L'immagine 
                  dei tecnici dell'ambiente nei loro scafandri bianchi occupa 
                  la prima e la quarta di copertina di “A” 110 (maggio 
                  1983) e le scritte di copertina indicano con chiarezza tema 
                  e posizione della redazione: “Da Seveso al Golfo Persico, 
                  la criminalità del potere”. I quattro articoli 
                  di riferimento, con cui si apre questo numero, sono tutti di 
                  autori significativi: i primi due sono affidati al Nucleo anarchico 
                  Cesano Maderno, il raggruppamento anarchico più vicino, 
                  geograficamente, alla centrale di Seveso, in Brianza, dalla 
                  quale si è sviluppata una “perdita” tossica 
                  che le autorità cercarono in ogni modo di coprire e negare, 
                  provocando così immensi danni alla salute collettiva 
                  e all'ambiente. Ne scrivono poi Dario Paccino, una delle figure 
                  di punta dell'ecologismo “contro” di allora, e Agostino 
                  Manni, giovane anarchico salentino residente alla Casa dello 
                  Studente di Milano, che un decennio dopo sarà tra i fondatori, 
                  ed è tuttora uno dei partecipanti, della comune Urupia 
                  a Francavilla Fontana (Br). Dell'ecologia, di un modo di vivere 
                  e produrre alternativo, questa comune è stata ed è 
                  un esempio concreto e palpitante, proprio in contrasto con il 
                  modello di sviluppo anti-ecologico dominante. Che è poi 
                  il tema della copertina e del dossier di questo numero di “A” 
                  che hai in mano, aprile 2020, 37 anni dopo quella copertina 
                  e quel numero 110 della nostra rivista. A sottolineare che tutto 
                  si tocca e si stringe: compreso il ruolo critico di questa piccola 
                  rivista, nel corso dei decenni. 
                  Luciano Lanza si occupa di uno dei suoi temi preferiti, da quando 
                  è nata – dodici anni prima – la rivista: 
                  l'Iri, Istituto per la Ricostruzione Industriale, il carrozzone 
                  statale nato in era fascista e da sempre punto di incontro tra 
                  il potere politico e quello economico. Gli scritti di Lanza 
                  in materia sono stati decine, nel tentativo di cogliere evoluzione 
                  e involuzioni di questo fondamentale rapporto, visto non in 
                  un'ottica di “tradizionale” capitalismo ma come 
                  uno degli indicatori più interessanti dell'affermarsi 
                  di un sistema tecno-burocratico, non solo a livello italiano. 
                  Paolo Finzi, della redazione, si occupa della situazione politico-sindacale 
                  in Polonia colloquiando con il militante anarchico belga Roger 
                  “Babar” Noel, una delle figure di punta dell'anarchismo 
                  europeo di quegli anni, attento analista delle realtà 
                  “sovietiche”, a partire proprio dalla Polonia – 
                  ai militanti clandestini attivi in quel paese sono destinati 
                  i proventi di una sottoscrizione internazionale cui “A” 
                  aderisce e che rilancia.  
                  Nello stesse pagine si pubblicizza la rivista francese libertaria 
                  “Iztok”, un periodico di informazione sui paesi 
                  sotto il tallone di Mosca. Siamo 7 anni prima della caduta del 
                  muro e “A” non si fa prendere alla sprovvista. Non 
                  c'è solo Walesa si intitola il pezzo, facendo riferimento 
                  al mediaticamente predominante e cattolicissimo leader di Solidarno. 
                   
                  Sempre al sindacalismo d'opposizione, ma in questo caso alla 
                  situazione della Confederación Nacional del Trabajo (l'anarco-sindacalista 
                  CNT spagnola), è dedicato il successivo report di Pasquale 
                  Piergiovanni, altro giovane pugliese allora residente a Milano 
                  e ora attivo nell'Usi-Cit nelle sue terre d'origine, e da Luís 
                  Andrés Edo, allora vivace militante anarchico catalano, 
                  storico amico di “A” e nostro referente privilegiato 
                  ai tempi delle lotte clandestine e poi, dopo la morte di Francisco 
                  Franco, nella entusiasmante ricostruzione di una presenza organizzata 
                  libertaria nella società e tra i lavoratori iberici. 
                   
                  Nella rubrica delle Cronache Sovversive tante notizie di lotta, 
                  dalla Polinesia al XVI congresso della Federazione Anarchica 
                  Italiana svoltosi a Reggio Emilia. Non manca mai l'antimilitarismo, 
                  questa volta con la notizia del nuovo arresto del giovane obiettore 
                  totale Mauro Zanoni, di Asola (Mn): il primo interno di copertina 
                  è dedicato al suo caso e riporta parte della sua dichiarazione 
                  pubblica. 
                  Il redattore di “A” Giuseppe Gessa si occupa dell'astensionismo 
                  e delle schede bianche alle recenti elezioni. E poi due recensioni 
                  di film, una lunga recensione a firma di Monica Giorgi di un 
                  libro su August Strindberg, un intervento come sempre illuminante 
                  di Luce Fabbri sull'esperienza spagnola del '36/'37, stralci 
                  da un'antologia di scritti di E. Armand curata da Gian Paolo 
                  Prandstraller per le Edizioni Antistato (Elèuthera sarebbe 
                  nata due anni dopo), un ricordo di Gilbè della Cooperativa 
                  Tipolitografica di Carrara. 
                  Da segnalare resta solo la terza di copertina dedicata agli 
                  altri due periodici anarchici “nazionali” di quegli 
                  anni: “L'Internazionale” e “Umanità 
                  Nova”. Un ulteriore segno di quell'apertura pluralistica, 
                  mai limitata al proprio orticello, di cui orgogliosamente questa 
                  testata è sempre stata un esempio voluto e concreto. 
                   
                 
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