'alba. Una volta dismessi i mercati, quello che oggi è Largo Marinai d'Italia, divenne una sorta di buco, di terra di nessuno, fra via Cadore e corso XXII marzo, la Palazzina Liberty era l'ex-mercato dei fiori. Fo era un artista straordinario, ma ai miei occhi aveva anche qualche difetto, non ultimo quello di innamorarsi dei vari gruppi estremisti - al periodo ricordo Servire il popolo, che inscenava un'assurda parodia del maoismo in salsa italiana - per i quali diventava il vate, ma ha anche avuto un'utilità politica immensa, aprendo gli occhi a moltissima gente. Io, proprio perché interessato al suo esperimento culturale, ho evitato accuratamente di usare quel palco per le mie canzoni, unica eccezione fu il lavoro di ricerca sui detenuti, che fu la base per il mio disco “Dal carcere”, cantai la canzone Giancarlo e gli altri sulla rivolta delle Murate di Firenze e l'uccisione di Giancarlo Del Padrone:

Noi non sapremo mai
quale sia stata la sua orazione
mentre a un passo dal cielo
gli hanno sparato come a un piccione
forse non ha potuto
gridare “boia” a chi l'ammazzava
mentre la vita rossa colava
giù per le tegole nella grondaia.

Mentre stridon le rondini
sopra Firenze la sua agonia
un prete falso dentro una chiesa
affida i morti a un'Ave Maria
dietro le mura spesse
delle Murate si piange ancora
per quei vent'anni di vita spenti
da un tiro a segno durato un'ora [ ... ]

Ci fu un silenzio teso, poi un grande applauso, Dario dietro le quinte mi diede due colpetti sulla spalla, come a dire “bravo”, si decise che il disco lo si sarebbe distribuito a partire dalla Palazzina, ma poi fatalmente scoprii che gli scatoloni con le copie finirono in cantina...»

È proprio fra il 1972 e il 1976 che si concentra l'attività discografica di Gianni Siviero, ed è questa pagina breve della sua multiforme esistenza che ha lasciato un segno, se non vasto profondo.
«Per scelta non ho mai voluto campare di musica, anche all'epoca in cui era possibile, ho fatto tutti i mestieri esistiti: assicuratore, idraulico, demolitore di case, riparatore di muri a secco, corniciaio, ma scrivo e canto solo quello che voglio io, per questo non mi ponevo proprio il problema di fare dei dischi. Nel periodo di Brera però giravano dei talent scout, uno di questi mi nota e mi mette in contatto con Antonio Casetta, il proprietario della Produttori associati per la quale incideva De André, all'epoca in perenne crisi di ispirazione, per cui ai suoi produttori pareva cosa buona cercare qualche altro artista su cui provare a puntare, la scelta cadde su di me, e mal gliene incolse. Sentono le mie canzoni, si entusiasmano e mi mettono sotto contratto. Ad arrangiare il disco chiamano un giovanissimo Nicola Piovani, che molto onestamente mi dice “a me le tue canzoni fanno un po' cagare, per me è lavoro”, cominciamo bene, ho pensato! Registrammo in un grosso studio di via Savona con una grande orchestra, l'arpista della Scala che era stata chiamata appositamente per un solo pezzo, alla batteria Tullio De Piscopo, Gianni “Sax”... insomma, il meglio dei musicisti sulla piazza. Il disco esce, lo prende in mano Roberto Dané (anche lui collaboratore storico di De André), vince il Premio della critica discografica, tutto pare ben avviato e mi fanno fare persino una trasmissione televisiva, che però non va in onda, le canzoni non le trasmette nessuna radio. Casetta, non capacitandosi, prova a rilanciare con un 45 giri, dove sbagliano persino un lato (scrivono il titolo di una canzone e ce ne mettono un'altra), ancora un buco nell'acqua, le copie finiscono al macero. Riprovano ancora con la RAI: un'intervista proprio sui dischi che vanno al macero, io dico che la cosa non mi sconvolge, tanto non sono le mie canzoni ad essere macerate, ma dei pezzi di plastica, e questa è la mia sola affermazione che passa in televisione. Insomma i miei produttori si arrendono. Io non è che mi aspettassi troppo, tornai a suonicchiare e lavorare come ho sempre fatto, considera che nel frattempo avevo detto di no a Fabrizio De André che mi aveva chiesto di collaborare alle melodie, mi pare per il disco “Non al denaro, non all'amore, né al cielo.”»

Sanremo, 1975 - Gianni Siviero con Enzo Capuano
foto di www.giannisiviero.it

Non hai capito

Il disco di esordio di Siviero è maturo e multiforme, Piovani benché controvoglia, arricchisce i brani col suo gusto per i contrappunti e le invenzioni orchestrali, che ancor oggi ne fanno un pezzo raro (anche perché mai ristampato) catalogato un po' impropriamente come “Italian prog”. È proprio a questo disco che si può guardare per fotografare un momento di passaggio fra le preoccupazioni esistenziali della canzone d'autore degli anni sessanta e quelle sociali degli anni settanta, e i loro rispettivi moduli espressivi e stilemi letterari. Sono canzoni sobrie nella scrittura, il loro linguaggio è secco, come rami spogli degli alberi di un cortile di periferia, impietose nel denunciare la vita difficile individuale e di coppia. Una poetica riconducibile a quella tradizione piemontese-ligure del “mestiere di vivere” che va da Pavese a Tenco: Siviero è in effetti nato a Torino, ma presto la sua famiglia si trasferì a Milano, e così le sue canzoni sono cariche anche di una rabbia da “casciavit”, tutta operaia, di una dimensione di rivolta ancorata nelle condizioni del reale, della vita, del lavoro.

Non hai capito
che una mano che ha stretto il badile per una giornata
non può farti carezze leggere o raccoglierti un fiore
che una bocca che ha detto bestemmie per dodici ore
non può dirti parole d'amore ma solo mangiare.

Non si tratta di canzoni politiche, perché è assente una dimensione collettiva o anche solo generazionale: non sono le canzoni di Ivan Della Mea, ma nemmeno Dio è morto di Guccini. Siviero esprime invece benissimo un individualismo consapevole e solidale, la sua sensibilità gli permette di cogliere il nodo esistenziale irrisolto fra il lavoratore, l'uomo e lo sposo.
Il disco è pressoché tutto memorabile, e dopo il folgorante brano iniziale Non hai capito si snoda sviluppando ora il tema dell'alienazione sul lavoro di Il fabbricone (le rate da pagare, i bisogni indotti... una filigrana per la quale traspaiono i quarant'anni a venire), ora la desolata solitudine di Rientro o ancora la favola urbana di Due rose (medesimo tema noir di Via Broletto di Endrigo).
Al principio degli anni settanta Gianni Siviero, con la sua maniera garbata e penetrante, le sue melodie, le sue parole, il suo canto composto, è certamente apparso come la quintessenza dello spirito dei tempi. Non è un caso che nelle prime rassegne del Premio Tenco fosse amatissimo dal suo fondatore Amilcare Rambaldi, che lo considerava e lo promuoveva al fianco dei beniamini Guccini e Vecchioni, e che ancora nel 1994 mi confidasse che considerava le sue canzoni d'amore come le più alte della musica italiana, e che il suo rimpianto era quello di non aver contribuito a una loro migliore diffusione. «“Siviero è un galantuomo”, disse una volta Amilcare parlando di me, è il più bel complimento che abbia ricevuto.»

«Il fallimento del mio primo disco aveva abbattuto più i miei produttori che me. Avevo un amico che mi adorava sin dai tempi di Brera, un grosso commercialista, Sergio Lodi, eravamo diventati inseparabili la sera in cui aveva preso a colpi di borsello uno del pubblico che disturbava mentre cantavo. Lui conosceva Mario de Luigi di Musica e Dischi e costruirono un'etichetta discografica la Divergo, e in particolare il marchio “D'essai” attorno a me. Con loro ho fatto “Dal carcere”, tutto sulle storie dei detenuti (quello di cui ti parlavo a proposito della Palazzina Liberty di Dario Fo) e “Il castello di maggio”. La Divergo finché ha retto ha fatto dischi eccellenti anche con Margot, Michele Straniero e l'eccezionale Virgilio Savona, che fece gli arrangiamenti del disco di Dania, del quale avevo scritto tutti i pezzi sulla condizione della donna, coronando il sogno di lavorare solo come autore, lì conobbi anche i dischi dei cantautori catalani Llach e Pi De La Serra, che adorai e che poi rincontrai alle rassegne del Tenco.
Inutile dire che nessuna di queste produzioni fu un gran successo commerciale, ma ero contento di lavorare in un contesto basato sull'amicizia, sull'identità ideale e comunque con musicisti di alto livello. Milano era un posto molto diverso e se qualcuno dei nostri dischi ha circolato lo dobbiamo anche all'impegno di uno straordinario organizzatore di cultura come Primo Moroni che li diffondeva dalla sua libreria.»

Gianni Siviero

Cassami dalla categoria “compagni”

«Se l'attività discografica non decollava quella dal vivo era a tratti incessante, e io devo ringraziare due compagni di strada fondamentali, Enzo Capuano, che a un certo punto prese il volo con la sua propria produzione musicale, e poi Roberto Frizzo che si scherniva per modestia, ma che era un chitarrista eccellente. Con loro e con un gruppo di “colleghi cantautori” fra cui ricordo Giorgio Lo Cascio, Ernesto Bassignano, Franco Ceccarelli (ex-Equipe 84) con Adriana Asti, Enzo Maolucci e qualche altro, ci eravamo messi a disposizione de “Gli amici dell'Unità” che organizzavano le feste del Partito Comunista. Considera che sono e resto un anarchico, non ho mai avuto alcuna tessera, ma mi sembrava importante portare il mio discorso dialetticamente all'interno di quel circuito. Praticamente era un apostolato laico, lavoravamo per un contributo fisso che talvolta non copriva nemmeno le spese e ci trovavamo proiettati in situazioni assurde: ricordo quindici giorni a cantare in sedici feste in trentino, a San Daniele di Trento mi ritrovo su un carro agricolo, con un'amplificazione a tromba per comizi, e nessuno davanti, nemmeno gli organizzatori: sono salito sul carro (altro che “carro dei vincitori”), ho cantato nel vuoto, con le persiane che ogni tanto si schiudevano, una cosa da star male. Un'altra volta a Reggio Emilia sono sul palco, platea gremita, ma il pubblico mi ha interrotto subito al grido “Nilla, Nilla” aspettavano tutti Nilla Pizzi, mi avevano messo prima del suo concerto, come una sorta di salvacondotto culturale-politico.
L'episodio che mi ha convinto a smettere avviene a una grossa Festa dell'Unità (nazionale o provinciale) all'Arena di Milano: ci chiedono di suonare per militanza gratis, ci inseriscono in cartellone. Inizia la festa, e vedo che in programma c'erano anche Gino Paoli e la Vanoni, “scusate, anche loro suonano gratis?”, “certo che no”, “e noi perché dovremmo farlo?”, “perché voi siete compagni”, “allora fammi un favore, cassami dalla categoria compagni.”»

Alessio Lega



Ovviamente i dischi di Gianni Siviero oggi sono introvabili, ma per riscoprirlo è consigliatissimo il doppio Cd Io credevo - splendido anche nella confezione riccamente illustrata - che l'editore SquiLibri e il Club Tenco hanno dedicato al suo repertorio, pescando dai dischi editi come dagli inediti che l'autore ha reso disponibili in versione demo sul proprio sito online. Notevole il parterre di interpreti che rendono omaggio a questo poeta forse troppo rigoroso: Roberto Vecchioni, Luca Ghielmetti, Scraps Orchestra, Alessandro Centolanza, Massimo Priviero, La Stanza di Greta, Edoardo De Angelis, Roberto Brivio, Erica Boschiero, Alessandro D'Alessandro, Ernesto Bassignano, Olden, Peppe Voltarelli, Marta y Micó, Alessio Lega, Canio Loguercio, Petra Magoni, Sestomarelli, Alberto Patrucco, Giangilberto Monti, Pan Brumisti, Gigliola Cinquetti, Sulutumana, Cece Giannotti, Max Manfredi, Simona Colonna, Mimmo Locasciulli, Domenico Imperato, Sergio Cammariere, Vittorio De Scalzi, Claudia Crabuzza, Gualtiero Bertelli, Daniele Caldarini, Alessio Arena, Têtes de Bois, Massimo Donno, Delta V, Claudio Sanfilippo, Piji.

Consigliato è anche il sito www.giannisiviero.it dove, con grande generosità, l'autore mette a disposizione il suo intero repertorio (edito e inedito) e i suoi libri. Fra questi particolarmente bello Una vita priva, romanzo autobiografico di formazione, dall'adolescenza inquieta alla lunga parentesi nella Marina militare, e che si ferma sui primi anni del ritorno a Milano e la frustrante ambizione di metter su casa e famiglia, una sorta di controstoria del Boom.

A.L.